FOTOGRAFIAEUROPEA
018
Rivoluzioni
Ribellioni
Cambiamenti
Utopie
Reggio Emilia, fino al 17 giugno 2018
Ogni mostra in questa occasione è un microcosmo, come spetta alla formula di racchiudere più esposizioni all’interno di un percorso cittadino. I luoghi deputati sono sedi dismesse di banche, uffici pubblici e privati, posti in definitiva recuperati a nuova sede di fruizione adesso artistica piuttosto che istituzionale. Tredici mostre in tutto oltre quelle del Circuito off in gallerie o spazi marginali. I microcosmi dall’anima fortemente caratterizzata (lirica, contemplativa, documentaristica) sono collocati dentro una cornice con quattro parole chiave, una per lato: rivoluzioni, ribellioni, cambiamenti, utopie. Un filo rosso come collegamento di intenti e soprattutto un chiaro proponimento di azione, cioè scandagliare istanze di ricerca in quelle direzioni sia sul campo artistico che sociale. I contributi in tal senso non si limitano ai materiali fotografici ma comprendono anche raccolte di libri, oggetti, documentazioni di vario genere. Si testimoniano così passaggi storici come svolte individuali e in ogni caso si tratta di opere originali nel segno di percorsi ben connotati. Niente a che vedere con la tendenza ad un fotogiornalismo che sta perdendo la sua oggettiva forza militante per ridursi troppo spesso, nei suoi minori esponenti, ad un blando già visto che si conclude nel perimetro della sua rappresentazione. La consequenzialità nella visita ai microcosmi può seguire un ordine casuale o il semplice ordine numerico, poco importa. Sarà comunque salva la loro poetica.
Il grande flash back generazionale Sex & Revolution ci restituisce il nuovo modo di pensare e vivere la sessualità negli anni ’60 e ’70 fino all’avvento della pornografia di massa. I reperti d’epoca raccontano l’evoluzione allora spontanea e necessaria, mai avulsa dal contesto politico del tempo, ripercorrendo una lunga serie di testi, musiche, rotocalchi, sequenze cinematografiche. Ribellione dunque, prima ancora che rivoluzione, culturale e esistenziale. Da una sponda all’altra del secolo scorso, sebbene contigua alla precedente, abbiamo la storia tutta italiana del Fotoromanzo e poi…… Una rivoluzione silenziosa e sempre sottovalutata in quanto, si direbbe oggi, ‘nazionalpopolare’, senza però negarle il ruolo importante avuto nell’alfabetizzazione del paese dall’immediato dopoguerra o risalendo indietro ai primi decenni del secolo con i cineromanzi. L’impatto sociale anche in questo caso è rilevante, dalle produzioni della Bolero Film agli scatti di Federico Vender. Sulla linea di certe striscianti rivoluzioni socio-antropologiche si pone anche Francesca Catellani, che con fermo-immagini da filmini in Super8 rappresenta costumi e pensieri dalla vita quotidiana del decennio fra ’70 e ’80. Conformismi e anticonformismi dalla cultura hippie all’edonismo, memorie immancabili private e al tempo stesso comuni a molti. All’interno dell’ Open Call di via Secchi incontriamo il lavoro di Umberto Coa, Non dite che siamo in pochi, che in una storia di finzione espone fatti e materiali dell’area anarco-insurrezionalista. Danila Tkachenko con il suo Motherland, case di contadini al fuoco in notturna, riflette e denuncia l’abbandono delle comunità rurali russe dopo la collettivizzazione. In Birth of a Utopia, firmata da Andrea & Magda, si documenta il progetto del primo insediamento per Palestinesi in Cisgiordania; spazi e costruzioni così bene impostate, ariose e vivibili al massimo grado, sono in definitiva un ponte ancora non realizzato fra presente e futuro, sospeso nelle sue importanti potenzialità. Non manca invece nel suo compimento storico la serie fotografica Iconic China di Luca Campigotto, allestita nella Sinagoga. L’iconografia della Cina del passato con splendidi paesaggi e quella del presente, con vedute al limite del fantascientifico o altre di sobborghi sovraffollati, è l’incredibile declinazione dei tempi verbali di un’intera civiltà. I colori provengono da nebbie o soli accecanti, come dai neon o dal tungsteno, l’impatto visivo è di quelli che non si possono dimenticare al pari della composizione fotografica. Ritornando al tema dell’Utopia, stavolta come progetto fattivo con limiti possibili, incontriamo lo straordinario lavoro di Clément Cogitore Braguino ou la communauté impossible. Una lunga serie di videoinstallazioni e fermo immagine mostrano le vicende che si svolgono a Braguino nella profonda Taiga siberiana, lontano da tutto e da tutti. Qui, due famiglie hanno deciso di trascorrere la propria esistenza nella più completa autarchia e in modo completamente autosufficiente. Tuttavia la pace sognata viene incrinata dal conflitto aperto fra i due differenti nuclei, incapaci di condividere lo stesso territorio e destinate ad osteggiarsi continuamente senza risoluzioni poiché risulta per tutti difficile fuggire come rimanere. L’oscillazione costante mina alle fondamenta qualsiasi utopia umana su come condurre la propria vita e Cogitore documenta il quotidiano spicciolo con uno sguardo etnografico mai scontato. Le immagini presentate sono opera di pura poesia, linguaggio lirico destinato a suggellare ancor più quelle singolari esistenze di adulti e bambini. Le progettualità portano in sé la matrice di transizione, di cambiamento a venire. Transizione vale proprio come passaggio da una situazione o condizione ad un’altra. Transitions 1962-1981 di Joel Myerowitz illustra meravigliosamente i primi decenni del lavoro del fotografo. Prima girovagando nelle metropoli statunitensi poi in molte città europee, coglie l’incessante movimento della vita nelle strade affollate e nei luoghi pubblici. Un lavoro sicuramente titolabile come “street photography”, ma già al suo avvio con un carattere rivoluzionario. In un’epoca in cui si fotografava in bianco e nero Myerowitz irrompe con il solo utilizzo del colore, in quanto questo tipo di pellicola risultava più lenta e di conseguenza erano necessari tempi di posa lunghi. Il risultato è una sorta di stato di sospensione all’interno di una foto disseminata di punti di interesse. “Esistono uno spazio interiore e uno spazio esteriore. Il macrocosmo dell’universo astrologico e il microcosmo dell’universo intimo, e noi tutti siamo semplicemente un minuscolo punto da qualche parte nel centro, non nell’unico centro, ma in uno dei molti centri possibili. Penso che in qualsiasi luogo ci troviamo, noi siamo sempre nel mezzo.”, afferma il fotografo. Ciò che sorprende nelle prime serie come in quella successiva realizzata a Cape Cod nel 1976 è il colore utilizzato come valore assoluto, sia nei suoi contrasti che nel chiarore della luce cristallina che lo diffonde. Negli scenari della costa atlantica, scattati con una Deardorff a lastre da 20x25cm, veniamo immersi in monumentali sfaccettature di toni che fanno salva l’ora del giorno del set e al tempo stesso si perdono in cromatismi assoluti. Siamo di fronte in fotografia a quanto Rothko con i suoi ‘color fields’ e altri artisti come Hopper o Gottlieb compivano in pittura. Cambiamenti radicali quelli effettuati da Myerowitz, con la tecnica a colori all’inizio e successivamente con i soggetti, da umani a naturali. In quest’ultimo caso rimane salda l’attenzione ai protagonisti, si pensi tanto ai Portraits come ai paesaggi, catturati nella summa di pregi e difetti senza mascherare disorientamenti o enigmi sottesi. Come dire, il grande carattere di un fotografo che stabilisce un rapporto empatico con gli interlocutori del suo sguardo. Può risultare davvero difficile allontanarsi da tanta bellezza per proseguire la visita delle varie mostre. Resta comunque inevitabile anche per noi fruitori il dato della transizione, andando a scoprire altre immagini e modulazioni sui temi indagati a Fotografia Europea 018. Quest’anno ancora di grande interesse.
Elisabetta Beneforti