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la veggenza oh folle cadenza
mia folle scadenza
queste parole sono stracci
queste parole sono senza permesso
raccontano proiezioni devastanti di tutti
tutti noi sognatori
queste parole sono scorribande
queste parole sono come vivande
oh mettiamoci in cammino
ossa e nervature sottopelle stanno
occhi assonnati un po’ fusi sono
quello che hanno in dote le ragazze sole
e cose troppo forti per finirle
in ore, minuti, secondi
c’è uno spazio dove si è possibili
dove le parole si squagliano e hanno senso
scendiamo dai piani alti
mettiamoci al lavoro
prima che i ranuncoli accadano nel prato
obliquamente ondeggianti tra i venti
placidi dormienti
abbiamo sogni da vidimare
abbiamo memorie da sopire
abbiamo bicchieri da riempire
quanto sarà ancora abbastanza
a chiudere le giornate
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eravamo già a febbraio
e l’elogio della brevità ancora non mi apparteneva
la pace che sia e il caldo anche
l’acqua almeno accarezza più ordini di emozioni
una per essere insieme
due per giocherellare come bimbi
tre per i veglioni di marzo
quattro per non essere abbandonati
come in stazione alle otto
di un sabato sera
stanco e stracciato come pochi e come sempre
sta aggrappato a sigarette a condensa sul vetro
a catastrofi a riprese
esempi dal quotidiano spicciolo
in più mondi paralleli
anche si fa fatica o si gioisce
a volte, come si parla
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la fascinazione viene da
le cose belle che metti insieme
piccolissime e belle cose
ho guardato molto oggi
sono esausta e piena
me ne ricordo e ne lascio un po’
per domani per dopodomani per
quando che viene
che viene a mancare che va a tornare
sospirando che sale
folli educande ragazzine
storia e memoria
hanno un passo deciso
piedi aggraziati e lunghe camminate
tutto il nostro tempo e starci dentro
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tutto il nostro tempo
non tiene sbavature
è raccolto e carezzevole
fosse spesso così,varrebbe oro e argento
nei sotterranei dei nostri corpi custodito
il bel tempo sincero
tregua di turbolenze e smancerie
in mezzo a frammenti
a pulviscoli a ossa
le palpebre ci addormentano
le sequenze finalmente ci sfuggono
le cattive idee ci mollano
fine dei meriti
fine delle nuvolaglie
il bel tempo è calduccio
come non sentirlo
come non cullarlo
quando un ultimo racconto è necessario
i neon si confondono con le parole
neon e parole,scrittura luminosa
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non c’è tempo nottetempo
i minuti sono in esilio
il sonno è intermittente
e va tutto in corsivo
quello che passa e quello che non passa
la fifa che possa tornare
mattino di gloria, ore di indecisioni
voci sottomesse voci in disaccordo
voci di rivalsa voci di riscatto
voci gialle e voci bianche
un mazzo di voci in boccio
voci che scorrono
e per il resto come è andata
come andrà
adesso va che è davvero tardi
il silenzio intorno è mortale
tanto che stride tanto che fiacca
ovatta avvolgente per cadere giù
per raggiungere i minuti nel loro esilio
scivoloso abbraccio e intermittenza
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questo è il mio tempo sospeso
vorrei dire che stasera
non capisco la mia vita
e quanti collassi tutti gli stupidi martedì
o altri giorni a caso
più facili più difficili saranno
riottosi riottosi girano
si sfaldano in modi gentili
come il confine delle terre
come il taglio degli alberi
allora mi sono fermata parecchie volte
sulla strada fino a qui
continuerò a farlo
mi sono fermata a guardare
anche meno anche quanto ho voluto
quattro che saranno gli elementi naturali
un orgasmo
una pupilla sgranata
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fuori comune fuori assonanza
fuori stagione aria tiepida mia e vostra
conviene salutare i contatti mancanti
pallida emorragia di affetti
rimane musica stonata di piccole cose
di acqua di grano
e lacrime con amore
quando mostro i capelli o no
e più sotto le mani di bucato
e lievito di pane
e alla fine i piedi sbucciati
le mie parti felici di assomigliare
ogni altra
donna nel mondo
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le giornate che si allargano
gli impegni che si attardano
la trama che conta
pause e respiri
scorrono scorrono via
ci siamo persi poi
ci siamo connessi
una volta più una volta più
balordi di equivoci
tormente e sabbia di settimana
sono in mille colori
i modi che abbiamo preso
noi, uno ad uno
e le preoccupazioni in fuga
a soffiarsi il posto l’una con l’altra
alzando i calici
o passeggi velenosi
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senza permesso sono le tacche alte e basse
di stare bene di stare in qualche modo
si chiama semplicemente nostalgia,
questi viaggi sono
le borse del disagio
le continue risacche
di piccole contentezze
agrodolci e sogni
che non siamo fossili ancora
in forma di assenzio verde prato
in forma di equilibrio su filo
o di prime rose noi siamo
corpi mai celesti senza permesso
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dove è la fine del mondo
dove il suo inizio
diciamo sottovoce
l’aria è salata l’aria è dolce
quando vedi scorrere come biglie
rotolare
tutte reti e affetti
gli affetti sono laterali
e certe carte nascono male
a guardar bene
spezzo le giornate come spezzo il pane
mi specchio e mi pettino
ad aspettare cosa viene
cosa va a succedere
quel filo rosso di malo sonno
colpi al cuore a tutto asserviti
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nelle strade Guernica e nascondigli
telecamere o la parola
cosa accade se
liberiamo gli sguardi
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senza permesso
sette secondi e poi otto
possano bastare a doppiare il capo
riusciremo, sta’ sicuro, in altro lato dei mondi
ad accarezzare le circonferenze imperfette
con un morbido tatto
scivola scivola come è dolce e buono questo sonno
dopo posizioniamo il mondo in un tappeto
tranquillo e sorridente come un bimbo
via via andiamo
adesso andiamo a attraversare
fa freddo qui
decolliamo e spaziamo
voliamo questo mondo e l’altro
quanto tempo che manca
che parla
che guarda
che vive un’assenza
come sei invecchiata
di un milione di minuti
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un nome più nomi
quanti legami sono come viaggi
si parte si incontra
bellezza dolori tremori
poi era questa la soglia
per ritornare per salutare
gli andamenti e scuri di metà estate
come andromeda lassù
conversazioni amabili
ammiccamenti preoccupazioni
dentro voci spente voci appannate
abitiamo stanze elementari
mastichiamo tenere gioie nostre primizie
conserviamo idee su pellicola e fermo immagine
un cuore greve e va in corsivo
carezza e tentazione
morbidamente mettimi fuori
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e qui di seguito pensate
i piagnistei sono durati un giorno
o poco più, dopo la loro sorte
è stata diventare sottili e sottili
la mattina molto presto
dove si dorme poco
dove si esce con i pendolari
attorno alla stazione e nei bar
piedi sotto serrande a mezz’asta
come bandiere eroiche
dove si pensa al disordine o cupe armonie
gli affetti collaterali, voglio dire
dove il cielo non si intona
ai clamori ne’ ai risvegli
dove siamo vigili eppure beatamente intontiti
dove consideriamo il calendario solare
e se non basta anche quello lunare
a mettere cornici agli eventi
dove fa un po’ fresco e respiriamo a pieni polmoni
le luci del semaforo, i vestiti degli avventori
quanto è stato smagliante torna indietro
insieme ai fotogrammi bacati
un girotondo infantile da giocare
come strass da cerimonia
cosa muovo cosa consolo cosa all’inverosimile
il mio cielo è questo a tutt’oggi
incerto, la delicatezza di un fiore acerbo
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le tregue allora non sono trappole,
ci sono tregue come lampioni lungo il viale
intervallano spazi e motivi e i tanti guai
un sorriso che dura
due o tre respiri profondi assolutamente
quanti momenti blu e pure occasioni
ci possono essere poi
altri bei giri di danza
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vi abito vicino, epistolari andanti,
con la mia parte sinistra
e le sue eco costanti
con dolori e attenzioni
con tranelli minimali e acidi
con rondini in libertà
quando si divertono giù nella valle sottostante
se e quando inganniamo l’attesa
o l’attesa inganna noi
La pagina viene presentata per gentile concessione dell'autrice a Pioggia Obliqua