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Poesia proposta

Luca Ispani

poesie da Il rumore dei passi, 'round midnight edizioni, 2019

I miei versi

sono fango e inverni gelidi

linea bassa della terra

vento forte e crinali che arrivano al cielo.

Sono il sangue dei miei vecchi

e le preghiere

il perdono sempre chiesto

anima che trema tra i querceti.

Ogni sillaba è una musica di passi

un blues sdentato di tassi e volpi

che si ferma quando incontra gli sguardi

e controlla le ferite.

I miei versi sono i funerali

le sagre

le panchine davanti alle chiese

il grano che cresce .

Io sono

Sono sete

Sono sudore

Sono sale

Sono ossa

Sono chi ha il corpo trafitto

da lame di parole

orgogliose e bisbetiche

funeste malinconiche.

Sono il cielo che guarda l’inferno

Il vuoto del bicchiere

il morto che celebra la danza del becchino sono

[l’inettitudine del volere e potere.

Non vedi i passi indietro

la congiura del passato

il precipizio

i piedi disfatti del viandante

l’esperienza costruita a botte e lacrime.

Torneranno a vedere gli occhi il pieno degli

[alberi estivi e le notti calde

con te abbarbicata al mio giaciglio di nuvole

la sera faremo autostop tra stelle e astronavi,

l’assenza sarà meno grave.

 

Quando torni al tuo paese

fai il medico:

misura la pressione alla nostalgia

prova i riflessi ai muri e agli alberi

ascolta il battito della terra.

 

 

 

 

Poesie inedite

 

 

 

PRIMAVERA

 

Sentire il dono del corpo

nella pancia degli alberi

il canto degli usignoli

la piazza vuota.

 

Su queste mura

ravviva il ricordo

come la fiamma del focolare

e i passi leggeri

come nuvole

arrivano dritti

al centro delle mani.

 

 

Nella vigna la primavera si prepara al parto.

 

 

 

LENTEZZA

 

Rivendica la lentezza

misura il mio torace

l'infinito del verbo restare

la calma d'essere vivo

il respiro da abitare.

 

Porto con me boschi aspri

sentieri

dove sorella consapevole

mi attende sempre

 

la radice dell'io.

 

 

 

  

CAMMINARE

 

Camminare come forma

incrociare sassi e muri

perdersi nelle voci dei castagni.

Ti chiedo riparo

tra i rami del costato

tra i germogli degli anni

mi faccio preghiera tenue

per parlare alle tue labbra

dirti il minimo sulle cose

il massimo sull'anima

una piccola porticina

 

ricca di gioia.

 

 

 

 

Ispani Luca nasce a Modena il 19 maggio 1979 . Ha 8 anni quando vince il primo premio presso un concorso giovanile in Veneto indetto da una radio locale. Vincitore e segnalato in numerosi premi nazionali e internazionali, studia da tempo da autodidatta diversi autori.

I suoi preferiti sono Whitman, Berry, Tiziano Fratus, Sinisgalli, ed è affascinato dal movimento della beat generation e il suo legame con la musica jazz di cui è appassionato assieme al rock anni '70 e '90.

Negli ultimi vent'anni si è appassionato alla paesologia ,cercando con i suoi scritti di sensibilizzare

sulla vita nei campi e sull'Appennino modenese da cui proviene. Studia Celati ,Arminio,Scoltellaro e si è appassionato da poco alla poesia di Alfonso Guida .

Inizia a fare letture poetiche nel 2004 per lo più in eventi di arte di strada dove si sente più a suo agio.

Dal 2014 al 2015 ricopre il ruolo di vice-presidente presso l'associazione culturale “i poetineranti “.

Collabora con il collettivo di poesia nazionale “Bibbia d'Asfalto” dal 2014 al 2016.

Da qualche mese segue il progetto “Grungeart” che é la creazione di un vero e proprio spettacolo basato su testi porformanti,musica e arte visiva riconducibili al movimento “grunge”dei primi anni '90.

Parecchi suoi testi sono stati tradotti negli Stati uniti ,in Messico e in Australia.

Pratica la meditazione buddista ed é appassionato della natura in ogni sua forma.

Ha pubblicato nel 2019 con Roundmidnight Edizioni la sua prima raccolta poetica “il rumore dei passi”che sta avendo numerosi riscontri positivi in termini di critica,recensioni e vendite.

Parla con gli alberi e li abbraccia.

 

 

 

 

Filippo Amadei

P O E S I E

Fotografia di Daniele Ferroni
Fotografia di Daniele Ferroni

 

 

Da “Oltre le ringhiere” (Raffaelli Editore, 2014)

 

 

 

 

Guarda gli alberi di Margaret Island

sulla foschia del fiume appena salita

fino a dissolversi, la malinconia nodosa

i tronchi sbucciati

abbiamo passato tutta la notte a sognare

qualcosa di migliore, rami d’aria rampicanti

il sole tiepido dell’est Europa
e all’improvviso sale la luce
come un desiderio antico della terra
e avresti voglia di trovare qualcuno
coi tuoi stessi occhi aperti sulla domanda

del sole all’orizzonte, la nostra solitudine
è questa alba, questo mai
perfetto assomigliarci.

 

Budapest, marzo 2012

 

 

 

 

 

Ma le prostitute a volte sono l’attesa

della pioggia su Bologna, guardale

stanche come gatti la mattina
nei viali attigui all’autostrada o puntellate

a un lampione appena spento

trecce già sfatte nascono
dai loro capelli e non c’è differenza
tra l’umido dei loro occhi e le nuvole
che passano e preannunciano la pioggia

sono la dolorosa rugiada della notte
e se ti metti a guardarle ti bagnano

senza saperlo.

 

 

 

 


ATTRAVERSO DI NOI

 

Cosa ha visto, quali cieli
dolorosi sono entrati nella retina
la frenesia breve delle ali, motori

impazziti prima dell’avaria, quale acerbo

destino spingevano lontano
quando è caduto e la picchiata
ha risucchiato l’aria di tutti
il petto saldato, l’arcata alare spalancata

come una porta, non c’è più morte
nella stanza, non c’è più vita
tutto è qui, il vuoto che fissa
attraverso di noi.

 

 

 

 

 

VERSO CESENATICO

 

Quando arrivava l’estate dei compiti in giardino
quando era ancora troppo presto per i baci alle ragazze

facevo le gite fuori porta con mio padre
sveglia all’alba e subito sui pedali
l’avremo fatta solo sul porto canale
la colazione, ricordo il fiato corto e l’aria aspra
dei primi raggi, la sua voce grossa
che mi incitava di stargli a pari.
Non mi abbandonava l’idea
di un me stesso ancora beato nel letto
mi chiedevo il perché di tanta fatica, solo dopo
seduto al Vecchio Lampione davanti a un cappuccino

ogni cosa sul porto era tutta una festa, le bestemmie
in dialetto dei pescatori, la confusione felice dei turisti

nel viavai delle stradine laterali, anche l’indecifrabile

ansia di mio padre, ogni bellezza creduta perduta
era allora ritrovata, esisteva già da prima
esigeva una mancanza.

 

 

 

 


SPIAGGIA DI FINE MARZO

 

Mi lascio cullare da questa stagione

nata da pochi giorni, su una scala

un uomo pulisce la vetrata a luna

dell’albergo davanti alla spiaggia,

tutta una luce è il mare e io sono lì

chiaro e solo nel sole che mi culla

destra e sinistra, così la sua mano

muove lo straccio pulendo, io resto

a guardarlo, mi sembra un saluto

il suo gesto che giunge
a colmare questa distanza
cristallina, destra e sinistra
ma lui pensa al vetro da pulire
la mano prosegue, appare e scompare

ai miei occhi nel repentino
baleno degli aloni – un’altra passata
e cos’altro è la vita se non un gioco

continuo di opacità e trasparenze
la fatica di lavorare per tornare limpidi

percepire chiaro un orizzonte

riconoscere l’uomo
nell’uomo di fronte.

 

 

 

 

 


OLTRE LE RINGHIERE

 

Guardo il vecchio hotel del centro
tutto scalcinato, coi vetri in frantumi
coi mattoni a vista fuori dalla calce

resiste al desiderio dei miei occhi
di voltarsi e proseguire verso altri scenari

più nuovi e rassicuranti

come fanno questi turisti di fine luglio
dal passo sciolto, lontani
da tutto quanto sta attirando il mio interesse.
Resto fermo e guardo l’hotel anch’esso immobile
nella notte chiara e afosa, come un nobile
gigante pietrificato, senza un futuro che lo accolga

senza più canoni né chance per restare
nell’inversione di bellezza del presente.
Ma oggi ho visto l’erba del suo giardino crescere

superare le ringhiere arrugginite del cancello
sono sempre più certo che la verità, anche la più piccola

idea creduta vera debba lottare contro un perimetro
ieri, passando, sarei stato forse un semplice turista
dal cuore a riposo, non avrei sentito certo
risuonare da un altro mondo la tenacia viva
di quelle pietre e un’incredibile speranza
diventare alta in me, come quell’erba
come cresce in verticale il mio verso.

 

 

 

 

 

L’azzurro del mare condensato nel tuo costume

spezzato, dello stesso colore, ma più denso
quasi materico, a rimarcare la falcata delle tue gambe

abbronzate verso l’acqua, resto in bilico tra questo
e l’altro azzurro che dilaga a macchia e ci ingloba
nel sogno del paesaggio, i lembi della vita
a volte hanno la forma inconsistente
di un dormiveglia estivo, si restringono
alla distanza breve che mi separa dalla tua bocca
la mezza torsione che fai col busto già bagnato
a chiedermi di seguirti là in mezzo, ho in testa mille voli

di pensieri che non partono, persi nella bonaccia

mentre l’aria ha smesso di essere vento
e semplicemente ci attraversa.

 

 

 

 

 

 

Ce ne stiamo accoccolati sotto le coperte

a contare zitti la presenza delle stelle
sul soffitto, il sonno non c’è
hai i piedi freddi, li accolgo

con un poco di pena nel tiepido
argine dei miei polpacci
ancora non dormi – preghiamo
mi dici e ti metti a sbiascicare qualcosa
che nemmeno tu sai, le mie preghiere invece

sono silenziose come le immagini dei santi

che ci guardano dal comodino

ho superato il brivido, sento i tuoi piedi

parte della mia pelle, ormai caldi
il respiro tornato lento
per un attimo penso alla felicità

che io e te ora siamo
e non riesco a dire “così sia”

prima del sonno.

 

 

 

 


IL LIMPIDO DELLE FINESTRE

 

Oggi diventi il limpido delle finestre
che mi riflettono nel sole, diventi qualcosa

più simile all’aria di maggio
che fa rivivere i muri, la piscina secca
le palme impacchettate dentro al cellophane

quando credo le cose inanimate
è segno che l’inverno è stato duro
e mi ha fatto dimenticare persino
che quell’uomo con la barba sono io

quando sei in me, doloroso
come una croce inchiodata ai pensieri
gli oggetti prendono vita, si alzano
dal buio, lanciano a riva il ricordo di te
dopo il lavoro in albergo – eri un sorriso

allora, eri la spiaggia della tua fronte
tornata liscia, tu mi servi
per tornare me.

 

 

 

 

 

 

 

 

Inediti

 

 

Lascio che le strade si perdano
dietro ai miei passi e gli abitanti
in chiacchiere o a rimuginare
qualche pensiero storto, per una sera

questa città è straniera solo sulla carta

mi accoglie nei crocchi di studenti in fila

per una birra a metà prezzo, piazze

calpestate di giorno finalmente in pace

il magrebino che mi offre il fumo

un ombrello rotto a metà nel cassonetto

Padova, limpida e senza inganni, che respiri

ancora l’illusione dell’estate, ti concedi
per quella che sei, vera e stanca
come la voce di mia madre
stasera – come una vera casa.

 

 

Padova, 1 ottobre 2014

 

 

 

 

Ma forse c’è davvero qualcosa nel chiarore
oltre i tetti e le antenne di Roma, un girotondo
di bambini, la giovinezza ardente del dieci agosto

mentre il vago presagio dell’amore ti apre le mani

gira nella linea della vita – un rosa tenero
sei, carne della mia carne, il soffio
pulito dell’aria cristallina, come la primavera
che è già arrivata e se ti guardo scopro
che non è mai andata via.

 

 

Roma, dicembre 2015

 

 

 

 

Essere calmo come l’acqua

che ti fascia la vita, Lugano

dama di lago, bellezza liquida

accogli tutti ma nessuno mai

a queste rive scorge il cuore

tuo segreto – tutto sta

celato nel volo degli uccelli, quel timido

ondeggiare delle barche che sgrana
la chiara visione del fondale.
Estraneo anche a me stesso

posso unicamente ammirarti

dalla superficie.
Solo il sole ci sa capire.

 

 

Lugano, marzo 2013

 

 

 

 

 

Mi passi il sale, ti passo l’olio
la pasta al pomodoro – “te ne do poca
devi dimagrire”, due noci sul tavolo
per il fine pasto, è un rito il nostro
pranzo di tutti i giorni che si ripete all’infinito
non riesci a mangiare senza televisione
il formaggio grattato fine
sui maccheroni. Sappiamo tutto
non ci siamo detti niente – è solo la tv
che parla “non siamo Parigi, non è ancora
la nostra guerra”, ma anche oggi non senti
come si rinnova la nostra più intima emergenza?

Ce la passiamo col sale, come sotto assedio

perché l’amore passa anche la pena – una carezza

attorno alle braci di questi pochi
gesti domestici.

 

 

 

 

 

Hai gli occhi tristi mi dico da solo
davanti allo specchio, come convincermi
del diverso. Ho sempre avuto questa tensione

nella retina – una specie di malinconia elettrica

proprio un delitto, diresti, contro i giorni di sole

gli amici, tutti gli amori sospesi
nel sorso di un respiro, loro esigono
occhi felici non questa mancata
dimostrazione.
E chiuderli colpevole, volere tornare
bambino, allo scuro di tutto – ti copriva la vista

la compagna delle elementari con le sue manine

a nascondere la sorpresa di compleanno
e lì al buio non era ancora tuo
l’onere, era il mondo
a spalancare gli occhi
come un bene più grande
su di te.

 

 

 

 

 

 QUI

 

Qui, vinto e vincitore, arreso
alla vita spezzo il pane
friabile della focaccia e rendo grazie
a lei, al tuo sorriso estivo – ai capperi

selvatici sul balcone del forno.
Dovrei, eppure non voglio conoscermi
così bene, né chi sei tu, immerso
nella liturgia di un’isola, grato
all’immenso, dal vento sbattuto e asciugato.

Quali sono davvero i nostri peccati
non m’importa, la messa
il pane che ti passo
non finiscono mai.

 

 

 

 

 

Abbiamo estratto la tua trama di legno
per rifare in fretta la nuova tettoia
a sostenere la parte sporgente e indifesa
dal peso della neve – i tuoi ganci, le poche

cose appese, quelli no, non li abbiamo voluti

togliere. È così che va la vita
ci presta sempre qualche appiglio al passato

non troppi, solo il giusto
per sostenere il ricordo, qualcosa
che poi resta – una cianfrusaglia, un sogno

il dolore che ogni tanto si ritrova
e poi si dimentica di nuovo.

 

Fotografia di Daniele Ferroni
Fotografia di Daniele Ferroni

BIBLIOGRAFIA

Filippo Amadei

Ha pubblicato i libri di poesia La casa sul mare (Il Ponte Vecchio, 2015), Saperti a piedi nudi ( LietoColle, 2009) e Oltre le ringhiere (Raffaelli Editore, 2014).

E' il vincitore della prima edizione del Premio Rimini per la Poesia Giovane.

E' tra i fondatori dell'Associazione  Culturale Poliedrica.

Fotografia di Daniele Ferroni
Fotografia di Daniele Ferroni

      La pagina viene presentata per gentile concessione dell'autore a Pioggia Obliqua

 

 pioggiaobliquascritturedarte@gmail.com

 

 


 

" Pioggia Obliqua una rivista

affermata e prestigiosa."

 

" Un grazie di cuore a 

Pioggia Obliqua i cui molti meriti nei riguardi della "poesia onesta" di cui scriveva Saba non saranno mai abbastanza sottolineati."

 

Alessandro Fo

 

 

 

" Saprà o vorrà ancora la forza accumulata (...) resistere alla forza di omologazione che la tecnologia sembra inevitabilmente portare in seno?(...) Prevedo un lungo periodo di 'agonie', voglio dire di lotta (...) sarà probabilmente quella la forma e la sostanza del poetare che ci aspetta."

 

Mario Luzi

Da un suo scritto per Pioggia Obliqua a proposito del  'senso di fare  poesia', gennaio 1996

 

 

" Io credo che un pò di silenzio ci faccia bene, c’è un coro di voci “troppo alto”, sgraziato, che ci sommerge, e non mi riferisco solo alla letteratura. In questa specie di “frullato” che siamo costretti ad ascoltare quotidianamente, il valore delle cose si perde.

 

Se c’è un attimo di riflessione, di

silenzio, la parola scritta o detta assume maggiore rigore."

 

 

Antonio Tabucchi

 

Intervista rilasciata a Luigi Oldani e

Elisabetta Beneforti per Pioggia Obliqua 

 

 


" Il sito Pioggia Obliqua mi ha "donato questa nota sul mio libro (...), ma l'intero sito è da seguire."

 " (...) e un ringraziamento per tutto ciò che P.O. fa per il mondo della poesia."

 " (..) E la stima è da me ricambiata verso il vostro prezioso sito!"

 (...) sempre attenti e preziosi gli amici di "Pioggia Obliqua".

 

Bruno Galluccio

 

 

" Un bel luogo d'incontro tra scritture."

 

Matteo Pelliti

 

 


" Non so dire se la bellezza salverà il mondo, come pensava Dostoevskij, ma mi piace pensare che sarà così. In fondo, già Stendahl sosteneva che "la bellezza non è che una promessa di felicità". 

 

Vittoria Franco

per Pioggia Obliqua

 

 

" Agli amici tanto tanto amati di Pioggia Obliqua, poeti invincibili della vita, il mio abbraccio umile e il mio ringraziamento, per mantenere la poesia come unica veritá nel mondo."

 

Daniel Fermani Gonzales

 

 

 

 

" Rivista preziosa, che seguo da tempo."

 

Alfredo Rienzi

 

                 

 

 

 

                    

 

 

                  

 

                       Consigli di lettura

 

 

    

 Nella omonima rivista cartacea 'Pioggia obliqua rivista di letteratura e culture', pubblicata negli anni Novanta, una intervista a
Antonio Tabucchi,
Edoardo Sanguineti,
Mario Luzi. 
Un testo di Valerio Magrelli. 
Mario Luzi, Luigi Baldacci, Patrizia Valduga, Attilio Lolini, Gabriel Cacho Millet, Marco Marchi e Loriano Gonfiantini rispondono
sul senso di fare poesia in quegli anni.
Risposte attualissime.

 

 

 

 

 

 

 

 


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