Maria Benedetta Cerro
da Prove per atto unico, Macabor 2023
C’è una vita involontaria
parallela all’azione e alla ragione.
Vi si accede ad occhi chiusi
e il versante è al buio.
È la città poetica
con i suoi labirinti e l’io errante e solo.
Non vi risiede l’invisibile ma l’indicibile.
Nessuna differenza
tra il sembrare e il morire.
Il nero totale è nel fissare
una luce alla sorgente.
Poiché ti amo vita / più dei miei occhi
ora sono cieca / e null’altro vedo
che il retro delle cose.
Un vetro accecato dalla brina
la guida allo sbando
i cari vivi e i cari morti
che si affidano a me
figlia di tutte le tempeste.
Mi credevo esperta / ed ero impreparata.
Imbiancata e storta
sotto il peso della cenere
il solito bambino per mano
– inconsapevoli entrambi
l’uno di portare l’altro nel buio della vita –
Compravamo pacchi di sale
scontati / in gran numero
perché le lacrime dovevano essere tante.
Nel giorno della cenere
anche il cielo è polvere e ferro.
Ma la vita arbitraria si insinua dove vuole
coi fermenti del suolo interagisce.
Resta l’impressione di un contagio di linfe
e una gara d’erbe in forma di colore.
Una mano sospesa nello spargimento
uno stupore di cenere pietosa
a mezz’aria sulle incolpevoli vite.
Il me stesso spaventato – ti parla –
con il contatto riconsiderato
dalla distanza imposta.
Da lontano / con-tatto / ti esplorano i sensi.
Chiedono alla luce / la lingua
intraducibile e a tutti comprensibile
della bellezza rivelata
alla lentezza / la perfetta immobilità della perfetta pace.
Io – cosa pensante –
all’altro me stesso spaventato
dico che la morte / il male / lo spavento
sono invenzioni dei viventi.
Dimmelo tu che devo fare.
Mi lascerò condurre
– corpo mimetico nel gregge
dei poveri smarriti –
Vita convenientemente soggiogata
che fissa l’occhio velato
al passo ammansito e alla lentezza.
Tutto è ridotto
a questo andare multiplo
verso inquietudini spianate.
Una forza crescente / smisurata
nel non sentire propria soltanto
la vita nulla e senza pace.
Il tempo cronologico divenne oscillante
prolungandosi a volte – o contraendosi –
come a noi sembrava opportuno che fosse.
Mutarono le cose – che erano le stesse –
La ripetizione dell’umore
volgendo all’imprevisto
vide gli oggetti farsi umani
– sembrare che una pena li turbasse
o una gioia repentina –
Fu che un mattino il viale parve abbandonato
l’aia più deserta.
Per la prima volta si destarono inversi l’anima e le cose.
L’una pietrificò
lastrico e muri ricordarono
e nelle crepe fiorirono violette.
Maria Benedetta Cerro è nata a Pontecorvo (1951) e risiede a Castrocielo - Frosinone
Ha pubblicato: Licenza di viaggio (Premio pubblicazione, Edizioni dei Dioscuri 1984); Ipotesi di vita (Premio pubblicazione “Carducci – Pietrasanta”, Lacaita 1987), nella terna dei finalisti al Premio Città di Penne; Nel sigillo della parola (Piovan 1991); Lettera a una pietra (Premio pubblicazione “Libero de Libero”, Confronto 1992); Il segno del gelo (Perosini 1997); Allegorie d’inverno (Manni 2003, nella terna dei finalisti al Premio Frascati “Antonio Seccareccia”); Regalità della luce (Sciascia 2009); La congiura degli opposti (LietoColle 2012), premio “Città di Arce”; Lo sguardo inverso (LietoColle 2018); La soglia e l’incontro (Edizioni Eva 2018); Prove per atto unico (Premio pubblicazione “Vincenzo Pistocchi” Macabor 2023).
GABRIELE GRECO
da Bruciaglie, peQuod, 2022
Appunti di poetica
Scrivere scrivere:
affacciarsi a balconi di noia
decorticare dolori
lenire orticanti rovine.
Sottrarre scavare e mai aggiungere:
dissotterrare urne sepolte
tombe di sassi
a mani nude
e schiantarsele.
Ridar luce a limacciosi antri
dove i passi nostri affondarono
un tempo: e da allora
Sibilla più non v’entra.
Battezzare spogliarsi defluire:
lasciar decantare detriti
ché avviluppati all’anima forse
non chiedono di rimanere.
Limare raffilare restaurare:
errare nel labirinto dei segni
ritrovare il filo
(forse rosso?)
d’Arianna
e ritracciare alfabeti
d’infanzia.
Restituire memorie:
seppur minime
stele
disadorne di gesso
dell’esserci stati.
Luce obliqua d’inverno,
come chiesa di gesso ti attraverso tutta,
verso un antico e perduto dolore
del tempo. E senza tempo, immobile,
nel tuo abbraccio di polvere e di madre,
mi arrendo.
Io ho dei ricordi
ma sono tutti sfocati.
Un sentiero
di ovatta
dai capelli tuoi
alla fronte.
Una pausa.
Una stella mesta.
Era beatitudine?
Poi giù
verso il naso
passando
dagli occhi.
Il loro blu
era intenso
e perduto
come cobalto
di mare.
Vi navigai.
E mi arresi.
C’era
la tua bocca
tutta
rossa-dischiusa
da baciare.
Nell’intenso
inatteso
passato
soltanto
è permesso
sfiorare
quei fiori
che sfioriscono
al buio.
Fra le altre
perle
di schiuma
e di gesso
sei la sola
che resta.
E questo
forse
già basta.
Che lieve
tu sia
amore.
Non importa
se il tuo cuore abbia
taciuto
o si sia voltato
dalla parte sbagliata,
sognando lune
da afferrare
o stelline di carta
da desiderare.
È l’amore forse che vince.
Addosso
hai una croce
senza chiodi
perciò sei libera.
Giorno dopo giorno
anche l’anima sussulta
nei nostri corpi esausti.
È lotta di notte e forse lo sai.
Giorno dopo giorno
nell’attesa di promesse
i cuori sbiadiscono infranti.
Allora
non saremo più
di solo sangue.
Fra me e te l’essenza si farà livida.
Giorno dopo giorno
in punta di piedi
entriamo nella basilica
del nostro amore
fino a giungere
all’altare di noi.
Fuggiremo
poi scalzi
(evaporati i pensieri).
Mistral
Le colline d’ocra dormono
mute e tu sei ormai altrove.
Nel paese del vento, ricorda,
nessuno più abita quella casa.
La strada sussiste a malapena.
Dispersi viviamo ora
dentro mura d’oblio,
come uccelli in preghiera.
Gabriele Greco nasce nel 1978 a Fucecchio (Firenze).
Dopo il diploma di maturità classica al Liceo Ginnasio Statale Virgilio di Empoli, pubblica le sue prime due raccolte di poesie: Lieve, stelle in processione (Titivillus, 1998) e Petali notturni (Titivillus, 1999). Frequenta la Facoltà di Lettere presso l’Università degli Studi di Firenze, laureandosi in Teoria e Critica della Letteratura con una tesi sul poeta e pittore francese Henri Michaux. Dal 2015 vive in Svezia, a Örnsköldsvik, dove insegna italiano, francese, spagnolo e arti visive in un liceo. Nel 2020 pubblica quattro sue poesie inedite in Affluenti. Nuova poesia fiorentina. Vol. 2 (Ensemble) e nel 2022 esce la sua ultima raccolta di poesie Bruciaglie (peQuod). Nel giugno 2022 ad Ancona, partecipa a La punta della lingua, Festival Internazionale Poesia (17° edizione). Nel settembre 2022 è finalista con la poesia inedita Cardeto al Concorso “Se vuoi la pace prepara la pace” indetto dall’Università per la Pace, dalla Regione Marche e dal Museo Tattile Statale Omero di Ancona e a Spoleto riceve il Premio Internazionale Menotti Art Festival per la Letteratura 2022. Nel dicembre 2022 una sua poesia inedita, Labirinti perpetui, è selezionata e pubblicata nell’Agenda poetica 2023 (Ensemble). Alcune poesie sono state pubblicate su diversi blog e riviste letterarie italiane ed estere.