Negli haiku di Oldani la natura innervata di mistica
PAOLO LAGAZZI
l poeta, tra gli autori italiani, è l’interprete più sapiente e fine della difficile forma nativa della lirica giapponese: i suoi versi hanno una qualità lucente, una morbida vaporosità propria
dei migliori maestri dello zen
Tra le innumerevoli forme che la poesia lirica ha assunto in tutti i tempi e luoghi della storia, lo haiku giapponese di tre versi è forse la più limpida e misteriosa, nitida e impalpabile,
icastica e sfuggente. Per creare un “vero” haiku, ci insegnano i maestri antichi e moderni di questo genere poetico, occorrono le doti più rare e le cure più sottili: occorre un’arte simile a
quella dei miniatori o degli orafi e insieme una naturalezza degna degli uomini più semplici, radicati nel cuore vivo del mondo; occorrono un’estrema attenzione e un abbandono radicale del
pensiero, una visione totale dei segreti del linguaggio e la scioltezza di chi sa che la verità si dà sempre “oltre” le parole.
Pochissimi sperimentatori occidentali hanno saputo e sanno creare haiku paragonabili a quelli della grande tradizione nipponica. Troppo spesso, da quando in Occidente si è diffusa la conoscenza
di questa via espressiva, sono stati prodotti e si continuano a produrre pseudo-haiku ora sbilanciati verso il formalismo, come se bastasse riprodurre il modello metrico (quinariosettenario-
quinario) per creare occasioni di verità e bellezza, ora fluttuanti nel gusto dell’impromptu, nei sussulti di versi liberati da ogni rispetto per lo spirito giapponese dell’attenzione,
dell’armonia e della misura. Il principio-chiave del buddhismo zen formulato nel Sutra del Cuore (“La forma è il vuoto, il vuoto è la forma”), che dovrebbe orientare tutti i praticanti dello
haiku ricordando loro la doppia esigenza del rigore e dell’apertura al mistero, del dettaglio illuminante e del movimento vitale, del lavoro artigiano e della leggerezza, è perlopiù ignorato o
frainteso in Occidente: ecco perché i “nostri” haiku non sono, spesso, molto più che esercizi calligrafici o balletti un po’ ebbri di frammenti, giochi mentali o piccole toccate e fughe per
momenti d’ozio.
Irriducibili a queste derive e a queste forme di manierismo sono, invece, gli haiku di Luigi Oldani, il più fine e sapiente creatore, nell’Italia attuale, di liriche inscritte nel solco di quella
tradizione. La qualità asciutta e lucente, la vaporosità e morbidezza, la ricchezza screziata degli haiku di Oldani non nascono solo dalla sua lunga pratica della meditazione zen e dalle sue
appassionate immersioni nei maestri della poesia giapponese. Nella sua voce c’è qualcosa di estremo e insieme di tenero e musicale, un quid fatto in parti uguali di gioia e melanconia, una
sensibilità pittorica e una percezione degli echi dell’indicibile che non si può spiegare se non come qualcosa d’innato, come un modo originale, karmico di stare al mondo, di vedere, sentire,
amare cose e creature, stagioni e momenti. Dopo le
due raccolte Haiku italiani (2016) e Come ventagli (2019), ora Oldani torna a pubblicare una scelta di suoi versi “giapponesi” ( Qui sottovento, Samuele Editore, pagine 78, euro 13)
introdotta da Cristina Banella, squisita e profonda studiosa di lirica del Sol Levante. Come sottolinea la Banella, questa raccolta nasce dal silenzio e al silenzio ritorna: fra le sponde
dell’indicibile fluisce la corrente della vita nei suoi intarsi e contrappunti di cose minime e immense, attimi e vertigini, colori e sfumature, palpiti e brividi. L’io del poeta s’incontra nello
spirito della compassione e del rispetto con tutto ciò che è altro da sé: scivola “alla lettera” fuori di sé, si fonde con una gatta, si smarrisce nel candore miracoloso di una nevicata («Sta
nevicando / e muti e bianchi / siamo spariti...») o nel tepore di un muro («Tiepido il muro / di pietra serena / sulla mia guancia»).
Tutto è viatico per esperienze mistiche o trasporti estatici del qui nell’altrove: tutto brilla, trema, vibra, respira in forme umili e sospese, in una fuga d’iridescenti, sottilissime bolle
d’aria e di luce. Spostandosi “sottovento” la luna si rifugia negli occhi di un gatto, fiori volano come origami, una lucciola solitaria su un campo ricorda la stella polare... A tratti la
purezza dei movimenti dell’essere s’increspa in figure prossime, in apparenza, a simboli sacri: « È tutto spoglio / l’albero sul sagrato... / il crocifisso»; « Il ciuffo d’erba / spunta dal
rivolo / Via Crucis». In realtà queste figure sono molto più di simboli. Come attraversate da un soffio senza inizio né fine le immagini balenano e si perdono chissà dove, le apparizioni si
velano, le luci ondeggiano come scie di nudo stupore... Il miracolo divino del mondo sta nel suo non arrestarsi mai, nel suo essere simile alla danza delle api sotto il sole o all’inchinarsi dei
«lunghi fili d’erba» sotto la pioggia nell’«ora dei vespri».
Il contenuto YouTube non può essere visualizzato a causa delle impostazioni dei cookie. Per acconsentire al caricamento e alla visualizzazione del contenuto YouTube devi accettare i cookie funzionali di YouTube dal relativo banner.
Il contenuto YouTube non può essere visualizzato a causa delle impostazioni dei cookie. Per acconsentire al caricamento e alla visualizzazione del contenuto YouTube devi accettare i cookie funzionali di YouTube dal relativo banner.
Il contenuto YouTube non può essere visualizzato a causa delle impostazioni dei cookie. Per acconsentire al caricamento e alla visualizzazione del contenuto YouTube devi accettare i cookie funzionali di YouTube dal relativo banner.
Le generose parole di Lagazzi per gli Haiku di Luigi Oldani,
in Paolo Lagazzi, Come libellule fra il vento e la quiete. Fluttuando tra Giappone e Occidente, La vita felice, 2019.
Luigi Oldani, Come ventagli, prefazione di Paolo Lagazzi, Samuele Editore, 2019
Daniela Tomerini è l'autrice del disegno in copertina, un leggero tocco tra shōdo ed espreesione personale, magica, vibrante...
Come ventagli
i bambù rincuorano
ma senza vento.
Luigi Oldani, Come ventagli, Samuele Editore, 2019.
di Luca Cenisi
Come ventagli è la seconda raccolta di haiku di Luigi Oldani, e segue di tre anni la silloge Haiku italiani, edita anch’essa per i tipi della Samuele
Editore. Il timbro stilistico resta pressoché immutato, con l’ago del compasso saldamente fermo a un punto di semplicità che non opera quale reductio ad unum dell’esperienza fenomenologica ma,
come osserva Paolo Lagazzi nella sua nota introduttiva, secondo un canone di autentica compenetrazione tra percipiente e percepito, dando riflesso a componimenti «profondamente ricettivi,
empatici rispetto alla totalità dei fenomeni e sensibili al soffio vitale che legai fenomeni tra loro». Il timbro poetico, sempre ben bilanciato, ordina orizzontalmente i termini
della relazione tra soggetto e oggetto alla luce di un fueki ryūkō (‘l’eterno e il contingente’) che riesce a
produrre esiti sempre vivi e originali: “Libeccio serale / in casa entra / l’ago di un pino”.
Come per Haiku italiani, in questa silloge si respira appieno la pratica Zen, un cammino che Oldani ha intrapreso da molti anni. Ogni opera s’inanella alla
precedente e alla successiva come il grano di un rosario buddhista, mentre il filo che tiene uniti gli elementi è quell’approccio avalutativo che risiede nella pratica-realizzazione di
stampo meditativo: “Stelle cadenti / le annusa sul tetto / un Buddha, un gatto”. Il senso di indicibile, che si sviluppa a partire dal rigo d’esordio, trova qui la sua ragion d’essere in una
dialettica celeste che si dipana a partire da un’azione diretta, da quell’annusare la volta notturna non in cerca di risposte, ma quale pura contemplazione del vuoto. Trascendendo ogni
dualismo, si raggiunge così quell’unificazione tra ambiente ed emozioni che prende il nome di keijō itchi; lo spirito che innerva la raccolta non è circoscritto all’estetica letteraria ma
è vivo e attuale, talvolta lucido e iridescente come un diamante e talaltra opaco e indecifrabile, quasi radicato in un primordiale ipogeo.
La narrazione procede fluida, senza brusche virate o salti semantici. Anche il riferimento stagionale (kigo) non entra pretestuosamente nel tessuto lirico
quale “riempitivo”, ma si lega al momento presente per affinità di significato, schiudendo uno hon’i (‘intento originale’) duttile e universale.
Altro elemento degno di nota è la frequente assenza di segni interpuntivi in funzione di kireji(lo stacco che di
solito incide il testo dello haiku al suo interno); il testo suggerisce una pluralità di letture possibili, di stacchi alla fine di uno piuttosto che di un altro verso. Nella quasi
totalità degli scritti si assiste pertanto a una valorizzazione qualitativa e non meramente formale del “taglio”; la continuità degli eventi, interrotta e isolata per la sola durata di un
respiro, esalta l’unicità dell’evento rappresentato.
Oldani è pienamente consapevole della forza di questo genere poetico; egli non tenta di definire forzatamente i contorni dell’inesprimibile, né di registrare il
“suono miracoloso” nel cuore del silenzio, poiché sa che questo riecheggerebbe estraneo una volta chiuso in una forma prestabilita. Come «i pesci si abbandonano alla corrente e i gabbiani si
levano in volo assecondando il vento» (Marsh, 2010), l’autore registra gli eventi senza aggiungervi altro, liberando ogni respiro da sovrastrutture e permettendo così al lettore di trovare da
sé il proprio kenshō, quella prima intuizione della Verità che ogni più piccola cosa nel mondo esprime inascoltata.
Luca Cenisi
Come Ventagli
di A. Canzian
Come ventagli, Luigi Oldani (Samuele Editore 2019, collana Scilla, prefazione di Paolo Lagazzi).
Innamorato degli infiniti, spesso incredibili modi che ha il mondo di creare intarsi o spiragli di bellezza, Oldani ci invita di continuo, fra le righe dei suoi
scarni e radiosi, gioiosi e melanconici versi, a sentire la musica che si sprigiona anche dalle dissonanze, dai contrasti o dai capricci apparenti della Legge del cielo (il Dharma), legge che
sembra a volte ritmata da un artista jazz (“Dietro le nubi / tante stelle stasera / ascolto jazz”). Imparare ad ascoltare, a vedere, a fiutare il mondo con tenerezza e compassione è
essenziale per entrare in sintonia con l’anima vera delle cose, con la grazia degli eventi minimi e immensi d’ogni giorno, con la poesia degli incontri irripetibili: una gatta che sogna
miagolando mentre “ride la luna”, delle barche ondeggianti accanto a un gabbiano che plana sull’acqua, un’auto che passa nella sera toccando una stella… Inseguendo le volute, le curve, i
soffi, le epifanie erratiche di questo folle e meraviglioso universo, la mente di Oldani è simile a quella evocata dal maestro Dōgen nello Shōbōgenzō: “quando le nuvole corrono la luna si
muove, quando una barca naviga la riva scorre”. Nello stesso tempo il poeta sa preservare la libertà del distacco, la fermezza di uno sguardo capace di dimorare nella quiete, nella forza
semplice del vuoto. Uno dei suoi haiku più belli rappresenta, con la leggerezza amabile di uno schizzo, l’incontro paradossale e necessario, in ogni spirito nutrito dallo Zen, fra il
movimento e l’immobilità, tra la partecipazione e il distacco.
Con queste parole Paolo Lagazzi introduce Come ventagli di Luigi Oldani. Il riferimento, da tenere bene in considerazione, è l’haiku di cui Toni Piccini, in suo
suo scritto, disse:
Nella composizione d’un haiku devono venire rispettati i seguenti punti:
Esclusione dell’Ego
anche quando si scrive in prima persona -raramente- si diventa funzionali alla composizione, ovvero si diviene complemento e non si rimane protagonista, non
l’elemento su cui si focalizzerà chi legge.
Essenzialità
non vi deve essere alcuna parola inutile o in sovrappiù, viene assolutamente evitata la ridondanza: l’Haiku rifugge da trucchi per “catturare” chi lo
legge.
Semplicità
l’Haiku è una poesia che usa parole semplici, la sua comprensione dipende dalla libertà mentale del singolo, non dal suo grado di cultura: deve poter essere
compreso tanto dal professore universitario quanto dall’analfabeta, indi i riferimenti culturali vanno evitati, tranne nel caso di componimenti dichiaratamente dedicati o scritti in tributo
a.
Universalità
vale quanto scritto per la semplicità, poichè deve poter essere compreso in ogni parte del mondo
Evitare il giudizio
nel testo non devono essere presenti né il concetto di positivo né quello di negativo, l’Haiku non afferma ciò che è “bene” né ciò che è “male”
L’Haiku non deve contenere un concetto né proporre un’idea
è una poesia che mostra, non che dimostra, né vuole convincere; l’interpretazione del testo è a totale libertà del lettore
l’Haiku non contiene narrazioni né affermazioni: porge immagini
ovvero: non “è così” ma “questo”. Parimenti non contiene imprecazioni né sfoghi personali
l’Haiku non ha titolo
per non dare indicazioni e conseguentemente influenzare il lettore
l’Haiku esclude la rima
onde evitare di “catturare” facilmente il lettore, sviandolo dal contenuto
l’Haiku si basa sulle due immagini o sull’immagine che contiene e sulla capacità evocativa del lettore, che diviene così parte attiva
26 gennaio 2016
L’articolo completo qui
Allo stesso modo Luca Cenisi, nel suo acclamato La luna e il cancello (Castelvecchi 2018), afferma:
Il fascino che irradia da uno haiku risiede in quella mite e inattesa sorpresa che colpisce lo spettatore durante la lettura, laddove un oggetto (o una
situazione) apparentemente scontato e comune si scontra con un angolo prospettico del tutto nuovo, sintomo di un’illuminazione subitanea e irripetibile che proprio nell’essenzialità del
costrutto riesce ad esprimere tutta la sua pregnanza.»
Emerge quindi più o meno chiaro che l’haiku vive del rapporto che instaura con il lettore, chiamato da Cenisi addirittura spettatore. In questo Luigi Oldani si
dimostra particolarmente abile a lanciare il tradizionale sasso nello stagno lasciando allo spettatore il piacere (non l’onere) di contare i cerchi armonici che si formano.
Ogni giardino
ha una rosa canina
mi graffio la mano.
Rimango in piedi
all’erba falciata
… una preghiera.
Il gelsomino
offre il suo profumo
vecchio l’alloro.
Tra sassi e spine
mi sono profumato
rosa canina.
Pesa il boccio
si muove si gira
il maggiociondolo.
È immobile
il platano all’alba
notte in bianco…
Per riuscire a instaurare un rapporto privilegiato con il lettore/spettatore il poeta d’haiku (mi si perdoni la bruttissima definizione che spiegherò più
avanti) deve in qualche modo essere aperto a un dialogo che prescinde da quanto lui dice, che prescinde da lui stesso e affonda le sue radici nell’immagine che viene donata.
Va da sé quindi che l’apertura non è al lettore/spettatore ma in qualche modo lo esclude. L’apertura è al mondo, alla realtà. Il Poeta d’haiku diventa la realtà
e si mostra evocandosi al lettore/spettatore.
Foglie di rovo
in un palmo di mano
rosso d’autunno.
Tramonto intenso
in auto ridendo
aceri ovunque.
Al fruscio del vento
la chioma, un andar via
che sa di mare.
Sbilenco un ramo
dondola e poi si spezza
… a casa con me.
Ma la realtà non è composta solo di natura e non siamo nella terra dell’haiku. Le radici sono diverse, gli echi del linguaggio hanno altre fondamenta e lo
stesso modo d’osservare è drasticamente più complesso. Che non vuol dire migliore.
Il peso filosofico dell’occidente grava non solo nel cuore e nella mente del poeta, ma nella realtà stessa che al posto di una camelia vede una stanza
d’ospedale, una chemioterapia, lasciando intendere l’eco naturale non da cui deriva, ma a cui aspira.
Camelia in fiore
rosse gocce su gocce
“Sala chemio”.
Allo stesso modo lo sguardo non riesce ad annichilire, altrimenti a disinnescare, totalmente l’io ma lo osserva da un punto di osservazione altro, quasi
contraddicendo quanto sopra abbiamo letto di Piccini ma assumendo le istanze di Cenisi.
Voglio amare
i ciliegi fiorire
la mia morte.
Leggendo haiku
mi manca il respiro
soffia il vento.
Sbilenco un ramo
dondola e poi si spezza
… a casa con me.
Non rifuggendo inoltre la relazione con l’altro, Sergio, parte lui stesso di natura e realtà:
Ogni mattina
vedo Sergio col gatto
sbadigliano.
Che a suo modo si lega con uno dei concetti chiave del libro, la presenza del gatto:
Muove la zampa
nel disegno del sonno
solstizio d’oro.
Ha poco tempo
il bianco dell’ortensia
miagola il gatto.
La gatta sogna
miao irresistibili
ride la luna.
Sotto una stella
protetta è la gatta
mia poeta.
Tuona la notte
s’avvicina la gatta
piccolo il letto.
La gatta con me
annusiamo la neve
stelle sul naso.
Ogni mattina
vedo Sergio col gatto
sbadigliano.
Profuma all’afa
spaparanzato un gatto
lavanda in fiore.
Stelle cadenti
le annusa sul tetto
un Buddha, un gatto.
Su questo gatto Lagazzi afferma:
Questo “Buddha-gatto” è davvero il nocciolo dell’identità vuota del poeta: accucciato, come uno Snoopy in versione felina, in cima a un tetto ideale, egli
assapora notte per notte, giorno per giorno, istante per istante, la libertà di chi, abbandonata l’ansia del fare, sa osservare e condividere tutto: i passi incerti degli uomini come le
capriole del vento, gli andirivieni felici degli uccelli come le scie di luce tracciate sul cielo dalle mani dell’incomprensibile.
Ma cos’è, quindi l’haiku che propone Luigi Oldani? Per i puristi una libertà forse eccessiva, ma per un lettore onesto l’occasione di assumere un diverso punto
di vista non autoreferenziale, comprensivo dell’esistenza del mondo, placido.
E, nella nostra realtà e nel nostro tempo, è già quasi un mezzo miracolo.
Alessandro Canzian
Luigi Oldani COME VENTAGLI
di Stefano Loria in La Stanza 251
Se vi sembra confortevole l'idea che la scrittura in versi possa riuscire a catturare almeno un frammento del presente assoluto in cui ci troviamo condannati ad
esistere, se apprezzate il conforto di una istantanea sospensione del tempo (e quindi del dolore che lo stare nel tempo inevitabilmente ci provoca) la raccolta di poesie Come ventagli di
Luigi Oldani è un libro molto adatto voi. Tecnicamente - nella forma scelta da imprimere al ritmo e alla struttura delle composizioni- si tratta di un libro interamente composto da haiku.
Quindi si cerca di raggiungere una essenzialità di pronuncia, una sintesi brillante di opposte tensioni, una ricchezza di significati cangianti, dentro una misura brevissima. Tutti dati
esteriori questi, basilari regole che servono a delimitare il campo entro il quale la scrittura potrà esplodere e definire le proprie ragioni.
Ma superato il discorso della forma, una volta compresi i confini -apparentemente microscopici- entro i quali sarà versato il magma incandescente della sostanza
poetica, arriva la sorpresa per la capacità dell'autore di far colare tutta questa materia dentro stampi che anche una volta raffreddati, nella calma di una attenta lettura, risultano vivi,
poiché emanano radiazioni emotive, colpiscono il lettore aprendogli davanti agli occhi un intero variegato arcobaleno di sensazioni.
Emozioni dunque, ma attenzione, si tratta di energie liberate però sempre legate alla precisione finissima dei dettagli. Osservazioni della natura e degli
oggetti intorno a noi condotte con tale accuratezza da portarci inevitabilmente dentro al regno dei concetti. Attraverso i nutrimenti visivi, percettivi, squisitamente fisici dell'esperienza,
la poesia di Luigi Oldani ci conduce dentro uno spazio sospeso riservato alla contemplazione. Nella quiete di questo luogo, un processo di filtraggio e ridefinizione dei dati sensibili evoca
una serie di domande radicali, sul senso delle nostre passioni, sulla finitezza di ogni avventura, sulle possibilità di resistere ad un nulla che, invisibile, ci sta intorno e preme per
invaderci.
Stefano Loria
Di Antonio Sacco
in Poesia del nostrotempo.it
I centoundici haiku che costituiscono la sillogeCome ventagli(Samuele Editore 2019) di Luigi Oldani intessono, pagina dopo pagina, una trama poetica basata su moti interiori ed esperienze personali intrecciate a
doppio filo con particolari naturalistici significativi propri del genere haiku. Il tessuto poetico che ne deriva è caratterizzato da un senso di leggerezza e levità (karumi, 軽み) dal quale
traspare tutta la sensibilità non comune dell’Autore. Questi riesce, inoltre, nel non semplice compito di sostanziare il fascino che emanano i suoi versi (shiori, しおり) e che irradiano, quasi come
se brillassero di luce propria, il lettore coinvolgendolo intensamente andando oltre la mera parola scritta. Le frequenti e continue allusioni al buddhismo zen, con il quale l’Autore è entrato in
contatto grazie alla consuetudine di frequentare il Tempio Shinnyoji di Firenze, sono palesi e costituiscono un leitmotiv che pervade e caratterizza l’intera Opera. Del resto questa peculiarità
della poetica di Oldani è già presente nei suoi lavori precedenti nell’ambito della poesia di origine estremo-orientale, delineando il suo stile compositivo e la sua sostanza lirica: basti
ricordare, a tal proposito, la sillogeHaiku italiani(Luigi Oldani, Samuele Editore
2016). L’Autore in “Come ventagli”, così come nella silloge precedente testé citata, fa propri i capisaldi del pensiero Zen come, ad esempio, lo hic et nunc, esaltando, al massimo grado, il
momento presente nei suoi scritti. Emblematico, in questo senso, il seguente componimento dove, appunto, viene privilegiato il “qui ed ora” in un’ottica squisitamente Zen:
una folata
e nudo è il platano
zazen d’autunno
Altri versi di chiara impronta zen, contraddistinti da una pregnanza ed evocatività che Oldani sa ben incarnare nello spirito che anima il genere poetico dello
haiku, sono i seguenti nei quali risalta, con intenso nitore, quel particolare corollario estetico chiamato yūgen (幽玄). Con questa parola i giapponesi indicano il senso di profondità e mistero
proprio di quell’atmosfera capace di far percepire al lettore un universo “altro”, una dimensione diversa da quella ordinaria colma di misteriosa unità e di difficile definizione dove ogni cosa è
avvolta da un vago alone di ineffabilità, come un’eco impossibile da comunicare attraverso le parole:
chiudo gli occhi
e sono dappertutto
vento di marea
Da un punto di vista stilistico-formale, i componimenti della raccolta sono caratterizzati, per la maggior parte, dall’omissione dello stacco (kire, 切る) che non
viene reso graficamente mediante l’utilizzo dei segni interpuntivi, bensì l’Autore ha preferito privilegiare l’aspetto semantico conferendo una cesura di significato fra le due immagini proposte
in uno stesso componimento (toriawase) piuttosto che marcare la pausa con un segno grafico o alla fine del kamigo (primo ku) o alla fine del nakashichi (secondo ku).
Le scelte lessicali e il registro linguistico adottato da Oldani, in linea con lo “spirito” che pervade la poesia haiku, sono semplici, diretti, immediati e, a
tratti, elementari. E non può essere altrimenti per un genere poetico che è scevro di pomposità e fronzoli lessicali favorendo, in tal modo, il compito del lettore di “chiudere il cerchio”
tracciato senza alcun compasso fra lo scrittore di haiku (haijin) e fruitore dello scritto. Fruitore che, ricordiamolo, ha sempre un ruolo attivo nella comprensione dei diversi piani di
significato di una poesia haiku e nel (ri)vivere in prima persona il componimento.
Per quel che riguarda lo schema metrico, i componimenti, per gran parte, rispettano il modello “canonico” del 5/7/5: per alcune liriche il conteggio sillabico segue
quello ortografico mentre per altre l’Autore ha optato per il computo sillabico metrico. Salvo, come dicevamo, alcune eccezioni in cui il metro viene violato, anche se solo di pochissime sillabe,
al fine di privilegiare una forma espressiva più ampia e meno dogmatica, come in questo mirabile componimento:
libeccio serale
in casa entra
l’ago di un pino
Non sono rari, inoltre, i componimenti in cui è evidente il lavoro dello haijin sulla forma e sul suono di ciascun verso, in modo tale da esaltare, al massimo
grado, la musicalità del componimento. Così come troviamo degli haiku dove è presente la concezione, proposta inizialmente dal Maestro Shiki (1867 – 1902), del ritrarre la vita così come appare
agli occhi del poeta di haiku (shasei, 写生派) senza abbellire nulla, quasi come se si dovesse dipingere sopra una tela un particolare significativo denso di rilevanza, pur restando nell’ambito
dell’ordinarietà “delle cose che sono vicine”. Questo che segue è uno haiku che fornisce un buon esempio di fusione fra suono, musicalità mediante allitterazione e contenuto incentrato sullo
shasei:
brilla di brina
sul banco al mercato
una carota
A conti fatti, quella di Oldani, è una prova letteraria in cui ciascun componimento haiku è come il filo di un tessuto poetico intrecciato al vissuto dello haijin
che, pagina dopo pagina, si sostanzia attraverso immagini vivide e pulite. Queste sono elargite, in gran parte, al lettore con quel sentire caratteristico del “mono-no-aware”: la capacità, cioè,
di lasciarsi attraversare dalle cose del mondo. Connessa a questa attitudine, il mono-no-aware rappresenta anche il senso di vaga malinconia che comprende, allo stesso tempo, sia l’apprezzamento
verso il bello sia la nostalgia dovuta alla consapevolezza della caducità nelle cose del mondo e alla loro impermanenza:
sempre di notte
cade l’ultimo fiore
orchidea d’inverno
Antonio Sacco
Giancarlo Baroni in Margutte.com
C’è una sostanziale continuità fra l’ultimo, recente libro di Luigi Oldani intitolatoCome ventaglie il precedenteHaiku
italiani, pubblicato nel 2016. Sembrano capitoli e parti di una più ampia e corposa raccolta in formazione, in elaborazione. La continuità è palese: identica la casa editrice (Samuele
Editore); all’apparenza somiglianti le copertine (segni ad inchiostro fluttuanti su uno sfondo candido); più o meno lo stesso numero di pagine (una cinquantina); tre composizioni per pagina,
allineate a regolare distanza le une dalle altre; dello stesso poeta, Paolo Ruffilli, l’identica citazione iniziale.
Cambiano invece gli estensori delle prefazioni, i quali autorevolmente con le loro note critiche introducono le opere. Ad Alba Donati perHaiku italianie a Paolo Lagazzi perCome
ventagli, Oldani esprime riconoscenza e apprezzamento. Afferma Alba Donati: “Luigi Oldani scrive haiku in maniera tradizionale. Voglio dire che l’esemplarità dell’haiku è qui espressa al
massimo grado. C’è il tempo…ci sono le stagioni, gli alberi, c’è una freschezza del dire, come se le parole fossero nate lì sulla pagina, e c’è un vuoto che risplende”. Le fa eco a sua volta
Paolo Lagazzi stabilendo quasi un dialogo a distanza: “Quando -ormai da anni- leggo un poeta occidentale che si misura con lo haiku giapponese, raramente, direi in casi eccezionali, sento
vibrare nella sua voce le onde e i bagliori di un’intuizione zen. Troppe volte lo haiku è diventato in Occidente un gioco calligrafico…un pretesto per acrobazie mentali falsamente umili.
Assai diverso è il caso di Luigi Oldani”.
Non sono un esperto e uno studioso di haiku, pertanto non mi addentro nelle sue caratteristiche formali, evito paragoni che non sono in grado di stabilire, non
cito testi zen anche se ne ho letti e apprezzati. Sono piuttosto un appassionato lettore di poesie alla ricerca di versi che contribuiscano ad accrescere bellezza e conoscenza dentro e fuori
di noi.
Al fondo delle creazioni poetiche di Oldani c’è la vita nella sua semplicità, immediatezza e spontaneità, nel suo concreto, vitale e naturale accadere, c’è
l’esistenza nel suo inesorabile trascorrere, nel suo giornaliero, meraviglioso manifestarsi. Un mondo di affetti e di cose nel quale s’impone il regno vegetale nella varietà di colori, forme,
suoni, profumi: chiome ondeggianti dei pini, foglie ingiallite che “cadono a neve” e altre “rosso d’autunno”, un vecchio alloro da cui precipita un nido, cachi che brillano e ciliegi che
fioriscono, “il bianco dell’ortensia” e il “mondo rosso” del cocomero. Versi che evitano una visione edulcorata della natura e statica del tempo a favore invece della chiara consapevolezza
che quest’ultimo segue inevitabilmente il suo corso naturale lasciando tracce del proprio passaggio: susine che “marciscono al sole”, “sbilenco un ramo / dondola e poi si spezza…”, petali che
si sciolgono sotto la pioggia.
Questo haiku (che è lampo, soffio, fremito, squarcio, illuminazione), allude stupendamente al destino delle cose: “Canta la foglia / alla terra il suo fruscio /
poi si muore”.
L’alternarsi delle stagioni scandisce il ritmo del libro e della terra: dopo le fioriture primaverili “è già l’autunno / nell’odore dell’aria / un precipizio”…;
vento, pioggia, “le prime ombre / di nubi sulle foglie”, succedono al blu del cielo e del mare, al giallo del sole, e anticipano la nebbia, “la prima neve”, il gelo, il ghiaccio, il freddo,
“bianco su bianco”, la brina: “Tutta la pianura / sotto la nevicata / la taglia un treno”. Il ciclo delle stagioni, come in una danza cosmica, si compie e ricomincia coinvolgendo e collegando
io, noi, piante, animali, cose, l’universo intero cui apparteniamo.
Leggendo le poesie di Oldani ci si sente intimamente parte di un tutto distante e contemporaneamente vicinissimo, trascendente e immanente, mai estraneo:
“Chiudo gli occhi / e sono dappertutto…”. Limpidezza dello sguardo, tenerezza dei sentimenti, capacità di apprezzare le piccole/grandi bellezze del quotidiano: gustare un caffè, tenersi per
mano, socchiudere gli occhi “sulla panchina / al tiepido sole…”, “qui sull’argine / tra la polvere in bici / tutto è magia”. Di autentica capacità di “entrare in vibrazione col mondo” parla
Paolo Lagazzi.
Il libro è abitato da animali: granchi, gabbiani, grilli, tortore, tartarughe, un gatto dei cui sogni “ride la luna” e che annusa sui tetti le “stelle
cadenti”.
Giancarlo Baroni
Carissimo Luigi, ho ricevuto il tuo
Come ventagli, poesia delicatissima.
Alessandro Fo
“COME VENTAGLI”: Luigi Oldani e l’arte degli haiku
DiStefano Vitale
Paolo Lagazzinella sua introduzione coglie perfettamente il senso di questo libro che èuna raccolta di haiku. Lo fa, al di là del discorso critico, attraverso alcune parole chiave che mi permetto di riprendere: Lagazzi parla di
poesia “in vibrazione col mondo”, di “respiro segreto del mondo”, di poesie quali “lucidi flash” e altrettanto giustamente rileva come questo approccio diretto al mondo da parte della poesia
diOldanieviti di “trasformale in simboli”: “le creature sono sempre se stesse”, nella
loro evidenza.
Gli haiku costituiscono una delle più classiche, apparentemente semplice, ma molto complessa, forma di poesia giapponese. Si tratta di
componimenti che nascono in Giappone nel XVII secolo. La loro struttura è chiara: tre versi composti, in totale, da 17 sillabe dette more secondo lo schema 5-7-5.
Cos’è una mora? Per mora nella metrica classica si intende l’unità di misura della durata delle sillabe ed è differente da una sillaba, anche se spesso
vengono messe sullo stesso piano. Una sillaba, in realtà, può contenere anche due more. Per quanto riguarda la sostanza, gli haiku sono poesie che in realtà non sembrano tali e aforismi che
non sono aforismi; si tratta di testi brevissimi, ora folgorati ora sospesi, in cui ciò che è fondamentale non è quello solo che viene detto ma soprattutto il non detto, ciò che risuona.
Gli haiku sono stati definiti “componimenti dell’anima” che colgono immagini, esprimono emozioni (le più classiche sono quelle legate alle stagioni), all’esistenza umana.
Agli haiku si sono ispirati e hanno fatto riferimento molti autori del Novecento. Sono stati amanti di questo genere di poesia molti scrittori famosi
quali Rainer Maria Rikle, Paul Eluard, Giuseppe Ungaretti e Salvatore Quasimodo (da notare che in Italia coloro che si sono maggiormente interessati sono stati i poeti
ermetici).
Luigi Oldaniè un esperto della materia, anche perché conosce direttamente molto bene la cultura
giapponese e da anni è un praticante zen. In questo senso i suoi haiku hanno una sostanza di autenticità davvero notevole. Dicevo che l’arte dell’haiku è solo apparentemente semplice. Perché
riuscire a cogliere un’emozione, una vibrazione senza retorica, con la necessaria semplicità e naturalezza non è affatto cosa semplice e immediata. E’ qualcosa che ha a che fare con la poesia
vera, con la voce interiore che coglie ed esprime il porgersi della vita in tutte le sue sfaccettature.
Dietro l’apparenza di una banale manifestazione della natura si può esprimere un mondo, celarsi un universo di pensieri, di risonanze che ciascuno può e
deve rielaborare al di là dell’evidenza. E’ per questo che anche l’assenza di simbolismi immediati in realtà apre a riflessioni e condivisioni emotive differenti, che permettono al lettore di
cogliere un punto di vista e poi eventualmente, ad una successiva rilettura, una nuova prospettiva e così all’infinito. Questo movimento ellittico, che va contemporaneamente verso l’interno e
verso l’esterno, in un paradosso interpretativo poetico, è una delle caratteristica della silloge di Oldani. Intensa, continua, senza stacchi: una silloge di haiku che senza sosta balenano
sulla pagina e che sollecitano il lettore ad un’attenzione molto alta:“Leggendo haiku/ mi manca il respiro/ soffia il vento”.
Un haiku si legge in pochi istanti, ma richiede lettori capaci di ruminare, lettori appassionati della lentezza, che non si accontentano di un volo
d’uccello senza conseguenze. Ci vogliono lettori che sappiano aspettare, con pazienza che il senso del testo venga loro incontro. Magari all’improvviso, magari altrove, mentre si sta facendo
altro… forse anche perché gli haiku di Oldani hanno la forza lieve e potente di trascinarci altrove.
Tale e tanta è la gamma dei soggetti e delle emozioni nonché delle riflessioni che darne conto è praticamente impossibile. Ho usato la parola
“riflessioni”: ci tengo molto, perché l’haiku di Oldani non è un vezzo superficiale, una pura emozione a buon mercato. Ogni haiku è in realtà una forma di riflessione, uno sguardo lanciato
nello specchio scuro dell’universo, cosa che chiede all’uomo, al poeta un impegno interpretativo.
Soltanto che qui i canoni del processo sono diversi. L’oggetto non è più esterno, qualcosa da destrutturare, da analizzare come accade nella cultura
classica occidentale. L’oggetto è tutt’uno col soggetto che osserva, con l’emozione che la sua presenza suscita, col pensiero che attraversa come un dardo la mente.
Calvino nelle Lezioni Americane a proposito della “Rapidità”, vado a memoria, ricordava un grande maestro che aveva deciso di dipingere un gallo, credo.
Rimase a lungo a riflettere davanti alla tela. Poi in un attimo traccio il gallo sulla tela e fu l’immagine più bella che mai si vide.
Ecco, questa unità stretta di ragione e emozione mi pare uno dei cardini della poesia haiku di Oldani, un elemento che ce la rende vicina, che ce fa
sentire nostra. Non mi pare che l’operazione di Oldani sia di “trasferire” cultura orientale nel nostro universo occidentale. Piuttosto mi pare che egli faccia poesia con strumenti originali
stando dentro al proprio mondo (che è anche il nostro) offrendoci altri occhi per vedere, altra mente per capire.
Eil viaggio non è per nulla bucolico:“Ogni
giardino/ha una rosa canina/ mi graffio la mano”.Oppure“E’ immobile/il platano
all’alba/ notte in bianco”; “Voglio amare/ i ciliegi in fiore/la mia morte”.Oldani ci offre così una poesia inquieta avvolta in questa
forma apparente distesa, calma.“Sono la chioma/buia d’un pino d’Aleppo/l’ansia d’un grillo”: poesia che coglie ciò che è nascosto,
apparentemente nascosto. Ma anche capace di ironia:“Fresca la pioggia/esce la tartaruga/ col suo ombrello”:“Quante susine/ marciscono al sole”veglia una vespa”.
Oldani ha slanci poetici puri usando sinestesie interessanti:“E’ buio al molo/il cielo tocca l’acqua/
il vento è blu”. In altri momenti il poeta si consola, come nella più salda tradizione“Come ventagli/ i bambù rincuorano/ ma senza
vento”oppure medita sul corso dell’esistenza:“E’ già autunno/nell’odore dell’aria/ un
precipizio”;“Prima dell’alba/ tagliano il vecchio alloro/ cade un nido”:“Cammino in città/ma nessuna foglia cade/ eppur invecchio”. Altre volte, come detto, è la contemplazione a prender il sopravvento portando il
lettore a comprendere quanto sia importante abbandonare “l’ansia del fare” (Lagazzi): “Nudo un olmo/ mostra le sue vene/ luce d’inverno”; “La prima neve/ sfiora il filo d’erba/ puro
inchino”.
Luigi Oldani ci regala un libro speciale, destinato a durare che attende i suoi lettori con lo sguardo calmo di un maestro zen.
Stefano Vitale
di Mascha Stroobant in Alleo.it
Novembre. È un momento particolare per leggere poesia. Ora più che mai. Il libro di Luigi Oldani ‘Come ventagli’ Samuele Editore 2019) è lì che mi aspetta sul
tavolo, lo osservo e penso che l’estate (il kigo – 季語) accennata nel titolo è ormai passata – per tradizione, in ogni haiku è presente un riferimento stagionale o “parola della stagione”, ovvero
un accenno alla stagione in cui è stato composto o al quale si riferisce.
Forse al libro mancherà il potere di emozionarmi perché privato del suo giusto contesto stagionale. Concludo immaginando che mi piacerà di meno. Invece no. Leggo e
sono incuriosita, stuzzicata. Il libro si apre e si rivela con forza in un istante:
“Leggendo haiku
Mi manca il respiro
Soffia il vento”.
Mi coglie di sorpresa, anzi in castagna (il che ha ancora più senso, vista la stagione). Eccomi percorsa da un brivido e scossa da un vento che fino a due istanti
fa non c’era. Perché di questa concretezza sono fatti gli haiku del poeta italiano. Non posso che pensare alle parole di una mia maestra: “gli haiku sono meravigliosi, dovremmo lasciarli
diffondere nella nostra vita quotidiana, perché sono vivi, camminano e nuotano, entrano dentro i nostri cuori, risuonano come una musica. Una volta composti ed assemblati con criteri logici,
fluiscono liberi, al di là di ogni ogni logica… Dopo che sono stati lasciati liberi di attraversarci, mutano e da parola diventano qualsiasi cosa: un gatto, un fiore, il vento”.
E così mentre continuo a scorrere le pagine e i 111 haiku, scopro l’autore: poeta di origini milanesi, ma di formazione fiorentina e urbinate, che vive a Firenze
ormai da tempo e ha fondato alcuni decenni fa la rivista letteraria Pioggia Obliqua. Oldani ha avuto una importante parentesi a Tōkyō, che contaminerà tutta la sua produzione letteraria, con
ibridi stilistici completi e interessanti come quelli di questi haiku. Ibridi perché da una parte il modello delle 17 more è rigorosamente seguito (e a volte no) e dall’altra parte l’essenza
‘italiana’ appare sempre, sfacciata e genuina. Come per esempio:
“Da quel Forno
La mia di michetta
alba a Milano”.
Oppure un tema musicale internazionale che ha diffuso la sua eco nel mondo ed è stata la musica più nobile del Novecento, che a me ricorda e risuona il sempreverde
“Sotto le stelle del jazz” di Paolo Conte:
“Dietro le nubi
Tante stelle
Ascolto jazz”.
Mascha Stroobant
Fiorire la mia morte
di Mario Fomularo
Non sono certamente i criteri formali a rendere un testo affine a una cultura o a una tradizione, anzi – ritengo che l’aspetto formale sia proprio l’ultimo da
curare, per quanto in una composizione come l’haiku tale accorgimento non può che essere la “quadratura del cerchio”; ritengo, prima di tutto, sia necessario interiorizzare e comprendere
profondamente quello che è l’impianto estetico, simbolico, linguistico, il bagaglio e i riferimenti culturali, le modalità in cui la lingua originale si adegua a questi molteplici criteri, e il
modo in cui tutte queste variabili si sono evolute nel tempo in una tradizione secolare come quella della poesia giapponese.
Basta confrontare la poesia del novecento in autori come Shigeji Tsuboi, Kikuo Takano, Kotaro Takamura, Ryuichi Tamura, e tanti altri, con molta produzione di haiku
e tanka del resto del mondo – avendo avuto tale forma un incredibile successo, indubbiamente legato al fascino icastico della sua formula elegante e assoluta, sobria e impersonale, capace di
molti livelli di lettura diversi. Pochi degli autori che si sono cimentati in questa forma apparentemente accessibile hanno saputo restituire le caratteristiche uniche di questo genere di
componimento, capace (e penso anche ai jisei, le cd. poesie “della morte”) di riassumere l’intera esistenza in pochissime, potenti immagini. Non è però mia intenzione dilungarmi oltre sulle
differenze estetiche, culturali o linguistiche, o parlare della grandezza dei versi di autori come Issa; questa premessa intende essere solo strumentale, al fine di poter affermare che Luigi
Oldani è ben consapevole di tutto questo: da ogni sua parola è evidente l’immersione nella tradizione letteraria, culturale ed estetica della poesia haiku – e giapponese in generale.
Consideriamo i testi qui proposti: l’io, tanto per cominciare, è assente nei primi due testi, se non in forma di oggetto; nel primo, ad esempio, “i bambù
rincuorano”, si può supporre, tra gli altri, anche un “me” – ma il dettaglio è secondario, eventuale, l’azione non è dell’io, ma del mondo in cui esso è incorporato; nel secondo haiku, l’io può
essere rinvenuto solo in quanto possibile e impersonale osservatore della scena, nuovamente, che non interferisce in alcun modo: un io puramente ricettivo, disperso. Questo suggerisce una certa
familiarità con il concetto di anatman (la natura illusoria dell’io), tipico della spiritualità orientale e zen in particolare.
Nel terzo testo, dove abbiamo un verso in prima persona singolare e un aggettivo come “mia”, Oldani associa l’io del testo alla “morte” e ai ciliegi: parla del sé
solo per evidenziarne la provvisorietà, la transitorietà e, ciò nonostante, la serena familiarità ad uno dei principali simboli della cultura giapponese: il sakura, il principe dei fiori (un
celebre proverbio recita “tra gli uomini il samurai, tra i fiori il ciliegio”), il protagonista dell’hanami, assurto a simbolo proprio perché è il primo a fiorire e il primo a svanire in un vento
di dissolvenza leggero e avvolgente.
Molti altri dettagli suggeriscono affinità profonde: quel “senza vento”, ad esempio, in giapponese potrebbe essere benissimo 無風 (mu kaze, “non vento”): e quanto si
potrebbe dire su quel semplice “mu”, che richiama il concetto di vuoto, il sunyata, l’assoluto potenziale in cui si inscrive ogni parola come un gesto essenziale, come nello shodo, la celebre
arte della calligrafia.
Discorso analogo si potrebbe fare, poi, per il bianco del secondo testo, dal significato ben più complesso che nella nostra tradizione simbolica: bianco come vita,
ma anche colore della morte (il kimono funebre è di questo colore, ad esempio), che in lingua giapponese presenta un’affinità anche sonora (shi è la morte; shiroi il bianco); dunque un testo
breve che presenta suggestioni leggere, attraverso un’immagine naturale ma pacificante, per trasmettere, appunto, la naturalezza con cui ogni cosa, dal fiore all’uomo, risponda alla legge
dell’impermanenza e della provvisorietà, e di come ciò ne connoti il valore estetico, la renda preziosa. Non solo questo, ma anche che la vita e la morte sono due aspetti assolutamente
connaturati e non oppositivi, intrecciati in un divenire che non dovrebbe generare angoscia esistenziale, ma invitare ad accogliere il mondo per diventarne parte integrante,
incorporandolo.
Ecco, ci sarebbe altro da dire, ma questa breve nota non lo consente: e se in così pochi versi Oldani è riuscito a innestare così tanti rimandi alla letteratura
haiku e alla spiritualità giapponese, certamente il suo non è uno sterile esercizio di tendenza, ma un omaggio autentico e consapevole.
Mario Famularo
Gabriella Atzori
in SoloLibri.it
Samuele editore, 2019 - Luigi Oldani è un poeta haiku. Con l’haiku percepiamo ‹il battito cardiaco dell’universo›, come scrive Paolo Lagazzi, prefatore del
libro.
Scrivere haiku significa praticare la meditazione.
In occidente meditare implica per lo più pensare; salvo alcuni filosofi legati alla teologia apofatica di Meister Eckhart, secondo il quale di Dio possiamo
“dire” unicamente ciò che non è - mentre l’Essere resta ineffabile e indicibile in quanto essenza - e salvo i neoplatonici (Plotino), il nostro approccio verso la conoscenza, meglio sarebbe
dire sapienza sophia, è di tipo logico razionale. ‹Ragionar d’amore› afferma perfino Dante il visionario in un noto sonetto.
Per l’oriente vale esattamente il contrario: meditare è pura contemplazione, significa vuotare la mente del pensiero discorsivo affinché lavori in noi la buddhi
o buddhità, che possiamo tradurre con intuizione sovrarazionale, illuminazione.
In giapponese il termine è zen. Zen è lo stato estatico da cui nasce la poesia del genere haiku, impregnata dal Qi, energia cosmica.
Luigi Oldani pratica questo genere di ascesi ed è “poeta haiku”.
Aggiungiamo, tanti per non perdere il buon vizio del ragionamento (non sempre buono, può diventare rigidità e dogmatismo), che il termine haiku significa
“profondità misteriosa”, eppure questi poeti così parenti della gentilezza parlano della superficie del mondo, di quanto appare e scorre. Sono divinamente leggeri e “superficiali”. Ma non
sono neppure descrittivi! La descrizione implica sempre due soggetti separati, chi descrive e la cosa descritta; di nuovo si cade nel frazionamento della realtà, in una forma sottile di
alienazione da sé e dal mondo. Con l’haiku percepiamo ‹il battito cardiaco dell’universo›, come scrive Paolo Lagazzi, prefatore di un “libro haiku” alogico o oltre la logica, Come ventagli di
Luigi Oldani (Samuele editore, 2019, p. 64).
Il ventaglio è un oggetto simbolo della cultura giapponese, si apre con un gesto istantaneo ed ecco l’attimo, ecco il quid, ecco il battito, lo scorrere del
Tao, la via, la vita UNA.
Accostiamoci a questi testi con la dovuta meraviglia:
‹Rimango in piedi / all’erba falciata /…una preghiera›.
Possiamo chiederci: perché una preghiera? Pregare non è forse stare presso a, essere insieme a, accorciare le distanze, eliminarle del tutto per essere presso
Dio? Comunque si concepisca Dio. Apo theòs, apoteosi. Preghiera non è forse l’abbraccio?
‹Il gelsomino / offre il suo profumo / vecchio l’alloro›.
E se il gelsomino offre il suo profumo, non si espande forse ovunque il profumo, da invadere, ringiovanire anche l’albero vecchio? Il fiore giovane e l’albero
vecchio non sono distanti. Quanta comunione, quanta dolcezza.
Vero è che le famose diciassette sillabe, scritte in una scansione di versi 5-7-5, non si dovrebbero neppure spiegare ma percepire, sentirle dentro come eco o
manifestazione sensibile della propria profondità e verità. Esse sono libertà, con accostamenti a volte vertiginosi:
‹Voglio amare / i ciliegi fiorire / la mia morte›.
Con una visione che va oltre il tempo, pur essendo qui e ora, Oldani vede anche i ciliegi in fiore e l’eterna primavera che supera la sua esistenza
temporale.
Lo sguardo onnicomprensivo “vede” e sa:
‹Quante susine / marciscono al sole / veglia una vespa›.
Veglia eccome! Le mangerà. Tutto è equilibrio e armonia, la natura è un unico essere con molteplici vibrazioni, il gatto è un poeta dice il poeta e la luna
ride, un’altalena dondola come onda di mare ma nel silenzio. Le immagini di susseguono alle immagini, legate da suoni, colori, movimenti sincronici:
‹Sui petali / insiste la pioggia / stanchi li scioglie›.
Nessuna recriminazione rispetto all’ordine delle cose. C’è da chiedersi se non sia questo il segreto della felicità, vivere senza fare resistenza, Let it be,
fluidi come acqua che scorre, come pioggia, come petali che si sciolgono in un supremo amen. E quanta pace si gode in questi versi sintetici, quanto bene originario, non offuscato
dall’egoismo.
Il praticante zen e scrittore di versi illuminanti diventa un agathodaimon, un buon demone, una divinità del luogo e di sé, genius loci amabile e protettore.
Questo il collegamento con la nostra mitologia, per trovare un corrispettivo che unisca Oriente e Occidente con legami di simpatia, sympátheia, un pathos simile, e comprendersi.
Gabriella Atzori
Luigi Oldani,Haiku italiani, Samuele editore, 2016
Di ogni fiore
ogni petalo esiste
per tutto il tempo.
L’erba ricresce
sotto il ginocchio:
il mio cuore.
Guardo fuori:
profumo di silenzio
tutte le stelle.
Leggo a letto
dolce è non capire
l'alba d'autunno.
Recensione
di Paolo Lagazzi
uno dei più importanti saggisti,
al libro Haiku italiani di Luigi Oldani
Uscita sulla Gazzetta di Parma il 24 marzo 2017
Da molti anni ormai parecchi poeti, o sedicenti tali, si esercitano in Occidente a rifare quei componimenti giapponesi di soli tre versi che si chiamano haiku. Nella folla di questi
sperimentatori non è facile individuare autori capaci di evitare i rischi del manierismo, le immagini stereotipe o le movenze forzate della brevità, mentre rarissimi sono coloro che si
potrebbero definire maestri di questo genere lirico. Credo che Luigi Oldani, un poeta del quale non so nulla ma di cui mi è capitato di sfogliare una smilza raccolta di "Haiku italiani", sia
davvero un piccolo maestro. Da cosa sono illuminati i suoi testi? forse dal suo essere, come ci informa il risvolto della plaquette, un praticante del buddismo zen? o da qualcosa che non si
può definire, qualcosa di tanto misterioso quanto nutriente e liberatorio per chi legge?
Da un lato i suoi versi brillano per quel nitore che nasce solo dalla vera attenzione. Un po' come Masaoka Shiki (uno dei più grandi autori di haiku) Oldani sa registrare al volo le apparenze
del mondo nei loro movimenti e contrappunti fugaci e meravigliosi: ad esempio sa mostrarci l'incontro-scontro fra il candore della neve, la tinta scura di un treno in corsa e la luce del
tramonto ("Nevica ancora / il treno passa scuro / cade il tramonto") o sa evocare un albero "bagnato" (ricordo di una celebre poesia di Attilio Bertolucci, "Torrente"?) in controcanto al
chiarore dell'alba ("Calmo ammiro / un ciliegio bagnato / macchiare l'alba"). Da un altro lato, però, il nitore si stempera, si ammorbidisce e scioglie aprendosi a tutto ciò che sfugge ai
tocchi icastici del pennello. Osserva assai bene, a questo proposito, Alba Donati nell'elegante introduzione che dietro le parole di Oldani "c'è un vuoto che risplende". Questo vuoto non è
solo quello stacco sintattico (il “kireji”) che, tagliando negli haiku il flusso del discorso, crea un cortocircuito logico o una vertigine semantica: è, ci dice la Donati, una specie di
verso in più, un verso trasparente con cui l'autore "rigira il tutto, inverte la direzione, immette cose non viste, non vedibili". Grazie a questa forza segreta il breve spazio dei testi si
dilata di continuo: chi scrive si riconosce altro da sé quando la sua gatta lo osserva ("Mi guarda Ada / s'apre il suo mondo / divento gatto"), intuisce nella neve che fiocca il pensiero di
un artista ("Nevica oggi / una mente bianca / copre giardini") o sa cogliere una sostanza eterna persino nelle forme più fragili ("Di ogni fiore / ogni petalo esiste / per tutto il tempo").
Di fronte al mistero per cui la realtà è se stessa e insieme infinitamente di più, non occorre tentare di comprendere: "Leggo a letto / dolce è non capire / l'alba d'autunno". Tutto quanto
dobbiamo fare è abbandonarci a quella fede nella vita che ci rinfresca e rinnova come un vento in transito nel nostro cuore: "Come la fede / attraversa il cuore: / passa il vento".
Paolo Lagazzi
Haiku italiani di Luigi Oldani, Samuele Editore, pag. 52, euro 9.
Alba Donati
Prefazione al libro
Luigi Oldani scrive haiku in maniera tradizionale. Voglio dire che l’esemplarità dell’haiku è qui espressa al massimo grado. C’è il tempo, il grande tema dei poeti di tutti i tempi e tutte le
latitudini, ci sono le stagioni, gli alberi, c’è una freschezza del dire, come se le parole fossero nate lì sulla pagina, e c’è un vuoto che risplende. Oldani crea, come ogni scrittore di haiku
(Basho ma anche Saba e Zanzotto) una zona franca in quei tre brevi versi. Crea il vuoto, come un verso che non si vede e che azzera gli appigli, fa sparire il maniglione antipanico, e in quel
vuoto si siede tranquillo e noi con lui. In quel verso non scritto con sapiente maestria (ma forse non è maestria ma conoscenza) lui rigira il tutto, inverte la direzione, immette cose non
viste, non vedibili. Dice uno dei componimenti più belli: “Il tempo incide\ sul muro di licheni:\ pietra carne”. A voler sviluppare la catena delle metafore nascoste si scriverebbe un trattato
che passerebbe anche da Auschwitz. E ancora: “Quando piove/ qualcuno si muove/non siamo soli. “ Ma qual’è il kigo di questa poesia? La sua ragion d’essere, il suo tema centrale? Qui non c’è
niente di italiano, perchè a me sembra che il suo kigo sia l’azzeramento della vanità, la supremazia del caso, il riconoscersi esseri tra gli esseri, o meglio non-esseri tra non-esseri,
umani come sono umani i ciliegi, i petali, i fichi, i melograni. Insomma c’è la luce, o l’illuminazione zen, la luce delle cose fuggitive ma perenni, cose che rimangono proprio perchè
deperibili. Quando piove non sentite la voce di chi non c’è più? E quello scrosciare non è forse il rumore dei passi di chi c’era prima di noi?e sapere che siamo stati e saremo non ci rende meno
soli?
Ha ragione Oldani che è davvero un maestro nel redigere quel quarto verso non scritto che in ogni haiku crea la sorpresa, l’inversione e l’accensione del nuovo, “L’erba ricresce\ sotto il
ginocchio:\ il mio cuore.
Rev. Iten Shinnyo
Abate e Maestro del Tempio Shinnyoji di Firenze
Luigi possiede una naturale sensibilità e un'innata capacità di ascolto profondo delle note più vibranti della vita.
Spesso cattura come una calamita i movimenti delle cose e i moti degli animi e con un immaginario imbuto li introita dentro di sé, per restituirli poi in pennellate di versi in
chiaro-scuro. Talvolta la mestizia e quel lieve e sofferto mal d'être che lo sottolineano, affiorano negli scritti scarni e intuitivi dei suoi haiku.
La sua ricerca spirituale gli scaturisce un pathos sotteso, che lo apre al suo più alto lirismo nella rappresentazione della sua Pratica interiore.
Negli haiku racchiude il suo potere di sintesi, suggerendo immagini che ciascuno può colorare con le tinte della propria stagione, puntando dritto al cuore del lettore.
Giuseppe Grattacaso
Mondo haiku
Luigi Oldani con la sua poesia cerca continuamente un legame tra quello che descrive (a parole) e l'invisibile (o mai visibile o il non più visibile); tra gli oggetti e la loro natura Luigi
Oldani ha sempre vissuto la letteratura con una sorta di delicata attenzione nei confronti della parola poetica, una generosa partecipazione alle vicende più complessive della poesia del nostro
tempo, un commosso rispetto nei confronti dei maestri. Ne è testimonianza l’appassionata attività quale organizzatore di letture e incontri, e soprattutto l’esperienza di coordinamento e
redazione della rivista Pioggia Obliqua, partita come periodico radiofonico e poi, negli anni Novanta, diventa una tra le più significative pubblicazioni di letteratura, aperta a contributi di
notevole spessore e a partecipazioni illustri, quali quelle di Enzo Siciliano, Antonio Tabucchi, Mario Luzi, Luigi Baldacci. Da qualche tempo la rivista è riproposta in versione online
(https://www.pioggiaobliqua.it/) e si avvale dei contributi dei maggiori scrittori italiani di questo inizio secolo, tanto da diventare, nel giro di poco tempo, uno dei più attivi punti di
riferimento della poesia italiana di questi anni. Oldani, che è autore di diverse pubblicazioni, ha presentato recentemente quella che finora più essere considerata la sua opera più originale e
matura. Gli Haiku italiani, editi per i tipi di Samuele Editore, sono infatti un libro denso, di scrittura rigorosa e di notevole spessore espressivo. Il poeta, forte di un periodo trascorso a
Tokyo per motivi di lavoro e di un’esperienza maturata nel Centro Zen Firenze, tra i più rappresentativi dello Zen europeo, si avvicina ad una delle forme tradizionali dell’espressione poetica
nipponica con grande sensibilità e con la capacità di muoversi in equilibrio sulla linea di confine tra la quotidianità e la cultura europee e le consuetudini espressive e la raffinatezza di
marca orientale. luigi oldaniNella poesia italiana dello scorso secolo non sono mancati esempi di poeti che si sono avvicinati alla forma dell’haiku, semmai senza ripercorrerne rigorosamente i
dettami tradizionali. È il caso di Saba e Zanzotto, ma anche alcune liriche di Ungaretti sembrano richiamare lo stile e la composizione sillabica della lirica giapponese. In ogni caso, Oldani
sembra più vicino, per l’utilizzo di immagini legate alla nostra quotidianità e per la propensione a far materializzare il vuoto e il senso di vanità che accompagna ogni nostro gesto, alla
produzione, piuttosto significativa, che Jack Kerouac dedicò al genere, in pratica reinventandolo ad uso della nostra sensibilità di occidentali. Luigi Oldani, che mantiene in massima parte la
struttura dell’haiku tradizionale, pur assicurando alle sue poesie una maggiore libertà nella lunghezza dei singoli versi, sviluppa un’espressione che appoggia la significazione soprattutto su
una sorta di salto logico finale, che apre a contenuti imprevisti e di notevole forza espressiva. Questo modo di procedere, del resto in linea con gli esempi moderni, anche giapponesi, consente
di porgere al lettore in maniera semplice ma particolarmente efficace quelli che sono i grandi quesiti che l’uomo si trova ad affrontare: le questioni legate al trascorrere del tempo e alla
finitezza delle cose terrene, gli eventi imperfetti e che pure possono apparire eterni, almeno nell’attimo in cui sembrano suggerire un loro impronunciabile segreto. Come scrive Alba Donati
nell’introduzione alla raccolta, Oldani con questo suo scatto improvviso alla fine di ogni haiku e con quell’ulteriore verso che ci aspettiamo di leggere, che quasi siamo costretti a pronunciare,
e che in effetti non c’è, “rigira il tutto, inverte la direzione, immette cose non viste, non vedibili”. La forza struggente e in qualche modo sfuggente delle liriche di Oldani è proprio nel
legame tra quello che ci viene descritto e l’invisibile, il mai visibile o il non più visibile, si concretizza nel mondo indefinibile che si rappresenta dinanzi ai nostri occhi, tra la corporeità
dei reperti naturali che irrompono sulla scena e l’impalpabilità della loro più profonda natura. Per esempio: “Tra le camelie / una gatta s’aggira / le cade un fiore”; o, quasi un manifesto di
poetica, “Lascio cadere / parole mai nate: / vento d’inverno”. Il poeta sembra provare ritegno di fronte alla scoperta della vita e del suo mistero, una specie di incapacità a credere che la
parola possa davvero definire una presenza, misurarsi con la vera consistenza della realtà, per cui con consapevolezza confessa: “Dei secchi granchi / con la bassa marea / amo il ritegno”. Il
tempo a cui spesso ci si riferisce in queste liriche non è quello storico che rassicura, mettendoci di fronte all’esistenza di un prima e di un dopo, di un succedersi esatto di segmenti
misurabili, quanto piuttosto l’estensione indefinibile, in bilico tra la tradizione dello zen e lo spaziotempo delle recenti acquisizioni della fisica: “Di ogni fiore / ogni petalo esiste / per
tutto il tempo”; “Come la stella / tutta nel cielo oggi / piango questo blu”.
Recensione di Giuseppe Grattacaso, Succedeoggi.it
Alberto Toni
Un libro da leggere “Haiku italiani” di Luigi Oldani. La poesia che nella sua misura abbraccia la natura e l’esserci dentro. Ma con un che di non detto, sempre più in là, tanto da lasciarci
immaginare. C’è brevità, ma anche lentezza, perché l’osservazione è lenta, come un istante. E ciò che è lontano si avvicina.
Luca Cenisi
Il cerchio e la pioggia sottile
Recensione della silloge Haiku italiani di Luigi Oldani, Samuele Editore, 2016, pp. 52, Euro 9,00.
Haiku italiani è una piccola ma significativa raccolta di Luigi Oldani che esplora, con inedita lucidità e freschezza, i più reconditi movimenti dell’individuo-poeta in quella dimensione vuota
propria, appunto, del genere haiku. Gli stati d’animo e le esperienze personali del poeta si legano, così, con credibilità a un tessuto naturalistico che, pur non sedimentandosi in un rigido
contesto stagionale, pare esaltare una “percezione istintuale” (honnōteki na kankaku 本能的な感覚) mai artificiosa e premeditata, coltivando, all’esatto opposto, una partecipazione emotiva (kokoro
ni kaku心にかく) diretta, subitanea.
I rimandi al pensiero Zen, con il quale l’autore ha avuto modo di entrare in contatto grazie alle attività del Tempio Shinnyoji di Firenze, sono ben evidenti, e sostanziano un tacito filo
conduttore che percorre l’intero scritto, secondo uno schema libero ma non casuale che fa del momento presente l’ambientazione lirica privilegiata:
La calma notte
pulisce il silenzio:
Zazen di luna
In questa, come peraltro nella maggior parte delle opere, il sentire dell’autore, lungi dal cristallizzarsi irreversibilmente in volizioni poetiche appariscenti, fa sua l’esperienza estetica così
come codificata da Shin’ichi Hisamatsu (1889-1980), impostando il proprio dire secondo quell’«accrescimento della semplicità» di cui parla Garr Reynolds nel suo Presentation Zen, e che incarna il
kanso 簡素 (appunto, “semplicità”), una delle sette qualità poetiche insieme al fukinsei 不均整 (l’irregolarità), al kōko 考古 (l’essenziale), allo shizen 自然 (la
naturalezza), allo yūgen 幽玄 (la visione profonda e insondabile), al datsuzoku 脱俗 (l’allontanamento dal mondano) e al seijaku 静寂(la tranquillità).
Da un punto di vista stilistico, gli scritti aderiscono quasi sempre al modello “tradizionale” 5-7-5 (con predilezione per un conteggio sillabico di tipo ortografico), salvo rare eccezioni in cui
la forma espressiva (sugata 姿) ha necessità di “respirare”, allentando i margini di un linguaggio comunque sempre fedele al proprio vissuto:
Se mangio…
il melograno, i chicchi
fine estate…
Degno di rilievo è il gioco di variazioni cromatiche che puntella la raccolta nella sua interezza e che pare voler rafforzare il lessico poetico mediante una simbologia attenta e precisa. Così,
il “vento rosso di Kamakura” pare perdersi, senza tuttavia mai confondersi, con il rosso delle foglie d’acero (momiji 紅葉) o delle bacche adocchiate dal gatto, rinsaldando un principio di
forza e, al contempo, di caducità che ben si colloca in contrasto con il candore della neve (yuki 雪), altro termine di rilievo nella storia dello haiku:
Soffia bianco
un sogno indicibile
notte di neve.
Delle sette qualità poetiche sopra menzionate, tuttavia, quella che risalta con maggior nitore già ad una prima, rapida lettura, è lo yūgen 幽玄, cioè il creare con quel non-dire proprio dello
haiku un riverbero senza fine, «un’eco inesprimibile a parole» (Hisamatsu) capace di evocare tutto e niente, suggerendo un’ipotesi di lettura che, anziché valorizzare il mero dato semantico o
letterale, ne incoraggi una muta interpretazione:
La notte fonda:
un mare capovolto
tra pesci-grilli.
In estrema sintesi, Haiku italiani convince per quel senso di novità (atarashimi 新しい) che è stato in grado di portare nell’attuale panorama haiku italiano, coniugando con consapevolezza una
visione Zen umile e sincera e un’attestazione di vigorosa presenza del dato reale, secondo una direzione che pare indirizzare il lettore ad un fueki ryūkō 不易流行 (“l’eterno e il
contingente”) di storica memoria.
(Lucacenisi.net 7 giugno 2018)
"Leggo con gioia questi Suoi haiku:
Tace il campo / la vite del Chianti / ingiallisce."
Valerio Magrelli
Cinzia Marulli
Trovo molto vicini a me i tuoi Haiku che ho letto e riletto assaporandone
la trasparenza, il lampo nell'anima. Si sente in essi una conoscenza profonda,
non c'è imitazione, ma spontaneità, maestria. Sì, devo proprio dire che i tuoi
haiku mi hanno fatto particolarmente piacere. Ti dissi per telefono quanto
io sia sempre stata perplessa di fronte a questa forma poetico-filosofica
traslata nella nostra cultura e nella nostra lingua evidenziando spesso forzature e
soprattutto vuoti.
Ma nel tuo caso è completamente differenze. C'è una sostanza, una
chiarezza che possono venire solo da un lungo studio e da un profondo sentire.
Daniel Horacio Fermani
“L'ho letto due, tre volte, per percepire la delicatezza delle sensazioni, l'haiku é talmente piccolo che solo apre la sua grandiosità nel silenzio. Ho pensato che
soltanto un poeta con la sensibilità tua potrebbe impossessarsi di una tecnica così minuta, così delicata e fragile, e potente quando si apre. Non é mestiere per rustici poeti di provincia come
me, senz'altro si deve vivere in un posto toccato dalla bellezza ed avere l'anima di nebbia per poter accedere ad una dimensione così.
Ho quindi letto e riletto nell'ansia di avvicinarmi almeno a quella fragranza intangibile, e forse, forse sono riuscito a intuire qualcosa della sua magnifica
bellezza.
Grazie allora per la tua generosità e la tua arte, non di meno speravo da un uomo che vive tutta la sua esistenza nell'ambito privilegiato della
poesia.“
PAOLO FABRIZIO IACUZZI
C’è nel tuo libro un intero anno dell’anima. Un ciclo da inizio autunno a fine estate, dalla caducità alla pienezza del tempo per gli occidentali, una sospensione del tempo attraverso il tremito
e il fremito della natura per gli orientali. Un ciclo completo dell'anno in un rosario mormorato sottovoce concentrato in un punto. Potrebbe essere il punto di nascita o il punto di morte.
Fotogramma dopo fotogramma c'è un inesauribile stare a metà fra il cielo e la terra. Dove ogni grano contiene un universo e ogni universo è concentrato in un grano che germoglia. Passato e
presente sono richiamati insieme nell'istante a venire. Il vuoto. Eppure se italiani sono questi haiku lo sono proprio per questa esatta concatenazione di grano in grano dove una memoria che
darebbe dolore si avvolge in una spira di luce. Uno dietro l'altro a disegnare tutti i grani disegnano un cammino a spirale: non siamo più gli stessi a lettura completa. C'è un ampio cerchio del
mondo nei nomi dei luoghi riportati dal passato al presente. E c'è un presente allontanato nell'ampio cerchio dei colori. Un andare contemporaneo dalla circonferenza al centro e dal centro alla
circonferenza.
Paolo Carnevali
HAIKU ITALIANI
Nel leggere gli Haiku di luigi Oldani, ho percepito un linguaggio dell'infinito: non si può comprendere interamente la nozione relativa all'esistenza di noi viventi in un processo di perfezione,
se non inquadrandola in sostanza nell'immenso tutto in cui le esistenze convivono. Ma in quali forme del rappresentare reagisce la nostra mente? L'universo artistico è come quello
dell'umanità in cammino, scopriamo, è energia formativa." Sale il sole/con la mia ombra/s'apre il mondo/.
Si evidenzia in primo luogo un problema filosofico non secondario: quello del rapporto tra scrittura e pensiero.La voce dell'anima, evidenziando quanto in realtà il pensiero e la parola vengano
trasformati in traccia scritta e portata alla coscienza e resa oggetto di riflessione poetica. Una poesia quella di Luigi Oldani che enfatizza il presente, eterno presente con una infinita
profondità, il tempo non è altro che presente infinito, eterno attuale. possiamo paragonare il tempo allo scorrere di un fiume: In riva al mare/sull'acqua dei pesci/cadono stelle/. Ogni terzina
Haiku letta, obbliga ad una meditazione. E' impossibile leggere per esempio: Foschia serale:/nei pensieri andati/cade la vita/. e non rimanere in silenzio, annotando nelle volte del pensiero e
vagare... Una scrittura poetica tra due mondi. Quanto al sentimento verso la natura, è uno stato d'animo che nasce all'istante dinanzi ai paesaggi e ai fenomeni del mondo. Lascio
cadere/parole mai nate/vento d'inverno/.In questi versi ci perdiamo nell'affinità di un dialogo Kafkiano per l'incomprensione del mondo, oppure Penso all'oggi/quando la pioggia batte/qui
sul silenzio/. E' uno stato interiore che ha al suo centro le emozioni e fattori spirituali. Sebbene questa intimità appartenga a diverse forme dello spirito umano, ma nella letteratura, la
pittura,ecc. si rileva in maniera chiara ed efficace. Ai sentimenti verso la natura corrispondono molte tipologie emotive, complesse. Il poeta nel
contemplare, svolge un esercizio introspettivo Calmo ammiro/un ciliegio bagnato/macchiare l'alba/.
Cercando di liberare la mente, il cuore e l'anima. Abbandona gli attaccamenti, svuota l'io. E' la possibilità per l'autoliberazione e il ritorno alla natura per ristabilire un dialogo con
l'ordine cosmico e l'armonia con l'universo. Tutto è correlato e il poeta si compensa con la natura. L'influsso taoista sulla poesia Haiku è indubbio. Il nesso tra natura e arte è strettissimo.
Luigi Oldani afferra l'essenza del complesso intreccio tra natura e vita nell'impressione sensoriale istantanea che la natura stessa suscita, con la propria intuizione profonda. Dona alla parola
una luce. Concentrandosi sulle proprie emozioni crea un'armonia con le cose, il proprio cuore e la mente. Scrivere Aiku, è pratica di vita e perfezionamento etico e spirituale ci dice
Oldani; perfezione interiore che viaggia parallela con l'arte e diviene esercizio rigoroso.
Recensione di Paolo Carnevali, Critica Impura, 17 gennaio 2017
Toni Piccini
Luigi Oldani, Haiku Italiani, Samuele Editore.
Leggendo questa raccolta di Haiku ho avuto una sensazione di continua vicinanza del vento: ciò è frutto del come l’autore lo ha disseminato nelle pagine, quasi a farne filo invisibile, talvolta
anche al servizio della domanda.
Amo il vento
né acqua né terra
pesce in fuga?
Un vento mai invadente che scorre continuo al fianco, non a folate. È viaggio che non termina sul confine del canone classico a cui spessissimo l’haiku viene abbarbicato in Italia: lo varca, va
oltre e, da vento continuo, non travolge il recinto ma ne fa progressivamente cadere le pietre, quasi senza rumore, sino a rendere orizzontale il passo della penna. Una penna libera di
attraversare rigidi paletti senza con ciò sconfinare l’Haiku: vedasi l’abbandono della sequenza sillabica 5 – 7 – 5, vista ancora oggi in Italia spessissimo come sacralità, mantra recitato di
frequente a vuoto e senza approfondire lo spirito che caratterizza questa forma (e ancor più essenza) poetica.
Lascio cadere parole mai nate: vento d’inverno. Mentre arrivi un soffio di vento: libro aperto.
Due testi caratterizzati da stati d’animo opposti: nel primo in un apparente ossimoro l’assenza che determina mancanza (“vento d’inverno”), nel secondo l’imminente presenza che reca gioia (che è,
se non gioia, un libro aperto? Che libro aperto sia la persona che arriva o sia un libro da scrivere con quella persona, la sensazione è comunque di gioia).
Fra i libri di Haiku scritti in italiano trovo questa raccolta tra le più interessanti e, pur se Haiku italiani è il titolo scelto dall’autore, tranne qualche nome proprio i componimenti
potrebbero aver luogo senza confine geografico o con collocazione lontana, vedi il componimento che apre la raccolta.
È il vento rosso
di Kamakura
dove ero e sono.
È Kamakura specificazione geografica di quel soggetto che è l’insolito vento rosso? O è il vento rosso cornice di Kamakura? Ci troviamo così in quello spazio di libera interpretazione che la
poesia Haiku muove in noi, e in entrambi i casi Oldani varca il tempo: “ero e sono”.
Un pregio della raccolta è che i testi scorrono lungo una sorta di linea orizzontale, non per piattezza ma grazie al lavoro che l’autore ha fatto su se stesso e propone in alcuni testi, ovvero la
pratica dello zen… la meditazione, il ringraziamento, un vecchio monastero, luoghi di meditazione citati con i loro nomi originali, quasi a spingere alla ricerca chi non li conoscesse.
Zazen all’alba:
si apre di incenso il
mio cuore
Zen che, al pari di buddismo e shintoismo, attraversa la poesia Haiku. Zen che viene proposto più volte nell’arco della raccolta, e così la luna, gli aceri, i gatti.
Foglie e fiori e neve senza vento: lassù la luna.
Un quadro immobile (i primi due versi) evidenzia un soggetto apparentemente immobile (la luna).
Concludo segnalandovi questi Haiku, prima di lasciar scoprire a voi gli altri che compongono la raccolta di Oldani di cui, oltre a quanto scritto, sottolineo la pulizia della scrittura e
l’assenza di costruzioni retoriche o, peggio, auliche.
La luce è bianca
guardando i crisantemi
mi vedo solo.
Del mare mosso
ha l’odoroso alloro,
nero è il cielo.
Con la giustapposizione del cielo nero a un qualcosa d’indefinito e al tempo stesso ben caratterizzato ricorrendo a ciò che proviamo alla vista d’un mare mosso e all’annusare foglie d’alloro.
Quando piove
qualcuno si muove
non siamo soli.
L’erba ricresce
sotto il ginocchio: i
l mio cuore
Dolce prato verde
del mio dolore sento
il niente qui.
Giancarlo Baroni
Ho ammirato la magia dei tuoi versi, veri e propri lampi che abbagliano senza ustionare. Carezzevoli, delicati, dotati di una particolare grazia; come scrive nella Prefazione Alba Donati: “c’è
una freschezza del dire, come se le parole fossero nate lì, sulla pagina, e c’è un vuoto che risplende”: Come tu ribadisci nella Nota conclusiva, sono versi privi di presunzione e di
arroganza.
Le tue parole, immerse nella vita di ogni giorno, nel suo semplice scorrere e accadere, colgono, senza bloccarli, particolari che affiorano come minute epifanie concrete. Questo ritratto,
appena accennato con poche ma sicure pennellate, ne è un esempio: “Mia nonna guarda / un pallido tramonto / dalla finestra”. E noi fissiamo attraverso i suoi occhi, in una sorta di
immedesimazione.
La realtà fisica e dell’esperienza comune e quotidiana (la luna in alto, un soffio di vento, la pioggia che batte, le foglie ingiallite, una gatta che si aggira fra le camelie, un
ciliegio, un muro di licheni, una mosca che vola, una conchiglia sulla duna, gli occhi del merlo, i chicchi del melograno…) all’improvviso ci spalancano dimensioni e mondi (“si apre il
mondo”) che possiamo per un istante intuire. Non si tratta di un processo di comprensione razionale (“dolce è non capire”, “non mi domando”) ma emotivo ed empatico (“vedo me un salice”,
“divento gatto”) che spalancacon naturalezza la finestra sugli incantesimi della poesia: “sull’acqua dei pesci / cadono le stelle”).
Si è parlato del libro Haiku italiani durante
il TG3PETRARCA il 24 dicembre 2016,
a Fahrenheit RADIO 3 per la giornata mondiale della poesia il 21 marzo 2017.
Luigi Oldani, è nato a Milano, ha frequentato l’università di Firenze e si è laureato a Urbino.
E’ docente di italiano. Grazie a un periodo di lavoro a Tokyo, ha avuto l’opportunità di conoscere alcuni aspetti della cultura giapponese.
Ha pubblicato presso diversi editori, tra cui Campanotto con un’ introduzione di Idolina Landolfi, Milllelire, Nuova Compagnia Editrice, Franco Cesati Editore e su diverse riviste. Nel 2016 ha
pubblicato presso Samuele Editore, Haiku italiani ed è presente in AA.VV. Umana, troppo umana, poesieper Marilyn Monroe, Arango Editore, 2016. È stato organizzatore
culturale per molti anni e coordinatore della rivista Pioggia Obliqua (su carta stampata) distribuita nelle librerie Feltrinelli, entrando in contatto con Mario Luzi, Enzo Siciliano, Antonio
Tabucchi, Luigi Baldacci, Gabriel Cacho Millet e tanti altri autori. Attualmente è redattore, con Elisabetta Beneforti, della rivista on line "Pioggia Obliqua scritture d’arte".