ANIMALI IN VERSI
illustrazione di copertina di Alberto Zannoni
(le seguenti poesie, le illustrazioni di Vania Bellosi Elena Bertoncini e Alberto Zannoni, la prefazione di Fabrizio Azzali, fanno parte della pregevole plaquette intitolata I nostri gatti esenti da difetti pubblicata da Grafiche Step editrice nel 2024)
Prefazione di Fabrizio Azzali
Chi non ha mai guardato in quegli occhi, non ha mai visto nulla di divino
(Anna Maria Ortese )
I Gatti che stanno in questo libretto sono davvero speciali. Ma tutti i Gatti lo sono. Chi ha convissuto con uno di loro e ne è stato adottato per segreta affinità elettiva lo sa. Gli altri animali sono animali e basta, il Gatto no, lui è un’altra cosa, è un po’ parente della Sfinge e ci propone da sempre gli stessi enigmi. E’ però più antico della Sfinge e forse rammenta cose che essa ha dimenticato. Perché, già gli Egizi lo sapevano, è della stirpe degli dèi e forse per questo sa vedere nel buio, là dove gli occhi umani sono inutili. Il Gatto è imprevedibile e misterioso, affine alle cose inconoscibili, e ci insegna così la variegata imprevedibilità della vita e il mistero che ci avvolge. Cosa osserva quando si siede così, immobile, all’apparenza perso nei suoi “pensieri”, o forse “a sognare ad occhi aperti”? Credo stia guardando dentro, guarda la trama dell’esistenza che fluisce attraverso di lui; sta osservando segrete relazioni, lo svolgersi di vite dentro alle vite, di mondi dentro ai mondi; ascolta la dolce canzone della trama dell’essere, che lo rassicura del ruolo che svolge ogni forma animata e della bellezza senza fine. Ma il Gatto sa pure essere ironico e sottile, quasi alla stregua di Groucho Marx, come dimostra la gatta un po’ sovrappeso che abita da me e che, al posto dei topi forse ormai irraggiungibili, continua a posare sullo zerbino di casa le pigne: tanto la differenza è trascurabile e io fingo di non notarla…
Superfluo tentare di fare del Gatto un nostro possesso, imporgli un nome e illudersi che risponda al richiamo: lui non conosce la servitù e risponde solo al nome che si è scelto e che nessuno conosce. Solo quelli che, leggeri e indecifrabili, si muovono a passi felpati tra le pagine della letteratura (e di questo gioioso volumetto) tollerano un nome e diventano, sontuosamente, Murr, Behemot, Pluto, Zorba…Max.
Davvero, senza alcun dubbio i Gatti sono creature eccezionali, sono proprio esenti da difetti.
illustrazione di Vania Bellosi
Il gatto che cammina sulle stelle
Il gatto camminava sulle stelle
saltava dall’una all’altra
a volte fingeva di cadere
aggrappandosi con una zampa
le stelle applaudivano entusiaste
il gatto miagolava contento
ai bambini e ai gatti
le avventure non fanno spavento.
Il gatto di Palazzeschi *
Cesare Cesare grido
quando scappa dalla finestra
per bighellonare
all’aperto libero dalle carezze,
poi all’improvviso torna
ricoperto di graffi
sta sul bordo entra
soltanto se lo chiamo
per cognome Blanc
Blanc vieni tesoro entra.
(* Il nome dell’editore e curatore dei primi libri di Palazzeschi è in realtà quello del suo gatto: Cesare Blanc)
Il nostro gatto
Vede nel buio
cammina nel silenzio
risuonano i suoi ronf
nell’universo
la coda batte
sul gong dei veri affetti
il nostro gatto esente
da difetti.
illustrazione di Elena Bertoncini
Colori naturali
Un gatto soriano
occhi gialli
nell’erba verde
osserva
un merlo nero
becco arancio
il felino si slancia
il merlo si alza
baruffa celeste.
Cleopatra
Di pelo arancio e bianco
l’avevamo battezzata Cleopatra
regina del palazzo
antico dove abitavamo
poveri fra poveri
a due passi dal Duomo. Si aggirava
con passo felpato
nel cortile interno ciottolato; tiravo
un sospiro di sollievo al suo rientro.
Mia nonna raccontava
che qualcuno di nascosto li rapiva
per mangiarli. Gatti
come conigli ricordava
chi in tempo di guerra affamato…
Poi traslocammo, metà anni Sessanta,
condominio nuovo di periferia
uno dei tanti, si sconsigliavano
cani animali gatti.
Merlo e aironi
Illustrazione di Vania Bellosi
Uno degli uccelli che preferisco è il merlo. Forse perché, se rispettiamo la giusta distanza, lo incontriamo di frequente nelle nostre passeggiate urbane, forse perché ci è familiare senza essere invadente, forse perché la varietà de suoi canti melodiosi allieta le nostre orecchie disturbate troppo spesso da rumori molesti, forse perché il colore corvino delle piume maschili ravvivato dal giallo-arancio del becco raramente trasmette sentimenti funerei, forse perché è un uccello estremamente versatile: saltella, cammina, si nasconde fra i cespugli, ci osserva da sopra un ramo, vola via…
Luigina Guarasci lo ritrae con poche pennellate nell’incanto fluttuante, nella semplicità essenziale, di un haiku:
Canta sul melo
un merlo innamorato
è primavera
(Sgucciula a luna. Haiku, Quaderni il filorosso, )
Dotati di una giocosa, infantile ingenuità, i rapidi versi di Toti Scialoja esaltano levità e spensieratezza del turdus merula:
L’uccello nero
salta leggero,
si chiama merlo
senza saperlo.
(Versi del senso perso, Prefazione di Paolo Mauri, Einaudi, 2017)
Con grazia, misura e naturalezza, il poeta parmigiano Luigi Menozzi racconta il suo incontro ravvicinato con un merlo maschio il cui occhio non tradisce alcuna soggezione.
Il merlo
Non fugge il merlo
macchia nera lucente
da cui spunta l’arancio del becco.
Mi guarda con l’occhio tondo
la testa di tre quarti
con un tono quasi di sfida.
“Io c’ero prima di te”.
Rallento la corsa
obliquo a sinistra
e lui riprende a frugare
rumoroso nell’erba.
(Verso la diga a sera, Campanotto editore, 2000)
Lo sguardo oggettivo e nello stesso tempo empatico di Fabio Pusterla segue il volatile nel suo sottrarsi, ci invita a indagare i segni della sua defilata presenza, a fissare gli attimi che precedono il distacco.
Il merlo
Se fischia
verso il chiaro, e il giorno è solo
una fessura grigia dentro il freddo,
nessuno può sentirlo: nel garage
è ancora buio, sporadici
sussulti di lamiera. Bandiere azzurre immobili.
Sul ghiaccio
passa un soffio di vento, quasi un brivido,
un cavo d’acciaio sbatte. E se col becco
fruga nel nero delle penne o cerca
la briciola fra i sassi, il filo verde
che stenta nella crepa,
tu guardalo più attento: ecco, un motore
tossisce dietro l’angolo,
stanchezze puntuali si rinzelano. Ma il merlo
saltella, alza la testa,
prende il volo.
(Le cose senza storia, Marcos y Marcos, 1994)
Lo scrittore statunitense Wallace Stevens moltiplica prospettive e angolazioni da cui osservare un merlo. Del poemetto intitolato Tredici maniere di guardare un merlo scelgo il primo e l’ultimo frammento. I versi aperti al paradosso affinano le qualità intuitive del lettore.
Fra venti monti nivei
L’unica cosa mobile
Era l’occhio del merlo.
[…]
Fu vespero l’intero pomeriggio.
Nevicava,
Per nevicare ancora.
Ed il merlo s’assise
Fra le membra del cedro.
(Mattino domenicale e altre poesie, a cura di Renato Poggioli, Einaudi, 1982)
Possiede una tensione e una durezza che scuotono psiche, natura e lettore, questa prosa lirica composta nel 1917 dal senese Federico Tozzi:
Nel bosco cerco l’albero che, tagliato a bara, imputridirà sotto terra con me.
Gli voglio tanto bene: forse, è quello dove ora c’è sopra un merlo.
(Bestie, a cura di Maurizio Cucchi, Guanda, 1979)
La documentata rubrica La lingua degli uccelli (contenuta nel blog "bottega portosepolto") «si propone ricognizioni e studi sulla presenza degli uccelli nella poesia italiana, specie in quella moderna e contemporanea». Curata con competenza e passione dal poeta e critico Alfredo Rienzi, la rubrica ospita anche i miei amati merli:
Merli
La melanina che scurisce il corpo
e ci rende simili a fantasmi
fa paura all’allocco.
Allora gonfiamo il petto
gli gridiamo te l’abbiamo fatta
un’altra volta, gioiamo
ma piano
come avessimo in gola dell’ovatta.
(I merli del giardino di San Paolo e altri uccelli)
Gli aironi, mi riferisco principalmente al bianco maggiore (Egretta alba), alla Garzetta (Egretta garzetta) e al cenerino (Ardea cinerea), mi affascinano. Forse mi attrae la loro doppiezza. In volo possenti, eleganti, aristocratici; a terra o dentro l’acqua bassa restano a tratti immobili, come colpiti da un incantesimo, oppure si muovono a scatti come automi. Il collo si ritrae o si distende, si accartoccia a forma di esse oppure si allunga scattando come una fiocina. Il becco è una punta di lancia che trafigge. Nelle pupille fisse e ipnotiche, lampi di età remote quando i dinosauri dominavano il pianeta.
Airone
*
Immerso nello stagno
apri le ali per levare
i riflessi dall’acqua. Traspaiono
le sagome sinuose delle bisce
che infilzi col becco.
*
Appena un rivale ti minaccia
alzi le piume della testa
gli stampi il becco sulla faccia. Basta
così gli vomiti
contro tutta la tua rabbia.
*
In marcia cautamente nel canneto
trafiggi alcuni rospi che ti credono
di sera un fantasma.
*
Svelto più di una lancia
passi da parte a parte una ranocchia
la ingoi a partire dalla testa. L’incedere
tuo elegante il bianco immacolato delle penne
non ci convincono.
(in Vittorio Parisi, Animali tra i ponti. Invito all’osservazione della natura nella Parma cittadina. Fotografie di Romano Parma, Grafiche Step editrice, 2009; poi nella raccolta I merli del Giardino di san Paolo e altri uccelli, Mobydick 2009 e Grafiche STEP 2016)
Da qualche anno, durante le mie vacanze estive, un airone cenerino (sarà sempre lo stesso?) sembra attendermi (o così mi illudo) ai bordi di un laghetto alpino. Verso sera, quando la gente si ritira per la cena e il silenzio s’impossessa nuovamente del paesaggio, spesso lo incontro. L’ho fotografato diverse volte; in una foto sembra camminare come un funambolo sopra una corda tesa a fior d’acqua. L’immagine illustra la copertina del libro di Jelena Radojev In una rete di fili che si intrecciano ( a cura di Paolo Briganti, UNI.NOVA, 2019).
All’airone ho dedicato anche una poesia. Mario Fresa (in «farapoesia», 21 gennaio 2022) la commenta così: «qui tutto è lieve e docilmente canta e risuona; tutto rifulge e sale; tutto vola e s'inazzurra in una contemplazione pura che fa della stessa parola poetica un'occasione per esprimere, con la beatitudine di uno sguardo divenuto quasi fanciullo, lo struggente desiderio di interdire, anche per pochi istanti, la piaga mortale del Tempo».
Airone cenerino *
Ogni anno mi aspetti
in questo laghetto alpino
sei tu davvero
o un altro somigliante? Solitario
airone cenerino che sali
dove i compagni
non si arrampicano. Ai bordi
dell’acqua sembri
non un predone di trote
e di lumache ma quasi un dio egizio.
Il collo lungo e dritto
il profilo del becco a lancia
grigio indovino attento
ai tremori dell’acqua. Al minimo
rumore voli via.
(* Due Laghi, Val di Non)
In Corvi con la museruola (la prefazione di Alessandra Paganardi è intitolata Il canto della natura e la sapienza della poesia, LietoColle, 2017) Sergio Gallo ritrae con abilità e conoscenza parecchi animali e, in modo eccellente, l’airone cenerino:
Ardea cinerea – Parte I
M’inchino alla perfetta
immobilità dell’airone
in stazione eretta
al crepuscolo sul prato,
alla nobile eleganza
della sua figura affusolata
il collo e la testa albi,
la livrea color cenere.
Oppure fermo “alla posta”
il collo teso sullo specchio
d’acqua, affilato il becco
pronto ad arpionare, la
striscia nera che dall’occhio
punta all’aggraziata cresta
al ciuffo nucale […]
Giancarlo Baroni si definisce poeta per passione e fotografo per diletto. Abita a Parma. Gli ultimi suoi libri: Come lucciole nel buio. Dieci riflessioni sulla vita e sulla letteratura e A occhi aperti sogno di essere un castoro. Alcune cose che posso dire di me (puntoacapo editrice, 2022 e 2023).
Vania Bellosi è nata a Faenza e abita a Solarolo. Come illustratrice collabora con diverse case editrici e disegna il merchandising e i libri degli ecomusei dell’Emilia-Romagna.
Passeggiando fra versi di farfalle
illustrazione di Vania Bellosi
Chuang Tzu […]sognò che era una farfalla e non sapeva, destandosi, se fosse un uomo che aveva sognato d’esser e una farfalla o una farfalla che sognava d’essere un uomo.
(Jorge Luis Borges, Nuova confutazione del tempo, in Altre inquisizioni, traduzione di Francesco Tentori Montalto, Feltrinelli)
La farfallina color zafferano che veniva ogni giorno a trovarmi al caffè, sulla piazza di Dinard, e mi portava (così mi pareva) tue notizie, sarà più tornata, dopo la mia partenza, in quella piazzetta fredda e ventosa?
(Eugenio Montale, Farfalla di Dinard, Mondadori)
Per introdurre adeguatamente l’argomento e iniziare la passeggiata con il piede giusto, cito quanto scrive Marco Belpoliti ne La strategia della farfalla (illustrazioni di Giovanna Durì, Guanda, 2016): «Le farfalle sono gli insetti più belli e affascinanti che esistono sulla faccia del Pianeta. Se ne contano 165.000 specie, divise comunemente in falene e farfalle, notturne e diurne […] costituiscono un sesto di tutti gli insetti conosciuti; diffuse ovunque, dai Tropici alle tundre dell’Artico».
Dopo avere scritto una poesia, a volte mi chiedo con quali autori sono entrato in dialogo e in contatto. È gratificante e rassicurante sentirsi parte di una comunità che unisce indistintamente poeti del presente e del passato, scrittori famosi o meno.
Quando ho composto le due poesie dedicate alle farfalle che propongo, il primo nome a cui ho pensato è quello di Guido Gozzano che scrisse un poema rimasto incompiuto intitolato Le farfalle. Epistole entomologiche, dove travasò le sue conoscenze non solo libresche. Di questo testo imprescindibile riporto la prima strofa di Dell’aurora (Anthocaris cardamines) stampata sull’«Illustrazione italiana» nel 1916, anno della morte prematura (33 anni) dello scrittore:
Primavera per me non è la donna
botticelliana dell’Allegoria.
Primavera è per me questa farfalla
fatta di grazia e di fragilità!
(Guido Gozzano, Poesie, Rizzoli, 1977, a cura di Giorgio Bárberi Squarotti)
Gozzano non ha rappresentato però il mio riferimento principale; altri sono gli autori che mi hanno particolarmente influenzo e ispirato; faccio quattro esempi: Neri, Bacchini, Guerra e Scialoja.
Con toni precisi e contemporaneamente allusivi, descrittivi e insieme metafisici, con uno sguardo attento ai particolari concreti e nello stesso tempo sospeso nell’aria, distaccato e stupito, Giampiero Neri mette in risalto delle farfalle le capacità mimetiche che rimandano ai segreti dell’universo:
Mimesi
Delle figure e dei fregi
si osservano sulle ali delle farfalle
e in altre specie diverse
ornamento e difesa insieme,
simili a cerchi e disegni
detti anche macchie ocellari,
sono una varietà di mimetismo
l’immaginario occhio di Dio che guarda.
(Giampiero Neri, Antologia Personale, Garzanti, 2022, Prefazione di Alberto Bertoni)
La natura, nella totalità dei suoi aspetti, sta al centro dell’opera poetica di Pier Luigi Bacchini. Innumerevoli alberi, erbe, germogli, fiori e vegetali, ma anche parecchi animali entrano con maggiore o minore evidenza nelle sue poesie; il regno animale è ampiamente rappresentato, narrato, ascoltato, indagato con precisione e intensità, con forza e raffinatezza; qui riporto la prima parte della poesia intitolata Insetto.
Insetto
Ho paura dei Lepidotteri di queste dimensioni,
senza striature, macchie.
Ali polverose. Gli uomini trasportano sulle navi
anche farfalle. Come sorci
nelle stive, anche virus. Ve ne sono alcune
con leggerezze nipponiche. Disegni asiatici
molto delicati, con colorazioni mimetiche,
e riflessi metallici come prismi. Davvero mirabili.
Non ne ho mai viste vive, soltanto nelle collezioni
o negli armadi scolastici, senza niente di mortuario.
Ma se un loro rappresentante gigantesco mi assalisse,
uguale a questo,
sulla faccia, il suo velluto di borotalco
sporco, morbido, giù per il collo…
(Pier Luigi Bacchini, Contemplazioni meccaniche e pneumatiche, Mondadori, 2005)
Tonino Guerra nel testo seguente (qui nella versione in lingua italiana) amalgama perfettamente ironia con dramma, realismo con fantasia, sensi con immaginazione, esperienze personali con destini collettivi. Nel 1943 il poeta santarcangiolese (che poi collaborò come sceneggiatore con i più noti registi italiani) venne internato in un campo di concentramento in Germania.
La farfalla
Contento proprio contento
sono stato molte volte nella vita
ma più di tutte quando mi hanno liberato
in Germania
che mi sono messo a guardare una farfalla
senza la voglia di mangiarla.
(Le radici e il sogno. Poeti dialettali del secondo ‘900 in Romagna, a cura di Luciano Benini Sforza e Nevio Spadoni, Mobydick Edizioni, 1996)
Autore di giocose, divertenti e spensierate poesie–filastrocche, a volte veri e propri scioglilingua, il pittore e poeta Toti Scialoja dedica numerosi versi agli animali, alcuni anche alle farfalle. Qua invita affettuosamente una di esse a posarsi sulla sua spalla, in segno quasi di fratellanza.
Mia farfalla
non più gialla
non più bianca
solo stanca
vieni qui, sulla mia spalla.
(Toti Scialoja, Versi del senso perso, Prefazione di Paolo Mauri, Einaudi, 2017,)
La prima delle due mie poesie che leggerete è stata pubblicata dalla rivista “Capoverso” (n.44, luglio-dicembre 2022).
Spesso ricavo informazioni, materiale e suggerimenti da manuali e saggi preferibilmente illustrati. Preziosi si sono rivelati il libro di James Lowen Le farfalle (Il Castello, 2018) e quello di Andrea Grill, La farfalla (Marsilio, 2018).
Farfalle: fiori alati
Succhiai da bruco
sostanze letali
lo sgradevole odore
sulle ali scoraggia
attacchi predatori.
*
Ad ali chiuse imito
uno stecco la foglia secca.
Inganna il mio profilo
artigli e becco.
*
Sorgo colorata
da involucro-mantello
uovo bruco pupa
testimone del bello.
*
Puntini rubino
strisce giallo oro
squame cangianti
macchia blu brillante
ricami sulle ali
un variopinto aliante.
*
Soffio vitale
respiro e fiato
tu chiamami soltanto
fiore alato.
La seconda mia poesia prende spunto dalle vicissitudini evolutive della Biston betularia dalla forma chiara.
Le farfalle bianche
Le farfalle bianche si chiesero
per quale motivo gli uccelli
le stessero sterminando.
Diventava il tronco sporcato dallo smog
un candido cimitero.
(Cambiamenti, Mobydick, 2001)
Segnalo un libro che parla esclusivamente di insetti e di invertebrati. Scritto dalla poetessa parmigiana Stefania Cavazzon, si intitola Arthropoda (Edizioni Pubblisfera, 2008, introduzione e disegni del naturalista Vittorio Parisi). Della sezione dedicata ai lepidotteri fa parte questa poesia che descrive la falena chiamata anche Sfinge testa di morto per la macchia bianca sul dorso che ricorda un teschio.
Acheronthia Atropos
Da bruco
ha positura di sfinge
ma variopinta
graziosità di cavalluccio
con buffo codino
Da adulto
perde del tutto
l’appariscenza paffuta
l’anima rotonda
del puttino
e si fa cupa
adunca lugubrità
che emigra
dalle nere
afriche
Solo dopo il tramonto
perfora i favi
e ne sugge miele
o infastidito
suona
stridulo fatamento
Con la spiritromba
Lepidottero notturno dai colori spenti attratto irresistibilmente dalla luce, la falena trova spazio nel Bestiario delle bestiacce di Annalisa Macchia (Introduzione di Franco Manescalchi e Post-fazione di Plinio Perilli, con 5 tavole di Giovanna Ugolini, Pagine, 2020).
Falena
Lo so cosa cerchi.
Sbatacchi da tempo attorno
a questa falsa luna
troppo vicina, spaventoso
astro in miniatura.
Uovo, larva, bruco, crisalide…
il sole vero, l’aria sulle ali
vergini, innervate
di pura bellezza. Infine il volo.
Un viaggio incredibile finito
in questa stanza male illuminata
a disperdere iridate scaglie
in inutili giri. Ci assomigli.
Nel breve tempo che ti è dato
corri dietro alla luce
senza arrenderti, senza capire
perché si sbatte, perché ci si brucia
perché di colpo la notte cala.
Guardaci. Privi d’ali
noi pure
rincorriamo la luna.
Il secondo volume de La poesia degli animali, curato da Mino Petazzini, ha un lungo sottotitolo: Un’antologia di testi su cervo, chiocciola, farfalla, lucciola, lucertola, lupo, mosca, rana, volpe, zanzara e tanti altri animali selvatici. (luca sossella editore, 2022). Delle 1243 pagine che lo compongono 105 sono destinate alle farfalle diurne e 22 a quelle notturne, le falene dai colori più spenti. La sezione delle farfalle diurne è, fra le 85 del libro, la più consistente e corposa, segno della forte attrazione che esercitano e della curiosità che destano anche se, fa notare Petazzini, «nell’antichità le farfalle hanno suscitato molto meno di altri insetti, le cicale ad esempio, l’attenzione dei poeti».
Giancarlo Baroni
(L’incantevole e gioioso disegno della farfalla che in volo accompagna il mio testo è dell’artista Vania Bellosi. Che è nata a Faenza e abita a Solarolo.
Come illustratrice collabora con diverse case editrici e disegna il merchandising e i libri degli ecomusei dell’Emilia-Romagna. Varie le attività artistiche in cui esprime la sua apprezzata creatività).
Illustrazione di Elena Bertoncini
( Elena Bertoncini, nata a Parma, dopo avere frequentato l'Accademia d'arte di Milano si è trasferita a Parigi dove vive e lavora come Art Director e illustratrice.)
Mi hanno appassionato e ispirato le storie raccontate da Michel Pastoureau in alcuni capitoli (esattamente Il rinoceronte di Durer, L’elefante di san Luigi, Mickey e Donald, La balena di Giona) del volume Animali celebri (Giunti Editore 2010).
Questo libro, che vi invito a leggere, mi ha offerto stimoli, suggerimenti e informazioni che ho tradotto in versi.
(Il rinoceronte Ulisse)
20 maggio 1515:
partito da Goa
sbarcò al porto di Lisbona
un rinoceronte indiano.
Profumava di spezie
quel bestione
di due tonnellate. Dono
del Sultano a Manuele I.
Come l’instancabile
temerario viaggiatore
fu battezzato Ulisse.
Le placche della pelle corazzata
il corno spada aguzza: Manuele
ordinò una zuffa
fra Ulisse e un elefante. Vittorioso
il rinoceronte venne eletto
re degli animali sottraendo
ai rivali il trono. Le passioni
divampano ma presto affievoliscono: Ulisse
regalato al Papa. In viaggio verso Roma
l’imbarcazione sparì nella tempesta.
(Un elefante a Londra)
Che ci fa un elefante a Londra
bagnarsi tutti i giorni nel Tamigi?
Dal Sultano d’Egitto
al santo re Luigi lascia
(1255) la corte di Parigi
dono maestoso per Enrico
III l’inglese suo cognato.
Trionfale accoglienza nel regale
serraglio; esotici e feroci
gli animali: leoni orsi cinghiali
cammelli e uno speciale
orso bianco polare.
(L’invenzione di Topolino)
Da New York a Los Angeles
interminabile noioso
viaggio ferroviario: disegno
sul finestrino appannato
un topo grandi orecchie subito
lo cancello per paura
che qualche vista aguzza
fra i passeggeri possa
carpirlo. Mia moglie
Lillian a casa lo battezza Mickey
Mouse; fra i topi immaginati
il più famoso.
(L’inganno della balena)
Si cosparge la schiena di sabbia
sperando che un naufrago
la scambi per un’isola
ci cammini sopra.
Perfida presto si inabissa.
Giancarlo Baroni
Cani e gatti
Cane oppure gatto? La domanda è perentoria e la risposta forse semplice: dipende dalle esigenze, dalle preferenze. Antepongo la fedeltà all’indipendenza? Allora probabilmente cane. Privilegio il mistero alla versatilità? Dunque forse gatto.
Fa notare il poeta Mino Petazzini, curatore del corposo e utile volume La poesia degli animali. Un’antologia di testi su cane, cavallo, gatto e altri animali domestici (luca sossella editore, 2022): «È noto il luogo comune secondo cui l’amore per il cane o per il gatto riflette in gran parte l’indole dei proprietari (con una minoranza che riesce ad amare entrambi). È il gatto, prosegue, «il piccolo re di questa antologia, perché ha di gran lunga il maggior numero di pagine»: 188 quelle dedicate al felino, 112 quelle del suo contendente.
Il libro dei gatti tuttofare (pubblicato nel 1939, qui nella traduzione di Roberto Sanesi, con Prefazione di Emilio Tadini, disegni di Edward Gorey, Bompiani, 1994) del Premio Nobel Thomas Stearns Eliot ci permette di incontrare una sfilza di gatti divertenti e fantastici, uno diverso dall’altro. La Gatta «che porta il nome di Gianna Macchiamatta; / ha il mantello tigrato con macchie di leopardo»; «Sandogàtt era un Gatto Bucaniere / che navigava a bordo di un veliero […]”; «Il Tiremmolla è un gatto decisamente un po’ strano: / quando gli offrite un volatile preferirebbe un fagiano. / Se gli date una casa vuole un appartamento, / e se lo fate scegliere, lui non è mai contento»; «Gattatràc e Gattafascio sono una copia di gatti famosa. / Clown Fracassoni, veloci trasformisti, / acrobati da circo e equilibristi»; «Bisogna proprio conoscerlo Mister Mistofele! / Grande Prestigiatore Originale / non se ne trova in giro un altro uguale»; «Brunero, il Gatto del Mistero a tutti noto / come Brunero Zampaproibita, / è un vero e proprio maestro della malavita»; «Gàss è il Gatto Guardiano del Teatro»; Bustòforo Canossa non è pelle e ossa - / in verità è più grasso di un pascià»…Arrivati in fondo a questa processione felina che sfila davanti ai nostri occhi, Eliot si rivolge ai lettori chiedendo: «sapreste veramente definirmi un gatto?». Mentre la prima risposta è ambigua e sfuggente, inafferrabile proprio come i gatti, («dirò che solo un dato ci rimane: / che UN GATTO NON È UN CANE ») la seconda si rivela totalmente sbilanciata a favore del gatto, la risposta di un incallito tifoso: «dirò che solo un dato risponde a questo fatto: / Un cane è solo un cane, mentre UN GATTO È UN GATTO».
Il cane sta vicino a noi, insieme, di fianco, il gatto invece anche quando si appisola e si acciambella sulle nostre gambe è come se stesse contemporaneamente altrove, in un’altra dimensione, chissà dove. Un cane ci appartiene e noi gli apparteniamo, un gatto al contrario mantiene una propria invalicabile frontiera di autonomia, non è mai completamente nostro e viceversa. Se il cane sembra conoscere i nostri segreti, il gatto pare custodirne dentro sé uno imperscrutabile; il primo è il più fedele amico dell’uomo, il secondo è una affascinante presenza solo parzialmente decifrabile che si aggira per casa.
Non so cosa si provi a convivere con un cane, non ne ho mai avuto uno, senz’altro il coinvolgimento è incondizionato, certamente si vivono in sua compagnia sentimenti ed emozioni molto forti; per comprenderli almeno in parte mi affido ai versi di Franco Marcoaldi (che pubblica nel 2006 Animali in versi e, circa quindici anni dopo, Animali in versi Un nuovo canzoniere) e a quelli di Renzo Gherardini.
Pane e cane
Fresco fragrante festoso
invitante essenziale.
Al mattino, quando compro
Un buon pane, penso:
ecco com’è il mio cane.
Angelo cane
Angelo mio, m’immaginavo
che volassi in uno spazio
siderale e invece
sei comparso a quattro zampe
sotto forma d’animale.
Ora di me si dice che ho perso
il senno e il senso delle
gerarchie e delle proporzioni.
Ma la tua bestiale incarnazione
conferma solo che la metafisica
dimora non in cielo,
ma all’altezza dei talloni.
L’enigma del cane
Il problema non è tanto
che io parlo e lui non mi capisce.
Il vero enigma è il cane:
che tutto sa di me,
e mai ne riferisce.
Sospiri canini
Se l’anima sia un quid che l’uomo
e solo l’uomo può vantare
è oggetto di querelle lunga
e irrisolta nel mondo teologale.
Da parte mia propendo per chi
fa rivelare che se anima
è sinonimo di ruach,
soffio vitale,
allora il quid oltre che l’uomo
riguarda l’animale. Basta
osservare un cane a lungo
in fondo agli occhi,
precipitare negli abissi
di quei lontani mondi, basta
accostare il suo muto
e impenetrabile dolore, le domande
inevase, la gioia trattenuta,
l’improvviso bisogno di calore.
Basta dormirci assieme
per una notte tenera e dolce
quando il soffio vitale del respiro
tramuta struggente in un sospiro.
(Franco Marcoaldi, Animali in versi Un nuovo canzoniere, Einaudi, 2022)
Il poeta fiorentino Renzo Gherardini (1923-2011) ha dedicato parecchi testi ai suoi cani Labrador e in particolare a Bobi; scrive Paolo Zoboli introducendo il corposo volume di Gherardini Poesie 2002-2011: «Bobi diventa protagonista di un vero e proprio canzoniere bipartito, in malattia e in morte, d’ispirazione petrarchesca (ma ‘le rime in morte’ sopravanzano assai quelle ‘in malattia’». Quanta affettuosa tenerezza si prova per il proprio cane e quanto doloroso dispiacere causa la sua morte:
Il tuo cane è davvero la tua anima,
che in te si specchia, e in te vive e di te
colma l’intera sua giornata, sempre
a te congiunto, al tuo cenno, al tuo sguardo,
alla tua voce, offrendoti la luce
dei suoi occhi, lo slancio nel venirti
incontro, la sua gioia nell’accoglierti.
Ai tuoi piedi si stende o si protende
con l’intera sua altezza alle tue spalle
nell’abbraccio, e a te accosta la sua testa
per lambirti, se tu voglia, e dar tutta
l’anima sua per una tua carezza,
Sii con lui lieto, e anche la tua tristezza
Consolerà col suo guardarti, pieno
d’ogni dono che sia solo dolcezza.
*
Bobi, ti voglio disperatamente
accanto: non puoi essere un distante
sogno, un’eco lontana nella mente
di giorni andati, luce di momenti
spenti nel tempo, voce di un assente.
(Renzo Gherardini, Poesie 2002-2011, a cura di Paolo Zoboli, Le Lettere, 2018)
Nel libro di oltre 150 pagine intitolato Poesie per un gatto (Mondadori, 2007) Vivian Lamarque dialoga col suo micio Ignazio, gatto domestico ma libero:
Ma dove eri finito?
da dove sbuchi bel bello?
ti ho cercato dappertutto
gattaccio bello-brutto.
(mai te lo dirà i segreti dei gatti
restano segreti per l’eternità).
Più sornione e astuto che pigro e sfaticato il gattone amante delle comodità di Pierluigi Cappello:
Gattone
È un gatto tutto fumo
è un gatto poco arrosto
si muove col profumo
del latte già al suo posto.
E scende dal divano
pian piano, lentamente,
mi pare più un sultano
che un gatto diligente.
Cacciare, figurarsi!
tra un sonnellino e l’altro
gli piace più stirarsi
a quel gattone scaltro.
(Ogni goccia balla il tango. Rime per Chiara e altri pulcini, illustrazioni di Pia Valentinis, Rizzoli, 2014)
Luciano Erba raggruppa cinque poesie, dotate della consueta ironica grazia, in una sezione intitolata Versi di un amatore di gatti (in Tutte le poesie, a cura di Stefano Prandi, Prefazione di Maurizio Cucchi, Oscar Moderni Mondadori, 2022). Scorrono davanti ai nostri occhi, in un corteo felino, “un gatto intellettuale” [riporto fra virgolette alte i titoli delle singole poesie] («[…] Il suo pensiero forte è miagolare / di notte tra i parafulmini sul tetto / il suo pensiero debole ma sapienziale / ronfare davanti al caminetto»; un “altro gatto ermeneutico” («[…] alla finestra / accarezzo il tuo dorso di velluto / il mondo di fuori mi ricerca / è così che dilegua il mio assoluto»; “un gatto post-euclideo” («[…] Ma osserva il gatto come serra e stringe / il tempo intero tra le zampe davanti […]»); “un gatto mistico” («… poi d’un tratto smetti le tue fusa / spalanchi gli occhi guardi fisso davanti / tutto preso dal vuoto della stanza, dove a me non riesce di vedere / altro che spazio, mobili e specchiere, // […]»); “un gatto informatico” («[…] Sto parlando di te gattina nera / saltata in grembo ti sei messa a pigiare / trattando il mio ventre da tastiera / quasi io fossi un computer da digitare: // […]»).
Fra le varie poesie ispirate a Erba dagli amati gatti, la prossima è quella che prediligo:
Il gatto archeologo
a Francesca
Dicono che alcuni in oriente
sentono la voce delle pietre
né più ne meno di quando mia figlia
ascoltava il cavo della conchiglia.
Forse anche il gatto dei Fori
ode con le sue lunghe vibrisse
quel che raccontano le pietre
sotto i cieli di tante stelle fisse.
È notte: il gatto archeologo
parte per ricerche di storia romana
ormai nutrito dalle pie donne
nelle aiuole tra archi e colonne.
La poetessa Alba Donati, introducendo la raccolta Haiku italiani (Samuele Editore, 2016) afferma: «Luigi Oldani scrive haiku in maniera tradizionale. Voglio dire che l’esemplarità dell’haiku è qui espressa al massimo grado»; nella prefazione a Come ventagli (Samuele Editore, 2019) il critico Paolo Lagazzi afferma che gli haiku di Oldani nascono «da una capacità autentica di entrare in vibrazione col mondo».
Numerosi i versi dedicati ai gatti. Eccone alcuni contenuti nel primo libro:
La gatta Ada
vede le bacche rosse
gioco d’autunno.
Mi guarda Ada
s’apre il suo mondo
divento gatto.
Quando Ada
dorme anche io sogno
si muove il baffo.
Questo Buddha
assomiglia al gatto…
fusa di sera.
Eccone altrettanti del secondo:
La gatta sogna
miao irresistibili
ride la luna.
Sotto una stella
protetta è la gatta
mia poeta.
La gatta con me
annusiamo la neve
stelle sul naso.
Stelle cadenti
le annusa sul tetto
un Buddha, un gatto.
Paolo Lagazzi, che degli haiku è autorevole studioso, giudica quest’ultimo di Luigi Oldani «uno dei suoi […] più belli».
In Quartetti, libro dalla forma lunga e sottile come fosse un album da disegno pubblicato nel 2020 da Libreria Ticinum Editore, sedici poesie di Amedeo Anelli dialogano con altrettante illustrazioni ad acquerello monocromo di Guido Conti. Il volumetto (neppure 40 pagine) si rivolge «ai grandi piccoli e ai piccoli grandi». In copertina Conti ritrae un gatto che, con passo felpato, appoggia le sue zampe su una base tenera e friabile, più aerea che terrena, quasi una nuvola. Lo stesso gatto viene disegnato anche di schiena, con la lunga coda alzata a indicare il cielo mentre, con un atteggiamento allo stesso tempo indifferente e fiero, passeggia senza fretta; oppure viene raffigurato raggomitolato su se stesso, tondo come una palla; in un’altra occasione fluttua magicamente nell’aria come uno stregatto («l’occhio luminoso del gatto»). Il tratto e il segno, spesso sinuosi curvilinei e flessuosi, alludono poeticamente, accennano e non descrivono, a volte perdono consistenza e quasi si dissolvono in macchia liquida, in sgocciolamenti di colore, in figure filiformi alla Giacometti fragilmente ancorate alle ombre che proiettano a terra. Nella filastrocca che apre il libro Anelli saluta un felino dal pelo fulvo: «buona fortuna gatto rosso / buona fortuna a te buona fortuna a me / che la vita ti sia lieve come un soffio / buona fortuna senza un graffio». La funzione del gatto come talismano viene ribadita nell’ultima poesia la quale, circolarmente come in una specie di girotondo, si ricongiunge alla prima: «Il gatto gioca con una pallina di carta / è la mia ultima poesia / che così inizia il suo cammino / per il mondo». Nel libro alcuni felini vengono chiamati per nome: «Maša la gatta-pera corre come una corriera / con le sue zampe corte / e con la pancia a terra»; Leonardo, il gatto ingegnere, che salta sulla maniglia e resta in equilibrio «su un ramo come un sofà»: «una palpebra in su una in giù / cucù!»; il micio birillo che rincorrendo la coda «fa un giro tranquillo»; «scappava Rino / il gatto mandarino inseguito da Argo il cane del vicino».
Giancarlo Baroni