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POESIA PROPOSTA

VALERIO SUCCI

Proponiamo alcuni editi da Primo, Terra d'ulivi, 2018, che Valerio Succi presenta come

"Composta da 30 poesie, conta 6 sezioni:

- Rivolta nella quale spicca la denuncia sociale e generazionale di noi giovani in cerca di riscatto;

- Manifesto che presenta poesie che pongono la base del mio far poesia;

- Realismo Terminale, in cui ci sono componimenti scritti secondo i principi di questa corrente poetica contemporanea, ideata dal poeta Guido Oldani e a cui cerco di allacciarmi, dato il  contesto postmoderno in cui l'esperienza poetica è individuale, non rifacendosi quindi più a delle correnti;

- Provincia e Bologna che si possono mettere in contrasto fra loro, poiché oppongono lo stile differente di vita delle due realtà;

- Residui, in cui compaiono poesie con caratteristiche tali da non poterle inserirle fra le altre, in cui alla fine diventa centrale pure il dialogo col lettore. 

 

 

 

III

 

Le mezze stagioni sono scomparse, si sa

il clima è impazzito, manicomio

temperature dal deserto al polo, un attimo.

 

Questo forse scombussola i giovani

oramai disorientati, bandiere al vento

 

oggi dunque coi comunisti, (finta) Resistenza

invocando la legalizzazione, mille pseudo-rivolte

in piazze gremite, aggiornamento social.

 

Poi la brezza, migrazione a destra

all’attacco dei neri, Tutti a casa loro

ecco l’esercito dei veementi nazi, patriottici (?).

 

Le mezze stagioni, come i valori, dimenticate

impazzita è la società, bomba in detonazione

mutevole pari al vento, segue ogni direzione.

 

 

VI

 

Ogni poeta ha la sua strada

i grandi immortali scolpiti nel tempo

l'esistenza acquista un senso.

 

Da qui parte il mio viaggio

aperto a chiunque, abbandonabile in qualunque momento

voi i miei marinai, in ‘sto mare ostile

mai l’idea d’insuburdinazione, però...

 

Non vedetemi, ciechi, come un oracolo

canto ciò ch’ho vissuto

provato pensato amato

desiderato sognato immaginato...

 

Ma mai espresso

quindi mi rifugio su quest’isola deserta

e te, membro della ciurma mia

raggiungimi, dritti al largo poi

partiamo alla scoperta di meandri sconosciuti.

 

 

 

XIII

 

Vivo dei colori della città

li faccio miei, li accumulo

mi danno energia, ma pure oppressione

sovente mi confondono

e da guide che erano diventano fantasmi che scaccio.

 

Vivo la mia città

non grande, si sa

e ora che m’innalzo, mi schiaccia.

 

Ma dietro casa, ex convento San Francesco, su un muro

delle parole: il messaggio: mio presagio

 Questa città è più grande per chi non sa sognare...

 

Scapperò quindi in una metropoli, fino a quando

tutte mi staranno così strette

che allora il mondo sarà l’ultimo paese.

 

Sempre speranzoso però di sentirmi a casa

luogo sicuro, familiare, amato

senza mai sentirmi uno sradicato.

 

 

 

XX

 

La provincia è una lente d’ingrandimento

sempre attiva, 24 su 24

non conosce pause, perciò

se succede qualcosa, tutti sanno

e criticheranno tutti, se qualcuno osa fare.

 

L’attenzione sulle persone, non agli event

i così si giunge a discutere del niente, vuoto cosmico

fuggono le idee, mica arrivano!

 

Ogni sera la stessa sera:

rinchiusi nel solo pub con sempre le solite persone

condividere noiosi silenzi dello spleen.

 

Ogni sera la stessa sera:

solite serate, soliti liquori

solite vacche, soliti 4 stelle.

 

La noia non uccide solo d’estate

se vivi in provincia, se frequenti la provincia.

 

La noia logora ogni giorno, fino all’apatia

e per fuggirla abbracci la droga,

mera illusione d’evasione.

 

La noia che ti vizia al crimine,

rompendo la monotonia di una vita provinciale

così superficiale, così da detestare.

 

La provincia, con zero opportunità di lavoro, frustrazione

per un lavoro che dura un paio d’ore

già in cerca di uno nuovo? Ne vedo il sudore.

 

 

Insofferenza e rassegnazione, grand’unione

per bruciare un’intera generazione.

 

La provincia madre matrigna, incredibile

la tua terra vuole vederti fallire!

 

 

 

XXIII

 

Bologna, capoluogo di regione

centro d’aggregazione, comune comune per le person

e nuova capitale del mio umore.

 

I giovani nelle piazze, la notte

il giorno, con in mano una birra

una canna gira il cerchio

bira bira come bodyguard.

 

Piazza Verdi invasa dai punkabbestia, presenti mai assenti

a farsi all’ingresso del teatro, un esercito del degrado

che ti fa venir voglia di cambiare città;

cumulo di persone dalla dubbia utilità, nemmeno buoni

ad amare i loro cani, vittime inconsapevoli, figurati i figli.

 

Su, fidati, girati

imbocca via Zamboni, verso le due Torri, sempre dritto fino a

Piazza Maggiore e divo Petronio, dove il

Maometto vive in pace dentro la chiesa

che attende gli innamorati lì innamorati e che lì si sposeranno.

Ma io ne rimango fuori, mero spettatore dell'amore altrui,

perché caro Lucio, anch’io ho bisogno d’affetto

ma a modo mio.

 

Un turbine di bolognesità che ti accoglie

ti fa sentire a casa, protetto dai portici

eccoti a San Luca a con la bocca aperta

scoprirai poi qua con la poesia non si scherza.

 

Bologna è questa, città bipolare

capace d’amore, capace di morte

dove i neo - ancora? - comunisti inneggiano la revolución

ignoranti dell’essere in ritardo sul ‘68, ma, poveri cristi,

cercano comunque la lotta, attaccando ciò che amano:

 

uni, biblio, coetanei, non capendo che la vera rivoluzione

la farebbero studiando, così da rompere il sistema dall’interno.

 

 

 

XXVII

 

Qui, dove doveva essere la poesia a te dedicata

non vi è nulla, buco bianco

vuoto.

 

E non è tua timidezza

Dai, non metterla che non è il caso

ma proprio rifiuto

disconosciuta, come il figlio col padre

e non ne vuoi più sentir parlare, ma dell’oblio ne hai il diritto.

 

Poche righe ancora, poi finito

esplosione di delusione

Così mi allontani dici

e quindi che senso ha aprirsi?

Tu tieni tutto per te dici

 e poi rifiuti i miei segreti?

Tu sei pazzo dici

così difficile capirmi?

 

Qui, dove doveva esserci la poesia a te dedicata

non vi è nulla, buco bianco

vuoto.

MICHELA GORINI

poi ti chiedo di te

ti chiedo di me ti chiedo poi

ti chiedo fino usarti

il catalogo della tua estensione flessibilità fino

consumare dolcezza celata fino

ascoltare la nostra fine nei tuoi baci che mi

circondano mani bocca pelle guance dita fino

l’anima animale male

il mio male destino mi fai

nella tua presenza così

adorate le mie stanze sento

non il tuo bisogno la nostra estraneità

così ancora mi hai turbato ancora

trattenuta l’istante in cui cercavo

fuga al tuo rapimento dove non

potevo sapevo esistere lontana

smarrita sparsa ovunque nelle mie

verità ai tuoi piedi consumate

nell’arbitrarietà di una nostra

scrittura distante depurati di ogni

sentimentalismo

 

riflettendoci,

non potevo più amare parole che

ti lasciavano ammaliato provocato disturbato

anche tu ne eri assente senza renderlo

linguaggio muto fuori ti chiedo

parole di me

del nostro esistere

 

[poi ti chiedo di te]

 

 

ovunque ti spargi fai carne di questa mia

menzogna d’essere

un volto un suono che riponi

allora esisto ai tuoi occhi

se mi desideri

corpo

 

allontano il mio germe

 

si chiama stupore

la mia malattia

mi occorre – tutto

mi ammala dell’umana

infertilità

 

dove due solitudini possano

toccarsi, ti esporto fino

combaciare

 

[allontano il mio germe]

 

ovunque ti spargi fai carne di questa mia

menzogna d’essere

un volto un suono che riponi

allora esisto ai tuoi occhi

se mi desideri

 

corpo

l’istante in cui ti seguo

presenza a annuire i miei anni

ripete e incontra il vuoto

 

lì m’appartiene

il buco dove tu non centri

 

nuda

l’abito che porto

m’indossa

nuda

 

non è l’improvviso lì dove

fallisco questa mia sostanza

e mi manco è il mio

vuoto che mi doni reale

 

non sono le cose che pensi di me

io non sono

 

non è spazio la distanza

che prima m’incide e poi mi nega

i tuoi occhi per un filo di urgenze

e fatalità

 

l’attesa le fantasie smentite

mi trattenevano, non tu

così ti scagiono e ti chiamo a

sentirmi dolore

 

ti perdo voce

non esisto più

la mia lontananza indossa la tua e

nell’istante stesso in cui

mi nasce

la vita

mi muore

 

 

[nuda]

nel tuo sogno non ti ho detto

che ero io ma ho voluto

esserla per me

mi hai cercata nel mare – appuntata

alla bacheca delle tue conchiglie

pregandoti di lasciarmi entrare per la mia

irruenza e solitudine

mi sono impiegata a parlarmi di te

 

ci ha tolto sete il nostro pane quotidiano

continuavo a perderti prendendoti

per eccesso di partecipazione

perdevo la funzione della lingua dei denti

della produzione di amore

 

volevo far nascere la vita riprodurla

col sapore di me di te

leggere istantanee da riunire nel tuo salvavita

ho smesso di cercare allora, la tua immediatezza

 

forse eravamo noi

ogni istante

l’amore crudo inquieto

costante acceso

 

il lamento della mia sorte indivisibile

della mia sostanza inappagabile

 

la morsa interiore che mi chiude

i denti la bocca come può

e mi disarma e tu – lontano –

che mi doni presenza e mi parli

e mi disarmi col tuo solo

essere vivo

 

[conchiglie]

 

 

Inediti

ho paura di te ho paura e

ti sento già qui

sopra di me prossima

 

piango forse allora riempio gli occhi di liquido

 

scivolano fuori frammenti

d’acqua il mio pallore

 

mi sono sentita

mancare ieri

mi sono sentita

mancare aria

 

ho tremato

per lei

 

ho detto a lui – mi faccio tenerezza,

       devo darmi una possibilità

 

mi vedo la dolcezza, se mi assento

 

ogni goccia mi scivola

esterna la pelle mi scivola e

mi bacia

 

poi mi prosciugano gli occhi, le tempie

rumore, le tempie,

male – la testa, lei

male – la retina

 

le palpebre pesanti non posso più

ascoltare le pupille si scontrano

maledetto il suono forse un tempio

 

devo smetterla di cercarmi nuda negli occhi

la musica mi acceca e ho

paura di te ho paura e

ti sento

 

la vista mi acceca e mi disegno

disarmata

 

il sacro si avvale di me

mi usa ogni riverbero

mi calpesta nuda e io

 

piango allora

piango armata di quel nudo

piango al fondo

nella mia coscienza e

 

contemplo.

l’infinito mi disegna

piega nel suolo

 

mi verso sottile

mi contamina e mi lascio e mi illumino e

conto la meccanica dell’umano

 

 

[cieca]

manchi alla mia pelle

tu, arida sete

ha il suo nido nel buco

del suo nudo - la pelle

il nudo adesivo che hai tracciato

su di lei con indizi in purezza poi

hai lasciato circostanze

svanito e generato la stanza dove tu

ruoti e io prendo residenza

nata da te che generi

ogni volta

 

ogni volta che ti penso

ti credo mi abituo al tuo odore

alla tua sorte alla mia indefinibilità

 

allora spiro poi nuoto

immersa nel cortocircuito del tuo amore

che mi genera e mi produce alla forma

bizzarra delle mie estensioni che

fanno finta di morire per non esserti

di troppo

 

 

[nido]

Michela Gorini

è nata a Pesaro, svolge la libera professione come psicoanalista. Si è formata a Roma e specializzata secondo l’orientamento psicoanalitico di Jacques Lacan. 

Ha partecipato come relatrice a numerose conferenze sul tema della donna e dell’incontro, del corpo e dell’amore, in particolare: la presentazione del documentario di E. Francia Parla con lui. La voce maschile all’interno della coppia, per il ciclo Dialoghi davanti a un film, Consultorio La Famiglia, Fano; la conferenza-dibattito L’amore imperfetto. Malinteso e incontro nella coppia, per il ciclo Effetti collaterali del dolore. Istruzioni per un uso atipico, Libreria Il Catalogo, Pesaro; Le età della donna. Mutamento e rinnovamento, Centro Italiano Femminile, Pesaro; La donna, inventarsi per essere, Ass. PassePartout, Pesaro.

Ha partecipato all’edizione 2017 de L’angolo della poesia, Tutti i giorni che ha fatto Iddio con l’interpretazione di alcuni testi del poeta cileno P. Neruda. Ha partecipato alla presentazione dell’evento di poesia, per il ciclo Pesaro dal tramonto all’alba, dove ha letto e interpretato alcune sue poesie sul tema.

 

Nel 2018 è uscita la sua opera prima, che contiene l’ultima produzione sull’amore e il corpo, una raccolta di poesie edita per Dot.com Press Poesia, Milano, dal titolo La produzione di amore. Il testo è curato da F. Krauspenhaar, la prefazione da G. Frene. La raccolta è articolata in 4 sezioni, nella prima la voce del corpo femminile che strappa suoni e tremori all’intimo sentire per produrne parole; nella seconda il sentire si tramuta in domanda d’amore all’amato, che diventa sonorità, eco, rumore della propria mancanza; nella terza l’amore per il materno e la figura della Madre; nell’ultima parte l’amore perduto nell’istante in cui non si è trattenuto tra le mani l’impossibile dell’incontro.

 

 

 

 

 

 

 pioggiaobliquascritturedarte@gmail.com

 

 


 

" Pioggia Obliqua una rivista

affermata e prestigiosa."

 

" Un grazie di cuore a 

Pioggia Obliqua i cui molti meriti nei riguardi della "poesia onesta" di cui scriveva Saba non saranno mai abbastanza sottolineati."

 

Alessandro Fo

 

 

 

" Saprà o vorrà ancora la forza accumulata (...) resistere alla forza di omologazione che la tecnologia sembra inevitabilmente portare in seno?(...) Prevedo un lungo periodo di 'agonie', voglio dire di lotta (...) sarà probabilmente quella la forma e la sostanza del poetare che ci aspetta."

 

Mario Luzi

Da un suo scritto per Pioggia Obliqua a proposito del  'senso di fare  poesia', gennaio 1996

 

 

" Io credo che un pò di silenzio ci faccia bene, c’è un coro di voci “troppo alto”, sgraziato, che ci sommerge, e non mi riferisco solo alla letteratura. In questa specie di “frullato” che siamo costretti ad ascoltare quotidianamente, il valore delle cose si perde.

 

Se c’è un attimo di riflessione, di

silenzio, la parola scritta o detta assume maggiore rigore."

 

 

Antonio Tabucchi

 

Intervista rilasciata a Luigi Oldani e

Elisabetta Beneforti per Pioggia Obliqua 

 

 


" Il sito Pioggia Obliqua mi ha "donato questa nota sul mio libro (...), ma l'intero sito è da seguire."

 " (...) e un ringraziamento per tutto ciò che P.O. fa per il mondo della poesia."

 " (..) E la stima è da me ricambiata verso il vostro prezioso sito!"

 (...) sempre attenti e preziosi gli amici di "Pioggia Obliqua".

 

Bruno Galluccio

 

 

" Un bel luogo d'incontro tra scritture."

 

Matteo Pelliti

 

 


" Non so dire se la bellezza salverà il mondo, come pensava Dostoevskij, ma mi piace pensare che sarà così. In fondo, già Stendahl sosteneva che "la bellezza non è che una promessa di felicità". 

 

Vittoria Franco

per Pioggia Obliqua

 

 

" Agli amici tanto tanto amati di Pioggia Obliqua, poeti invincibili della vita, il mio abbraccio umile e il mio ringraziamento, per mantenere la poesia come unica veritá nel mondo."

 

Daniel Fermani Gonzales

 

 

 

 

" Rivista preziosa, che seguo da tempo."

 

Alfredo Rienzi

 

                 

 

 

 

                    

 

 

                  

 

                       Consigli di lettura

 

 

    

 Nella omonima rivista cartacea 'Pioggia obliqua rivista di letteratura e culture', pubblicata negli anni Novanta, una intervista a
Antonio Tabucchi,
Edoardo Sanguineti,
Mario Luzi. 
Un testo di Valerio Magrelli. 
Mario Luzi, Luigi Baldacci, Patrizia Valduga, Attilio Lolini, Gabriel Cacho Millet, Marco Marchi e Loriano Gonfiantini rispondono
sul senso di fare poesia in quegli anni.
Risposte attualissime.

 

 

 

 

 

 

 

 


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