Sotto la Pioggia
con
Antonio Tabucchi
-Iniziamo parlando di un suo libro, Sogni di sogni, non Le pare che il sostituirsi agli scrittori con i propri sogni sia un’operazione riconducibile agli ortonimi o eteronimi di Pessoa?
Tabucchi- In realtà l’operazione che ha fatto Pessoa inventando dei personaggi che si sono messi a poetare è fortemente romanzesca perchè qualsiasi scrittore fa questo, inventa un personaggio e vive attraverso di lui; Pessoa ha portato il gioco alle estreme conseguenze, è arrivato al punto di adottare uno stile diverso per ogni personaggio, di avere una poetica diversa, di metterli in comunicazione fra di loro, di far si che si scrivessero delle lettere a vicenda, tuttavia l’operazione resta fortemente romanzesca. Qualsiasi romanziere che inventa un personaggio crea sempre un eteronimo, attraverso il quale vive lui stesso. Certamente anch’io ho vissuto le mie emozioni immergendomi nell’animo dei personaggi che comunque non sono di finzione perchè i personaggi di cui parlo sono tutti realmente esistiti e per di più sono artisti.
-Anche il sogno è un modo per riempire i vuoti e la letteratura può quindi supplire a ciò che andato perduto?
Tabucchi- Ritornando al nostro amato Fernando Pessoa,(che poi è il titolo della vostra rivista), lui diceva che la letteratura è la dimostrazione che la vita non basta, se bastasse non si sognerebbe neppure. Sappiamo che il sogno può essere la proiezione di un desiderio, quindi in questo caso ho fatto divenire la letteratura supplente, vicaria di una cosa che ci manca, mi sembra che anche questo sia il compito della letteratura, ovvero di inventare delle cose che non abbiamo, di cui non è restata traccia.
-Lei racconta spesso di quel suo famoso romanzo lanciato nell’Atlantico pagina dopo pagina, allora, come atto ‘estremo’ è importante talvolta per lo scrittore imporsi anche il silenzio?
Tabucchi- Certo, il silenzio è essenziale, come l’intervallo musicale, è un laboratorio, una promessa, uno spazio larvale in cui poi nasce qualcosa, il mio gesto significava forse un rapporto non felice con lo scritto, quindi talvolta quando è così si deve ’amputare’. Il gesto era forse un pò romantico, ma voleva essere ironico nei miei confronti. Tuttavia, spesso la scrittura è più forte di noi, trova, come i fiumi sotterranei , una via di uscita da un’altra parte. Dopo tanti anni infatti è riapparso nell’ Angelo nero, naturalmente con variazioni e in forma diversa.
-Lei ha voluto usare in un suo romanzo direttamente la lingua portoghese come lingua di confine, di un oltre? Ma perchè, visto che Lei è toscano e quindi parla una lingua ‘antica’ e ‘pura’?
Tabucchi- Il portoghese è la mia lingua affettiva,adottiva, che ha forse sostituito il dialetto che io non avevo, che ho imparato fin da giovane. Il Portogallo è un paese che ho adottato e che mi ha adottato. Quando ho scritto Requiem non l’ho fatto progettualmente, direi che piuttosto il libro si è scritto da solo come spesso se ne scrivono molti. Un anesotto curioso è che quando ho cominciato a scriverlo non mi trovavo nè in Italia nè in portogallo ma a Parigi...inizialmente pensavo di tradurlo ma ciò mi era sembrato molto forzativo perché così spontanea era stata la scrittura in portoghese. Mi ricordo di aver trovato una frase- facendo un’indagine psicanalitica sullo scrivere in un’altra lingua- che mi ha dato forse una chiave di interprestazione di quello che io avevo fatto. “ Si può dimenticare in una lingua e ricordare in un’altra” e mi sono reso conto che se io penso o rifletto su i miei ricordi portoghesi questi ricordi non ci sono se io li penso in italiano, per ricordarli bene bisogna che li pensi in portoghese.
-Il tempo passato, presente e futuro è un tempo unico per Tabucchi, dove tutto ritorna oppure è ritornato già...
Tabucchi- Io credo ci siano, ed è una banalità il tempo cronologico e il tempo dell’anima, ed è quest’ultimo che io frequento con maggior piacere e che è anche quello della scrittura.
Qui i personaggi si mescolano, ritornano, si affacciano, ci fanno rivivere delle storie ne vogliono vivere altre. Non bisogna affrontare il tempo dell’ anima come se fosse il tempo della quotidianità.
-Nei suoi romanzi spesso c’è un passaggio dal fatto quotidiano a quello straordinario e viceversa, non lo si può mettere in contatto con una tradizione consolidata del romanzo?
Tabucchi- Credo che nella nostra realtà vi siano cose molto inspiegabili che appartengono già di per se quasi al fantastico e a volte mi sono provato di “acchiappare” lo straordinario che accade nella realtà. Forse il fantastico che più mi piace non è quello puro come direbbe Todorov e quindi non è il fantastico dei romantici, è un fantastico che partecipa alla realtà che ci circonda. Credo che il lavoro dello scrittore sia rendere leggero quello che è molto pesante, che ci ossessiona, ci addolora, ci impressiona; sulla pagina tutto ciò può acquistare una sua leggerezza, la parola ha una forza decantatrice, depuratrice, non ha la massiccia presenza del reale, dunque in modo è da filtro, questo lavoro di leggerezza è un pò la stimmate dello scrittore.
-Veniamo a chiederLe alcune impressioni o idee riguardo a “entità” importanti per la sua poesia, tematiche ... Il mare ad esempio, disperde le certezza?
Tabucchi- questa è una frase poetica, io non ho mai scritto poesie, non so se il mare disperda le certezze, il mare come lo intendeva Pessoa è il mare dell’ode marittima, che richiamava gli antichi velieri di Coleridge, i pirati di Stevenson, il brulichio delle persone sul molo sul quale Pessoa andava a aspettare che arrivassero i vascelli dall’Oriente. Sul mare
Si disperdono le certezze forse anche perché il mare è quello che ci mostra meglio l’orizzonte, quando noi viviamo nelle nostre case il filo dell’orizzonte è assente, sul mare lo vediamo meglio e dunque la certezza si disfa un pò come la nebbia, si sfilaccia.
-Torniamo ai suoi romanzi, Lei si riconosce nella letteratura come vita? Tabucchi nella sua “incongruità”, nei suoi possibili e impossibili, nelle sue “realtà”, crede che si possa interagire, prendere posizione su alcuni problemi quotidiani, politici?
Tabucchi- Molti dei miei libri credo partano dalla realtà quotidiana, tra l’altro, ce ne sono alcuni che sono molto ancorati alla realtà. L’ Angelo nero è un libro di racconti fortemente partecipe della realtà quotidiana. Per altro ho visto che ci sono stati dei giudici che si sono persino risentiti su un racconto, perché insieme a un libro di Sciascia lo hanno indicato come opinionista di un processo politico, quindi atto a influenzare l’opinione pubblica. Tuttavia la letteratura fa sempre un’altra operazione perché per parlare del reale quotidiano, così com’è è molto più efficace la televisione o il giornalismo; se la letteratura dovesse fare questa cosa si metterebbe in pericolosa concorrenza. La letteratura deve arrivare dove non arriva la macchina da presa, altrimenti per la letteratura non c’è più spazio.
-Non crede che la poesia, il romanzo, oggi, debbano in parte ricercare anche il silenzio, l’assenza?
Tabucchi- Io credo che un pò di silenzio ci faccia bene, c’è un coro di voci “troppo alto”, sgraziato, che ci sommerge, e non mi riferisco solo alla letteratura. In questa specie di “frullato” che siamo costretti ad ascoltare quotidianamente, il valore delle cose si perde.
Se c’è un attimo di riflessione, di silenzio, la parola scritta o detta assume maggiore rigore.
Intervista rilasciata a Luigi Oldani e Elisabetta Beneforti per Pioggia Obliqua l’anno 1993
a casa di Antonio Tabucchi a Vecchiano.
*vedi in "noi" le informazioni relative a Pioggia Obliqua versione cartacea.