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Roberto          Deidier

 

POESIE

 

Fotografia di Domenico Stagno
Fotografia di Domenico Stagno

 

 

 

 

 

Petronio

 

 

Non mandano oracoli o numi

 

le ombre che agitano i sogni.

 

Accerchiare il pensiero è un’invenzione

 

che a ciascuno si dà. Come il silenzio

 

s’appropria del corpo assonnato

 

gioca libera, la mente,

 

proietta al buio il giorno.

 

 

 

Chi supera avamposti in una guerra

 

e brucia città da commiserare

 

vede uomini in fuga, funerali di re

 

e sangue che scorre sui campi.

 

All’avvocato le leggi e il foro,

 

l'apprensione per chi sarà la corte.

 

L'avaro interra e dissotterra gli ori.

 

 

 

Il cacciatore è per fossati coi cani. Chi sul mare

 

naufrago s’aggrappa a ciò che resta

 

della poppa strappata alle onde.

 

Scrive all’amico, la puttana. L’adultera fa doni.

 

E il cane abbaia nel sonno a orme di lepre.

 

L’ansia di questa miseria

 

non dura che lo spazio d’una notte.

 

 

 

 

 

 

Addio dei compagni

 

 

-Andare è solo il modo di aiutarti-

 

mi dice l’ultima voce,

 

troppo vicina per essere intesa,

 

né ripete la frase che mi aggira

 

e non vuole saperne di fermarsi.

 

Sono usciti da un lungo corridoio,

 

vanno giù per la scala di ferro

 

col rumore dei loro passi svelti,

 

come saltelli ancora di bambini:

 

ma sono divenuti grandi, anche per me

 

che già avevo scelto

 

e non riesco neppure più a vederli

 

mentre scendono a toccare terra.

 

 

 

 

 

 

Città

 

 

C’è un motivetto allegro,

 

oggi, nella testa.

 

 

 

Mia città, questo sia l’ultimo ostacolo

 

Sul reticolo sordo delle tue strade.

 

Domani porterò con me

 

Un pensiero più scaltro,

 

Scarpe leggere e forse un padre

 

Che m’aspetta alla fine del viale,

 

Occhi aperti lungo il filo

 

Delle tante impalcature dove cresci.

 

Ma spogli, silenziosi come un cortile

 

A mezzo inverno, come un frullo

 

Fattosi volo e nessuno insegue,

 

Arrancano già i compagni,

 

Ognuno stringe a sé il suo calendario.

 

Dove il mio, dove più?

 

 

 

E’ un motivetto allegro                         

 

Oggi, la testa.

 

 

 

 

 

 

 

Facile

 

 

Mio amore, questo è l’ultimo treno

 

Fra i tanti che abbiamo visto passare:

 

Gli scambi riposeranno fino a domani.

 

E io sento altri rumori, la notte,

 

Il battito difforme di una corsa

 

Lungo binari senza ferro e travi.

 

E’ qualcuno che porta la mia vita

 

Sulle spalle, ma non mi somiglia.

 

Aggirerà cento semafori spenti,

 

Pensiline come isole deserte,

 

Altoparlanti di nessuna partenza

 

Da annunciare. Perché questo

 

E’ l’ultimo treno, amore mio,

 

E nessuno verrà a dirti ciò che manca

 

Ai nostri giorni insieme.

 

 

 

 

 

 

 

 

Il decimo anno

 

 

Per quanti anni mi sono chiesto

 

Della distanza: quanto impiega il mio grido

 

A raggiungerti, se è più forte il sonno dei giorni.

 

Se poi hanno peso il dato e il preso

 

O sono invece un gas leggero che svanisce

 

 

 

Lì dove non siamo mai stati;

 

Se raggiunge una domanda una sola

 

Parola e si può passare la corrente;

 

Se esiste la corrente che ci vuole

 

Diversi e ancora uguali,

 

O i pixel della notte hanno riflesso

 

Lo stesso sguardo sulle nostre facce.

 

 

 

Ora non conto più i passi né i nomi

 

Gli abbracci dei risvegli e i viaggi

 

Gli squilli del telefono i discorsi fatti

 

E quelli per sempre mancati.

 

 

 

Per il sempre che non so contare

 

Le nostre mille schegge qui raccolte

 

A darci fiato dietro un muro di allegria,

 

Le ostentate valigie della partenza

 

Ancora vuote dall’ultimo ritorno.

 

 

 

 

 

 

 

Il primo orizzonte

 

 

A un miglio da terra prima dell’alba

 

Solo questa fusoliera divide il cielo

 

Fino al primo fendente di sole.

 

 

 

Così va disegnandosi il giorno:

 

Lo spettro lascia esistere crinali

 

Lontanissimi e in quella distanza

 

E’ quel che basta ad abbracciare il mondo,

 

Questo giorno per noi tutti uguale.

 

 

 

Fuori c’è il primo orizzonte,

 

Dentro giacche, occhiali, giornali.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La lepre

 

 

Era un mondo verde.

 

Pensieri verdi

 

si raggomitolavano in silenzio

 

nel campo della sua mente.

 

Odore di mucche, di latte

 

espansione di dolci radici

 

sottoterra.

 

 

 

Poi udì un tuono.

 

Il cielo le cadde addosso.

 

La collina inghiottì il sole.

 

Il mondo si spense

 

come un fiammifero al vento.

 

Sotto la pelliccia del ventre

 

scalciava viva la nidiata.

 

Aveva gli occhi aperti,

 

la schiuma della morte distruggeva

 

la gioia, il grande splendore.

 

 

 

Perdonami, ragazza.

 

Non avevo un coltello

 

per liberarti i figli.

 

Perdonami.

 

 

 

(Hartnett)

 

 

 

 

 

 

 

La casa

 

 

Il sole scende dietro i piatti sporchi.

 

Il lavandino è un porto di liquami.

 

E nella penombra nuova

 

L’occhio inventa le sagome

 

Di chi un tempo è passato in queste stanze.

 

 

 

Sono stata spesso ostile ai miei inquilini.

 

Mi sono aperta di crepe

 

Come fossi la faccia della morte.

 

Ho lasciato che le luci si spegnessero

 

Senza riaccendersi. I letti erano freddi

 

E al mattino nascondevo tutta l’acqua.

 

 

 

L’agente illustra i pregi,

 

Ampiezza metratura posizione.

 

Prezzo accomodante, eppure avverto

 

Arrendevolezze inospitali,

 

La fatica che costa appartenere.

 

 

 

Questa casa, sono stato questa casa.

 

Un tempo, una volta, una vita.

 

 

 

 

 

 

 

 

Daniele

 

 

Quando alle prime luci ho aperto gli occhi

 

Era vuota, la fossa dei leoni.

 

Nessuna traccia del loro passaggio,

 

Come fossero esistiti mai.

 

Nulla, proprio nulla,

 

Neppure quel fetore che ogni notte

 

M’attanagliava più della paura.

 

Perché ho avuto paura.

 

Sul muro di fronte casa mia

 

Restano scritte

 

Che mai sono riuscito a interpretare.

 

E non so se a tracciarle sia la mano

 

Che mi indica la fossa dei leoni.

 

 

 

 

 

 

 

Una notte informale

 

 

Pensavo di non avere più memoria,

 

Come un peso invisibile sul collo.

 

Apparsi da uno sfondo senza tempo

 

Mio padre e mia madre sono chiusi

 

In una vettura rossa.

 

Dietro gli anabbaglianti

 

Riconosco a malapena i loro sguardi,

 

Sul parabrezza

 

Si riflette la luce dei lampioni.

 

Ma non possono essere altri:

 

Le labbra mimano la disperazione

 

A lungo custodita al posto loro.

 

Le mie vene sono le strade percorse

 

Da quell’auto.

 

Li ho sentiti sbandare nel mio corpo

 

Quante volte, come un’agonia.

 

Mi svegliavo con il pudore d’un bambino

 

Che ha appena scritto la sua prima poesia.

 

 

 

 

 

 


Petronio, Addio dei compagni, Città, Facile da Una stagione continua. Poesie 1986-1996, peQuod 2002;
Il decimo anno, Il primo orizzonte da Il primo orizzonte, San Marco dei Giustiniani 2002
La lepre da Gabbie per nuvole, Empirìa 2011;
La casa, Daniele, Una notte informale da Solstizio, Mondadori 2014.

 

 

 

Fotografia di Domenico Stagno
Fotografia di Domenico Stagno

 

                                                       INEDITI

 

 

 

 

 

Perché si muore ogni momento

 

E a nulla serve voltarsi.

 

Indietro vanno solo i ricordi,

 

Crudeli come una sconfitta.

 

Non teniamo i pugni stretti,

 

Anche il destino più lento

 

È pur sempre un destino.

 

 

 

Quale sia la lingua degli addii

 

C’è da chiedersi, senza più rabbia,

 

Come i discepoli davanti al maestro

 

Che scrive col dito sulla sabbia.

 

 

 

 

 

 

 

 

Piovasco

 

 

 

Ecco i giorni dell’acqua, la costellazione

 

S’apre a  cascata, stinge il destino

 

O forse i sogni si scrivono con lettere

 

Trasparenti? Scende sul marciapiede

 

Come una felicità mancata:

 

La sua cadenza è un’ossessione.

 

 

 

Quante volte dietro i vetri assistiamo

 

A una congiura che ci sembra estranea –

 

Nuvole, diciamo, passeranno in fretta

 

Per dirigersi altrove e non sappiamo

 

E non vogliamo sapere, siamo solo

 

I testimoni del clima, una giornata

 

Adatta per spostare mobili,

 

Svuotare la memoria, serrare la cantina.

 

 

 

 

 

 

 

 

L’ombra della finestra sulla parete azzurra

 

All’alba, il profilo nero della bottiglia,

 

La santità del silenzio dopo l’amore

 

Forse li hai portati nel respiro

 

Del sonno, forse hai sentito

 

Quanto ero sveglio per non aver creduto

 

A un miraggio che durava,

 

Arreso infine a una stanchezza senza sogni.

 

 

 

Quest’autostrada mi riporta indietro

 

Al mio futuro, ad altri viaggi senza te,

 

Mi fa pensare come scorre sull’asfalto

 

La mia attesa, come stia in agguato la paura

 

A un cantiere, a una deviazione,

 

Se questo altro non siamo, un percorso

 

Di accidentata felicità, di sorprese

 

Non segnalate, incaute sospensioni.

 

 

 

 

Fotografia di Carla Morselli
Fotografia di Carla Morselli

 

 

 

 

Roberto Deidier ha esordito nel 1989 su «Tempo Presente», con una presentazione di Elio Pecora, su segnalazione di Amelia Rosselli. Nel 1995 pubblica in volume Il passo del giorno (Sestante), con prefazione di Antonio Prete (premio Mondello opera prima). Nel 1999 pubblica la seconda raccolta, Libro naturale, con un’incisione di Giulia Napoleone e nel 2002 riunisce i primi due libri in Una stagione continua (peQuod, risvolto di Fernando Bandini). Sempre in quell’anno congeda il nuovo libro, Il primo orizzonte (San Marco dei Giustiniani, prefazione di Luigi Surdich, incisione di Piero Guccione). Nel 2011, per Empirìa, pubblica un insolito quaderno di traduzioni, Gabbie per nuvole. Nel 2014 appare Solstizio (Mondadori, premio L’Aquila-Laudomia Bonanni, premio Brancati Zafferana, premio Frascati). Ordinario di Letterature comparate presso l’università di Enna «Kore», è molto attivo sul versante della critica. Si ricordano, presso Sellerio, i volumi Le forme del tempo. Miti, fiabe, immagini di Italo Calvino (2004), Le parole nascoste. Le carte ritrovate di Sandro Penna (2008), Il lampo e la notte. Per una poetica del moderno (2012). Ha curato opere e carteggi di autori come Montale, Saba, Penna, Sicari, Manganelli, Bellezza. È nel comitato scientifico della rivista «Poeti e poesia», dove cura la rubrica «Periscopio», e tiene nel suo blog la rubrica «Ailanto». www.robertodeidier.it

 

R. Deidier con A. Zagaiewskj, fotografia di Dino Ignani
R. Deidier con A. Zagaiewskj, fotografia di Dino Ignani

 

 

 

                 ROBERTO DEIDIER

 

La pagina viene presentata per gentile concessione dell'autore a Pioggia Obliqua

 

 pioggiaobliquascritturedarte@gmail.com

 

 


 

" Pioggia Obliqua una rivista

affermata e prestigiosa."

 " Un grazie di cuore a 

Pioggia Obliqua i cui molti meriti nei riguardi della poesia non saranno mai abbastanza sottolineati."

 

Alessandro Fo

 

 

" Saprà o vorrà ancora la forza accumulata (...) resistere alla forza di omologazione che la tecnologia sembra inevitabilmente portare in seno?(...) Prevedo un lungo periodo di 'agonie', voglio dire di lotta (...) sarà probabilmente quella la forma e la sostanza del poetare che ci aspetta."

 

Mario Luzi

Da un suo scritto per Pioggia Obliqua a proposito

del  'senso di fare  poesia', gennaio 1996

 

 

" Io credo che un pò di silenzio ci faccia bene, c’è un coro di voci “troppo alto”, sgraziato, che ci sommerge, e non mi riferisco solo alla letteratura. In questa specie di “frullato” che siamo costretti ad ascoltare quotidianamente, il valore delle cose si perde.

 

Se c’è un attimo di riflessione, di

silenzio, la parola scritta o detta assume maggiore rigore."

 

 

Antonio Tabucchi

 

Intervista rilasciata a Luigi Oldani e

Elisabetta Beneforti per Pioggia Obliqua 

 

 


" Il sito Pioggia Obliqua mi ha "donato questa nota sul mio libro (...), ma l'intero sito è da seguire."

 " (...) e un ringraziamento per tutto ciò che P.O. fa per il mondo della poesia."

 " (..) E la stima è da me ricambiata verso il vostro prezioso sito!"

 (...) sempre attenti e preziosi gli amici di "Pioggia Obliqua".

 

Bruno Galluccio

 

 

" Un bel luogo d'incontro tra scritture."

 

Matteo Pelliti

 

 


" Non so dire se la bellezza salverà il mondo, come pensava Dostoevskij, ma mi piace pensare che sarà così. In fondo, già Stendahl sosteneva che "la bellezza non è che una promessa di felicità". 

 

Vittoria Franco

per Pioggia Obliqua

 

 

" Agli amici tanto tanto amati di Pioggia Obliqua, poeti invincibili della vita, il mio abbraccio umile e il mio ringraziamento, per mantenere la poesia come unica veritá nel mondo."

 

Daniel Fermani Gonzales

 

 

 

 

" Rivista preziosa, che seguo da tempo."

 

Alfredo Rienzi

 

                 

 

 

 

                    

 

 

                  

 

                       Consigli di lettura

 

 

    

 Nella omonima rivista cartacea 'Pioggia obliqua rivista di letteratura e culture', pubblicata negli anni Novanta, una intervista a
Antonio Tabucchi,
Edoardo Sanguineti,
Mario Luzi. 
Un testo di Valerio Magrelli. 
Mario Luzi, Luigi Baldacci, Patrizia Valduga, Attilio Lolini, Gabriel Cacho Millet, Marco Marchi e Loriano Gonfiantini rispondono
sul senso di fare poesia in quegli anni.
Risposte attualissime.

 

 

 

 

 

 

 

 


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