Roberto Deidier
POESIE
Petronio
Non mandano oracoli o numi
le ombre che agitano i sogni.
Accerchiare il pensiero è un’invenzione
che a ciascuno si dà. Come il silenzio
s’appropria del corpo assonnato
gioca libera, la mente,
proietta al buio il giorno.
Chi supera avamposti in una guerra
e brucia città da commiserare
vede uomini in fuga, funerali di re
e sangue che scorre sui campi.
All’avvocato le leggi e il foro,
l'apprensione per chi sarà la corte.
L'avaro interra e dissotterra gli ori.
Il cacciatore è per fossati coi cani. Chi sul mare
naufrago s’aggrappa a ciò che resta
della poppa strappata alle onde.
Scrive all’amico, la puttana. L’adultera fa doni.
E il cane abbaia nel sonno a orme di lepre.
L’ansia di questa miseria
non dura che lo spazio d’una notte.
Addio dei compagni
-Andare è solo il modo di aiutarti-
mi dice l’ultima voce,
troppo vicina per essere intesa,
né ripete la frase che mi aggira
e non vuole saperne di fermarsi.
Sono usciti da un lungo corridoio,
vanno giù per la scala di ferro
col rumore dei loro passi svelti,
come saltelli ancora di bambini:
ma sono divenuti grandi, anche per me
che già avevo scelto
e non riesco neppure più a vederli
mentre scendono a toccare terra.
Città
C’è un motivetto allegro,
oggi, nella testa.
Mia città, questo sia l’ultimo ostacolo
Sul reticolo sordo delle tue strade.
Domani porterò con me
Un pensiero più scaltro,
Scarpe leggere e forse un padre
Che m’aspetta alla fine del viale,
Occhi aperti lungo il filo
Delle tante impalcature dove cresci.
Ma spogli, silenziosi come un cortile
A mezzo inverno, come un frullo
Fattosi volo e nessuno insegue,
Arrancano già i compagni,
Ognuno stringe a sé il suo calendario.
Dove il mio, dove più?
E’ un motivetto allegro
Oggi, la testa.
Facile
Mio amore, questo è l’ultimo treno
Fra i tanti che abbiamo visto passare:
Gli scambi riposeranno fino a domani.
E io sento altri rumori, la notte,
Il battito difforme di una corsa
Lungo binari senza ferro e travi.
E’ qualcuno che porta la mia vita
Sulle spalle, ma non mi somiglia.
Aggirerà cento semafori spenti,
Pensiline come isole deserte,
Altoparlanti di nessuna partenza
Da annunciare. Perché questo
E’ l’ultimo treno, amore mio,
E nessuno verrà a dirti ciò che manca
Ai nostri giorni insieme.
Il decimo anno
Per quanti anni mi sono chiesto
Della distanza: quanto impiega il mio grido
A raggiungerti, se è più forte il sonno dei giorni.
Se poi hanno peso il dato e il preso
O sono invece un gas leggero che svanisce
Lì dove non siamo mai stati;
Se raggiunge una domanda una sola
Parola e si può passare la corrente;
Se esiste la corrente che ci vuole
Diversi e ancora uguali,
O i pixel della notte hanno riflesso
Lo stesso sguardo sulle nostre facce.
Ora non conto più i passi né i nomi
Gli abbracci dei risvegli e i viaggi
Gli squilli del telefono i discorsi fatti
E quelli per sempre mancati.
Per il sempre che non so contare
Le nostre mille schegge qui raccolte
A darci fiato dietro un muro di allegria,
Le ostentate valigie della partenza
Ancora vuote dall’ultimo ritorno.
Il primo orizzonte
A un miglio da terra prima dell’alba
Solo questa fusoliera divide il cielo
Fino al primo fendente di sole.
Così va disegnandosi il giorno:
Lo spettro lascia esistere crinali
Lontanissimi e in quella distanza
E’ quel che basta ad abbracciare il mondo,
Questo giorno per noi tutti uguale.
Fuori c’è il primo orizzonte,
Dentro giacche, occhiali, giornali.
La lepre
Era un mondo verde.
Pensieri verdi
si raggomitolavano in silenzio
nel campo della sua mente.
Odore di mucche, di latte
espansione di dolci radici
sottoterra.
Poi udì un tuono.
Il cielo le cadde addosso.
La collina inghiottì il sole.
Il mondo si spense
come un fiammifero al vento.
Sotto la pelliccia del ventre
scalciava viva la nidiata.
Aveva gli occhi aperti,
la schiuma della morte distruggeva
la gioia, il grande splendore.
Perdonami, ragazza.
Non avevo un coltello
per liberarti i figli.
Perdonami.
(Hartnett)
La casa
Il sole scende dietro i piatti sporchi.
Il lavandino è un porto di liquami.
E nella penombra nuova
L’occhio inventa le sagome
Di chi un tempo è passato in queste stanze.
Sono stata spesso ostile ai miei inquilini.
Mi sono aperta di crepe
Come fossi la faccia della morte.
Ho lasciato che le luci si spegnessero
Senza riaccendersi. I letti erano freddi
E al mattino nascondevo tutta l’acqua.
L’agente illustra i pregi,
Ampiezza metratura posizione.
Prezzo accomodante, eppure avverto
Arrendevolezze inospitali,
La fatica che costa appartenere.
Questa casa, sono stato questa casa.
Un tempo, una volta, una vita.
Daniele
Quando alle prime luci ho aperto gli occhi
Era vuota, la fossa dei leoni.
Nessuna traccia del loro passaggio,
Come fossero esistiti mai.
Nulla, proprio nulla,
Neppure quel fetore che ogni notte
M’attanagliava più della paura.
Perché ho avuto paura.
Sul muro di fronte casa mia
Restano scritte
Che mai sono riuscito a interpretare.
E non so se a tracciarle sia la mano
Che mi indica la fossa dei leoni.
Una notte informale
Pensavo di non avere più memoria,
Come un peso invisibile sul collo.
Apparsi da uno sfondo senza tempo
Mio padre e mia madre sono chiusi
In una vettura rossa.
Dietro gli anabbaglianti
Riconosco a malapena i loro sguardi,
Sul parabrezza
Si riflette la luce dei lampioni.
Ma non possono essere altri:
Le labbra mimano la disperazione
A lungo custodita al posto loro.
Le mie vene sono le strade percorse
Da quell’auto.
Li ho sentiti sbandare nel mio corpo
Quante volte, come un’agonia.
Mi svegliavo con il pudore d’un bambino
Che ha appena scritto la sua prima poesia.
Petronio, Addio dei compagni, Città, Facile da Una stagione continua. Poesie 1986-1996, peQuod 2002;
Il decimo anno, Il primo orizzonte da Il primo orizzonte, San Marco dei Giustiniani 2002
La lepre da Gabbie per nuvole, Empirìa 2011;
La casa, Daniele, Una notte informale da Solstizio, Mondadori 2014.
INEDITI
Perché si muore ogni momento
E a nulla serve voltarsi.
Indietro vanno solo i ricordi,
Crudeli come una sconfitta.
Non teniamo i pugni stretti,
Anche il destino più lento
È pur sempre un destino.
Quale sia la lingua degli addii
C’è da chiedersi, senza più rabbia,
Come i discepoli davanti al maestro
Che scrive col dito sulla sabbia.
Piovasco
Ecco i giorni dell’acqua, la costellazione
S’apre a cascata, stinge il destino
O forse i sogni si scrivono con lettere
Trasparenti? Scende sul marciapiede
Come una felicità mancata:
La sua cadenza è un’ossessione.
Quante volte dietro i vetri assistiamo
A una congiura che ci sembra estranea –
Nuvole, diciamo, passeranno in fretta
Per dirigersi altrove e non sappiamo
E non vogliamo sapere, siamo solo
I testimoni del clima, una giornata
Adatta per spostare mobili,
Svuotare la memoria, serrare la cantina.
L’ombra della finestra sulla parete azzurra
All’alba, il profilo nero della bottiglia,
La santità del silenzio dopo l’amore
Forse li hai portati nel respiro
Del sonno, forse hai sentito
Quanto ero sveglio per non aver creduto
A un miraggio che durava,
Arreso infine a una stanchezza senza sogni.
Quest’autostrada mi riporta indietro
Al mio futuro, ad altri viaggi senza te,
Mi fa pensare come scorre sull’asfalto
La mia attesa, come stia in agguato la paura
A un cantiere, a una deviazione,
Se questo altro non siamo, un percorso
Di accidentata felicità, di sorprese
Non segnalate, incaute sospensioni.
Roberto Deidier ha esordito nel 1989 su «Tempo Presente», con una presentazione di Elio Pecora, su segnalazione di Amelia Rosselli. Nel 1995 pubblica in volume Il passo del giorno (Sestante), con prefazione di Antonio Prete (premio Mondello opera prima). Nel 1999 pubblica la seconda raccolta, Libro naturale, con un’incisione di Giulia Napoleone e nel 2002 riunisce i primi due libri in Una stagione continua (peQuod, risvolto di Fernando Bandini). Sempre in quell’anno congeda il nuovo libro, Il primo orizzonte (San Marco dei Giustiniani, prefazione di Luigi Surdich, incisione di Piero Guccione). Nel 2011, per Empirìa, pubblica un insolito quaderno di traduzioni, Gabbie per nuvole. Nel 2014 appare Solstizio (Mondadori, premio L’Aquila-Laudomia Bonanni, premio Brancati Zafferana, premio Frascati). Ordinario di Letterature comparate presso l’università di Enna «Kore», è molto attivo sul versante della critica. Si ricordano, presso Sellerio, i volumi Le forme del tempo. Miti, fiabe, immagini di Italo Calvino (2004), Le parole nascoste. Le carte ritrovate di Sandro Penna (2008), Il lampo e la notte. Per una poetica del moderno (2012). Ha curato opere e carteggi di autori come Montale, Saba, Penna, Sicari, Manganelli, Bellezza. È nel comitato scientifico della rivista «Poeti e poesia», dove cura la rubrica «Periscopio», e tiene nel suo blog la rubrica «Ailanto». www.robertodeidier.it
ROBERTO DEIDIER
La pagina viene presentata per gentile concessione dell'autore a Pioggia Obliqua