Having a coke with you
rubrica a cura di Sara Comuzzo
Having A Coke With You/Bere Una Coca Con Te è il titolo di una poesia di Frank O’Hara (1926-1966) che parla di essere innamorati, opere d’arte, l’arancione di tulipani fluorescenti, gente e statue, movimento ed immobilità, ritratti senza faccia e ubriacature di colori. Fotografa cose semplici e quotidiane da fare con la persona amata, come andare a guardare un quadro o bersi una coca-cola, mentre si rimane sorridenti ed estatici di fronte al sole di New York delle quattro in punto. Questa poetica centrifuga nello stesso cocktail letteratura e arte, vita e sogno: postmodernismo, pop-art, surrealismo, queerness, flusso di coscienza e tecnica del cut-up si fondono in chiave ironica, attraverso l’uso di un linguaggio semplice ed accessibile. Ancorandosi saldamente a tali premesse, questa rubrica pretende di analizzare con la stessa eclettica ermeneutica testi di poeti contemporanei italiani e stranieri, ricercando voci fuori dal coro che deviano dal canone frantumandone i confini.
1. Inediti di Ariane Castelo Cipriano: Tacere Non È Volere Il Silenzio
Questi tre inediti di Ariane Castelo Cipriano volano ad ampio raggio varcando distanze planetarie, raggiungendo paesaggi lunari con una bici a scatto fisso e perdendo autobus a ripetizione mentre sono contemporaneamente indaffarati nella ricerca di scuse e silenzi.
Eppure, a volte, le cose non sono esattamente come sembrano. Non rispondere a una domanda, non saper scegliere, non trovare cosa dire “non è volere il silenzio.” È molto altro, molto di più. Inutile cercare scuse: anche se non si riesce a salire sui mezzi di trasporto, rimangono le strade, impassibili ed eterne. Le strade, come le scelte e come le risposte, possono essere percorse a piedi, di corsa, possono essere cambiate, abbandonate, dimenticate – sbagliate o “non segnalate.” In un mondo dove le scuse diventano “la storia” e “l’enigma”, le bocche da cui quelle stesse scuse fuoriescono troppo abbondantemente sono occupate da “carie recidive, infiltrazioni e fratture.” Le notti insonni “sono digerite con fatica” da un addome che deve essere piatto e in forma, a detta della dottrina salutista di certe amiche. Il legame bocca/pancia d’altronde è inevitabilmente biologico, alimentare: la pancia che abbiamo dipende da ciò che mangiamo e probabilmente, di riflesso, anche le parole che diciamo o le scuse che inventiamo sono date – assai scientificamente – da ciò che ingurgitiamo.
Forse, la pioggia è il modo dei corsi d’acqua di dirci qualcosa, ma non sappiamo ascoltarli, comprenderli, decifrarli. Sappiamo solo aprire ombrelli, proteggerci dalle gocce. E allora non rimane che parlare “perché/nessuno capisce gli occhi/la lingua dei laghi.” Non rimane che stare zitti quando “nessuno sa leggere/le mie unghie morsicate/le tue labbra insanguinate.”
È una poetica in cui parlare e tacere fanno a pugni, sole e pioggia si sfidano a braccio di ferro e ciò che non diciamo rimane incastrato fra i denti, insieme alle otturazioni invisibili o visibilissime. Nel loro modo di sviscerare la verità e fotografarla nella sua nudità nascosta, questi versi si accostano alle tematiche del pezzo Excuses dei The Morning Benders: “Ho inventato una scusa/Hai trovato un altro modo per dire la verità/Non ho messo nessun altro sopra di noi/Saremo ancora migliori amici quando tutto si trasformerà in polvere.”
Pieni zeppe di scuse, è giunto il momento di chiederci che cosa vogliamo e, forse, invece di replicare, fare silenzio, starcene zitti. Dimenticare gli ombrelli. Capire la pioggia. Aspettare il sole.
***
scusa
tacere
quando ti chiedono
cosa vuoi
non è volere il silenzio
potevi prendermi per mano
ma l’avevi troppo fredda
se hai perso l’autobus
vuol dire che è rimasta la strada
le scuse che trovi
sono la storia
sono l’enigma
*
carie recidive, infiltrazioni e fratture
imparo da siti online
senza reputazione
come dire
perché le notti
in cui non dormiamo
percorrendo strade
non segnalate
sono digerite con fatica
dalla pancia che la tua amica
ti supplica di ridurre
ma non ha senso
e io la bacio
ancora una volta
così non dobbiamo
parlare di bocche
scientificamente
*
cose che non dico
io parlo perché
nessuno capisce gli occhi
la lingua dei laghi
nessuno sa leggere
le mie unghie morsicate
le tue labbra insanguinate
la fame nascosta in vene
sottili come la rabbia
quando c’è il sole però
sto zitta
Ariane Castelo Cipriano ha studiato Filosofia a Sao Paulo e Scrittura Creativa in Inghilterra prima di stabilirsi a Lizzano in Belvedere, dove co-gestisce un rifugio in montagna e tiene laboratori di poesia.