MARIA PIA QUINTAVALLA
ll nuovo libro di Maria Pia Quintavalla
Q U I N T A V E Z
Maria Pia Quintavalla, Quinta Vez, introduzione di Maurizio Cucchi, Editrice Stampa2009, 2019.
“Se nessuna foglia ti chiamava, ti sapevo accanto sulla soglia: eri tu che cercavi un varco, avevi bisogno di alitare tra noi. La tua sottigliezza esile e nota, il tuo dimagramento continuo fino a farti tornare a essere aria, aria che respira e fa riposare, ti restituivano a noi, dalla tua assenza cacciati.
Quel bianco, breve sconfinato verso il cielo eri tu a carpirlo, ma i rami-mani e il calore vano, quel tocco della schiena tornata a vivere all’altezza del tronco, là tu per noi, più viva dei viventi ti faceva.”
Gemono porte, c’è pena
sotto la volta di Milano, intanto
punge una natura
bistrattata con il suo passato;
la paura non è la mia –
ma femminile e forte l’io che sognava
ieri – soffre di raggelato assenso
al male, oggi –
di queste sue storture fa
di ogni mondo l’anima vorace,
la trasforma, e tace.
Quinta vez è la nuova opera di Maria Pia Quintavalla, un libro molto particolare, non solo per ‘la trama’ ma soprattuto per le scelte formali, narrazione in prosa poetica con momenti lirici, cronaca-descizione, un dialogo teatrale. Ma colpisce, come sempre, un uso assolutamente non banale della parola, termini antichi, appartenenti a diversi ambiti, desueti, riferimenti ad altre lingue, una espressività estrema, un’aggettiviazione profonda, ma mai incline a toni di un manierismo compiaciuto.
In Quinta vez siamo in presenza di una serie femminile di personaggi fondamentali nella vita dell' autrice, a cominciare dalla madre, la quale ‘si esprime’ attraverso differenti canti, trasformazioni-episodi di vita, madre presente anche nel precedente libro. Il libro inizia con Prentale dialogo “purgatoriale” con la madre, dopo di che Quinta vez, China (la madre ) torna fanciulla in un altro tempo. La sezione centrale di Mater, due poemetti dedicati alla figlia adolescente. Il libro si conclude Le due sorelle, “sezione di scrittura drammaturgica, duologo - confessione scritta per il teatro. Vicina allo spirito del film omonimo di Von Trotta, accostando, parallele, le vite di due generazioni vicine, ma del tutto separate” come ci spiega l’autrice.
Un libro, un viaggio in cui il tempo pare quasi unico anche se le situazioni e i momenti cambiano, al di là della scansione consuetudinaria, al di là di una configurazione prettamente realisitica. Un dramma di vita, impossibilità e disillusioni, desideri errati, scelte evocate ma non corrisposte, ma la vita poi rimane vittoriosa con la forza della parola, della poesia che malgrado tutto vince, crea una realtà nella realtà, una forza che va nasce prima e va oltre la vita, ma che si fa Vita perenne.
Un libro intrigante, da leggere.
Maria Pia Quintavalla, Vitae, racconti, con prefazione di Giuseppe Marchetti e copertina illustrata da Giosetta Fioroni, Vita felice, 2017,
tratto dal libro Vitae di Maria Pia Quintavalla
Montenera Lama, di China
(Biografia a immaginaria)
"Nacqui il tredici dicembre del millesettecentocinquantasei, nel ghetto di Colorno, vicino agli alloggiamenti reali della corte di don Ferdinando dei Borbone di Spagna, e il mio no- me fu scelto dalle cugine, più ricche e potenti, di mia madre China. Fui infanta fortunata, perché nascendo nel mese di dicembre, a causa del freddo intenso della bassa padana, fui a data alle cure della grande senhora curandera, che faceva la balia a corte, e le prime luci e colori furono quelli della magni cenza della corte del re.
Don Ferdinando amava proteggere, e circondarsi di una moltitudine di fedeli cortigiani, perché divenissero con lui la clara llama, come ebbe a proclamare un giorno parlando di tutto il popolo di Corte, dai ciambellani ai giardinieri, dai cuochi ai soldati alle dame di compagnia, dai precettori ai farmacisti del regno, dove altri ebrei e marrani, ormai catto- lici praticanti, convivevano ricordando sempre i tempi della paci ca Spagna da dove erano venuti; Toledo e le terre della Castiglia, portando con sé, oltre quei pochi beni: vestiti, li- bri, strumenti d’oro e di laboratorio, sto e, fogli di musica, i testi sacri della Cabala e antichi strumenti per fare musica. E triste andalusa memoria negli occhi, di colline vulcaniche al sole e di cicogne intente.
Mia madre China, potevo vederla di sabato e durante la settimana, nelle mattine in cui cantava a Messa nella cap- pella della reggia di Colorno. Era donna di incomparabile bellezza, carnale e gioiosa nel cuore, dalle mani danzanti (...)" segue
dal libro Vitae di Maria Pia Quintavalla
Riflessioni
di Maria Pia Quintavalla
un inedito per Pioggia Obliqua
Come tante pietre, ( non sempre ) filosofali, ritrovate. Riaffiorate.
Come fresche di anni e mesi, senza essere Sherazade, ma disperdendosi poi nelle vite degli altri, escono, questi racconti di Vitae: da un affollamento diradato, escono: storie e personaggi, tutti veri e viventi,un coro, dapprima solisti di una scena multipla. popolata da molti anni, tempi e spazi dell’ esistenza.
In spazi chiamati Milano e in tempi, detti gli anni ottanta, novanta e duemila.
Lo scrittore e poeta fa corpo con quel che scrive, anche se fa dire a Borges che nessuno conosce l’ ordine alfabetico dei personaggi per riordinare le biblioteca delle voci e delle vite.
Ci sono stati, poi : lavoro sulla forma breve, e sulla forma lunga.
Da Corpus solum in avanti, dal denso e incisivo del racconto corto, all’apertura del mare della prosa, corteggiata a lungo, sempre, non fosse che per l’ aspirazione alla forma romanzo sempre allusa nei libri di poesia che precedono.
La narrazione apre e sbocca, da una struttura melopeica;
prima era entrato col trotto, nelle forme liriche conchiuse, non ancora il galoppo: negli a capo, nei bianchi dei versi, ma non ancora la piana del prosieguo, della prosa.
Nessuna invidia come ne scrive Amelia Rosselli, ma molto amore famelico di storia e di verità nuove, mi ci ha condotto ( alla prosa ). Già in Corpus solum, tra Brevi e Lunghe, anche là, un corpo romanzo ricercato. Sempre, nei dieci libri di poesia, dalla vocazione ai cantari, alla canzone al canto, sono le parole più ricorrenti nei miei titoli.
Gli effetti del linguaggio cambiano: da fluente a sapiente, celebrato: la precisione, la scelta sono d’obbligo a una prosa buona. Un tornare anche all’etimo alla verità delle parole. Degustandole più copiose e generosamente.
L’entusiasmo è la cifra.
Un’esaltazione della mente di cui Marchetti non sembra stupirsi.
Vite di uomini e donne non illustri, e invece anche illustri. Una tela che diventa auto biografia di tutti, di un tempo, di un noi aspettato, e coltivato a lungo, amato e poi nutrito, dopo che corale distratto, mai casuale, tuttavia. Vita di una donna e vita di noi.
Utopie o necessità storica ? Di quel passaggio epocale.
Un discorrere sulla vita, e della vita:ecco il genitivo, per tornare poi a quell’Uno - muto o parlante- che noi siamo, dalle vite plurali. Avendo già assimilato la verità di essere * una sola moltitudine * o *l’assemblea* in cui l’ io si costituisce: Pessoa e Dickinson insegnarono, la narrazione autorizza a nuotare in mare aperto, come pesci.
Maria Pia Quintavalla
Prefazione al libro
di Giuseppe Marchetti
Che queste pagine siano “prose”, o brani di romanzi, o segmenti di viaggi, di ricordi, di passioni vissute, di sperimentazioni fallite e poi lungamente e affettuosamente gestite dalla memoria, poco importa. Siamo di fronte ad un libro composito che non soffre comunque di fronte ad un possibile disegno di romanzo vissuto e di formazione, dove i due termini si sovrappongono perfettamente. Maria Pia Quintavalla giunge ai termini della propria storia con lo sparire e il riaffiorare dei ricordi, in un’atmosfera autobiografica che, se da un lato ricorda certe pagine di Anna Maria Ortese, dall’altra governa una scompigliata e irrefrenabile vena poetica, risucchiante il diario e gli amori vissuti (quelli letterari e non letterari), i viaggi e le soste, i desideri, una profonda e consapevole voluttà di vivere e di viversi, i rapporti familiari e infine una segreta pietà verso cose, luoghi e persone che il passare degli anni ha rivitalizzato fino alla fiamma dell’identificazione intera. Chiamare “prose” queste pagine è, dunque, una palese limitazione. Andrebbe bene, semmai, la definizione di prose di romanzo, là dove i due termini letterari si compendiano nel registro interno della confessione, in un alternarsi di voci (quelle lette e quelle solo ascoltate) che vanno, a un dipresso, da Fortini a Porta, da Zanzotto alla Dickinson, alla Rosselli alla Pozzi alla Valduga. Una bella confusione – dirà il curioso lettore. Sì, certamente, confusione: ma nel senso del come ci si accorge dei venti che girano intorno a noi, delle parole che mutano di timbro e di calore persuasivo e dei gesti che ti colpiscono e ti accarezzano.
Una vita intensa, quella di Maria Pia, già così ampiamente documentata sul versante poetico, persino – a tratti – invasata da una contemplazione furiosa, se è vero che “Troppo genio, mi dicevano le amiche, e io per svincolarmi e mostrare che non ero soggiogata, mi ribellavo a parole, e nei fatti, iniziando una serie di contenziosi con lui per scagionarmi dell’essere già rapita, e imbambolata dall’amore”. Ecco: il centro delle varie vicende sta in questa parola magica che accompagna l’autrice lungo tutto il corso del libro, cioè della confessione: dal ghetto di Colorno a Milano, da Parma a Milano, da Napoli ancora a Parma e alla sua provincia. Andare e tornare, quindi, che tesse un fitto velo di Penelope fatto e disfatto dentro lo stringente e intrigante struttura della poesia, dei posti e dei personaggi, Poiché questo libro è fatto di personaggi veri, anzi verissimi: il padre, la madre, i giovani amati, lasciati e ritrovati, i poeti soprattutto (uomini e donne) amici e nemici allo stesso tempo, fidenti e diffidenti, appassionati e indifferenti. Un “tutto” che precipita sul lettore occupandone ogni interesse, ora favola, ora esaltazione, ora rimpianto, ora irrazionale furore che si snoda dentro la storia degli ultimi decenni, libro di memoria che illumina il presente riconducendolo alla sua vera realtà: la “vita di una donna”.
G.M.
di FRANCESCO GALLINA
«Il lavoro diventano i lavori, tanti, a milioni, a te piace moltiplicare le responsabilità, organizzare creare: eventi, soprattutto, relazioni, farli parlare con te, ad alta voce, fra di loro, i poeti, gli intellettuali; farsi e farli amare, scontrarsi, pensare, contraddirsi.» La vita di Maria Pia Quintavalla potrebbe sintetizzarsi in queste righe tratte dalla sua ultima fatica letteraria, Vitae. Racconti, edita dalla casa editrice La Vita Felice. Escludendo le opere saggistiche, si tratta della sua prima raccolta di prose (dopo le prose poetiche), di narrazioni che, come affreschi, offrono uno spaccato di vita i cui protagonisti non si riducono alla sola autrice, ma ne popolano lo sfondo. Un libro di memorie, dietro le cui pagine percepiamo il fluire di una contemplazione furiosa, di un’esistenza vissuta con forza, determinazione, ma anche voluttuosa sensualità.
Dopo il ciclo di romanzo familiare in versi Album feriale, China e Compianti la poetessa parmigiana ci offre la storia della sua molteplice persona, attraverso il tanto delicato quanto spinoso snodo di narrazioni, che rifuggono dal puro autobiografismo in prima persona. L’io si fa tu ed egli, si scompone; spesso si guarda scorrere esteriormente, prende le distanze da se stesso per dare di se stesso un ritratto più veritiero, che non rifugge però da visioni oniriche e visionarie rielaborazioni.
Romanzo di formazione in bilico fra classico e avanguardistico, Vitae racconta di famiglie, biologiche e letterarie, ma anche di un costante vagare fra Nord e Sud Italia («il corpo tirava verso l’insondato Sud del cuore, ma la sua testa era infallibilmente nordica»), alla ricerca di un amore e di una patria poetica che, alla fine, sarà identificata in Milano. Trent’anni di vita milanese che hanno dato respiro nazionale a una scrittrice che si è battuta fra insegnamento, impegno civile e sul pensiero delle libertà femminili.
Una poetessa i cui versi nascono nutriti dal terreno del cubofuturismo e dell’orfismo, per poi prendere altre strade, tutte accomunate da una viva e presente commistione di vita-idee-intelletto, fatta di una concretezza che non conosce ancora i tentacoli seducenti – ma atrofici – della virtualità contemporanea. Sono gli anni in cui, a mo’ di una New York italiana, Milano è costante pluralità di talenti. La Milano che, scemando gli anni di piombo, ritrova nella sua euforia il preludio al declino inesorabile che gli anni di Tangentopoli avrebbe trascinato con sé. La nevrotica Milano da bere alienata e allo stesso tempo vissuta da spiriti che, come la Quintavalla, spendono le proprie energie in solitaria, ma con la sempre accesa speranza di intrecciare e coltivare rapporti umani. In uno dei racconti più originali sul piano stilistico (anche per questo apprezzato da Elio Pagliarani), Mi piace lavorare, scrive: «ti butti nella disperata ricerca di inventare, di trovare, allora; e per tre anni si moltiplicano, fioriscono scuole, corsi, seminari dove insegni, dove torni e insegni ancora, poi rilanci: sempre a leggere e scrivere».
La scrittura salva dalla «fibrillazione della cronaca» e insegna ad affrontare le perdite e le assenze di una vita contrastata da amori rovinosi, ma altresì illuminata da incontri indimenticabili, raccontati nella sezione forse più schiettamente autobiografica, Ritratti, che ci mette in contatto con il volto di Giovanna Sicari, con la cordialità di Andrea Zanzotto, con la tragedia di Nadia Campana, con il «sorriso caldo» di Antonio Porta. Intelligenze attive, che hanno fatto di Milano, e in generale dell’Italia, terra di confronto e laboratorio poetico. Poetico nel senso di poesia, ma anche, etimologicamente, di fare artistico di cui la Parma e la Milano odierne si sono, forse, allontanate.
F.G.
POESIE
Da "le Moradas", Empiria 1996
Esiste la deliziosa
prossimità, non il perfetto amore.
E intanto
lunghi tragitti tratti
erosi da pianto, polvere
di sentieri assembrati angoli della mente che
stavano per sfollare e - sostano,
campi desertici
trasferimento, letto come strada
silenzio non ancora pace.
La fila delle estati come capi da abbattere,
la vita che stanca, ma che percorriamo in pianura
muri che possono rompersi quando piove
insegne che cigolano e pesano
divenuta grande sapeva
di correre un giusto segreto.
Superiorità superstite della strada sul cammino
alla testa un elmo discordante
da qualche parte doveva
pur produrre cozzo inarrestabile nel rumore
di un corpo u n altro corpo
ma tutto passa si trasforma preghiera.
liebe, I
naufragio il primo giorno: non avvicinarti
e tutto il tempo intorno, pesci
tu prega moderna
la morte del tuo uomo, lo stento del tuo uomo
è l'ora splendida peccata mundi.
Liebe , II
conca e albero, volontà
e firmamento nelle sue volute navigano
le mie navicelle
non so accese nella discesa libera infinita
sottomarini a noi stessi.
Spazzaneve dell 'evento sfarzosamente
nell'evento, i meridiani in festa
dopo la notte obliterata in pace
esso è trascorrere
forse anche tutti questi nomi
hanno loro paesi sconosciuti.
Sì-amare
sì, amare
quell'armonia universale di
corpo a corpo distesi l'uno
accanto all''altro giacentisi vivi
d'amare, planare
di armonie di universale corpo
giacente dell'uno verso
l'altro - soffio del cuore
oh come planare
sedare posare
e cuori cuori non piu' soltanto
nomi-
Da "I Compianti ", Effigie 2013, 2015
Congedo, I
Come potere trattenerti
I)
Come potere trattenerti,
come la linea dei salici, in estate
che ondeggia ma sta ferma -
e vaga assume
il senso ed il colore (lieve)
di un grigiorosa che trapela, ansima svela
nel cadere la sua natura ancella
e in più ritrosa, dolceamara.
Come potere trattenere,
come la luce -
quel flettersi genuflesso delle foglie
e rami sollevati
dal dovere di gravità che toccano
in tenerezze grate dal sapore dolce
che comunica col cielo -
come chi confina
Se tu sei là, fermo o ambulante
che sosti pensieroso prima di una partenza
che non vorremmo esistere
per questa vita, per questo amore
che ci turba
assumerci sereno e lieto quel partire,
il gesto delle mani nelle tasche
al vento riparate o esposte
che attardano
alle porte ad assi cigolanti,
con la voglia di socchiuderla toccarla,
soglia dei semprevivi
alla partenza
Essa ci rese eguali, subito
la discesa, la sconoscemmo.
II)
Padre che non sei mai partito
ma viandante ci sorridi additando
in un gesto segreto il riso
o uno scongiuro,
della bianca camicia spezzi un giorno
arioso e lieve come un’ostia calma
che sa di carta e pane, che fa luce,
poi ci accenni che vivere e deambulare
sono la stessa cosa
un giro di memoria non si stacca,
le colline suonano soavi l’orizzonte ,
lo incoronano di strisce blu e marroni
sotto il cielo che fila dalle nubi,
a sera forma la luna più vicina,
e credula sorella.
Non sai che trattenerci è il tuo mestiere,
mentre noi non possiamo farlo a te,
legati a ritmi di catene
sonagliere al tempo
che tintinnano toccando terra
raspando l’aria dei bambini
che persero l’infanzia, quella nascosta,
derubata come guscio amoroso
sotto terra ma dalla mano
un gesto ci ammonisce
Non parlate di me non commentate
ma sostate guardando assaporate
aprite pure le braccia dei polmoni
a respirare ancora un’ora,
a sorseggiare aria sotto la volta
di una Parma antica.
III)
Tra campagne a raggiera
ed alte mura che sorreggono
canzoni, notturni di visioni e pietra,
dove lunghe fontane coricate entrano
alla Pelòta, corrono
sotto al verde tenero che nasce
accanto all’acqua
è nella croce antica di una chiesa
che riempita d’acqua si formò fontana
e pioppi piccoli restano a guardare
il monumento a Verdi travagliato dalle bombe,
ostenta il pezzo suo migliore,
riesce a trasmettere un sipario
che ti rappresenta, che cammina
in angolo proscenio
il cielo lo rapisce, e vortica
dove lo spazio assume il cono d’ombra
e luce quasi eterna
che già eterno t’accompagna -
E’ là, in un’aura dolce
che ti seguirà rinato a passo lento
dentro l’erba
per sempre tu ne varchi il cerchio,
lo attraversi ne esci, poi ritorni;
la passeggiata vola ai piedi, danza
su acqua scalza.
Non seguo il tuo bastone,
ma da lontano in muta processione
tutti i miei passi ai tuoi serrati
formano un cordone in ampio nodo,
un corrimano dove appoggiarsi
ai fori della voce, avanzano
risuonano quei gesti,
tornano vinti e morsi d’aria, raddoppiano
le eliche del tempo da ieri a ieri
fino a qui,
f u t u r e.
Come potere trattenerti non sappiamo,
ma infine,
come nel gioco della retina ed un suono
tracciato trattenuto,
risuona stretto a te un a b b r a c c i o
di conchiglie vuote.
Compianto, IV
Cos’è il paradiso
Poi, cos’è il paradiso?
un succedersi a riparare colpe,
un evolversi sciogliendoci, in stagioni (dove
non eravamo stati).
Al buio li trovai, nella liquidità,
lei senza luna e insegne,
lui, il capo reclinato. Lei senza fiori
ma sorrideva angelica
una dalia rossa le portai, unita
al puffo del crisantemo.
Ma di carta il tuo avello, o padre
nel cemento spalmato dai ragni,
su fiorami tra la polvere e il vetro
lo trovai,
allineato dal fondo e da stagioni,
lui, sotto spessa carta già celato il nome,
mi chinai e non vidi.
Lei, sospinta al sorriso, si girava
come chioccia bianca all’aperto,
lui, si era spento
da poco tempo, non sudava né
occludeva lo spazio.
Baciavo io dell’altra, il volto
nell’icona,
ma sentivo sul viso le carezze
del materno come mano, la sua forma
che diceva, Ritorna
mi ridai la luce del convito;
stava zitta al contrario la carta
che copriva
il senza volto, non trovava cenni
non regnava e non stava,
forse ignaro
ospite, come un piccolo ricoverato
al buio della fame, riposava -
sulla nave dei folli in piattaforma,
senza luna.
Non risorti, oh gridalo
l’acuto dalla volta scurita degli abbandonati
ma chi defezionò non ha più pace.
La piscina
I)
Nel brillio di fiction la piscina
disegna un trapezio minuscolo
celeste q u i davanti al mare
che più dietro asseconda, gli s o m i g l i a
dietro al muro la copia,
ma non è più copia dal vero.
È rinato dietro la scaletta,
nascosto - un trampolino, e sotto ,
si sommerge
nel sonno di barche docili che solcano
per caso la tavola del mare
che s’allunga rende il mare
un tema un rigo grigio.
II)
La piscina giocattolo dormiente
sta alla madre dalle lunghe braccia,
ne d i s e g n a un orlo sotto al monte
mentre il cielo là ferma,
calmo nelle opache nubi che discendono
si addensano,
lo sporcano il vulcano.
Restano nubi aperte fulminate,
segnano di bagliori fantasmatici
la volta, nel sentiero
riabbracciano lontane madri
alle madri, onde alle figlie.
POESIE INEDITE
Mater, II
per Sarah *
I)
E' forse questo il tremito, in occhi sconosciuti
i miei, già conosciuti,
è forse vero il verso che dice il tocco
i salti della voce. Lei è cresciuta
non parla la t u a voce -
presa per mano ti guardava tornare, e poi andare,
mi seguitava il corpo, ne assecondavo
il suo respiro, due sono una
ora è uno e uno. Ora
i suoi occhi luccicano con una margherita
appesa al lobo ma di luce propria
senza infingimenti e lei là, un gran andare
per una corsa sua segreta,
tra fili d'erba e treni, caramente
d'oro il suo sorriso.
Lei non ascolta se cammina, non ti vede più
sei tu alle spalle, la conosci
dal silenzio dei passi, lei non corre
più accanto alla tua vita ma davanti,
la sospinge e spinge via.
Lei non sa nulla
ma se la guardi appena, dietro al viso c'è
ancora quel sorriso e gesto pieno
della mano ha il volo
di un gabbiano nato intorno al seno,
ne aumenta le parole.
Nel giorno che precede la vedrai
varcare sola, e sola sarai tu
che là pazienti sulle orme delle mani,
cerchi il tuo sangue quando
volata via con te, ma dolcemente
piano, in una sua salita
ne disegna l'arco di una vita
piccola più della tua, sognata.
Era figlia già quando nessuno conosceva,
era lombrico molle piccolo
nella tua mano, e silenziosa.
Ora che scappa e ride con le amiche
piano poi copia parole da poeta,
da una canzone, come un'orsa agile leggera;
dicono non ti somigli, e invece
piano, lei scrive in versi la sua notte,
si trucca gli occhi, ride. Si seduce.
L'immagine che guarda fissa è la sua vita
non lo sai se è aperta
o chiusa al tuo orizzonte ma
decisa, scende dalla sua strada
in una s u a radura...
Ogni mattina
chiude piano le porte.
II)
Essa è più felice di te che, di fortuna
la vedesti nascere alla vita
lei tace ride, si compiace, aspetta
i tempi delle sue radure. ( L'amore
la seduce), il corpo dondola ma esplode
nell'ansia di una primavera forte,
piena di odori . E lei profuma,
dice alle amiche, tagga sul video
una sua luce. Poi si gira e ti scopre
alle sua spalle, ne urla, ride;
non sa come tenere esorcizzato quel dèmone
che è un'Altra donna, una che in piedi
crede specchiarsi
nelle sue gambe nude. Non capirà.
Lei è più libera più umana, non conosce
guerre, né latitudini del nero,
il novecento appena lo ha leccato ma dopo,
quando venne valicato nel suo tam tam,
sinuosa, nel digitale totem - si è raccolta.
Dorme o ticchetta i suoi messaggi. pensa
nella luce e intanto,
in semicerchio si accavalla ai corpi delle amiche
in cerchi di fumo e di parole
vola via leggera, si traduce.
Tu ti distacchi e sposti, la guardi scivoli via
piano per non ferirla
ti mostri neutra amica, taci, ma lo diresti
quanto sangue e voce ci è voluta per tagliare
quel cuore intero in una luce sua,
che ti divora. scompare
se c'è un emblema vostro, lei lo saprà
capire, lei non ha paura.
Tu, una chiave di notte
nel suono delle sue parole ti ha acceso
il video della mente e poi,
non turba più -
per quella mano speculum sul cuore
ti senti piccola e sperduta,
la sua nascita va verso la tua morte.
Ma lei serena guarda e stacca,
non capisce.
III)
Uscendo piano dalle porte,
credevi non udire quel pianto secco
che ti prese nel salutare quando
tua madre nell'abbandonarti ancora,
una seconda volta se ne usciva zitta e
solenne, verso il suo bell'ade, fasciata
in oro andare nella vita.
Ma Lei sarà - nata dal riso domina
nella silhouette radiosa, circonfusa.
*( Sarah: colei che sarà, principessa degli zingari, nata dal riso )
Maria Pia Quintavalla Suoi libri: Cantare semplice (1984, Tam Tam Geiger), Lettere giovani (1990, Campanotto), Il Cantare (1991, Campanotto), Le Moradas (1996, Empiria), Estranea (canzone) (2000, Piero Manni, prefazione di Andrea Zanzotto ) Corpus solum, (2002, Archivi del ‘900), Album feriale ( 2005, Archinto ), Selected poems, Gradiva N.Y. 2008, China, (2010, Effigie), I Compianti( Effigie 2013). Ultima antologia italiana: Trent’anni di novecento (a cura di A.Bertoni, 2005 Book). Numerosi i premi, finalista più volte al Viareggio. Dal 1985 ha curato: Donne in poesia, e le omonime antologie, (Comune Milano 1988, Campanotto 1992 ), aggiornata alle rubriche: Scrivere al buio, Casa della Poesia, 2010, Milano; Le Silenziose, Book City, 2013, Milano; Muse, Autori Resurrezioni, Expocultura, Casa della cultura, 2015 Milano. Bambini in rima / La poesia nella scuola dell’obbligo, Atti su Alfabeta 1987- ‘90. Collabora: a Lettere, Università agli Studi di Milano e di Parma con laboratori scrittura lingua italiana. Collabora a redazioni riviste di poesia, storiche e online. Traduzioni: Gradiva, N.Y., Italian Review Poetry, Traduzione / tradizioni, Milano; Schema, Università Tubinga; Certa, Empireuma; Ed. DHK, Zagreb, Une nouvelle poésie italienne, Sorbona, Paris IV, Terre des femmes, Poésie italienne, 2015
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