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POESIA proposta

La pagina, con differenti testi, viene presentata per gentile concessione degli  autori.    

FABIO STRINATI

Dal proprio nido alla vita

Fabio Strinati, “Dal proprio nido alla vita“, I tascabili.
Fabio Strinati, “Dal proprio nido alla vita“, I tascabili.

 

 

Dal proprio nido alla vita è un poemetto che ho deciso di scrivere incrociando sulla mia strada la scrittura di Gordiano Lupi. Ho avuto il piacere di leggere per ben cinque volte Miracolo a Piombino, e così, immergendomi a pieno in quella letteratura poetica, profonda, a tratti stilisticamente perfetta, ho cercato di prendere in mano la mia penna e di scrivere su carta la mia anima, dopo quelle cinque letture assidue e terapeutiche, che mi hanno profondamente aperto un mondo. Sfogliando Miracolo a Piombino, pagina dopo pagina, mi rendevo sempre più conto che quello era il libro che avevo sempre desiderato di scrivere. Un romanzo perfetto, un connubio di odori, sapori, stati d’animo e sensazioni, che mi hanno permesso nel mese di settembre, di intraprendere questo viaggio personale, di scoprirmi dentro, non tanto come poeta e scrittore, ma come ragazzo prima, e come uomo dopo.   ( F.Strinati )

 

 

 

Ho sempre desiderato essere una rondine.

 

 

 

Una rondine è bianca pallida, educata, gentile, affabile...

 

una rondine è elegante, e vede il cielo ( il suo cielo )

 

come un aldilà facilmente raggiungibile, anche se distante.

 

 

 

La distanza, è quel metro virtuoso che separa ed unisce

 

la fanciullezza dalla maturità...

 

 

 

la fanciullezza è una gamba rapida e veloce,

 

ma non più dei ricordi, che a volte sono dei ficcanasi,

 

o silenziosi cantastorie di porto, o di periferia.

 

 

 

La maturità è quel succoso frutto appeso all’albero,

 

è l’ingresso che ci permette di soffocare

 

i nostri ricordi,

 

 

 

la maturità, è un luogo pieno di gingilli e di oggetti;

 

un luogo, dove tutto ha un nome, dove tutto...

 

si ferma e si muove, attraverso un’esperienza

 

maturata nel tempo!

 

 

 

 

 

 

Le persone si muovono nel tempo.

 

Uno spazio ficcato lì non per caso, come un orologio

 

che scandisce in maniera precisa, le sorti

 

del nostro futuro, perché...

 

ognuno di noi, siamo in grado di rovistare dentro

 

il nostro io più profondo e misterioso,

 

dentro i nostri ricordi, che a volte, sono così offuscati,

 

come violentati da un rapace, o da un vento canaglia,

 

che apre la tua porta, come un sogno nella notte!

 

 

 

 

 

Ho sempre desiderato essere una rondine.

 

 

 

Una rondine ti parla, anche quando non ti senti pronto

 

per ascoltarla. Ma lei parla, suona le stanche melodie

 

figlie dell’autunno, di quei luoghi distanti

 

dove i pastori, trascorrono il loro tempo in solitudine;

 

dove nelle casupole, vengono riposte cassette di frutta

 

per l’ammezzimento,

 

proprio come il tempo che passa, che fradicia i nostri

 

segni indelebili sulla pelle, che scortica

 

la giovinezza, figlia dell’aria e dell’acqua!

 

 

 

 

 

 

Lo ricordo bene, come fosse ieri;

 

il cielo, come un ricchissimo ventre nella sua naturalezza...

 

e misteriosissimo con le sue finestre aperte

 

sugli occhi della gente.

 

 

 

È d’inverno che il cielo mi fa sembrare piccolo e solo.

 

Un vento di tramontana che urla la sua invidia...

 

i nuvoloni grigi che soffocano il nostro respirare già lento...

 

le piogge forti, la grandine; gli ululi dei lupi....

 

le orme nei campi di grano, e le vestaglie delle contadine

 

inzuppate nelle prime brine di ottobre,

 

che aspettano il sole di mezzogiorno, per asciugarsi

 

temporaneamente...

 

 

 

e noi, povere bestie....che in tutto questo, ci muoviamo

 

come i rigagnoli che tali sono, che nemmeno

 

un sibilo, nè tanto meno un flebile suono,

 

trasportati dai fiumi più grandi,

 

quei fiumi aggressivi nelle piene in novembre

 

che sanno come trasportare le carcasse degli alberi secchi,

 

e le carogne ad impuzzolire quel suo letto

 

che in estate, fu candido di sassi e di tovaglie,

 

e di poche briciole di pane!

 

 

 

 

 

 

È d’inverno, che il cielo mi sembra così lontano, così distante...

 

il freddo, che indurisce la mia pelle, che mi fa tremare

 

come un bimbo nella culla, sotto una coperta di stelle

 

e una coltre di neve morbida, che suona la sua musica

 

solenne e comoda, sopra i prati teneri e i cortili delle scuole...

 

e l’inverno, che ci vede fragili, deperiti, decrepiti a volte,

 

come bambole gettate via, messe da parte,

 

oppure, manichini, riposti in quei vecchi tendoni da circo.

 

 

 

 

 

Ho sempre desiderato essere una rondine.

 

(.....)

 

POESIE INEDITE

SFUMATO

 

 

 

La mia vita minuscola come una firma da autodidatta,

 

che sui muri alti e gli alti muri, la mia non presenza...

 

s’arrampica, s’imbratta.

 

 

 

La mia stanza nasce vuota e vuota mi sostiene

 

il peso vecchio più degli anni

 

che hanno saputo rotolare ripetutamente,

 

 

 

tra gli schiamazzi sfaccendati,

 

le arringhe, le percosse fobiche e quel cipiglio

 

che si vende l’indole per un tozzo di pane,

 

 

 

la mia vita è una falena al buio,

 

e cerebrale, il nascituro utopico di mondi visti

 

su pezzettini di carta stagnola,

 

si raccolgono da soli col vento che li spazza.

 

 

  

 

 

ARSURA

 

 

È tutto un pulsare nelle vene secche e cola

 

con quel suo colare la vernice dal muretto

 

che snobba e raggira, che peraltro sviene...

 

 

 

come nelle fornaci calde d’afa che sfruttano

 

le ore opache e false in un tempo fermo e falsario,

 

come i vecchi topi dritti impennati sul costone

 

con le idee sfuggite da riordinare poi...

 

 

 

 

 

 

COMPARSE

 

 

I rotondi pesci e quelli ovali, di pesci ammollo

 

nella vastità d’un cielo liturgico e moroso,

 

nuotano attorno alle vasche coi confini tratteggiati

 

i pesci gli ubriachi echi, i pesci castigati

 

da una non forma agli occhi dell’umanoide,

 

virano accatastati ognuno...., nel cerchio e nella ruota,

 

 

 

il pesce elettrico, il pino marittimo.

 

 

 

 

 

MEZZO SOLE

 

 

 

Gocciola e gocciola, l’acqua che tintinna e ciondola,

 

l’acqua che muore a terra e scava e scava la sua fossa

 

per innaffiare la radice vecchia, nella senilità

 

che la ricorda...

 

 

 

è l’acqua che scorre che fluisce che organizza,

 

la sua vita rapida e con spocchio nobile

 

bagna e si bagna e imprime, l’umido racconto

 

di una prosa evacuata con gli spurghi

 

d’acqua e d’acquazzoni,

 

 

 

come quei tubi e quegli scoli pieni pieni

 

che suonano la tromba d’ottone.

 

 

 

 

 

LUOGHI

 

  

“Il fiume scorre e passa e travolge le nostre vite di sassi

 

e sassolini, e sconvolge, le anime pie di uomini nostri,

 

dei nostri padri più profondi e lontani”.

 

 

 

Le vite che nell’aria vivono e si muovono

 

come marionette senza fili, destano stupore, s’aggirano

 

tra noi che abbiamo gli occhi per carpire sterminati vuoti

 

oltre i campi e le montagne sperdute nello stordimento

 

del tempo, ch’è mago e mai ritardatario,

 

che più del tempo stesso, solo la morte con la sua cadenza

 

nel nostro presente perpetuamente in movimento!

 

 

 

I luoghi, contengono altri luoghi pieni di orologi

 

e di cassaforti e di bauli contenenti i tanti viaggi

 

verso una salvezza semisconosciuta, come le avventure

 

che si spogliano a forma di giornale, con il vento

 

che gira pagine di una vita passata troppo in fretta,

 

come la sorte meschina che se ne va piangendo.

 

 

 

Fabio Strinati ( poeta, scrittore, aforista pianista e compositore ). Molto importante per la sua formazione è l'incontro con il pianista Fabrizio Ottaviucci. Ottaviucci è conosciuto soprattutto per la sua attività di interprete della musica contemporanea, per le sue prestigiose e durature collaborazioni con maestri del calibro di Markus Stockhausen e Stefano Scodanibbio, per le sue interpretazioni di Scelsi, Stockhausen, Cage, Riley e molti altri ancora. Partecipa a diverse edizioni di  "Itinerari D'Ascolto",   manifestazione di musica contemporanea organizzata da Fabrizio Ottaviucci, come interprete e compositore, e prende parte a numerosi festival e manifestazioni musicali. Fabio Strinati inizia nel 2014 a dedicarsi anche alla scrittura, e in maniera continuativa. Nell'ottobre del 2014 pubblica il suo primo libro di poesie dal titolo " Pensieri nello scrigno. Nelle spighe di grano è il ritmo". Raccolta di poesie pubblicata con la Casa Editrice ed Associazione Culturale Il Foglio Letterario. Nel  2015 esce il suo secondo libro di poesia, dal titolo “ Un’allodola ai bordi del pozzo” pubblicato sempre con Il Foglio Letterario e nel  2016 esce il suo terzo libro, “Dal proprio nido alla vita”. . Strinati è presente in diverse riviste ed antologie letterarie. Nel 2017 pubblica con Il Foglio Letterario il suo quarto libro dal titolo  Al di sopra di un uomo.

 

 

 

 

 

 

 

MARIA ALLO 

 

 

                    POESIE

 

 

 

 

1

 

La solitudine della poesia si fonde con la linfa di alberi sfiorati dalla sofferenza del mondo

E’ accaduto.

Eri il confine furioso in volo

sulle fiamme dei miei seni

a tratti un colpo di luce pronto ad accecarmi.

Ora  cigoli come  pioggia di versi

sulla roccia incandescente

io  doppia  cenere di lava 

come limo di  bacche

nuda su pentagrammi in cerchio

cerco le parole per dirlo.

Il resto lo fa il temporale di Aprile

un essere voler essere che in te si intreccia

con cortecce prive di foglie

per mancanza di luce mai finita.

Ma tu sei in ogni cosa .

Nel  silenzio che rischiara

come nebbia più nuda del mare

o  nel sangue di un tralcio di vite che spiove

più oltre  come fosse morire.

Conosci gli  occhi della luna      

e di tutti gli orizzonti quel  fragore .

Da te ho appreso Il coraggio del  resistere

a labbra aperte nel deserto che avanza

tra i lembi rovesciati della terra

 

2

 

 

ogni parola umana nella veglia.

Dunque questo mi lasci come verso :

la voce segreta − seme del tempo

e la pioggia fra le mani.

Nel tuo respiro tutte le parole,

tutto il silenzio

l’universo intero , tutto e tutti

 

 

 

 

3

 

Mi fai sapore di vento

così percorro il cerchio dentro il vuoto

 memoria antica di ogni dire

come lingua umana dentro il tuono.

Un moto verticale  mi  trascina

 su tronchi  di parole

 stagione sperduta  intorno al fuoco  .

Mi fai credo di non so quale dottrina

pietas liquida  in dettagli  di  naufragi

petto di terra e ventre di semi

A picco di ogni cielo  fuggo verticale

tra tante moltitudini e meridiani

lungo  sentieri di fruscii

dove tra steli  di germogli mi dissolvo.

 

 

 

4

 

Stamane , all’improvviso …

 

C’è un silenzio antico nelle cose

sui crinali dei colli nei limoneti

in fondo alle valli intrecciate di ortiche

grovigli di rami disseminati

erbe aromatiche finocchi selvatici

menta e rucola.

C’è un silenzio antico nelle cose

aspetta da sempre,  sorregge radici di ulivi

nidifica nel forno sconnesso…

Tendo l’orecchio a inseguire voci

che invadono segni  consonanze

di parole lievi librate nelle crepe

dei muri sconnessi tra ciottoli e spini

dietro ogni siepe.

C’è un silenzio antico nelle cose

estenuato da parole di sempre

in ogni angolo della vecchia casa

nella speranza che tende la mano.

Inseguo tenacemente l’azzurro

con occhi spalancati

ma respirare cieli è un’altra cosa

E c’è un silenzio dentro le parole

che rimbalza distrattamente

mai al tempo giusto muto nel dolore

un silenzio non ancora sfiorato           

da venti lievi come le mie ciglia,

c’è un silenzio che nessuna parola

può penetrare senza fiatare

con mille nodi i suoni

ne infittiscono gli echi

segnati da erba calpestata

e rami che annaspano

al fruscio dei pioppi ansimanti.

Ma poi senti l’acqua del torrente

borbottare prima piano

poi sempre più incessante

parole e parole

c’è silenzio nel nido

di quei passerotti implumi

c’è silenzio nel buio che trasmigra certezze

nel rumore incessante dei dubbi

nelle pagine bianche nei luoghi di frontiera

in questo tempo che se ne va

c’è  silenzio anche nel fuoco

che divampa e zampilla

empiti di poesia arde seguendo tracce

di odori suoni e colori…

Ma non ti ho detto che  la pietà

ha grosse ali di viva carne e linfa nuova

a foglia di mandorlo

come segreto albero radicato nell’aria

 

6

 

 

impastato di lava e  comprensione  radiosa

nelle braccia gigantesche di perdono.

Cresce stamane all’improvviso  l’universo

tra solchi e semi come ininterrotti fiori

nel vorticare di memorie salde a questa terra.

Lentamente  torna  più calda

la fragranza  di essenze mutevoli

ma immortali lungo questo fiume.

Persefone s’imperla come il suono

di ogni voce in un ciliegio.

 

 

 

7

 

 

Questo cielo così freddo fra noi e l’inverno.

Ho voglia solo di ordinare la casa i cassetti

lavare i vetri e i pavimenti

certi silenzi  mettono radici dentro la mia gola,

toccare oggetti quotidiani

raccogliere i cocci del piatto lanciato contro i vetri.

Come un riparo la cura delle cose …

Ma ecco  la neve splendere nel sole

sulla ringhiera  del cortile siderale

come occhi e solchi invisibili

nel turbine che ci asseconda.

Resta informe un sogno

rami sottili sfollano nel vento

Come un rimedio la cura delle cose

in un prossimo fiorire  parole

a custodia di chi nasce e muore

e poi più nulla

 

 

 

8

 

 

Franta stamane l'alba [come grani di melograno]

Trabocca da inverno smemorato

Ogni scheggia del giorno è nebbia stinta

Ogni eco del cielo è solitudine di mare

Il senso di ogni andare

Sarà forse questo silenzio solidale

Allarga le braccia

Fino a sciogliere in canto

Il frastuono assordante

Delle nostre esistenze

“Basta il silenzio a farne un altro mondo”

 

 

 

9

 

Sulle nostre bocche fiorisce il deserto.

Ma c’è un confine in tutto

e il dentro compiuto

senza didascalie o schieramenti di cui porta il nome

non coniuga idee solo frammenti a mille.

A volte un pampino ci può sfiorare

nel mezzo della notte

disseminare sulla battigia sassi levigati

inseguire fantasmi di nereidi

ma non sapremo mai quanto durerà.

Sulle nostre bocche fiorisce l’attesa.

Recide l’aria densa di aromi

inchiodati alle narici su improvvisi fili di pioggia

seme come prova di memoria salvifica

ma c’è lo sgomento di essere vivi.

Sulle nostre bocche fiorisce la polvere.

A volte puntella l’ombra

e quando ormai non resterà più nulla

si sciuperà la vita stessa su tutta la terra.

E così che agisce la luce

eppure in un punto convergente

nulla accadrà mai invano

In un angolo quieto c’è ancora spazio

mentre affiora luce nel silenzio per il nostro domani

 

 

 

10

 

Scrivo versi di cenere senza incipit o chiuse

con il sapore amaro di cardi e un addio su cigli di tombini.

Echi all’orizzonte svenano nel mare

bisbiglia nella memoria un bianco vasto

lambito da un’idea imperiosa

scheggia erosa dal vulcano

nel fondo della valle

cosi il sangue delle cose diviene un grumo

accanto a coefore mute.

Ecco. Alfabeti esiliati inchiodano

invocazioni di sepolti e lamenti di morte

ora la terra è un grumo che recide i roveti grandi

mentre un biancospino nella molteplicità

delle ferite di questo strano inverno

coglie suoni di tuberose

 

 

 

11

 

Gli  alberi insegnano ai rami come stormire

di foglia in foglia

senza smettere mai di bisbigliare

quel fluire segreto che ascende dalla terra.

Come fiumi dentro il calore del nostro fiato

a tratti brillano ma trasparenza è ciò che rimane

dentro la goccia di un orizzonte intero.

Sfioriamo ciò che ci dissolve

 

 

 

12

 

Raggi innaturali sfavillano sui tetti.

Mi manca il mare e prendo atto

del tempo che mi resta da percorrere

in questa primavera

abbandonata tra le tue braccia

che affiorano sulle mie spalle mute.

 

 

 

 

 

n.1 ἀπορία

Inchiodato al cielo lo scirocco geme, vortica alla marina , invade i cortili, recide l’aria , corre nei vicoli socchiuso tra le auto ferme e non c’è fragore di vetri infranti nel silenzio del pomeriggio invernale colmo di respiro là dove nasce e si spegne .Ma il vento nel silenzio penetra gli alberi, ondula sulle abrasioni dei muri ,tra gli intonaci rossi delle case mentre il fragore del treno stride verso il nulla anche se la terra a poco a poco fa vibrare i teneri trifogli. E intanto la pioggia infuria e assale un coro di voci antiche tra gli sterpi nella dura luce del restare acuminato e del nostro umano passare nel ritmo della risacca. Ora le sillabe crollano sull’acqua dei tombini crepitando sopra le verdi cime i cardi, i nidi e i rami spogli. Eppure sui monti di roccia dura fiorisce il mondo.

 

n.2 ἀπορία

 

Se per tutto c’è termine e il fiume scava le nostre vie di ombre tronche perché sostare senza perdono? Fingersi veri senza simmetria mentre cresce nella ferita questa lama disumana che soffocando inganna , tiene svegli , mentre fredda alita la sera tra le vigne , le pietre e i ruderi di fronte …Ma in un punto invisibile la luce della luna si spande , trova luogo dentro i contorni delle cose , sulla soglia che lambisce un’altra forma umana fino al mare come una forza che mentre nasce muore.

Questo autunno indifeso tra i contrasti dei colori di Mondrian

Muore prima dell’alba con il ritmo di brume invernali

Mentre si fa nero il cielo e più lontano cadono le foglie.

Ma non è questo il punto

Si muore restando in piedi con il coraggio di un acrobata cretese

Anche se in agguato il reale assedia il nostro andare    

 

n.3 ἀπορία

Non ha tregua l’umanità e tra nubi sparse la natura spande i resti del suo silenzio .Non resta che cenere nella memoria o questo nonsenso che è la vita . Qui non c’è campo o sono io a non avere campo. Nessuna poesia servirà. Niente da capire. Forse sprofondare non serve e tutto sarà uguale come prima. Ma il momento in cui nasce l’idea , il raptus dell’incontro con l’idea , è vedere un pugno di terra e un biancospino , tenero , testardo mentre il cuculo chiama solo nella notte, chiama una compagna forse smarrita sull’altra riva e i cipressi in sordina modulano controcanti . L’Etna intanto continua a digrignare e le bacche a suggerire tutti i nomi cancellati , recisi con molta discrezione. S’intende .

 

© Maria Allo

 

 

 Maria Allo

 

Poetessa e traduttrice. Laureata in Lettere classiche, insegna nei  Licei . Si occupa di Islamistica  e  di Nuove professioni educative .Ha al suo attivo diverse pubblicazioni antologiche, quqttro sillogi di poesia e “Talenti di donna “ ( Onirica edizioni), un progetto di Gloria Gaetano sull’identità femminile, una proposta di scoperta e di approfondimento in ipotesi di seminari di formazione per le donne realizzato da un gruppo di lavoro al femminile. Attraverso lo strumento del digitale, le sue frequentazioni poetiche, storico e letterarie, soprattutto quelle poetiche, si manifestano, a partire dal suo blog “nugae11”o nei siti dove è ospitata. Alcune  sue poesie sono state lette e commentate su Rai Notte nelle trasmissioni “Inconscio, magia e psiche” e su Cinque stelle  del prof. Gabriele La Porta.

IL suo blog di riferimento: http://nugae11.wordpress.com/

 

 

 

 

VINCENZO MIRRA 

 

 

poesie

 

 

 

Guernica

 

Cosa resta di te 
Guernica,

solo il buio di una lampada spenta
fissa nel centro / di un maledetto lunedì,
nel nero fumo di un primato di bombe
di croci nel cielo, di lapidi e tombe,

e piombo nella pancia delle nuvole.

 

Cosa resta di te 
Gernika,

dello splendore basco delle tue radici
della tua quercia di fueros / dell’assemblea dei tuoi rami,
solo il bianco grigio delle macerie
addossate a un primato di morte,

nel grigio polvere della cenere.

 

Cosa resta di te
Guernica?

dello stupore della tua bellezza,
solo il pianto di una madre / e di un’altra, le sue grida di dolore,
soffocate a singhiozzi di voce, 
de tu nombre, Pablito, che giaci raccolto tra braccia amorevoli,

con il corpo reclino sulla vita morta.

 

Cosa resta di te,
Gernika,

delle tue braccia di donna sollevate al cielo, 
solo l'ombra di nuovi rami, Gernikako Arbola, 
che invocano il tuo perdono / Oh vecchio albero, 
con la promessa di giustizia della tua giovane quercia,

seme di speranza, il tuo fiore, per il germoglio di un futuro migliore.

 

Cosa resta di questo giorno
Guernica?

Resti ancora Tu,
In un angolo di cuore.

 

VICENZO MIRRA

 

(26 aprile 2017)

 

 

 

 

Zyg Bau, Munt Man

 

Amore liquido,

disperde il seme della sua fertile goccia

nella tensione superficiale della curva

vacillando nel nulla 

della fatua indifferenza

di un passarsi accanto distratto,

senza più offrire il terreno fermo del palmo di una mano,

il solco delle sue linee, 

né le rughe del volto

né il solido appartenersi dell'abbraccio;

Fragilità emotiva,

nel dissolversi dei legami

una condanna senza appello

il loro evanescente evaporare

da questa pozza dissacrata 

di vita,

liquida,

in cui affoghiamo

in poche dita di solitudine 

davanti agli occhi di molti:

passanti distratti,

vicini confusi e troppo impegnati ad essere incerti,

amici in crisi che si arrampicano sulla Babele dei gusti 

consumandosi di scelte,

stranieri alle porte,

coscienze informi,

esistenze alla deriva 

dilaniate e perse,

vuote di stupore.

 

di Vincenzo Mirra in ricordo di Zygmunt Bauman

 

 

 

 

 

Diario di bordo

(Nave Carpaccio, molo 21, sera del 30 dicembre 2003, verso le 20.55)

 

Poppa della nave.

Comincia a piovere, proprio adesso.

Da qui non sono che a poche centinaia di metri,

da te,

da Portanova.

Avvolte nella pioggia

la cupola verde e gialla di San Marcellino,

le guglie del Duomo.

In alto, sulla collina,

il tufo è di nuovo bagnato;

e sulla nave

anche il ponte è bagnato,

mentre io respiro pioggia

e l’aria della nave in partenza,

che salpa.

 

Vento e mare grosso:

il mare muove forte,

e scuote pensieri e promesse

nelle attese silenti

e solitarie.

Un grosso nuvolone nero

resta immobile vedetta del Golfo;

sulla città

il cielo

è arrugginito di pioggia,

che quasi

sembra in fiamme.

 

I fari

tutti intorno

allampano la sera;

in uno, più lontano,

i nostri corpi sono sentinelle

di vedetta nella garitta.

In mare,

Ginostra è isolata.

 

 

 

Un’onda, ora attendo

 

Sulla riva di questa estate

un’onda, ora attendo

che sommerga questi giorni

di deriva e naufragio;

ora,

che la tempesta

il mare muove,

e un’onda

e la bracciata giusta

e riprendere il largo

io attendo.

 

 

 

 

Slanci di sole e code d’estate

 

Un timido raggio di sole

appare un istante

poi si ritrae.

Lascia al cielo,

greve di pioggia

e di pesanti nuvole viola,

le strade bagnate,

il fruscio dell’alba e

questo risveglio. Resta,

sempre,

sospesa,

l’attesa dell’arcobaleno.

 

 

 

 

’O mare

 

Mare,

Oh mare,

dentro di me ti sento

immensità interiore,

che sei distesa aperta

su un orizzonte vasto,

come abisso profondissimo

di sentimenti

e sensazioni

che travolgono.

 

Mare,

Oh mare,

dentro di me ti vivo:

mare che accogli,

mare che respingi,

mare che d’acqua

sei dorso e ventre

e d’onda sei braccia aperte,

di riva in riva,

con mani di scogli

e dita di conchiglia.

 

Mare,

Oh mare,

dentro di me ti stendi

ed Io ti trovo.

Ti respiro onda

e la tua schiuma

mi è pelle addosso,

e sale sulle nere ciglia

dei miei occhi bagnati

che se ne stanno aperti sul tuo fondale,

e l’apnea mi è respiro abissale.

 

Mare,

Oh mare,

nella tua immensità

meravigliosa e tragica

è il riflesso dell’anima mia,

che raccolgo pietre e sabbie

e conservo l’inesauribile frangersi dell’onda,

che una volta ho trattenuto

nel tintinnio di pietre nere a Piscità,

in uno spuntare d’alba

e di un anno nuovo.

 

Mare,

oh mare,

tu mi hai generato,

ed io ti tramando.

Mare,

oh mare,

non finirà con me il mio mare.

 

 

 

Blue

 

La traccia delle stelle,

le acque tempestose,

la furia dei venti,

un viaggio avventuroso;

l’abisso del mare,

la sua quiete,

le case sulla riva,

i pescatori,

le loro barche

di tutta una vita;

i marinai,

le coste e i porti

attaccati alla terra,

come radici a cui tornare.

La traccia delle stelle,

isole nella notte,

fari di luce,

che danzano.

 

 

 

 

 

Isola bianca

 

Isola bianca d’estate,

isola del cielo

bianca vela d’aria

sopra un’isola sul mare,

che scorri a sinistra della vita,

al traverso

 

 

di una rotta passeggera.

- Cosa sono le nuvole?

Forse sono proprio questo:

sono isole passeggere;

Le spinge il vento,

Le soffia il cielo.

 

 

                                                                                                       da, Isole, Augh! EDIZIONI, 2016

 

Vincenzo Mirra 

 Si è diplomato all'Istituto Nautico di Napoli per poi laurearsi in Ingegneria Aerospaziale.Dal 2005 vive a Pisa. A partire dal 2015 ha iniziato a frequentare corsi e laboratori attoriali, di lettura e di drammaturgia.

La raccolta di poesie ISOLE (2016, Augh! Edizioni) è il suo primo lavoro letterario.

 

 

 

RAFFAELE MARRONE

 

 

da

Sinopie di uomini e cose                     (inedito)

 

 

Una storia di chi resta

 

 

 

Arrivederci

tra i cappotti assiepati

alla banchina.

                            Addio: 

lo sventolio di mani

sospinge via la nave

e te, che non farai

ritorno.

                Ingoiato

dalla linea liminare,

sparisci nella bruma.

Noi si ritorna a casa, ad aspettare.

 

Le tue lettere arrivano:

una, due e altre ancora...

 

Poi il telegramma.

 

«Sai», dice la mamma,

«certe stelle continuano a brillare

anche quando sono morte».

 

E le lettere arrivano:

una due e altre ancora... 

 

 

 

 

 

 

 

Paese mio che odori

di vimini e sambuco

e bacche di carrubo

tostate sul basalto,

ricordi quegli agosti

buttati nei tuoi vichi

ciechi, e nel giardino

incoltivato?

                      Semplici

le tue anime in croce,

impegnate a tradirsi

nei mille andirivieni;

semplici le tue case,

con i mattoni gialli

e infissi d’alluminio

dorati, e le posate

spaiate;

                ancora semplici

i miei amori tuoi,

consumati, per gioco,

dietro le chiare tende

di agosti

                  che forse

tu nemmeno ricordi...

 

Paese smemorato,

sempre uguale, lo stesso

da ventun anni almeno,

uomini e cose, adesso,

più non tengono orma

del mio passo leggero;

ma io, l’orma tua semplice,

ce l’ho stampata in petto

come un segno illeggibile

e piano,

come uno scarabocchio

di quel bimbo che invano

ti cerca una risposta. 

 

 

 

Succo d’arancia in business class

 

 

«Dove sei?»

«Vicino,

ci appressiamo

al capolinea».

                        Intanto

sul fondo,

nel precipitato,

intravedo

la vita che mi avanza,

la vita che forse

mi sopravvivrà. 

 

 

 

                                                                                                      Lampedusa, estate 2016 

 

 

L’unico oro

di cui li ricopriamo

è quello delle coperte

isotermiche,

                       all’attracco.

         

    

 

 

 

 

E poi, quando gli specchi

delle torri non più

riverbereranno i raggi

andati a morire nell’emisfero

australe,

                 la città

nuova di architetture

avvenenti si spegnerà

in un nero puntato

dai neon

                  delle insegne.

 

Turbinati nell’errore

della flânerie, noi

seguiteremo i vessilli

lucenti dei negozi

affilati sui cigli

della notte.

                      Così

ci mischieremo all’ignavia

della falena, al nulla

del dovunque...

                             E l’antinferno

sarà la certezza.

 

 

 

 

Annunciazione

 

 

Ecco, ti sei tradita

sotto la solita coltre

tardiva;

              non composta,

ma buttata in terra

mentre avvinghi la colonna

rossa.

             Appena sbozzato

un dolore

quasi ti annulla il viso;

 

di là è Gabriele

che, in un passo di danza,

già ti porge la palma

                                      di Vita. 

 

 

 

Raffaele Marrone

Riceve la sua formazione elementare presso un istituto sperimentale, in cui è indotto allo sviluppo di una prima sensibilità artistica e poetica. Completa la sua istruzione superiore al Liceo classico Vittorio Emanuele II, coltivando la propria propensione alle letterature sotto la guida della prof.ssa Ida Crispino. Partecipa ad alcuni premi letterari e di critica. È attualmente iscritto al corso di laurea in Storia dell’arte presso l’Università degli studi di Siena.

 

 

 

 

Luca Bresciani

Inediti 2016

 

 

L’onestà dei sassi

 

 

 

 

Nella pietà che non cede al rancore, madre, ho imparato l’amore.

 

Fabrizio De André

 

 

 

La mia spina dorsale

è una colonna di parole

che inizia con maiuscola tristezza

e finisce con un punto di speranza.

 

E’ un faro senza guardiano

in preda a contrazioni d’abisso

che comunque resiste acceso

truccando di luce ogni grido.

 

E’ un cero di istinti

domato dal fuoco dei dubbi

che lentamente si china e si sdraia

per seminare il cuore nella terra.

 

 

 

 

Mi sai prendere in bocca

come fa con i cuccioli una gatta

e mi metti in salvo dal vizio

di vivere solo il mio strazio.

 

La tua saliva calda

nella mia mente gelida

fa piegare le braccia

ai giganti del nulla.

 

E ritorno a cogliere

le rotondità mature del vivere

per spalmarle sui miei contorni

rendendoli dolci prima di cancellarli.

 

 

 

 

 

C’è un Marzo che mi governa

rendendo folle la speranza

sino ad assediare il silenzio

di un cielo che si finge morto.

 

Un solletico intenso

di fastidio e divertimento

fa rotolare il sole

oltre la pietà di rivelare.

 

E condanno la mia titubanza

a ergastoli nella lucentezza

vedendo ora che il male nasce

solo dal buio di chi non sceglie.

 

 

Ora puoi tornare

a domare il mio tremore

senza temere quella scossa

che ti squagliò la giovinezza.

 

Le mie ossa per la prima volta

sono collegate a ogni terra

e la mia rabbia è un interruttore

che si rovescia per non farti morire.

 

 

 

 

 

Sento gli schiocchi profondi

di chi tende i propri abbracci

divaricando insieme al corpo

la parte più pregiata dell’istinto.

 

Anch’io voglio spalancare

le resistenze del mio amore

e ascoltare il canto del sangue

mentre addormenta la sue onde.

 

Sino a riuscire un giorno

a toccarmi le punte del coraggio

espirando tutte le muraglie

che costruiscono in noi di notte.

 

 

 

 

La poesia serve

a increspare la morte.

 

A incidere cerchi

su addii a rettangoli.

 

 

 

 

Trincee di luce

scavo con le parole

in una guerra inodore

che mi varca senza bussare.

 

Ciò che mi comanda

non è infetta rabbia

a deformare il principio

e la fine del mio coraggio.

 

Ma atomica tristezza

con scorie di follia

per un Uomo immenso sconfitto

dal più minuscolo se stesso.

 

 

 

 

 

L’onestà dei sassi

voglio nei miei occhi

per lapidare i miei contorni

e reggermi solo sui battiti.

 

Per imparare che un uomo

può sottomette un uomo

solo per covare la sua speranza

donandogli calore e grandezza.

 

L’onestà dei sassi

voglio nei miei occhi

perché il dolore è l’unico spazio

dove celebrare il nostro risveglio.

 

Un altare sospeso sui rimorsi

dove distruggerci per ricrearci

tornando ad abbracciare la promessa

di perseguire armonia e saggezza.

 

 

 

 

Un pianto nero

si fa le unghie sul mio viso.

 

Lacrime e sangue

si incolonnano sulla pelle

e divento un guerriero Dakota

che senza sella cavalca la vita.

 

Da una terra dura di distanze

ruberò solo ciò che mi serve

per sopravvivere e per sognare

e per costruirti una canzone.

 

Invertirò delle frecce il senso

prima di tendere  il mio arco

e con piume di altissimi uccelli

colpirò al cuore i veri selvaggi.

 

 

 

 

Spogliarci dall’interno

come zolle di un orto

e far l’amore senza corpo

nel tempo infinito di un attimo.

 

Un amore verticale

silenzioso e immobile

con una vita che si vergogna

solo quando non si spalanca.

 

 

 

 

Farci sedere addosso

il terrore più venduto

con quel culo troppo ampio

a torturare ogni nostro inizio.

 

Riempire il suo boccale

con tutta la nostra sete

lasciando che le schiume bianche

diventino fratture esposte.

 

Poi parole strappate

tentando un’evasione.

 

Quasi preghiere

ubriache di luce.

 

 

 

 

 

Vivere a crepapelle.

 

Permettere al tempo

di trasformarsi in un picchio

per ferire la nostra durezza

e riempirci di note l’ombra.

 

Lasciare che sulla carne

ci disegni solo nei di luce.

 

E una ruga dilatata

di amore e di forza:

un sisma materno

che ridà al mondo.

 

 

 

 

Adottare un dolore

prima che lo mandino a morire.

 

Un dolore bastardo

con il muso carcerato nel silenzio.

 

Sfilargli dal collo sfinito

la fune a strozzo dell’odio

e fuggire da odori pieni di sponsor

che non sanno più parlare col vento.

 

Lanciargli nel verde

le domande più rotonde

per farci riportare vicino

il nostro io più lontano.

 

 

 

 

Tornare incolti

fitti e alti

per mangiare le ginocchia

di chi ci falcia la bellezza.

 

Per smarrire i ferri

di chi coltiva in noi i dubbi

e per soffocare le serre

in cui l’odio diventa enorme.

 

Tornare incolti

fitti e alti

abitati da desideri

con ali e pungiglioni.

 

 

Biobibliografia

 

Luca Bresciani

Incomincia a scrivere a 16 anni componendo testi per canzoni e poi dedicarsi esclusivamente alla poesia.

Con poesie inedite vince il premio “Versilia Giovani” e “Giovane Holden”.

Pubblica nel 2007 “Graffi di luce” (Giovane Holden) e “La mia notte” (Edizioni il filo). Nel 2009 “Lucertola” (Edizioni del leone), nel 2011 “6256 Canova”(Edizioni il molo), e nel 2013 “Colibrì, la vita alla vita” (Marco Del Bucchia). Nel 2015 pubblica “Modigliani” per Lietocolle. E’ presidente dell’associazione culturale Vita alla Vita con cui organizza eventi culturali rivolti a dar spazio ai giovani artisti, tra cui il concorso di poesia gratuito under30 “Vita alla Vita”. Nel 2016 con la silloge inedita “L’elaborazione del Tutto” è finalista del premio Casa Museo Alda Merini con giuria formata da personaggi illustri della poesia italiana tra cui Vivian Lamarque e Franco Buffoni.

Paola Casulli

 

 

Varchiamo la soglia dei

 

Nostri onomastici

 

E lingue brevi di scritture

 

Sull'acqua.

 

Spose e sposi di un genere minuscolo

 

Come può esserlo un fatto di stile.

 

Ciò che sfugge a ciò che

 

Siamo dentro

 

É un fare spazio

 

a - una - decom-posi-zione

 

di opposti.

 

La follia, si. La sento dentro

 

E pure il vostro blaterale.

 

Di mucche senza punteggiatura sul dorso.

 

Solo un vuoto echeggiare

 

Sul filo spinato

 

Che puzza di bruciato le vostre dittature.

 

 

 

**

 

Una madre che perdi

 

É una parola che non trovi più

 

Che balbetti. Espelli a colpi di tosse e ti esce solo un rantolo. Una lacrima mai pacificata.

 

Una madre fatta piccola piccola

 

Sul punto di concludersi

 

É un organismo che ti sgorga da dentro

 

Alterità che ti abita. Si fonde nell'organico sentire. É un soffrire del tutto innaturale nella verde anatomia

 

Delle cose.

 

É un'ora sovrappeso. Un'ora, una vita con le gambe spezzate che devi trascinare

 

Finché il nero ridiventa momento

 

Inibito. Caricatura senza arguzia.

 

Patria caelestis sotto il ghiaccio a intorpidire le membra.

 

 

 

**

 

Siamo voci che dimenticano

 

 i Padri. Esposti come cani bohêmiens.

 

Noi, al loro posto. In autoritratti

 

senza pregio.

 

Voci di tabula rasa sui velluto dell'oltre

 

ogni costrizione.  Ogni umanità,

 

Noi. Voci ritagliate nei versi transitori

 

su un pensiero modulato ad arte

 

di orizzonti deboli. Di quel tragico mondo

 

che siamo.

 

Divi in limousine. Algidi punti di vista.

 

Anime siamo, solo per morirci dentro.

 

 

 

**

 

Era soltanto un giorno d'estate

 

Che prese con sè

 

Un tardo pomeriggio

 

Un bagaglio

 

E un treno locale dalla piccola stazione

 

Un incontro e un mai più

 

Detto stretto fra i denti

 

Fu tutto quello che fu

 

Non vi furono altre spiegazioni

 

Poi ci fu lei

 

In una casa con i vulcani ai balconi

 

aspettava il suo ritorno.

 

Cinque giorni alla settimana, poi sette.

 

Poi un mese e più. Anni come piccole luci

 

Di  grano

 

Nella grandezza inviolabile della sua nudità

 

Pregando che l'esile filo non si spezzasse

 

Una mattina lui ritornò

 

Lei guardò i suoi piedi

 

E stese le sue mani sulla bocca

 

Trattenendo a stento un "ooh" di stupore a vedere le loro due anime per terra. Lì che chiunque avrebbe

potuto metterci

 

Un piede sopra.

 

Allora andarono nella saletta da pranzo.

 

Quella tutta gialla e bianca di margherite e ballarono chiudendo

 

Fuori le voci

 

con il camino acceso dove metti una buccia di mela e l'aroma invade le stanze

 

Come fiori spioventi sul dorso

 

Dell'ultimo bacio

 

 

 

**

 

Ma che bella idea questa sera

 

Io e te.

 

Bruciare via tutti i diavoli

 

Per capello

 

E buttarci sul divano. Tra cuscini aspettando l'ultima mossa. Quella del l'infinita cura e

 

quel vale la pena provarci no?

 

Trasformare il vasto porticato

 

Dietro casa in un poligono di fiorì

 

Per giocare a fare centro

 

L'uno nel centro dell'altro.

 

E si finisce poi con l'infilarsi lentamente nel respiro delle proprie intenzioni

 

come piccole falene. Pallide. Lucide.

 

Con gli occhi sporgenti, a vivere nel punto più alto di luce.

 

 

 

**

 

L'altrove é un manoscritto con odori

 

Di pioggia

 

Che smetti di leggere

 

E spargi la voce che la testa

 

Non ha più pensieri

 

E galleggia in questa bellezza

 

Tra banchi di pesci trasparenti

 

E innocui inganni

 

Ciò che è stato bello ha un rimpianto Chiaro, che smarrisce

 

E non resta che guardarti intorno

 

Rapito

 

E sconosciuto

 

In un coraggio d'agavi dove

 

Essere o fingere

 

Non è cosa poi così strana.

 

 

 

**

 

D'improvviso

 

il vuoto che non si risolve

 

inconcepibilmente si muta

 

in identico vuoto.

 

D'improvviso

 

lo sterminato silenzio

 

TU,

 

sempre oscillante equilibrio

 

lungi dal poterlo

 

rendere stabile.

 

Lo si può solo portare tra le scapole

 

come una paio d'ali

 

che si inventano e poi

 

mostrare

 

di innumerevoli piume

 

scucite nella fioritura

 

della fine.

 

 

 

**

 

Cerchiamo

 

la neve che stinge candore

 

e nel bianco flutto

 

piccola gente si tiene in noi

 

avanti e indietro nei bisbigli

 

a incontrarsi

 

a rimanersi taciturni

 

a succhiare abeti

 

per aliti di resina

 

e poi turbati da quella spiga leggera

 

che resta verde e perfetta

 

sul nostro palato

 

a sanguinare

 

finché goccia cade sulla neve

 

che stinge candore

 

e nel bianco flutto

 

si acciambella un intruso carminio.

 

Ci vuole altro a serenarci

 

d'autunno.

 

 

PAOLA CASULLI

 

 

Ho pubblicato tre raccolte di poesie:

Mundus Novus,ed. Del Leone.

Pithekoussai, canti di un'isola,ed. Kairos.

Di là dagli alberi e per stagioni ombrose, ed. Kolibris.

E due poemetti:

Lontano da Itaca, ed. Pentarco.  (Poemetto portato in teatro nella città di Verona con la regia della stessa autrice).

MITOgrafie,  ed. Kairos.

Sono giornalista pubblicista, pittrice, fotografa.

 

 


 

 

 

 

 

 

Guglielmo Peralta

 

                     P O E S I E

 

 

AL FUOCO DELLA POESIA

 

 

 

Immagino l'infanzia dell'aria, dell'acqua, della terra e del fuoco

 

le loro anime bambine danzare incontaminate

 

nel tempo senza storia quando, unica sorgente,

 

il Verbo accese la vampa della vita

 

 

 

La luce!...dissipata. La bontà degli elementi, la fresca gioia,

 

il canto, la fusione, l'amor panico Tutto

 

dissolto quando gettati nel mondo, l'anima nel corpo persa,

 

ci lasciammo ardere nelle ceneri del nostro focolare

 

 

 

Nella tarda ora invasi dalle scorie, perduta la meraviglia e la magia

 

vano è sognare... Eppure altro non resta che il sogno,

 

l'amara potenza di evocare, l'illusione e l'inganno di scaldarsi

 

al fuoco sacro della Poesia

 

 

 

 

 

 

 

BACO DA LUCE

 

 

 

Nell'orto solitario il baco da luce

 

fila un velo d'ombra

 

Nel placido brusio il foglio si fa foglia

 

Pupe nel bozzolo le parole

 

sognano il volo di farfalla

 

Un sillabario segreto

 

si palesa nella notte chiara

 

Si dipana il tessile filo in larve di luce

 

e nel giardino aleggia d'improvviso il canto

 

Nuovo cielo si versa nei parvoli occhi

 

Si svela in un battito d'ali

 

l'universo

 

 

 

 

 

IL CANTO ALL'INFINITO

 

 

 

Quando l'angelo bussa alla notte un oceano di luce

 

muta il destino del mondo che si apre alla felicità

 

Tutto sembra svelarsi sulle orme che conducono

 

al firmamento La pagina bianca promette

 

l'universo e tutto si crea all'improvviso!

 

Come fare entrare in una poesia tutta l'eternità

 

l'origine della luce la sconfinata bellezza del cosmo?

 

Può un verso rinverdire l'albero placare la tempesta

 

donare agli occhi una gaiezza una gioia perenne?

 

Può la poesia prendere la vita per mano?

 

Possano il meraviglioso e l'eterno irrompere

 

nel petto di un cigno e prolungarne il canto all'infinito

 

E gli uomini migrare volando

 

dalla regione del sogno all'Aperto E benedicendo e lodando

 

con tutte le immagini nel cuore essere ciechi

 

e lasciare che in pieno sole vedano per loro le parole!

 

 

 

 

 

 

 

 

NOMI

 

 

 

Quale splendore si cela nei nomi!

 

E come godono gli occhi

 

quando le tremule labbra

 

ne compitano i suoni!

 

Non conosco magia più grande del nome

 

che dà all'udito la vista del paradiso

 

E questo nome è Bellezza

 

 

 

Tutte le creature si corrispondono

 

scambiandosi gli elementi

 

I pesci nuotano nell'aria

 

l'uomo imita gli uccelli

 

nell'acqua cresce la rosa

 

nella terra attecchiscono le nuvole

 

e i sogni sfidano il fuoco

 

Tutte le cose hanno respiro nel nome

 

E Simpatia è questo nome

 

 

 

E questa parola che scintilla

 

di vita primigenia

 

è il sogno antico dello sguardo

 

l'alba nuova del mondo

 

nella carezza di un nome

 

E questo nome è creazione

 

 

 

 

 

 

 

DEL PERDUTO INCANTO

 

 

 

È dolce nuotare in un mare di versi

 

cullarsi sulle onde del sogno

 

dentro coblas spumeggianti

 

tra allegorie e metafore esplorare

 

i fondali del senso     

 

 

 

Navigare con vele di parole

 

nella notte incantata

 

vincere con le similitudini

 

la solitudine dei segni

 

con le sinestesie andare in estasi

 

 

 

Ascoltare con la perla tra le ciglia

 

l’oboe sommerso

 

sulle rime baciate danzare

 

nella dimora del suono

 

 

 

n a u f r a g a r e

 

 

 

tra simboli e assonanze

 

nella liquida luce del canto

 

E risalire

 

in climax discendente

 

tra ricci ed echi

 

dalla perduta riva

 

 

 

 

 NON È FORSE LA NOTTE?

 

 

 

È forse buia la notte e senza cielo?

 

In quali pascoli sbocciano i sogni

 

che lo s-guardo coltiva?

 

Non è forse feconda la notte

 

d’ideali favelle?

 

Non si spalanca il firmamento

 

nello spazio incantato

 

e ne accoglie le stelle?

 

Chi versa nei calici del mondo

 

il liquido canto la luce fiorita?

 

Non è forse la notte

 

che scrive il suo poema?

 

la rutilante notte la notte canterina?

 

 

 

  

 

 L'ORTO DI PROUST

 

 

 

Nell'incantata siepe memori dei tuoi occhi

 

e del tuo animo sensibile al richiamo

 

attendono di nuovo il tuo passaggio

 

le belle rose del Bengala

 

Nella venerata stanza per loro desiderio

 

e non per utilità venuti, a farla bella

 

restano gli oggetti come davanti a un altare

 

L'orologio il letto i piatti appesi al muro

 

in rispettoso silenzio ripassano le tue letture

 

e ogni cosa gode del tempo ritrovato

 

E la finestra ha il tuo sguardo

 

fermo sui lillà e sul parco e accoglie

 

nel suo riquadro il bosco di Méséglise

 

Un maggese è il giardino dei sogni

 

che tu Marcel coltivasti nella sacra cappella

 

per la fertilità d'infiniti occhi

 

Molte piante vi odorano e un orto botanico

 

è la memoria che vi regna e conserva

 

le vegetali essenze dei ricordi

 

Si moltiplica l'incanto in mezzo a tanta verzura

 

e mi ritrovo con te a passeggiare sul sentiero

 

dei biancospini e all'improvviso si aprono

 

tra Combray e Tansonville

 

i viali dorati nella mia stanza

 

 

 

 

 

 

 

SUL FAR DELLA POESIA

 

 

 

Non so in quale remota notte

 

ho iniziato a sognare

 

Per me la notte non ha tempo

 

Essa offre al sogno il suo grembo

 

ed è nell'oscurità che la luce prende forma

 

Sciolto dal mio principio

 

trovo l'equilibrio nell'universo

 

E la mia esistenza è un soggiorno

 

sul far della poesia  

 

 

 

 

 

 

 

 

RȆVERIE

 

 

 

È forse evanescente bellezza che bevo dal pieno calice?

 

Non sfiora quest'universo liquido, quest'idea

 

brulicante d' immagini il fondo del lago?

 

In solitudine resto fedele al sogno traendolo dall'ombra

 

e nella plastica infiorescenza delle forme io tocco

 

il corpo estetico

 

 

 

In trepida attesa mi apro al mondo e nella rȇverie solitaria

 

il mondo a me offre la sua coppa con una stilla di sole

 

e dalla profondità tranquilla sale l'orizzonte maestoso

 

e tutto si distende nella conca del mio essere

 

Può tanta bellezza svanire tradire le parole che la sognano?

 

La densità della sua luce può eludere il respiro dei versi?

 

 

 

O sacra visione che fai buona ogni immagine!

 

Nel tuo poema ognuno vive la sua favola Si supera ogni destino umano

 

E io che bevo dal tuo calice la luce delle stelle

 

in te rinasco e in te tutto divento

 

E nelle forme che da te attingono acqua lustrale io tocco

 

l'anima estatica

 

 

 

 Guglielmo Peralta, poeta, scrittore, saggista, critico letterario e autore di testi teatrali, vive e opera a Palermo. Ha seguito i corsi dell'Istituto superiore di Giornalismo e si è laureato in Pedagogia all’università “La Sapienza” di Roma. Ha insegnato nelle scuole elementari ed è stato docente di materie letterarie nelle scuole medie e superiori. Ha pubblicato tre sillogi poetiche: Il mondo in disuso (I.L.A. Palma, Palermo1969); Soaltà (Federico editore, Palermo, 2001); Sognagione (The Lamp Art Edition, Palermo, 2009, pubblicata anche in versione e-Book da LaRecherche.it.). Nel dicembre 2004 ha fondato la rivista monografica “della Soaltà” che è stata presentata a Palermo, a Palazzo Branciforte; a Capo d’Orlando, presso la Fondazione Lucio Piccolo, e a Firenze, nello storico locale delle “Giubbe Rosse”. Un intertesto, “La Parola”, è stato recitato negli anni ’90 da attori della Scuola di teatro di Michele Perriera, e, successivamente, è stato rappresentato col titolo: “In cammino”, al teatro Lelio di Palermo. Nel Giugno 2011 è uscito il romanzo H-OMBRE-S, pubblicato da Genesi Editrice. Ha vinto il premio Cesare Pavese 2012 per la saggistica inedita con un saggio sull’Autore. Di prossima pubblicazione il saggio "La via dello stupore nella visione est-etica della soaltà".

 

 

 

 

 

 


PAOLO CARNEVALI

 

 

Una nebbia sottile nascondeva St. Paul
Londra viveva frenetica la sua guerra urbana.
Come formiche indifferenti al pericolo
parlavamo di pace,della vita che di giorno in giorno,
nascondeva guerre dimenticate.
C'era aria di tempesta in Cannon Street
che muoveva le foglie caduche dagli alberi,
calpestate e portate dal vento.
Una scritta parlava di Missioni di pace,
ci guardammo nell'opprimibile menzogna
di una pace inquinata e ormai bugiarda.
"Dobbiamo costruire una storia nuova,
 nuovi stili di vita, rifiutare le armi."
Dicesti, incrociando il mio sguardo.
"Solo un disarmo mondiale,spezzerà la catena di
 morte,la cultura della guerra,opporsi al ricatto
della difesa militare,al pericolo grave, al peso
 economico inutile. "  Risposi.
Il respiro si faceva nuvola di vapore
quando indicasti London bridge.
Mi piaceva quella tua passione
per tutte le cause nobili.
Il mondo non doveva finire nell'incoscienza
di una catastrofe atomica,nella follia di un'altra Hiroschima,
 

 
Sono uscito lentamente,
senza far rumore.
Come il vapore si scioglie nell'aria,
del tutto indifferente
all'indifferenza del mondo.
Ma c'è quel lato romantico
regalato dalla vita,
la poesia nascosta nelle piccole cose
anche quelle che offrono tragiche drammaticità
e poca speranza.
La luce mi ha trafitto
rendendo visiva la polvere,abbagliata dal sole
che sembra star ferma: immobile.
Combatto e spero: prego.
Ma spesso sprofondo nel disastro.
 

 
Ti ho vista passeggiare
velocemente per il corso
nascosta tra un fiume di gente,
ma non ti ho chiamata.
Ho continuato nella mia corrente
frettoloso nel consumare il mio tempo.
Ormai siamo soli e avvolti da ombre
nei giorni di festa sul corso.
E' come una giostra che gira e stordisce.
Ti ho vista confusa,anche un po' sola,
ma questo non l'avresti mai detto
se te lo avessi domandato
non avrei ricevuto risposta: per orgoglio.
Ognuno di noi non ama essere ferito.
Ma se per caso avessi teso una mano...
passeggiavo con le mani in tasca
e un passo veloce sul corso,
desideroso di raggiungere casa.
 

 
Paolo Carnevali

Traduttore.
Aderisco al Movimento per il disarmo unilaterale di Carlo Cassola.
Pubblico "I dialoghi di Ebe e Liò"ed.Lalli1984 dal cui testo è stata
realizzata una pièce teatrale.Nello stesso anno redigo "Poetica Città"
un poetry-zine adatto alla distribuzione underground. Pubblico in
ciclostile "Poesie contro la guerra"distribuite in serate di lettura al
The poetry cafe of London. Nel 1985 entro nella redazione del
"Circolo letterario Semmelweis" di A. Australi a Figline valdarno
con la presenza di Peter Russell,Giorgio Van Straten,Romano Bilenchi
ecc. Pubblico la plaquette poetica "Trasparenze"1987 ed,Tracce.
Recensita sul Manifesto1988 e sul Corriere Adriatico1990.
Pubblicato su riviste e blog di poesia.




                  Annalisa Ciampalini

ASPETTANDO L’INIZIO DEL TEMPO

 

Poiché sappiamo cosa avverrà

sulla retta aspettiamo la freccia

che ci faccia capire.

Di fatto non c’è stato lo scocco. Oscilliamo.

Sentiamo  una moltitudine sola,

una macchia unica,

irriducibile. La coscienza prima di frazionarsi.

Impossibile starne fuori.

Pensiamo alla luce che verrà,

a come tutto già contiene

e si dipanerà.

Sarebbe altro a voler esistere

in una cecità senza fine.

Altri i momenti,  nulle le direzioni.

 

 

LA DENSITÀ  DELL’ESISTERE

L’estate che racchiude tutti i cieli si rinnova

nel segno delle costellazioni e muore

ogni volta lungo questi fossi.

Eppure è da tempo un blocco freddo

 in un luogo che non si indica più.

A trapassarci è la luce del presente,

a opprimerci gli occhi la sua densità di corpo.

Col suo premere  il paesaggio ci dice

l’evanescenza dei nostri pensieri,

di come tendano  a una mutevolezza non coesa

che niente incide.

Nulla del genere viene realmente al  mondo,

se non per morire all’istante,

dentro la prima sfera d’aria mossa.


 

 

Un giorno ho preso la strada del nord.

Era un’ora  bianca, con foglie

lente a cadere dai rami.

Avrei percorso una strada in pendenza lieve,

alla fine il nord estremo.

Avrei atteso l’ultimo passo, quello giusto,

che mai accade.

Con me sentivo gli uomini

che credono il nord cosa astratta,

per natura, o perché sempre lontano.

Oppure, proprio quando la salita

sa promettere oltre il visibile,

congiungermi al  punto bianchissimo

dove l’orizzonte sparisce  dietro l’indice,

si inarca a falce e mi sostiene.

 


 

Ora che il sussurro di tutte le preghiere

sale in nebbia densa,

so trovare un posto per ogni cosa.

È una pratica che esige pazienza,

comparare linee a pensieri,

accoppiarli secondo il profilo della forma.

Esiste una collina ventosa oltre questa finestra

che aspetta sotto la luce d’inverno.

Basterebbe incamminarsi su per il declivio,

tendere allo sfolgorio del limitare.

Il tuo posto è il cerchio che si restringe sempre,

l’istante successivo,

quello del cielo sotto l’orizzonte.

 

 

 

E ora che ho trovato questa pace

è come se tutto tornasse alla sua forma.

Gli attimi frazionati all’infinito,

lo sguardo puntato all’orizzonte

che si sbriciola e non ha tregua.

Miriadi di particelle senza embrione.

Tutto si riduce a dimensione zero.

Ora voglio un viso completo e mortale,

la città tutta intera, il suo corpo e il fiume

 in un pensiero di volo.

 Le case, i monti, l’azione compiuta.

Il precipizio che mi sta di fronte.

 

 

Avrei dovuto passarci di nuovo e guardare bene:

lì, dove la casa cedeva sempre più

la sua antica solidità ai campi incolti.   

Cercare in forme disfatte un tratto che fosse tuo.   

Ma è tardi ormai e questo sgretolamento,

mi dicono, non ha più luogo;

è stato costretto in altre cose.

Sono nati paesaggi nuovi,

cancellati i nomi dei viottoli in salita.

Ecco la tua casa di bambino:

mura troppo spesse e l’invincibile gelo,

le finestre vive sul richiamo luminoso dell’aia.

Anch’io l’ho sentito, da una distanza siderale.

Ho ascoltato i vostri dialoghi scarni

sempre prossimi alle azioni,

la voce lasciata nelle zolle dure.

Altre le frasi in circolo nel paesaggio rinnovato,

altra sintassi, alta densità di parole.  



 

L’IMMAGINE CHE HAI LASCIATO

 

Ecco il tuo segno:

la linea diversa del giorno

che su se stesso si piega

e sul balcone finge una posa.

Sempre più ti somiglia.

Ora sono qui,

ho capito il posto, posso sentire.

Chiamami,

dimmi che non è solo una sequenza di pose,

che vero/falso non è un gioco.

Ti chiedo una breve fuga da me stessa,

di somigliarti per un istante

nel tuo confonderti col mondo.


L’aria troppo tersa di novembre

svanisce appena smetto di fissarla,

non vive senza occhi che la tengono.

Esiste l’istante che precede

 il mio volgere lo sguardo altrove,

 lo conosco,  l’attendo.

 E’ lì che si raccoglie ogni speranza

appena si riduce a milligrammi.

Tu avresti visto un’altra scena:

novembre e una sola grande luce,

 l’uomo infreddolito nel mantello santo,

la gioia indivisibile per l’insolito tepore.

Ora guarda, noi e il disastro che imperversa.

L’ ubbia che ci porta a operare  

un frazionamento  senza fine , a rivedere ogni cosa

come si fa con i frattali.

Vite e istanti convergono in fibre evanescenti,

verso  la stessa  materia  indefinita.

 

 


"Nel 2008 ho pubblicato la raccolta di poesie “L’istante Si Dilata” (Ibiskos Editrice Risolo), nello stesso anno e per la stessa casa editrice ho pubblicato un raccontino per un antologia “I Colori della Pace”.

Nel 2009 ho partecipato al concorso “Città di Salò” ottenendo il premio della giuria.

Sono stata poi contattata dalla “Casa Editrice Miano” di Milano, ottenendo così l’inserimento di quattordici testi (quattro editi e dieci inediti) sul quaderno di studi letterari “Alcyone 2000”.

Nel novembre 2014 ho pubblicato la raccolta di poesie “L’assenza” (Giuliano Ladolfi editore) che ha ricevuto una recensione a cura di Michele Brancale sulla Nazione, una recensione a cura di Alessandro Ramberti su Fara Poesia, una a cura di Grazia Calanna sul Quotidiano della Sicilia. Alcuni testi del libro sono stati inseriti nel blog di poesia di Luigia Sorrentino e sulla rivista online “L’Estroverso”. Sempre “L’assenza” si è classificata terza ex aequo nel Premio letterario internazionale “Lago Gerundo”, edizione 2015. Due testi de “L’assenza” sono stati pubblicati nell’antologia  “La tentazione d’esistere” (Liminamentis, 2015).Nel marzo 2015 una mia riflessione sul “non luogo” in poesia è stata pubblicata nel blog “L’ombra delle parole” di Giorgio Linguaglossa.

Quattro poesie e un racconto inediti sono stati pubblicati sul volume “Il luogo della parola”, (autori vari, Fara Editore, 2015).Nel luglio 2015 una mia poesie inedita è stata inserita nel blog “Interno poesia”.

Per quanto riguarda la produzione poetica sto lavorando attorno a un progetto personale. Per lo più questo progetto prende vita da alcuni nodi di pensiero che da un po’ di tempo attirano la mia attenzione: sostanzialmente si tratta del potere dell’immaginazione e dei modi in cui  pensiero, immaginazione e paesaggio si possono influenzare. Inoltre cerco di sperimentare l’efficacia dell’elemento di tensione e del pensiero irrisolto in poesia. E’ ovvio che per sua natura la poesia non obbedisce a istanze programmatiche, quello che faccio è semplicemente analizzare certe questioni che mi stanno a cuore e in un secondo momento vedere se trovano sbocco nella mia poesia. A volte succede."

 Annalisa Ciampalini

 

 

 

Aurora Coppola, Spoglia di sillabe, Europa Edizioni, 2015

Perché non mi ami abbastanza?

Io mi scaglierò contro questo amore
Come un brutto anatroccolo in cerca della sua bellezza interiore
Che impavido di fronte all’evidenza di un grande argine
Decide lo stesso di proseguire la sua crociata.
Ti amerò ostinata, da lontano, me ne starò
Tranquilla e pacata, immobile. In attesa di un tuo cenno.
Ma con il senno di poi,
anche il più resistente dei miei nuclei scoppierà
e a nulla servirà tutta la pioggia del mondo
per placare i miei ormoni,
per nascondere le mie lacrime di una storia impossibile.
Ed io che sono una donna ingenua, vestita di soli fogli
Alla fine dovrò prendere la mia barca
E remare nel verso della rassegnazione
Perché mai ci potrà essere
Ma forse ci sarebbe stato
Quel grande incantesimo tra noi due
Iniziato con la soavità di mille sussurri
Maledetti occhi azzurri!


Pensando alla madre


Mamma, insegnami la misericordia,
Perché in questo mondo senza pietà
Ho ancora tanto da camminare.
E semmai la crudeltà delle persone
Mi portasse ad ucciderne alcune,
ti prego, non disconoscermi
se anche mi son fatta prendere la mano dall’ira
e la vendetta s’è accesa come un fuoco implacabile dentro di me.
Io che ti guardo come una bambina guarda un giocattolo che sa di non poter avere ancora
Mi sento quasi come una zingara che non ha terminato il suo viaggio.
Tu sei un traguardo ancora lontano,
ma so che piano piano, ci ricongiungeremo e ammireremo l’orizzonte insieme,
come fare una di quelle passeggiate in campagna
Avremo il sole in faccia, gli insetti addosso
E la rugiada delle lacrime di questa terra che ci tiene insieme, molecola dopo molecola.


Smeralda speranza



Eldorado, avevi un colore verde oro
Fatta di bambini e di fast food
Ti vanti della tua spensieratezza
Di artisti di strada e di un sole
Che quando fa capolino
Tra le nuvole spinte dal vento
Rallegra i popoli e fa tremare la terra.
Ora che l’ingordigia ed il capitalismo
T’hanno divorata
C’è rimasto un pallido ricordo di una
Tigre che è di nuovo fuggita
E t’ha lasciata
Come Eveline che guarda dalla finestra
Di palazzi nuovissimi
Scheletri fatti di stecchini di gelato.
Anche qui si aspetta Dio
Ma arrivano solo gli americani.


S.o.l.i.d.a.l.i.


Voi siete il problema,
ma anche la soluzione,
voi siete l’azione di questo paese.
Scagliatevi dunque su gli obiettivi della vostra vita
E fate di questa nazione un’Italia unita.
Siate solidali soldati, leali con voi stessi,
fedeli al vessillo dei vostri principi andate
e portate alto l’orgoglio per la nostra terra
non traditela, non avvelenatela,
non voltatele le spalle,
le spighe son gialle, è l’ora del raccolto.
Tendete le braccia e avvolgetevi in cerchio
Fate barriera contro i corrotti,
se queste bestie son sole,
che paura mai potranno farvi?
L’omertà è la più vigliacca delle indifferenze,
è un silenzio che fa male,
è una bugia pesante, è codardia.
Proibite l’infamia, condannate la falsità,
scacciate il nemico della patria
e scambiatevi un segno di pace.


"(...) Aurora Coppola nella sua prima silloge, Spoglia di sillabe, una raccolta nella quale l’autrice si lascia trascinare dalla forza della vita per estrapolarne il midollo, raggiungere la sua essenza.

D’altronde è alla poesia di matrice irlandese che fa costantemente e sottile riferimento, alla petrosità di Yeats, alla polisemicità di Beckett alla spigolosità di Joyce, e su questi ben pasciuti campi fa crescere una scrittura diretta, rocciosa e fiera.

Sinestesie, rime baciate, accostamenti ossimorici, incontri (in apparenza) casuali tra le sillabe, accompagnano lo scorrere dei versi, l’andare fluido nel profondo dell’inconscio.

Aurora Coppola, toscana d’origine ma irlandese d’adozione vive a Dublino dove ha approfondito le letture in lingua orginale di Beckett, Joyce e Yeats e studiato la tecnica delle Limericks. Per i propri componimenti attinge maggiormente dalla letteratura contemporanea di lingua inglese e francese. Aurora utilizza varie tecniche di scrittura per le sue rime (dalla classica baciata alla più libera) facendo uso del suo backround musicale a seguito di anni passati ad esercitarsi e a suonare batteria e percussioni in vari gruppi emergenti italiani e stranieri."

 

da La Nazione  del 7 Aprile  2015 e sul sito di Europa Edizioni  www.europaedizioni.it

 

Valerio Orlandini.

 

 

POESIE

 

 

Canicola senza aria crepe in muri

franti residui terrosi. La coclea

di orecchie scagliate nei burroni

risuona come tromba infernale.

 

Se solo

la soglia di usci

a una sola direzione

non fossero

lasciati alle carline

che senza cura

proliferano oltre la linea.

 

 

 

 

 

Iridio

ho scoperto stasera

la tua voce possente

la chiarezza dell'aria

attraverso altro fumo

i monologhi lunghi

con bambole di pezza.

 

Sono entrato senza

permesso quando ti eri

già fuso, nudo, lungo

la precessione inversa

di ieri su domani.

 

 

 

 

 

L'asimmetria è nascosta da una veste

così aderente che non trattiene acqua

e mani. Una stringe, l'altra prova

a far lo stesso ma non ci riesce.

 

Puoi anche fantasticare, immaginarti

porti lontani dove velieri

brumosi attraccano senz'ancora,

e i marinai vuoti di donne e carne

già intravedono la taverna a picco

sugli scogli scolpiti dai marosi.

 

Però di fronte vedi tua sorella

non del tutto gemella, con i seni

dalla forma arcobaleno e le mani

che stringono nodosi scorpioni

senza sentire dolore. E tu, figlia

di omozigosi imperfette, conclusa

in un cerchio slabbrato come i tuoi

fianchi, cosa sai fare? Guardi odiosa

quella vena che lega le ineguali

vostre braccia, sai che uccidere l'una

è morire per l'altra, e accasciata

nel box doccia intasato da capelli

setosi come spatole di mosca

lasci che l'acqua si sporchi di ispidi

peli pubici simili a dita

storte di feti mai concepiti.

 

 

 

 

 

Segno di un graffio

sul muro. Oratorio

decostruito

tra floride morti.

 

 

 

 

 

Valerio Orlandini

Mi sono interessato molto giovane alla poesia, innanzitutto come lettore, e poi iniziando a scrivere. Coltivo allo stesso tempo la passione per la musica, e non è raro che unisca questi due interessi esibendomi in letture sonorizzate dalle mie composizioni, come ho fatto spesso negli ultimi anni. Ho recentemente pubblicato un libretto autoprodotto con una selezione di mie poesie, intitolato “Separazione dei Gemelli”.

 

 

 

 pioggiaobliquascritturedarte@gmail.com

 

 


 

" Pioggia Obliqua una rivista

affermata e prestigiosa."

 " Un grazie di cuore a 

Pioggia Obliqua i cui molti meriti nei riguardi della poesia non saranno mai abbastanza sottolineati."

 

Alessandro Fo

 

 

" Saprà o vorrà ancora la forza accumulata (...) resistere alla forza di omologazione che la tecnologia sembra inevitabilmente portare in seno?(...) Prevedo un lungo periodo di 'agonie', voglio dire di lotta (...) sarà probabilmente quella la forma e la sostanza del poetare che ci aspetta."

 

Mario Luzi

Da un suo scritto per Pioggia Obliqua a proposito

del  'senso di fare  poesia', gennaio 1996

 

 

" Io credo che un pò di silenzio ci faccia bene, c’è un coro di voci “troppo alto”, sgraziato, che ci sommerge, e non mi riferisco solo alla letteratura. In questa specie di “frullato” che siamo costretti ad ascoltare quotidianamente, il valore delle cose si perde.

 

Se c’è un attimo di riflessione, di

silenzio, la parola scritta o detta assume maggiore rigore."

 

 

Antonio Tabucchi

 

Intervista rilasciata a Luigi Oldani e

Elisabetta Beneforti per Pioggia Obliqua 

 

 


" Il sito Pioggia Obliqua mi ha "donato questa nota sul mio libro (...), ma l'intero sito è da seguire."

 " (...) e un ringraziamento per tutto ciò che P.O. fa per il mondo della poesia."

 " (..) E la stima è da me ricambiata verso il vostro prezioso sito!"

 (...) sempre attenti e preziosi gli amici di "Pioggia Obliqua".

 

Bruno Galluccio

 

 

" Un bel luogo d'incontro tra scritture."

 

Matteo Pelliti

 

 


" Non so dire se la bellezza salverà il mondo, come pensava Dostoevskij, ma mi piace pensare che sarà così. In fondo, già Stendahl sosteneva che "la bellezza non è che una promessa di felicità". 

 

Vittoria Franco

per Pioggia Obliqua

 

 

" Agli amici tanto tanto amati di Pioggia Obliqua, poeti invincibili della vita, il mio abbraccio umile e il mio ringraziamento, per mantenere la poesia come unica veritá nel mondo."

 

Daniel Fermani Gonzales

 

 

 

 

" Rivista preziosa, che seguo da tempo."

 

Alfredo Rienzi

 

                 

 

 

 

                    

 

 

                  

 

                       Consigli di lettura

 

 

    

 Nella omonima rivista cartacea 'Pioggia obliqua rivista di letteratura e culture', pubblicata negli anni Novanta, una intervista a
Antonio Tabucchi,
Edoardo Sanguineti,
Mario Luzi. 
Un testo di Valerio Magrelli. 
Mario Luzi, Luigi Baldacci, Patrizia Valduga, Attilio Lolini, Gabriel Cacho Millet, Marco Marchi e Loriano Gonfiantini rispondono
sul senso di fare poesia in quegli anni.
Risposte attualissime.

 

 

 

 

 

 

 

 


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  • Poesia: Jeffery Harrison Poesie e un'intervista
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  • Poesia: Saverio Bafaro
  • Poesia: Lucia Cupertino
  • Poesia : Giordano Occhini
  • Poesia: Michela Zanarella, Ester Monachino
  • Poesia visiva: Elena Marini
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  • Poesia: Daniela Gentile, Claudio Pasi
  • Stefano Loria pittura-poesia
  • PROPOSTA POESIA a cura di ALESSANDRO FO
  • Poesia proposta: Canale, Lombardi, Merola, Tognoni, Bertone.
  • Poesia proposta: Gian Luca Guillaume, Luca Ispani, Filippo Amadei
  • Poesia proposta: Di Gennaro, Repossi, Rimolo
  • Poesia proposta: Angelo Santangelo, Giulio Mazzali, Marco Bini
  • Poesia proposta: Cunial, Viti, Viotto
  • Poesia : Greta Rosso
  • Poesia: Giovanna Cristina Vivinetto
  • POESIA : Jean Soldini
  • Poesia : Daniela Zambrano - editi e inediti
  • Poesia proposta : Manuela Mori, Selene Pascasi
  • Poesia proposta: Mirra, Allo, Strinati, Ciampalini, Carnevali, Peralta, Casulli, Bresciani, Marrone
  • Poesia proposta: Vera D'Atri
  • Poesia proposta: Laghi Pasini, Milleri, Malerba, Corbetta, Merico
  • Poesia Proposta: Valerio Succi, Michela Gorini
  • Poesia Proposta: Filograna, Della Ciana, Imperato
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