La pagina, con differenti testi, viene presentata per gentile concessione degli autori.
Dal proprio nido alla vita è un poemetto che ho deciso di scrivere incrociando sulla mia strada la scrittura di Gordiano Lupi. Ho avuto il piacere di leggere per ben cinque volte Miracolo a Piombino, e così, immergendomi a pieno in quella letteratura poetica, profonda, a tratti stilisticamente perfetta, ho cercato di prendere in mano la mia penna e di scrivere su carta la mia anima, dopo quelle cinque letture assidue e terapeutiche, che mi hanno profondamente aperto un mondo. Sfogliando Miracolo a Piombino, pagina dopo pagina, mi rendevo sempre più conto che quello era il libro che avevo sempre desiderato di scrivere. Un romanzo perfetto, un connubio di odori, sapori, stati d’animo e sensazioni, che mi hanno permesso nel mese di settembre, di intraprendere questo viaggio personale, di scoprirmi dentro, non tanto come poeta e scrittore, ma come ragazzo prima, e come uomo dopo. ( F.Strinati )
Ho sempre desiderato essere una rondine.
Una rondine è bianca pallida, educata, gentile, affabile...
una rondine è elegante, e vede il cielo ( il suo cielo )
come un aldilà facilmente raggiungibile, anche se distante.
La distanza, è quel metro virtuoso che separa ed unisce
la fanciullezza dalla maturità...
la fanciullezza è una gamba rapida e veloce,
ma non più dei ricordi, che a volte sono dei ficcanasi,
o silenziosi cantastorie di porto, o di periferia.
La maturità è quel succoso frutto appeso all’albero,
è l’ingresso che ci permette di soffocare
i nostri ricordi,
la maturità, è un luogo pieno di gingilli e di oggetti;
un luogo, dove tutto ha un nome, dove tutto...
si ferma e si muove, attraverso un’esperienza
maturata nel tempo!
Le persone si muovono nel tempo.
Uno spazio ficcato lì non per caso, come un orologio
che scandisce in maniera precisa, le sorti
del nostro futuro, perché...
ognuno di noi, siamo in grado di rovistare dentro
il nostro io più profondo e misterioso,
dentro i nostri ricordi, che a volte, sono così offuscati,
come violentati da un rapace, o da un vento canaglia,
che apre la tua porta, come un sogno nella notte!
Ho sempre desiderato essere una rondine.
Una rondine ti parla, anche quando non ti senti pronto
per ascoltarla. Ma lei parla, suona le stanche melodie
figlie dell’autunno, di quei luoghi distanti
dove i pastori, trascorrono il loro tempo in solitudine;
dove nelle casupole, vengono riposte cassette di frutta
per l’ammezzimento,
proprio come il tempo che passa, che fradicia i nostri
segni indelebili sulla pelle, che scortica
la giovinezza, figlia dell’aria e dell’acqua!
Lo ricordo bene, come fosse ieri;
il cielo, come un ricchissimo ventre nella sua naturalezza...
e misteriosissimo con le sue finestre aperte
sugli occhi della gente.
È d’inverno che il cielo mi fa sembrare piccolo e solo.
Un vento di tramontana che urla la sua invidia...
i nuvoloni grigi che soffocano il nostro respirare già lento...
le piogge forti, la grandine; gli ululi dei lupi....
le orme nei campi di grano, e le vestaglie delle contadine
inzuppate nelle prime brine di ottobre,
che aspettano il sole di mezzogiorno, per asciugarsi
temporaneamente...
e noi, povere bestie....che in tutto questo, ci muoviamo
come i rigagnoli che tali sono, che nemmeno
un sibilo, nè tanto meno un flebile suono,
trasportati dai fiumi più grandi,
quei fiumi aggressivi nelle piene in novembre
che sanno come trasportare le carcasse degli alberi secchi,
e le carogne ad impuzzolire quel suo letto
che in estate, fu candido di sassi e di tovaglie,
e di poche briciole di pane!
È d’inverno, che il cielo mi sembra così lontano, così distante...
il freddo, che indurisce la mia pelle, che mi fa tremare
come un bimbo nella culla, sotto una coperta di stelle
e una coltre di neve morbida, che suona la sua musica
solenne e comoda, sopra i prati teneri e i cortili delle scuole...
e l’inverno, che ci vede fragili, deperiti, decrepiti a volte,
come bambole gettate via, messe da parte,
oppure, manichini, riposti in quei vecchi tendoni da circo.
Ho sempre desiderato essere una rondine.
(.....)
POESIE INEDITE
SFUMATO
La mia vita minuscola come una firma da autodidatta,
che sui muri alti e gli alti muri, la mia non presenza...
s’arrampica, s’imbratta.
La mia stanza nasce vuota e vuota mi sostiene
il peso vecchio più degli anni
che hanno saputo rotolare ripetutamente,
tra gli schiamazzi sfaccendati,
le arringhe, le percosse fobiche e quel cipiglio
che si vende l’indole per un tozzo di pane,
la mia vita è una falena al buio,
e cerebrale, il nascituro utopico di mondi visti
su pezzettini di carta stagnola,
si raccolgono da soli col vento che li spazza.
ARSURA
È tutto un pulsare nelle vene secche e cola
con quel suo colare la vernice dal muretto
che snobba e raggira, che peraltro sviene...
come nelle fornaci calde d’afa che sfruttano
le ore opache e false in un tempo fermo e falsario,
come i vecchi topi dritti impennati sul costone
con le idee sfuggite da riordinare poi...
COMPARSE
I rotondi pesci e quelli ovali, di pesci ammollo
nella vastità d’un cielo liturgico e moroso,
nuotano attorno alle vasche coi confini tratteggiati
i pesci gli ubriachi echi, i pesci castigati
da una non forma agli occhi dell’umanoide,
virano accatastati ognuno...., nel cerchio e nella ruota,
il pesce elettrico, il pino marittimo.
MEZZO SOLE
Gocciola e gocciola, l’acqua che tintinna e ciondola,
l’acqua che muore a terra e scava e scava la sua fossa
per innaffiare la radice vecchia, nella senilità
che la ricorda...
è l’acqua che scorre che fluisce che organizza,
la sua vita rapida e con spocchio nobile
bagna e si bagna e imprime, l’umido racconto
di una prosa evacuata con gli spurghi
d’acqua e d’acquazzoni,
come quei tubi e quegli scoli pieni pieni
che suonano la tromba d’ottone.
LUOGHI
“Il fiume scorre e passa e travolge le nostre vite di sassi
e sassolini, e sconvolge, le anime pie di uomini nostri,
dei nostri padri più profondi e lontani”.
Le vite che nell’aria vivono e si muovono
come marionette senza fili, destano stupore, s’aggirano
tra noi che abbiamo gli occhi per carpire sterminati vuoti
oltre i campi e le montagne sperdute nello stordimento
del tempo, ch’è mago e mai ritardatario,
che più del tempo stesso, solo la morte con la sua cadenza
nel nostro presente perpetuamente in movimento!
I luoghi, contengono altri luoghi pieni di orologi
e di cassaforti e di bauli contenenti i tanti viaggi
verso una salvezza semisconosciuta, come le avventure
che si spogliano a forma di giornale, con il vento
che gira pagine di una vita passata troppo in fretta,
come la sorte meschina che se ne va piangendo.
Fabio Strinati ( poeta, scrittore, aforista pianista e compositore ). Molto importante per la sua formazione è l'incontro con il pianista Fabrizio Ottaviucci. Ottaviucci è conosciuto soprattutto per la sua attività di interprete della musica contemporanea, per le sue prestigiose e durature collaborazioni con maestri del calibro di Markus Stockhausen e Stefano Scodanibbio, per le sue interpretazioni di Scelsi, Stockhausen, Cage, Riley e molti altri ancora. Partecipa a diverse edizioni di "Itinerari D'Ascolto", manifestazione di musica contemporanea organizzata da Fabrizio Ottaviucci, come interprete e compositore, e prende parte a numerosi festival e manifestazioni musicali. Fabio Strinati inizia nel 2014 a dedicarsi anche alla scrittura, e in maniera continuativa. Nell'ottobre del 2014 pubblica il suo primo libro di poesie dal titolo " Pensieri nello scrigno. Nelle spighe di grano è il ritmo". Raccolta di poesie pubblicata con la Casa Editrice ed Associazione Culturale Il Foglio Letterario. Nel 2015 esce il suo secondo libro di poesia, dal titolo “ Un’allodola ai bordi del pozzo” pubblicato sempre con Il Foglio Letterario e nel 2016 esce il suo terzo libro, “Dal proprio nido alla vita”. . Strinati è presente in diverse riviste ed antologie letterarie. Nel 2017 pubblica con Il Foglio Letterario il suo quarto libro dal titolo Al di sopra di un uomo.
MARIA ALLO
POESIE
1
La solitudine della poesia si fonde con la linfa di alberi sfiorati dalla sofferenza del mondo
E’ accaduto.
Eri il confine furioso in volo
sulle fiamme dei miei seni
a tratti un colpo di luce pronto ad accecarmi.
Ora cigoli come pioggia di versi
sulla roccia incandescente
io doppia cenere di lava
come limo di bacche
nuda su pentagrammi in cerchio
cerco le parole per dirlo.
Il resto lo fa il temporale di Aprile
un essere voler essere che in te si intreccia
con cortecce prive di foglie
per mancanza di luce mai finita.
Ma tu sei in ogni cosa .
Nel silenzio che rischiara
come nebbia più nuda del mare
o nel sangue di un tralcio di vite che spiove
più oltre come fosse morire.
Conosci gli occhi della luna
e di tutti gli orizzonti quel fragore .
Da te ho appreso Il coraggio del resistere
a labbra aperte nel deserto che avanza
tra i lembi rovesciati della terra
2
ogni parola umana nella veglia.
Dunque questo mi lasci come verso :
la voce segreta − seme del tempo
e la pioggia fra le mani.
Nel tuo respiro tutte le parole,
tutto il silenzio
l’universo intero , tutto e tutti
3
Mi fai sapore di vento
così percorro il cerchio dentro il vuoto
memoria antica di ogni dire
come lingua umana dentro il tuono.
Un moto verticale mi trascina
su tronchi di parole
stagione sperduta intorno al fuoco .
Mi fai credo di non so quale dottrina
pietas liquida in dettagli di naufragi
petto di terra e ventre di semi
A picco di ogni cielo fuggo verticale
tra tante moltitudini e meridiani
lungo sentieri di fruscii
dove tra steli di germogli mi dissolvo.
4
Stamane , all’improvviso …
C’è un silenzio antico nelle cose
sui crinali dei colli nei limoneti
in fondo alle valli intrecciate di ortiche
grovigli di rami disseminati
erbe aromatiche finocchi selvatici
menta e rucola.
C’è un silenzio antico nelle cose
aspetta da sempre, sorregge radici di ulivi
nidifica nel forno sconnesso…
Tendo l’orecchio a inseguire voci
che invadono segni consonanze
di parole lievi librate nelle crepe
dei muri sconnessi tra ciottoli e spini
dietro ogni siepe.
C’è un silenzio antico nelle cose
estenuato da parole di sempre
in ogni angolo della vecchia casa
nella speranza che tende la mano.
Inseguo tenacemente l’azzurro
con occhi spalancati
ma respirare cieli è un’altra cosa
E c’è un silenzio dentro le parole
che rimbalza distrattamente
mai al tempo giusto muto nel dolore
un silenzio non ancora sfiorato
da venti lievi come le mie ciglia,
c’è un silenzio che nessuna parola
può penetrare senza fiatare
con mille nodi i suoni
ne infittiscono gli echi
segnati da erba calpestata
e rami che annaspano
al fruscio dei pioppi ansimanti.
Ma poi senti l’acqua del torrente
borbottare prima piano
poi sempre più incessante
parole e parole
c’è silenzio nel nido
di quei passerotti implumi
c’è silenzio nel buio che trasmigra certezze
nel rumore incessante dei dubbi
nelle pagine bianche nei luoghi di frontiera
in questo tempo che se ne va
c’è silenzio anche nel fuoco
che divampa e zampilla
empiti di poesia arde seguendo tracce
di odori suoni e colori…
Ma non ti ho detto che la pietà
ha grosse ali di viva carne e linfa nuova
a foglia di mandorlo
come segreto albero radicato nell’aria
6
impastato di lava e comprensione radiosa
nelle braccia gigantesche di perdono.
Cresce stamane all’improvviso l’universo
tra solchi e semi come ininterrotti fiori
nel vorticare di memorie salde a questa terra.
Lentamente torna più calda
la fragranza di essenze mutevoli
ma immortali lungo questo fiume.
Persefone s’imperla come il suono
di ogni voce in un ciliegio.
7
Questo cielo così freddo fra noi e l’inverno.
Ho voglia solo di ordinare la casa i cassetti
lavare i vetri e i pavimenti
certi silenzi mettono radici dentro la mia gola,
toccare oggetti quotidiani
raccogliere i cocci del piatto lanciato contro i vetri.
Come un riparo la cura delle cose …
Ma ecco la neve splendere nel sole
sulla ringhiera del cortile siderale
come occhi e solchi invisibili
nel turbine che ci asseconda.
Resta informe un sogno
rami sottili sfollano nel vento
Come un rimedio la cura delle cose
in un prossimo fiorire parole
a custodia di chi nasce e muore
e poi più nulla
8
Franta stamane l'alba [come grani di melograno]
Trabocca da inverno smemorato
Ogni scheggia del giorno è nebbia stinta
Ogni eco del cielo è solitudine di mare
Il senso di ogni andare
Sarà forse questo silenzio solidale
Allarga le braccia
Fino a sciogliere in canto
Il frastuono assordante
Delle nostre esistenze
“Basta il silenzio a farne un altro mondo”
9
Sulle nostre bocche fiorisce il deserto.
Ma c’è un confine in tutto
e il dentro compiuto
senza didascalie o schieramenti di cui porta il nome
non coniuga idee solo frammenti a mille.
A volte un pampino ci può sfiorare
nel mezzo della notte
disseminare sulla battigia sassi levigati
inseguire fantasmi di nereidi
ma non sapremo mai quanto durerà.
Sulle nostre bocche fiorisce l’attesa.
Recide l’aria densa di aromi
inchiodati alle narici su improvvisi fili di pioggia
seme come prova di memoria salvifica
ma c’è lo sgomento di essere vivi.
Sulle nostre bocche fiorisce la polvere.
A volte puntella l’ombra
e quando ormai non resterà più nulla
si sciuperà la vita stessa su tutta la terra.
E così che agisce la luce
eppure in un punto convergente
nulla accadrà mai invano
In un angolo quieto c’è ancora spazio
mentre affiora luce nel silenzio per il nostro domani
10
Scrivo versi di cenere senza incipit o chiuse
con il sapore amaro di cardi e un addio su cigli di tombini.
Echi all’orizzonte svenano nel mare
bisbiglia nella memoria un bianco vasto
lambito da un’idea imperiosa
scheggia erosa dal vulcano
nel fondo della valle
cosi il sangue delle cose diviene un grumo
accanto a coefore mute.
Ecco. Alfabeti esiliati inchiodano
invocazioni di sepolti e lamenti di morte
ora la terra è un grumo che recide i roveti grandi
mentre un biancospino nella molteplicità
delle ferite di questo strano inverno
coglie suoni di tuberose
11
Gli alberi insegnano ai rami come stormire
di foglia in foglia
senza smettere mai di bisbigliare
quel fluire segreto che ascende dalla terra.
Come fiumi dentro il calore del nostro fiato
a tratti brillano ma trasparenza è ciò che rimane
dentro la goccia di un orizzonte intero.
Sfioriamo ciò che ci dissolve
12
Raggi innaturali sfavillano sui tetti.
Mi manca il mare e prendo atto
del tempo che mi resta da percorrere
in questa primavera
abbandonata tra le tue braccia
che affiorano sulle mie spalle mute.
n.1 ἀπορία
Inchiodato al cielo lo scirocco geme, vortica alla marina , invade i cortili, recide l’aria , corre nei vicoli socchiuso tra le auto ferme e non c’è fragore di vetri infranti nel silenzio del pomeriggio invernale colmo di respiro là dove nasce e si spegne .Ma il vento nel silenzio penetra gli alberi, ondula sulle abrasioni dei muri ,tra gli intonaci rossi delle case mentre il fragore del treno stride verso il nulla anche se la terra a poco a poco fa vibrare i teneri trifogli. E intanto la pioggia infuria e assale un coro di voci antiche tra gli sterpi nella dura luce del restare acuminato e del nostro umano passare nel ritmo della risacca. Ora le sillabe crollano sull’acqua dei tombini crepitando sopra le verdi cime i cardi, i nidi e i rami spogli. Eppure sui monti di roccia dura fiorisce il mondo.
n.2 ἀπορία
Se per tutto c’è termine e il fiume scava le nostre vie di ombre tronche perché sostare senza perdono? Fingersi veri senza simmetria mentre cresce nella ferita questa lama disumana che soffocando inganna , tiene svegli , mentre fredda alita la sera tra le vigne , le pietre e i ruderi di fronte …Ma in un punto invisibile la luce della luna si spande , trova luogo dentro i contorni delle cose , sulla soglia che lambisce un’altra forma umana fino al mare come una forza che mentre nasce muore.
Questo autunno indifeso tra i contrasti dei colori di Mondrian
Muore prima dell’alba con il ritmo di brume invernali
Mentre si fa nero il cielo e più lontano cadono le foglie.
Ma non è questo il punto
Si muore restando in piedi con il coraggio di un acrobata cretese
Anche se in agguato il reale assedia il nostro andare
n.3 ἀπορία
Non ha tregua l’umanità e tra nubi sparse la natura spande i resti del suo silenzio .Non resta che cenere nella memoria o questo nonsenso che è la vita . Qui non c’è campo o sono io a non avere campo. Nessuna poesia servirà. Niente da capire. Forse sprofondare non serve e tutto sarà uguale come prima. Ma il momento in cui nasce l’idea , il raptus dell’incontro con l’idea , è vedere un pugno di terra e un biancospino , tenero , testardo mentre il cuculo chiama solo nella notte, chiama una compagna forse smarrita sull’altra riva e i cipressi in sordina modulano controcanti . L’Etna intanto continua a digrignare e le bacche a suggerire tutti i nomi cancellati , recisi con molta discrezione. S’intende .
© Maria Allo
Maria Allo
Poetessa e traduttrice. Laureata in Lettere classiche, insegna nei Licei . Si occupa di Islamistica e di Nuove professioni educative .Ha al suo attivo diverse pubblicazioni antologiche, quqttro sillogi di poesia e “Talenti di donna “ ( Onirica edizioni), un progetto di Gloria Gaetano sull’identità femminile, una proposta di scoperta e di approfondimento in ipotesi di seminari di formazione per le donne realizzato da un gruppo di lavoro al femminile. Attraverso lo strumento del digitale, le sue frequentazioni poetiche, storico e letterarie, soprattutto quelle poetiche, si manifestano, a partire dal suo blog “nugae11”o nei siti dove è ospitata. Alcune sue poesie sono state lette e commentate su Rai Notte nelle trasmissioni “Inconscio, magia e psiche” e su Cinque stelle del prof. Gabriele La Porta.
IL suo blog di riferimento: http://nugae11.wordpress.com/
VINCENZO MIRRA
poesie
Guernica
Cosa resta di te
Guernica,
solo il buio di una lampada spenta
fissa nel centro / di un maledetto lunedì,
nel nero fumo di un primato di bombe
di croci nel cielo, di lapidi e tombe,
e piombo nella pancia delle nuvole.
Cosa resta di te
Gernika,
dello splendore basco delle tue radici
della tua quercia di fueros / dell’assemblea dei tuoi rami,
solo il bianco grigio delle macerie
addossate a un primato di morte,
nel grigio polvere della cenere.
Cosa resta di te
Guernica?
dello stupore della tua bellezza,
solo il pianto di una madre / e di un’altra, le sue grida di dolore,
soffocate a singhiozzi di voce,
de tu nombre, Pablito, che giaci raccolto tra braccia amorevoli,
con il corpo reclino sulla vita morta.
Cosa resta di te,
Gernika,
delle tue braccia di donna sollevate al cielo,
solo l'ombra di nuovi rami, Gernikako Arbola,
che invocano il tuo perdono / Oh vecchio albero,
con la promessa di giustizia della tua giovane quercia,
seme di speranza, il tuo fiore, per il germoglio di un futuro migliore.
Cosa resta di questo giorno
Guernica?
Resti ancora Tu,
In un angolo di cuore.
VICENZO MIRRA
(26 aprile 2017)
Zyg Bau, Munt Man
Amore liquido,
disperde il seme della sua fertile goccia
nella tensione superficiale della curva
vacillando nel nulla
della fatua indifferenza
di un passarsi accanto distratto,
senza più offrire il terreno fermo del palmo di una mano,
il solco delle sue linee,
né le rughe del volto
né il solido appartenersi dell'abbraccio;
Fragilità emotiva,
nel dissolversi dei legami
una condanna senza appello
il loro evanescente evaporare
da questa pozza dissacrata
di vita,
liquida,
in cui affoghiamo
in poche dita di solitudine
davanti agli occhi di molti:
passanti distratti,
vicini confusi e troppo impegnati ad essere incerti,
amici in crisi che si arrampicano sulla Babele dei gusti
consumandosi di scelte,
stranieri alle porte,
coscienze informi,
esistenze alla deriva
dilaniate e perse,
vuote di stupore.
di Vincenzo Mirra in ricordo di Zygmunt Bauman
Diario di bordo
(Nave Carpaccio, molo 21, sera del 30 dicembre 2003, verso le 20.55)
Poppa della nave.
Comincia a piovere, proprio adesso.
Da qui non sono che a poche centinaia di metri,
da te,
da Portanova.
Avvolte nella pioggia
la cupola verde e gialla di San Marcellino,
le guglie del Duomo.
In alto, sulla collina,
il tufo è di nuovo bagnato;
e sulla nave
anche il ponte è bagnato,
mentre io respiro pioggia
e l’aria della nave in partenza,
che salpa.
Vento e mare grosso:
il mare muove forte,
e scuote pensieri e promesse
nelle attese silenti
e solitarie.
Un grosso nuvolone nero
resta immobile vedetta del Golfo;
sulla città
il cielo
è arrugginito di pioggia,
che quasi
sembra in fiamme.
I fari
tutti intorno
allampano la sera;
in uno, più lontano,
i nostri corpi sono sentinelle
di vedetta nella garitta.
In mare,
Ginostra è isolata.
Un’onda, ora attendo
Sulla riva di questa estate
un’onda, ora attendo
che sommerga questi giorni
di deriva e naufragio;
ora,
che la tempesta
il mare muove,
e un’onda
e la bracciata giusta
e riprendere il largo
io attendo.
Slanci di sole e code d’estate
Un timido raggio di sole
appare un istante
poi si ritrae.
Lascia al cielo,
greve di pioggia
e di pesanti nuvole viola,
le strade bagnate,
il fruscio dell’alba e
questo risveglio. Resta,
sempre,
sospesa,
l’attesa dell’arcobaleno.
’O mare
Mare,
Oh mare,
dentro di me ti sento
immensità interiore,
che sei distesa aperta
su un orizzonte vasto,
come abisso profondissimo
di sentimenti
e sensazioni
che travolgono.
Mare,
Oh mare,
dentro di me ti vivo:
mare che accogli,
mare che respingi,
mare che d’acqua
sei dorso e ventre
e d’onda sei braccia aperte,
di riva in riva,
con mani di scogli
e dita di conchiglia.
Mare,
Oh mare,
dentro di me ti stendi
ed Io ti trovo.
Ti respiro onda
e la tua schiuma
mi è pelle addosso,
e sale sulle nere ciglia
dei miei occhi bagnati
che se ne stanno aperti sul tuo fondale,
e l’apnea mi è respiro abissale.
Mare,
Oh mare,
nella tua immensità
meravigliosa e tragica
è il riflesso dell’anima mia,
che raccolgo pietre e sabbie
e conservo l’inesauribile frangersi dell’onda,
che una volta ho trattenuto
nel tintinnio di pietre nere a Piscità,
in uno spuntare d’alba
e di un anno nuovo.
Mare,
oh mare,
tu mi hai generato,
ed io ti tramando.
Mare,
oh mare,
non finirà con me il mio mare.
Blue
La traccia delle stelle,
le acque tempestose,
la furia dei venti,
un viaggio avventuroso;
l’abisso del mare,
la sua quiete,
le case sulla riva,
i pescatori,
le loro barche
di tutta una vita;
i marinai,
le coste e i porti
attaccati alla terra,
come radici a cui tornare.
La traccia delle stelle,
isole nella notte,
fari di luce,
che danzano.
Isola bianca
Isola bianca d’estate,
isola del cielo
bianca vela d’aria
sopra un’isola sul mare,
che scorri a sinistra della vita,
al traverso
di una rotta passeggera.
- Cosa sono le nuvole?
Forse sono proprio questo:
sono isole passeggere;
Le spinge il vento,
Le soffia il cielo.
da, Isole, Augh! EDIZIONI, 2016
Vincenzo Mirra
Si è diplomato all'Istituto Nautico di Napoli per poi laurearsi in Ingegneria Aerospaziale.Dal 2005 vive a Pisa. A partire dal 2015 ha iniziato a frequentare corsi e laboratori attoriali, di lettura e di drammaturgia.
La raccolta di poesie ISOLE (2016, Augh! Edizioni) è il suo primo lavoro letterario.
RAFFAELE MARRONE
da
Sinopie di uomini e cose (inedito)
Una storia di chi resta
Arrivederci
tra i cappotti assiepati
alla banchina.
Addio:
lo sventolio di mani
sospinge via la nave
e te, che non farai
ritorno.
Ingoiato
dalla linea liminare,
sparisci nella bruma.
Noi si ritorna a casa, ad aspettare.
Le tue lettere arrivano:
una, due e altre ancora...
Poi il telegramma.
«Sai», dice la mamma,
«certe stelle continuano a brillare
anche quando sono morte».
E le lettere arrivano:
una due e altre ancora...
Paese mio che odori
di vimini e sambuco
e bacche di carrubo
tostate sul basalto,
ricordi quegli agosti
buttati nei tuoi vichi
ciechi, e nel giardino
incoltivato?
Semplici
le tue anime in croce,
impegnate a tradirsi
nei mille andirivieni;
semplici le tue case,
con i mattoni gialli
e infissi d’alluminio
dorati, e le posate
spaiate;
ancora semplici
i miei amori tuoi,
consumati, per gioco,
dietro le chiare tende
di agosti
che forse
tu nemmeno ricordi...
Paese smemorato,
sempre uguale, lo stesso
da ventun anni almeno,
uomini e cose, adesso,
più non tengono orma
del mio passo leggero;
ma io, l’orma tua semplice,
ce l’ho stampata in petto
come un segno illeggibile
e piano,
come uno scarabocchio
di quel bimbo che invano
ti cerca una risposta.
Succo d’arancia in business class
«Dove sei?»
«Vicino,
ci appressiamo
al capolinea».
Intanto
sul fondo,
nel precipitato,
intravedo
la vita che mi avanza,
la vita che forse
mi sopravvivrà.
Lampedusa, estate 2016
L’unico oro
di cui li ricopriamo
è quello delle coperte
isotermiche,
all’attracco.
E poi, quando gli specchi
delle torri non più
riverbereranno i raggi
andati a morire nell’emisfero
australe,
la città
nuova di architetture
avvenenti si spegnerà
in un nero puntato
dai neon
delle insegne.
Turbinati nell’errore
della flânerie, noi
seguiteremo i vessilli
lucenti dei negozi
affilati sui cigli
della notte.
Così
ci mischieremo all’ignavia
della falena, al nulla
del dovunque...
E l’antinferno
sarà la certezza.
Annunciazione
Ecco, ti sei tradita
sotto la solita coltre
tardiva;
non composta,
ma buttata in terra
mentre avvinghi la colonna
rossa.
Appena sbozzato
un dolore
quasi ti annulla il viso;
di là è Gabriele
che, in un passo di danza,
già ti porge la palma
di Vita.
Raffaele Marrone
Riceve la sua formazione elementare presso un istituto sperimentale, in cui è indotto allo sviluppo di una prima sensibilità artistica e poetica. Completa la sua istruzione superiore al Liceo classico Vittorio Emanuele II, coltivando la propria propensione alle letterature sotto la guida della prof.ssa Ida Crispino. Partecipa ad alcuni premi letterari e di critica. È attualmente iscritto al corso di laurea in Storia dell’arte presso l’Università degli studi di Siena.
Inediti 2016
L’onestà dei sassi
Nella pietà che non cede al rancore, madre, ho imparato l’amore.
Fabrizio De André
La mia spina dorsale
è una colonna di parole
che inizia con maiuscola tristezza
e finisce con un punto di speranza.
E’ un faro senza guardiano
in preda a contrazioni d’abisso
che comunque resiste acceso
truccando di luce ogni grido.
E’ un cero di istinti
domato dal fuoco dei dubbi
che lentamente si china e si sdraia
per seminare il cuore nella terra.
Mi sai prendere in bocca
come fa con i cuccioli una gatta
e mi metti in salvo dal vizio
di vivere solo il mio strazio.
La tua saliva calda
nella mia mente gelida
fa piegare le braccia
ai giganti del nulla.
E ritorno a cogliere
le rotondità mature del vivere
per spalmarle sui miei contorni
rendendoli dolci prima di cancellarli.
C’è un Marzo che mi governa
rendendo folle la speranza
sino ad assediare il silenzio
di un cielo che si finge morto.
Un solletico intenso
di fastidio e divertimento
fa rotolare il sole
oltre la pietà di rivelare.
E condanno la mia titubanza
a ergastoli nella lucentezza
vedendo ora che il male nasce
solo dal buio di chi non sceglie.
Ora puoi tornare
a domare il mio tremore
senza temere quella scossa
che ti squagliò la giovinezza.
Le mie ossa per la prima volta
sono collegate a ogni terra
e la mia rabbia è un interruttore
che si rovescia per non farti morire.
Sento gli schiocchi profondi
di chi tende i propri abbracci
divaricando insieme al corpo
la parte più pregiata dell’istinto.
Anch’io voglio spalancare
le resistenze del mio amore
e ascoltare il canto del sangue
mentre addormenta la sue onde.
Sino a riuscire un giorno
a toccarmi le punte del coraggio
espirando tutte le muraglie
che costruiscono in noi di notte.
La poesia serve
a increspare la morte.
A incidere cerchi
su addii a rettangoli.
Trincee di luce
scavo con le parole
in una guerra inodore
che mi varca senza bussare.
Ciò che mi comanda
non è infetta rabbia
a deformare il principio
e la fine del mio coraggio.
Ma atomica tristezza
con scorie di follia
per un Uomo immenso sconfitto
dal più minuscolo se stesso.
L’onestà dei sassi
voglio nei miei occhi
per lapidare i miei contorni
e reggermi solo sui battiti.
Per imparare che un uomo
può sottomette un uomo
solo per covare la sua speranza
donandogli calore e grandezza.
L’onestà dei sassi
voglio nei miei occhi
perché il dolore è l’unico spazio
dove celebrare il nostro risveglio.
Un altare sospeso sui rimorsi
dove distruggerci per ricrearci
tornando ad abbracciare la promessa
di perseguire armonia e saggezza.
Un pianto nero
si fa le unghie sul mio viso.
Lacrime e sangue
si incolonnano sulla pelle
e divento un guerriero Dakota
che senza sella cavalca la vita.
Da una terra dura di distanze
ruberò solo ciò che mi serve
per sopravvivere e per sognare
e per costruirti una canzone.
Invertirò delle frecce il senso
prima di tendere il mio arco
e con piume di altissimi uccelli
colpirò al cuore i veri selvaggi.
Spogliarci dall’interno
come zolle di un orto
e far l’amore senza corpo
nel tempo infinito di un attimo.
Un amore verticale
silenzioso e immobile
con una vita che si vergogna
solo quando non si spalanca.
Farci sedere addosso
il terrore più venduto
con quel culo troppo ampio
a torturare ogni nostro inizio.
Riempire il suo boccale
con tutta la nostra sete
lasciando che le schiume bianche
diventino fratture esposte.
Poi parole strappate
tentando un’evasione.
Quasi preghiere
ubriache di luce.
Vivere a crepapelle.
Permettere al tempo
di trasformarsi in un picchio
per ferire la nostra durezza
e riempirci di note l’ombra.
Lasciare che sulla carne
ci disegni solo nei di luce.
E una ruga dilatata
di amore e di forza:
un sisma materno
che ridà al mondo.
Adottare un dolore
prima che lo mandino a morire.
Un dolore bastardo
con il muso carcerato nel silenzio.
Sfilargli dal collo sfinito
la fune a strozzo dell’odio
e fuggire da odori pieni di sponsor
che non sanno più parlare col vento.
Lanciargli nel verde
le domande più rotonde
per farci riportare vicino
il nostro io più lontano.
Tornare incolti
fitti e alti
per mangiare le ginocchia
di chi ci falcia la bellezza.
Per smarrire i ferri
di chi coltiva in noi i dubbi
e per soffocare le serre
in cui l’odio diventa enorme.
Tornare incolti
fitti e alti
abitati da desideri
con ali e pungiglioni.
Biobibliografia
Luca Bresciani
Incomincia a scrivere a 16 anni componendo testi per canzoni e poi dedicarsi esclusivamente alla poesia.
Con poesie inedite vince il premio “Versilia Giovani” e “Giovane Holden”.
Pubblica nel 2007 “Graffi di luce” (Giovane Holden) e “La mia notte” (Edizioni il filo). Nel 2009 “Lucertola” (Edizioni del leone), nel 2011 “6256 Canova”(Edizioni il molo), e nel 2013 “Colibrì, la vita alla vita” (Marco Del Bucchia). Nel 2015 pubblica “Modigliani” per Lietocolle. E’ presidente dell’associazione culturale Vita alla Vita con cui organizza eventi culturali rivolti a dar spazio ai giovani artisti, tra cui il concorso di poesia gratuito under30 “Vita alla Vita”. Nel 2016 con la silloge inedita “L’elaborazione del Tutto” è finalista del premio Casa Museo Alda Merini con giuria formata da personaggi illustri della poesia italiana tra cui Vivian Lamarque e Franco Buffoni.
Paola Casulli
Varchiamo la soglia dei
Nostri onomastici
E lingue brevi di scritture
Sull'acqua.
Spose e sposi di un genere minuscolo
Come può esserlo un fatto di stile.
Ciò che sfugge a ciò che
Siamo dentro
É un fare spazio
a - una - decom-posi-zione
di opposti.
La follia, si. La sento dentro
E pure il vostro blaterale.
Di mucche senza punteggiatura sul dorso.
Solo un vuoto echeggiare
Sul filo spinato
Che puzza di bruciato le vostre dittature.
**
Una madre che perdi
É una parola che non trovi più
Che balbetti. Espelli a colpi di tosse e ti esce solo un rantolo. Una lacrima mai pacificata.
Una madre fatta piccola piccola
Sul punto di concludersi
É un organismo che ti sgorga da dentro
Alterità che ti abita. Si fonde nell'organico sentire. É un soffrire del tutto innaturale nella verde anatomia
Delle cose.
É un'ora sovrappeso. Un'ora, una vita con le gambe spezzate che devi trascinare
Finché il nero ridiventa momento
Inibito. Caricatura senza arguzia.
Patria caelestis sotto il ghiaccio a intorpidire le membra.
**
Siamo voci che dimenticano
i Padri. Esposti come cani bohêmiens.
Noi, al loro posto. In autoritratti
senza pregio.
Voci di tabula rasa sui velluto dell'oltre
ogni costrizione. Ogni umanità,
Noi. Voci ritagliate nei versi transitori
su un pensiero modulato ad arte
di orizzonti deboli. Di quel tragico mondo
che siamo.
Divi in limousine. Algidi punti di vista.
Anime siamo, solo per morirci dentro.
**
Era soltanto un giorno d'estate
Che prese con sè
Un tardo pomeriggio
Un bagaglio
E un treno locale dalla piccola stazione
Un incontro e un mai più
Detto stretto fra i denti
Fu tutto quello che fu
Non vi furono altre spiegazioni
Poi ci fu lei
In una casa con i vulcani ai balconi
aspettava il suo ritorno.
Cinque giorni alla settimana, poi sette.
Poi un mese e più. Anni come piccole luci
Di grano
Nella grandezza inviolabile della sua nudità
Pregando che l'esile filo non si spezzasse
Una mattina lui ritornò
Lei guardò i suoi piedi
E stese le sue mani sulla bocca
Trattenendo a stento un "ooh" di stupore a vedere le loro due anime per terra. Lì che chiunque avrebbe
potuto metterci
Un piede sopra.
Allora andarono nella saletta da pranzo.
Quella tutta gialla e bianca di margherite e ballarono chiudendo
Fuori le voci
con il camino acceso dove metti una buccia di mela e l'aroma invade le stanze
Come fiori spioventi sul dorso
Dell'ultimo bacio
**
Ma che bella idea questa sera
Io e te.
Bruciare via tutti i diavoli
Per capello
E buttarci sul divano. Tra cuscini aspettando l'ultima mossa. Quella del l'infinita cura e
quel vale la pena provarci no?
Trasformare il vasto porticato
Dietro casa in un poligono di fiorì
Per giocare a fare centro
L'uno nel centro dell'altro.
E si finisce poi con l'infilarsi lentamente nel respiro delle proprie intenzioni
come piccole falene. Pallide. Lucide.
Con gli occhi sporgenti, a vivere nel punto più alto di luce.
**
L'altrove é un manoscritto con odori
Di pioggia
Che smetti di leggere
E spargi la voce che la testa
Non ha più pensieri
E galleggia in questa bellezza
Tra banchi di pesci trasparenti
E innocui inganni
Ciò che è stato bello ha un rimpianto Chiaro, che smarrisce
E non resta che guardarti intorno
Rapito
E sconosciuto
In un coraggio d'agavi dove
Essere o fingere
Non è cosa poi così strana.
**
D'improvviso
il vuoto che non si risolve
inconcepibilmente si muta
in identico vuoto.
D'improvviso
lo sterminato silenzio
TU,
sempre oscillante equilibrio
lungi dal poterlo
rendere stabile.
Lo si può solo portare tra le scapole
come una paio d'ali
che si inventano e poi
mostrare
di innumerevoli piume
scucite nella fioritura
della fine.
**
Cerchiamo
la neve che stinge candore
e nel bianco flutto
piccola gente si tiene in noi
avanti e indietro nei bisbigli
a incontrarsi
a rimanersi taciturni
a succhiare abeti
per aliti di resina
e poi turbati da quella spiga leggera
che resta verde e perfetta
sul nostro palato
a sanguinare
finché goccia cade sulla neve
che stinge candore
e nel bianco flutto
si acciambella un intruso carminio.
Ci vuole altro a serenarci
d'autunno.
PAOLA CASULLI
Ho pubblicato tre raccolte di poesie:
Mundus Novus,ed. Del Leone.
Pithekoussai, canti di un'isola,ed. Kairos.
Di là dagli alberi e per stagioni ombrose, ed. Kolibris.
E due poemetti:
Lontano da Itaca, ed. Pentarco. (Poemetto portato in teatro nella città di Verona con la regia della stessa autrice).
MITOgrafie, ed. Kairos.
Sono giornalista pubblicista, pittrice, fotografa.
Guglielmo Peralta
P O E S I E
AL FUOCO DELLA POESIA
Immagino l'infanzia dell'aria, dell'acqua, della terra e del fuoco
le loro anime bambine danzare incontaminate
nel tempo senza storia quando, unica sorgente,
il Verbo accese la vampa della vita
La luce!...dissipata. La bontà degli elementi, la fresca gioia,
il canto, la fusione, l'amor panico Tutto
dissolto quando gettati nel mondo, l'anima nel corpo persa,
ci lasciammo ardere nelle ceneri del nostro focolare
Nella tarda ora invasi dalle scorie, perduta la meraviglia e la magia
vano è sognare... Eppure altro non resta che il sogno,
l'amara potenza di evocare, l'illusione e l'inganno di scaldarsi
al fuoco sacro della Poesia
BACO DA LUCE
Nell'orto solitario il baco da luce
fila un velo d'ombra
Nel placido brusio il foglio si fa foglia
Pupe nel bozzolo le parole
sognano il volo di farfalla
Un sillabario segreto
si palesa nella notte chiara
Si dipana il tessile filo in larve di luce
e nel giardino aleggia d'improvviso il canto
Nuovo cielo si versa nei parvoli occhi
Si svela in un battito d'ali
l'universo
IL CANTO ALL'INFINITO
Quando l'angelo bussa alla notte un oceano di luce
muta il destino del mondo che si apre alla felicità
Tutto sembra svelarsi sulle orme che conducono
al firmamento La pagina bianca promette
l'universo e tutto si crea all'improvviso!
Come fare entrare in una poesia tutta l'eternità
l'origine della luce la sconfinata bellezza del cosmo?
Può un verso rinverdire l'albero placare la tempesta
donare agli occhi una gaiezza una gioia perenne?
Può la poesia prendere la vita per mano?
Possano il meraviglioso e l'eterno irrompere
nel petto di un cigno e prolungarne il canto all'infinito
E gli uomini migrare volando
dalla regione del sogno all'Aperto E benedicendo e lodando
con tutte le immagini nel cuore essere ciechi
e lasciare che in pieno sole vedano per loro le parole!
NOMI
Quale splendore si cela nei nomi!
E come godono gli occhi
quando le tremule labbra
ne compitano i suoni!
Non conosco magia più grande del nome
che dà all'udito la vista del paradiso
E questo nome è Bellezza
Tutte le creature si corrispondono
scambiandosi gli elementi
I pesci nuotano nell'aria
l'uomo imita gli uccelli
nell'acqua cresce la rosa
nella terra attecchiscono le nuvole
e i sogni sfidano il fuoco
Tutte le cose hanno respiro nel nome
E Simpatia è questo nome
E questa parola che scintilla
di vita primigenia
è il sogno antico dello sguardo
l'alba nuova del mondo
nella carezza di un nome
E questo nome è creazione
DEL PERDUTO INCANTO
È dolce nuotare in un mare di versi
cullarsi sulle onde del sogno
dentro coblas spumeggianti
tra allegorie e metafore esplorare
i fondali del senso
Navigare con vele di parole
nella notte incantata
vincere con le similitudini
la solitudine dei segni
con le sinestesie andare in estasi
Ascoltare con la perla tra le ciglia
l’oboe sommerso
sulle rime baciate danzare
nella dimora del suono
n a u f r a g a r e
tra simboli e assonanze
nella liquida luce del canto
E risalire
in climax discendente
tra ricci ed echi
dalla perduta riva
NON È FORSE LA NOTTE?
È forse buia la notte e senza cielo?
In quali pascoli sbocciano i sogni
che lo s-guardo coltiva?
Non è forse feconda la notte
d’ideali favelle?
Non si spalanca il firmamento
nello spazio incantato
e ne accoglie le stelle?
Chi versa nei calici del mondo
il liquido canto la luce fiorita?
Non è forse la notte
che scrive il suo poema?
la rutilante notte la notte canterina?
L'ORTO DI PROUST
Nell'incantata siepe memori dei tuoi occhi
e del tuo animo sensibile al richiamo
attendono di nuovo il tuo passaggio
le belle rose del Bengala
Nella venerata stanza per loro desiderio
e non per utilità venuti, a farla bella
restano gli oggetti come davanti a un altare
L'orologio il letto i piatti appesi al muro
in rispettoso silenzio ripassano le tue letture
e ogni cosa gode del tempo ritrovato
E la finestra ha il tuo sguardo
fermo sui lillà e sul parco e accoglie
nel suo riquadro il bosco di Méséglise
Un maggese è il giardino dei sogni
che tu Marcel coltivasti nella sacra cappella
per la fertilità d'infiniti occhi
Molte piante vi odorano e un orto botanico
è la memoria che vi regna e conserva
le vegetali essenze dei ricordi
Si moltiplica l'incanto in mezzo a tanta verzura
e mi ritrovo con te a passeggiare sul sentiero
dei biancospini e all'improvviso si aprono
tra Combray e Tansonville
i viali dorati nella mia stanza
SUL FAR DELLA POESIA
Non so in quale remota notte
ho iniziato a sognare
Per me la notte non ha tempo
Essa offre al sogno il suo grembo
ed è nell'oscurità che la luce prende forma
Sciolto dal mio principio
trovo l'equilibrio nell'universo
E la mia esistenza è un soggiorno
sul far della poesia
RȆVERIE
È forse evanescente bellezza che bevo dal pieno calice?
Non sfiora quest'universo liquido, quest'idea
brulicante d' immagini il fondo del lago?
In solitudine resto fedele al sogno traendolo dall'ombra
e nella plastica infiorescenza delle forme io tocco
il corpo estetico
In trepida attesa mi apro al mondo e nella rȇverie solitaria
il mondo a me offre la sua coppa con una stilla di sole
e dalla profondità tranquilla sale l'orizzonte maestoso
e tutto si distende nella conca del mio essere
Può tanta bellezza svanire tradire le parole che la sognano?
La densità della sua luce può eludere il respiro dei versi?
O sacra visione che fai buona ogni immagine!
Nel tuo poema ognuno vive la sua favola Si supera ogni destino umano
E io che bevo dal tuo calice la luce delle stelle
in te rinasco e in te tutto divento
E nelle forme che da te attingono acqua lustrale io tocco
l'anima estatica
Guglielmo Peralta, poeta, scrittore, saggista, critico letterario e autore di testi teatrali, vive e opera a Palermo. Ha seguito i corsi dell'Istituto superiore di Giornalismo e si è laureato in Pedagogia all’università “La Sapienza” di Roma. Ha insegnato nelle scuole elementari ed è stato docente di materie letterarie nelle scuole medie e superiori. Ha pubblicato tre sillogi poetiche: Il mondo in disuso (I.L.A. Palma, Palermo1969); Soaltà (Federico editore, Palermo, 2001); Sognagione (The Lamp Art Edition, Palermo, 2009, pubblicata anche in versione e-Book da LaRecherche.it.). Nel dicembre 2004 ha fondato la rivista monografica “della Soaltà” che è stata presentata a Palermo, a Palazzo Branciforte; a Capo d’Orlando, presso la Fondazione Lucio Piccolo, e a Firenze, nello storico locale delle “Giubbe Rosse”. Un intertesto, “La Parola”, è stato recitato negli anni ’90 da attori della Scuola di teatro di Michele Perriera, e, successivamente, è stato rappresentato col titolo: “In cammino”, al teatro Lelio di Palermo. Nel Giugno 2011 è uscito il romanzo H-OMBRE-S, pubblicato da Genesi Editrice. Ha vinto il premio Cesare Pavese 2012 per la saggistica inedita con un saggio sull’Autore. Di prossima pubblicazione il saggio "La via dello stupore nella visione est-etica della soaltà".
PAOLO CARNEVALI
Una nebbia sottile nascondeva St. Paul
Londra viveva frenetica la sua guerra urbana.
Come formiche indifferenti al pericolo
parlavamo di pace,della vita che di giorno in giorno,
nascondeva guerre dimenticate.
C'era aria di tempesta in Cannon Street
che muoveva le foglie caduche dagli alberi,
calpestate e portate dal vento.
Una scritta parlava di Missioni di pace,
ci guardammo nell'opprimibile menzogna
di una pace inquinata e ormai bugiarda.
"Dobbiamo costruire una storia nuova,
nuovi stili di vita, rifiutare le armi."
Dicesti, incrociando il mio sguardo.
"Solo un disarmo mondiale,spezzerà la catena di
morte,la cultura della guerra,opporsi al ricatto
della difesa militare,al pericolo grave, al peso
economico inutile. " Risposi.
Il respiro si faceva nuvola di vapore
quando indicasti London bridge.
Mi piaceva quella tua passione
per tutte le cause nobili.
Il mondo non doveva finire nell'incoscienza
di una catastrofe atomica,nella follia di un'altra Hiroschima,
Sono uscito lentamente,
senza far rumore.
Come il vapore si scioglie nell'aria,
del tutto indifferente
all'indifferenza del mondo.
Ma c'è quel lato romantico
regalato dalla vita,
la poesia nascosta nelle piccole cose
anche quelle che offrono tragiche drammaticità
e poca speranza.
La luce mi ha trafitto
rendendo visiva la polvere,abbagliata dal sole
che sembra star ferma: immobile.
Combatto e spero: prego.
Ma spesso sprofondo nel disastro.
Ti ho vista passeggiare
velocemente per il corso
nascosta tra un fiume di gente,
ma non ti ho chiamata.
Ho continuato nella mia corrente
frettoloso nel consumare il mio tempo.
Ormai siamo soli e avvolti da ombre
nei giorni di festa sul corso.
E' come una giostra che gira e stordisce.
Ti ho vista confusa,anche un po' sola,
ma questo non l'avresti mai detto
se te lo avessi domandato
non avrei ricevuto risposta: per orgoglio.
Ognuno di noi non ama essere ferito.
Ma se per caso avessi teso una mano...
passeggiavo con le mani in tasca
e un passo veloce sul corso,
desideroso di raggiungere casa.
Paolo Carnevali
Traduttore.
Aderisco al Movimento per il disarmo unilaterale di Carlo Cassola.
Pubblico "I dialoghi di Ebe e Liò"ed.Lalli1984 dal cui testo è stata
realizzata una pièce teatrale.Nello stesso anno redigo "Poetica Città"
un poetry-zine adatto alla distribuzione underground. Pubblico in
ciclostile "Poesie contro la guerra"distribuite in serate di lettura al
The poetry cafe of London. Nel 1985 entro nella redazione del
"Circolo letterario Semmelweis" di A. Australi a Figline valdarno
con la presenza di Peter Russell,Giorgio Van Straten,Romano Bilenchi
ecc. Pubblico la plaquette poetica "Trasparenze"1987 ed,Tracce.
Recensita sul Manifesto1988 e sul Corriere Adriatico1990.
Pubblicato su riviste e blog di poesia.
ASPETTANDO L’INIZIO DEL TEMPO
Poiché sappiamo cosa avverrà
sulla retta aspettiamo la freccia
che ci faccia capire.
Di fatto non c’è stato lo scocco. Oscilliamo.
Sentiamo una moltitudine sola,
una macchia unica,
irriducibile. La coscienza prima di frazionarsi.
Impossibile starne fuori.
Pensiamo alla luce che verrà,
a come tutto già contiene
e si dipanerà.
Sarebbe altro a voler esistere
in una cecità senza fine.
Altri i momenti, nulle le direzioni.
LA DENSITÀ DELL’ESISTERE
L’estate che racchiude tutti i cieli si rinnova
nel segno delle costellazioni e muore
ogni volta lungo questi fossi.
Eppure è da tempo un blocco freddo
in un luogo che non si indica più.
A trapassarci è la luce del presente,
a opprimerci gli occhi la sua densità di corpo.
Col suo premere il paesaggio ci dice
l’evanescenza dei nostri pensieri,
di come tendano a una mutevolezza non coesa
che niente incide.
Nulla del genere viene realmente al mondo,
se non per morire all’istante,
dentro la prima sfera d’aria mossa.
Un giorno ho preso la strada del nord.
Era un’ora bianca, con foglie
lente a cadere dai rami.
Avrei percorso una strada in pendenza lieve,
alla fine il nord estremo.
Avrei atteso l’ultimo passo, quello giusto,
che mai accade.
Con me sentivo gli uomini
che credono il nord cosa astratta,
per natura, o perché sempre lontano.
Oppure, proprio quando la salita
sa promettere oltre il visibile,
congiungermi al punto bianchissimo
dove l’orizzonte sparisce dietro l’indice,
si inarca a falce e mi sostiene.
Ora che il sussurro di tutte le preghiere
sale in nebbia densa,
so trovare un posto per ogni cosa.
È una pratica che esige pazienza,
comparare linee a pensieri,
accoppiarli secondo il profilo della forma.
Esiste una collina ventosa oltre questa finestra
che aspetta sotto la luce d’inverno.
Basterebbe incamminarsi su per il declivio,
tendere allo sfolgorio del limitare.
Il tuo posto è il cerchio che si restringe sempre,
l’istante successivo,
quello del cielo sotto l’orizzonte.
E ora che ho trovato questa pace
è come se tutto tornasse alla sua forma.
Gli attimi frazionati all’infinito,
lo sguardo puntato all’orizzonte
che si sbriciola e non ha tregua.
Miriadi di particelle senza embrione.
Tutto si riduce a dimensione zero.
Ora voglio un viso completo e mortale,
la città tutta intera, il suo corpo e il fiume
in un pensiero di volo.
Le case, i monti, l’azione compiuta.
Il precipizio che mi sta di fronte.
Avrei dovuto passarci di nuovo e guardare bene:
lì, dove la casa cedeva sempre più
la sua antica solidità ai campi incolti.
Cercare in forme disfatte un tratto che fosse tuo.
Ma è tardi ormai e questo sgretolamento,
mi dicono, non ha più luogo;
è stato costretto in altre cose.
Sono nati paesaggi nuovi,
cancellati i nomi dei viottoli in salita.
Ecco la tua casa di bambino:
mura troppo spesse e l’invincibile gelo,
le finestre vive sul richiamo luminoso dell’aia.
Anch’io l’ho sentito, da una distanza siderale.
Ho ascoltato i vostri dialoghi scarni
sempre prossimi alle azioni,
la voce lasciata nelle zolle dure.
Altre le frasi in circolo nel paesaggio rinnovato,
altra sintassi, alta densità di parole.
L’IMMAGINE CHE HAI LASCIATO
Ecco il tuo segno:
la linea diversa del giorno
che su se stesso si piega
e sul balcone finge una posa.
Sempre più ti somiglia.
Ora sono qui,
ho capito il posto, posso sentire.
Chiamami,
dimmi che non è solo una sequenza di pose,
che vero/falso non è un gioco.
Ti chiedo una breve fuga da me stessa,
di somigliarti per un istante
nel tuo confonderti col mondo.
L’aria troppo tersa di novembre
svanisce appena smetto di fissarla,
non vive senza occhi che la tengono.
Esiste l’istante che precede
il mio volgere lo sguardo altrove,
lo conosco, l’attendo.
E’ lì che si raccoglie ogni speranza
appena si riduce a milligrammi.
Tu avresti visto un’altra scena:
novembre e una sola grande luce,
l’uomo infreddolito nel mantello santo,
la gioia indivisibile per l’insolito tepore.
Ora guarda, noi e il disastro che imperversa.
L’ ubbia che ci porta a operare
un frazionamento senza fine , a rivedere ogni cosa
come si fa con i frattali.
Vite e istanti convergono in fibre evanescenti,
verso la stessa materia indefinita.
"Nel 2008 ho pubblicato la raccolta di poesie “L’istante Si Dilata” (Ibiskos Editrice Risolo), nello stesso anno e per la stessa casa editrice ho pubblicato un raccontino per un antologia “I Colori della Pace”.
Nel 2009 ho partecipato
al concorso “Città di Salò” ottenendo il premio della giuria.
Sono stata poi contattata dalla “Casa Editrice Miano” di Milano, ottenendo così l’inserimento di quattordici testi (quattro editi e dieci inediti) sul quaderno di studi letterari “Alcyone 2000”.
Nel novembre 2014 ho pubblicato la raccolta di poesie “L’assenza” (Giuliano Ladolfi editore) che ha ricevuto una recensione a cura di Michele Brancale sulla Nazione, una recensione a cura di Alessandro Ramberti su Fara Poesia, una a cura di Grazia Calanna sul Quotidiano della Sicilia. Alcuni testi del libro sono stati inseriti nel blog di poesia di Luigia Sorrentino e sulla rivista online “L’Estroverso”. Sempre “L’assenza” si è classificata terza ex aequo nel Premio letterario internazionale “Lago Gerundo”, edizione 2015. Due testi de “L’assenza” sono stati pubblicati nell’antologia “La tentazione d’esistere” (Liminamentis, 2015).Nel marzo 2015 una mia riflessione sul “non luogo” in poesia è stata pubblicata nel blog “L’ombra delle parole” di Giorgio Linguaglossa.
Quattro poesie e un racconto inediti sono stati pubblicati sul volume “Il luogo della parola”, (autori vari, Fara Editore, 2015).Nel luglio 2015 una mia poesie inedita è stata inserita nel blog “Interno poesia”.
Per quanto riguarda la produzione poetica sto lavorando attorno a un progetto personale. Per lo più questo progetto prende vita da alcuni nodi di pensiero che da un po’ di tempo attirano la mia attenzione: sostanzialmente si tratta del potere dell’immaginazione e dei modi in cui pensiero, immaginazione e paesaggio si possono influenzare. Inoltre cerco di sperimentare l’efficacia dell’elemento di tensione e del pensiero irrisolto in poesia. E’ ovvio che per sua natura la poesia non obbedisce a istanze programmatiche, quello che faccio è semplicemente analizzare certe questioni che mi stanno a cuore e in un secondo momento vedere se trovano sbocco nella mia poesia. A volte succede."
Annalisa Ciampalini
Aurora Coppola, Spoglia di sillabe, Europa Edizioni, 2015
Perché non mi ami abbastanza?
Io mi scaglierò contro questo amore
Come un brutto anatroccolo in cerca della sua bellezza interiore
Che impavido di fronte all’evidenza di un grande argine
Decide lo stesso di proseguire la sua crociata.
Ti amerò ostinata, da lontano, me ne starò
Tranquilla e pacata, immobile. In attesa di un tuo cenno.
Ma con il senno di poi,
anche il più resistente dei miei nuclei scoppierà
e a nulla servirà tutta la pioggia del mondo
per placare i miei ormoni,
per nascondere le mie lacrime di una storia impossibile.
Ed io che sono una donna ingenua, vestita di soli fogli
Alla fine dovrò prendere la mia barca
E remare nel verso della rassegnazione
Perché mai ci potrà essere
Ma forse ci sarebbe stato
Quel grande incantesimo tra noi due
Iniziato con la soavità di mille sussurri
Maledetti occhi azzurri!
Pensando alla madre
Mamma, insegnami la misericordia,
Perché in questo mondo senza pietà
Ho ancora tanto da camminare.
E semmai la crudeltà delle persone
Mi portasse ad ucciderne alcune,
ti prego, non disconoscermi
se anche mi son fatta prendere la mano dall’ira
e la vendetta s’è accesa come un fuoco implacabile dentro di me.
Io che ti guardo come una bambina guarda un giocattolo che sa di non poter avere ancora
Mi sento quasi come una zingara che non ha terminato il suo viaggio.
Tu sei un traguardo ancora lontano,
ma so che piano piano, ci ricongiungeremo e ammireremo l’orizzonte insieme,
come fare una di quelle passeggiate in campagna
Avremo il sole in faccia, gli insetti addosso
E la rugiada delle lacrime di questa terra che ci tiene insieme, molecola dopo molecola.
Smeralda speranza
Eldorado, avevi un colore verde oro
Fatta di bambini e di fast food
Ti vanti della tua spensieratezza
Di artisti di strada e di un sole
Che quando fa capolino
Tra le nuvole spinte dal vento
Rallegra i popoli e fa tremare la terra.
Ora che l’ingordigia ed il capitalismo
T’hanno divorata
C’è rimasto un pallido ricordo di una
Tigre che è di nuovo fuggita
E t’ha lasciata
Come Eveline che guarda dalla finestra
Di palazzi nuovissimi
Scheletri fatti di stecchini di gelato.
Anche qui si aspetta Dio
Ma arrivano solo gli americani.
S.o.l.i.d.a.l.i.
Voi siete il problema,
ma anche la soluzione,
voi siete l’azione di questo paese.
Scagliatevi dunque su gli obiettivi della vostra vita
E fate di questa nazione un’Italia unita.
Siate solidali soldati, leali con voi stessi,
fedeli al vessillo dei vostri principi andate
e portate alto l’orgoglio per la nostra terra
non traditela, non avvelenatela,
non voltatele le spalle,
le spighe son gialle, è l’ora del raccolto.
Tendete le braccia e avvolgetevi in cerchio
Fate barriera contro i corrotti,
se queste bestie son sole,
che paura mai potranno farvi?
L’omertà è la più vigliacca delle indifferenze,
è un silenzio che fa male,
è una bugia pesante, è codardia.
Proibite l’infamia, condannate la falsità,
scacciate il nemico della patria
e scambiatevi un segno di pace.
"(...) Aurora Coppola nella sua prima silloge, Spoglia di sillabe, una raccolta nella quale l’autrice si lascia trascinare dalla forza della vita per estrapolarne il midollo, raggiungere la sua essenza.
D’altronde è alla poesia di matrice irlandese che fa costantemente e sottile riferimento, alla petrosità di Yeats, alla polisemicità di Beckett alla spigolosità di Joyce, e su questi ben pasciuti campi fa crescere una scrittura diretta, rocciosa e fiera.
Sinestesie, rime baciate, accostamenti ossimorici, incontri (in apparenza) casuali tra le sillabe, accompagnano lo scorrere dei versi, l’andare fluido nel profondo dell’inconscio.
Aurora Coppola, toscana d’origine ma irlandese d’adozione vive a Dublino dove ha approfondito le letture in lingua orginale di Beckett, Joyce e Yeats e studiato la tecnica delle Limericks. Per i propri componimenti attinge maggiormente dalla letteratura contemporanea di lingua inglese e francese. Aurora utilizza varie tecniche di scrittura per le sue rime (dalla classica baciata alla più libera) facendo uso del suo backround musicale a seguito di anni passati ad esercitarsi e a suonare batteria e percussioni in vari gruppi emergenti italiani e stranieri."
da La Nazione del 7 Aprile 2015 e sul sito di Europa Edizioni www.europaedizioni.it
Valerio Orlandini.
POESIE
Canicola senza aria crepe in muri
franti residui terrosi. La coclea
di orecchie scagliate nei burroni
risuona come tromba infernale.
Se solo
la soglia di usci
a una sola direzione
non fossero
lasciati alle carline
che senza cura
proliferano oltre la linea.
Iridio
ho scoperto stasera
la tua voce possente
la chiarezza dell'aria
attraverso altro fumo
i monologhi lunghi
con bambole di pezza.
Sono entrato senza
permesso quando ti eri
già fuso, nudo, lungo
la precessione inversa
di ieri su domani.
L'asimmetria è nascosta da una veste
così aderente che non trattiene acqua
e mani. Una stringe, l'altra prova
a far lo stesso ma non ci riesce.
Puoi anche fantasticare, immaginarti
porti lontani dove velieri
brumosi attraccano senz'ancora,
e i marinai vuoti di donne e carne
già intravedono la taverna a picco
sugli scogli scolpiti dai marosi.
Però di fronte vedi tua sorella
non del tutto gemella, con i seni
dalla forma arcobaleno e le mani
che stringono nodosi scorpioni
senza sentire dolore. E tu, figlia
di omozigosi imperfette, conclusa
in un cerchio slabbrato come i tuoi
fianchi, cosa sai fare? Guardi odiosa
quella vena che lega le ineguali
vostre braccia, sai che uccidere l'una
è morire per l'altra, e accasciata
nel box doccia intasato da capelli
setosi come spatole di mosca
lasci che l'acqua si sporchi di ispidi
peli pubici simili a dita
storte di feti mai concepiti.
Segno di un graffio
sul muro. Oratorio
decostruito
tra floride morti.
Valerio Orlandini
Mi sono interessato molto giovane alla poesia, innanzitutto come lettore, e poi iniziando a scrivere. Coltivo allo stesso tempo la passione per la musica, e non è raro che unisca questi due interessi esibendomi in letture sonorizzate dalle mie composizioni, come ho fatto spesso negli ultimi anni. Ho recentemente pubblicato un libretto autoprodotto con una selezione di mie poesie, intitolato “Separazione dei Gemelli”.