Jean Soldini, Quaderno a righe, prefazione di Angelo Maugeri, L'Arcolaio, 2023
ALCUNI PENSIERI SU QUADERNO A RIGHE
A proposito di queste poesie, direi che c’è nel libro una ricerca di leggerezza e di attrito. Penso all’azzurro attraversato da una macchia di dolore, da un fruscio tragico come in alcuni quadri di Mirò. Protagonisti sono i tanti esistenti minimi con cui facciamo esperienza. Non cerco però rifugio in un mondo di piccole cose semplici e rassicuranti. Tento di rendere conto di ciò che ci affascina senza perché; tento di ritrovarlo attraverso il lavoro della parola, in una familiarità, in una confidenza che generi anche un turbamento, che lasci spazio al brivido della vita che viene prima della struttura della mente, con un’affermazione di Francesco Arcangeli ricordata da Ezio Raimondi.
A un certo punto, componendo queste poesie, sono tornato al tempo della scuola elementare, a un senso di costrizione, ma anche di scoperta continua di parole, realtà, sogni a occhi aperti, desideri. Ecco perché Quaderno a righe, che è il titolo del libro e di una poesia: “Quaderno a righe, / ognuna un’ingiunzione. / Eppure non s’arrestavano / ai limiti del foglio. / Andavano a far mappe in capo al mondo, / grammatiche aleatorie. Là fuori”. Si usavano allora quaderni a righe. Si usava il calamaio e il pennino infilato sull’asticciola di legno. Le righe guidavano nei limiti della pagina e verso luoghi inattesi. Luoghi mentali e fisici. Mi piaceva andar fuori dal quaderno e scrivere sul banco qualcosa che ovviamente non restava, che non doveva restare, che veniva subito cancellato grazie all’intervento della manica del grembiule nero. Era pratico quel grembiule. Non si vedevano le macchie nere sul nero.
Nulla è trascurabile. Anzi, ogni minima cosa di cui prendiamo veramente atto ha qualcosa di scintillante. Non di appagante, di acquietante. La seconda poesia del libro, Finestroni sulla marina, può aiutare a capire il perché di questa parola, “scintillante”:
Finestroni sulla marina,
custodie trasparenti
per falde di notti senza stelle,
velature
da passioni traghettate d’attesa in attesa.
Scorrono
poco sotto la trabeazione
poco sopra il nulla,
una bicicletta arrugginita
una donna africana
il suono di un barattolo colpito dal piede.
Stamani, niente di più scintillante al mondo.
Possiamo immaginarci un marciapiedi, uno sterrato, dell’erba. Siamo all’estremità di un
paesaggio urbano, vicino al mare. Non è possibile fissare un’immagine, anche perché la bicicletta abbandonata, la donna africana e il barattolo, anzi, il suono di quest’ultimo colpito apposta o inavvertitamente dal piede, scorrono, corrono. L’ultimo verso, affermativo, fissa invece qualcosa: “Stamani, niente di più scintillante al mondo”. La giornata è appena iniziata e quel poco o niente fra trabeazione e nulla si presenta scintillante, come certe realtà di spicco nel mondo greco. Per esempio, nell’Iliade la corazza di Achille, che Patroclo pone intorno al petto, “scintillava come una stella”.
Ci sono versi in cui s’insinua la guerra (Vicino ai terrapieni) o il richiamo ai migranti
(Passaggio, Quasi vita per una natura morta), ma è vitale che le vicende più rilevanti del presente non finiscano per prendere il sopravvento come temi, benché grandi, nobili, gravi. Il tema non deve dominare sull’inarrestabile, straordinaria propagazione dell’essere a cui contribuiamo con sensori diversi. Tra i sensori con cui partecipiamo a questa propagazione, ci sono le parole. Sono cose in mezzo a una moltitudine di altre cose, di riverberi, di compagnie remote e inattese, di antichi e nuovi intrecci di voce e di mutezza, senza dimenticare ciò che Italo Calvino scrive nelle Lezioni americane:
“La poesia è la grande nemica del caso, pur essendo anch’essa figlia del caso e sapendo che il caso in ultima istanza avrà partita vinta”.
Utilizzo le parole come corpi che sono suono, grafia, scia della storia del loro utilizzo. Corpi
che si sfregano ad altri corpi, alle cose che vediamo, tocchiamo, ascoltiamo. Corpi visibili e invisibili, com’è il vento pensando a Lucrezio nel De rerum natura: “Sono dunque i venti, è certo, corpi invisibili (corpora caeca) che spazzano il mare e le terre e le nubi del cielo”. Lo sfregarsi delle parole e delle altre cose, ognuna con il loro corpo, lo potrei indicare con la prima poesia della raccolta che s’intitola Roccia:
In anticipo, sempre,
polvere tenace tra le ortiche.
Dorme nel campo controvento,
non smette di stare
e scordarsi controtempo.
La roccia è polvere tenace. Polvere addensata, in anticipo perché è già lì da tanto tempo, dura, resistente, modellata dal vento. È a portata di mano, nell’ovvietà “a prima vista”, e difficile da avvicinare tra le ortiche, le urticanti. Il suo scordarsi si affaccia legato a una fugace consapevolezza di sé. Non in un tempo lineare. È uno scordarsi controtempo, che va indietro, come a garantire quella compattezza, quello stare. La pietra ha un suo proiettarsi in avanti; diverso, tuttavia, dal proiettarsi che ci è familiare in quanto uomini. È diffusiva, si propaga come tutto ciò che esiste. Per questo si fa sentire. La poesia o la pittura possono cercare d’incrociarla come corpus caecum. Caecum in senso attivo e passivo, corpo cieco, ma anche invisibile come il vento di Lucrezio. La meta: che nella scrittura faccia capolino il mio essere pietra, rosa, vento come in certi istanti nello sfregarsi delle cose l’una all’altra e a noi. Lo ha espresso magnificamente Emily Dickinson in questi versi: “Un sepalo ed un petalo e una spina / In un comune mattino d’estate, / Un fiasco di rugiada, un’ape o due, / Una
brezza, / Un frullo in mezzo agli alberi – / Ed io sono una rosa!”. È ancora più importante quando la violenza è insistente, inaudita. È importante per non rinchiudersi nella negatività, per non perdere la forza di lottare, per non fuggire.
Jean Soldini
Marsiglia, febbraio 2024
Quaderno a righe
Quaderno a righe,
ognuna un’ingiunzione.
Eppure non s’arrestavano
ai limiti del foglio.
Andavano a far mappe in capo al mondo,
grammatiche aleatorie. Là fuori.
Storie di affinità,
una piuma dietro il monte
una nave un merlo sfumature di bianco
neve e calce sotto il sole,
variazioni per aria riscritte dall’aria.
Il tempo di asciugarsi
Il tempo di asciugarsi
tra serie vocali, materia informe
in mezzo ai tavoli di un bar.
Pioggia e vapore sulla finestra.
Trasparenza intorpidita
a due dita dal calorifero.
Più in giù, nelle scarpe
si muovono indietro avanti
ancora indietro,
cercano calore per sfregamento
le dita dei piedi.
Se li è portati via il vento
Dalla stazione di servizio
gonfiandosi saltella un sacchetto di plastica,
pattinano frammenti d’intonaco
radici aggrappate a poca terra secca;
stavano, poco prima, ignorate
in un vaso.
Traversando la pineta
fin laggiù, stanotte,
se li è portati via il vento.
Turbolenze (Danza)
Turbolenze ascendenti discendenti
secche fluide, lente o vorticose s’intrufolano
negli arti contratti dei vivi
s’arrampicano sul legno
sorvolandolo lo accarezzano
ne strofinano le venature percosse da tonfi,
voci sorde per i semi e per i morti.
Quasi vita per una natura morta
L’ha risvegliato il mare
su un cubo di cemento.
Lì s’era fermato:
scarpe, coperta, maglietta,
berretto, pugni chiusi.
Quasi vita per una natura morta.
Senza tristezza
Case piccole s’addensano
si sfregano l un l’ altra
inghiottono stradine ombre e spine.
Aggruppandosi fanno case più grandi.
Variazioni minime di uno stesso suono
biancorosato maculato da persiane roventi,
da panni asciugatisi in un baleno.
Hanno perso colore, e senza tristezza
stanno
– chiarore lunare, dolore indecifrabile –
nella luce del sole.
Risucchio
Avvertire un accesso al tempo e allo spazio,
infilarvisi gioioso o con un groppo in gola.
Diverso è il vetro rotto attraversato da un sasso.
Ci dà le spalle,
uscendo da dove è entrato,
risucchio inseguito dallo spiccio
moto circolare dello straccio
sul tavolo di un bar.
Non si somigliano
Nella tasca una mano muove nervosa
frammenti d’ieri, e anteriori.
Campata per aria, la seconda regge una tazzina.
Non si somigliano
non si mettono nei panni l’una dell’altra.
Occupate come sono non si legano
alle parole, poche
sul freddo,
la sua certezza
imminente di là dall’uscio.
Una notte inspiegabilmente lunga
Aveva bisogno di lei l’intonaco mancante
per raccontare una storia.
Di lei, d’una certa età,
che immaginavo sempre in piedi
e zitta.
Che cosa faceva
in quelle ore sospese sul mare
(nessun naufragio in vista) quando
non stendeva il bucato con mano sicura?
Dopo aver lisciato le lenzuola
rientrava forse nell’ombra
con l’imbarazzo delle dita tentate
dall’azzurro, un mantello,
in una notte inspiegabilmente lunga.
Un’ombra sulla veranda
Tavolo, libro. E poltrona.
Scorta da qui
è un’ombra sulla veranda,
accomodata su se stessa,
nel suo vestito.
A due passi dall’esser viva.
La fissa il libro.
Del tavolo in cui si dilata è luce condensata,
allegria dell’aria che va.
Sono nato nel 1956 nella Svizzera italiana e vivo oggi a Marsiglia. Mi ero formato a Parigi: Habilitation à diriger des recherches (presidente del jury: Jacques Rancière) dopo un dottorato in filosofia e un precedente dottorato in ambito storico-artistico. I miei studi gravitano intorno a una metafisica indisciplinata e a un’estetica indissociabile dall’ospitalità. È quanto incrocia le ricerche condotte per quasi quarant’anni su Alberto Giacometti, rintracciando le pieghe e i margini filosofici del percorso di un artista che ha dato voce a una potenza percettiva travalicante soggetto e oggetto.
Tra i libri (estetica, ontologia):
Alberto Giacometti. Le colossal, la mère, le “sacré”, préface de René Schérer, L’Âge d'Homme, Lausanne 1993 (traduction en français de l'édition italienne parue chez Lubrina Editore, Bergamo 1991), Saggio sulla discesa della bellezza. Linee per un’estetica, Jaca Book, Milan 1995, Alberto Giacometti. La somiglianza introvabile, Jaca Book, Milan 1998, Il riposo dell’amato. Una metafisica per l’uomo nell’epoca del mercato come fine unico, Jaca Book, Milan 2005, Storia, memoria, arte sacra tra passato e futuro, in Sacre Arti, par F. Gualdoni, textes de T. Tzara, S. Yanagi, T. Burckhardt, FMR, Bologna 2008. Resistenza e ospitalità, Jaca Book, Milan 2010, A testa in giù. Per un'ontologia della vita in comune, préface de René Schérer, Mimesis, Milan-Udine 2012, Alberto Giacometti. L'espace et la force, Éditions Kimé, Paris 2016 (traduction italienne: Alberto Giacometti. Lo spazio e la forza, Mimesis, Milan-Udine 2016), Alberto Giacometti. Grafica al confine fra arte e pensiero / Graphics on the Border between Art and Thought, par Jean Soldini et Nicoletta Ossanna Cavadini, Skira, Milan 2020, Il cuore dell'essere, la grazia delle atttrazioni. Tentativi di postantropocentrismo, préface de Roberto Diodato, Mimesis, Milan-Udine 2022.
Poesia:
Cose che sporgono, Edizioni “alla chiara fonte”, Lugano, 2004 (Livre de la Fondation Schiller, Suisse, 2005), Bivacchi, préface di Marco Martinelli, Edizioni Ulivo, Balerna 2009, Tenere il passo, préface de Jean-Charles Vegliante, Edizioni Lietocolle, Faloppio (Como) 2014, Schiave e minatori. Versi per una scena, Museo Vela, Ligornetto 2021, Quaderno a righe. Poesie 2014-2022, préface de Angelo Maugeri, L'arcolaio, "I codici del '900", Forlimpopoli 2023.