PioggiaObliqua scrittured'arte
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  • INTERVISTA :A.Gasperini, M. Ciardi, Il pianoforte di Einstein
  • ...Cani Gatti & C. I nostri versi per loro

Elisabetta Beneforti

SENZA PERMESSO

Smith edizioni, 2020

 

(disponibile su www.aroldomarinai.net )

senza permesso

sette secondi e poi otto

possano bastare a doppiare il capo

riusciremo, sta’ sicuro, in altro lato dei mondi

ad accarezzare le circonferenze imperfette

con un morbido tatto

scivola scivola come è dolce e buono questo sonno

dopo posizioniamo il mondo in un tappeto

tranquillo e sorridente come un bimbo

via via andiamo

adesso andiamo a attraversare

fa freddo qui

decolliamo e spaziamo

voliamo questo mondo e l’altro

quanto tempo che manca

che parla

come si fa che questi anni stanno

in rapida successione che non tieni il conto

noi eretici e zingari

noi cuore gonfio che scoppia

noi cuori canterini e soffici

noi scivolosi che proviamo sempre

noi la gioia le sconfitte

 

 

 

 

 

ho sempre  raccontato il mio tempo

non smetto mai di farlo

 

il mio tempo è personale

il mio tempo è storico

lo specchio mattutino delle eleganze

quando gli ultimi fuochi

slittano in continuazione

rimandati avanti e indietro, a destra a manca

sulla strada sull'asfalto dove siamo

per ogni rito del giorno hanno petardi e coriandoli

o candele per cuori grandi

che si accendano pure a decine di angoli

le attese sono elettriche un milione di volte

la via è libera ma ho perso il nome dei giorni

i ragni mangiano le mosche

gli episodi in corso si macchiano

i tubi dell'acqua si intasano

i piatti si scheggiano

tutto lo squallido è in un circolo come una lavatrice

è così facile cadere, io cado sovente

per mancamenti e ritardi

senza permesso

 

 

un nome più nomi

quanti legami sono come viaggi

si parte si incontra

bellezza dolori tremori

poi era questa la soglia

per ritornare per salutare

gli andamenti e scuri di metà estate

come andromeda lassù

conversazioni amabili

ammiccamenti preoccupazioni

dentro voci spente voci appannate

abitiamo stanze elementari

mastichiamo tenere gioie nostre primizie

conserviamo idee su pellicola e fermo immagine

un cuore greve e va in corsivo

carezza e tentazione

morbidamente mettimi fuori

 

 

 

 

 

dodici sono un bel ciclo,

i nostri idilli sono amori sani

e quelli altri a bocconcini

quanto un lecca-lecca

quanto un pianoforte pieno di biglie

quanto manca a sole, tramonti, erbe

ancora vanno ruote che girano

e resta da chiedersi

dove i karma si avvicendano

si spengono sconsolati

queste terre che sono con noi

terre affollate di viaggio

viaggi affollati di terre

 

 

ora cominciamo a rincasare

a volgere in tenerezze e ridondandi castelli

e tanti musicisti,

una banda di angeli per me

mente eccentrica, cuore battente

tribali che siamo stati

a celebrare o seppellire i mali

siamo ancora in tempo

quando sgridiamo il fato

e chiediamo poche grazie

appaganti

 

 

 

 

 

le tregue allora non sono trappole,

ci sono tregue come lampioni lungo il viale

intervallano spazi e motivi e i tanti guai

un sorriso che dura

due o tre respiri profondi assolutamente

quanti momenti blu e pure occasioni

ci possono essere poi

altri bei giri di danza

 

vi abito vicino, epistolari andanti,

con la mia parte sinistra

e le sue eco costanti

con dolori e attenzioni

con tranelli minimali e acidi

con rondini in libertà

quando si divertono giù nella valle sottostante

se e quando inganniamo l’attesa

o l’attesa inganna noi

 

 

 

 

la fascinazione viene da

le cose belle che metti insieme

piccolissime e belle cose

ho guardato molto oggi

sono esausta e piena

me ne ricordo e ne lascio un po’

per domani per dopodomani per

quando che viene

che viene a mancare che va a tornare

sospirando che sale

folli educande ragazzine

storia e memoria

hanno un passo deciso

piedi aggraziati e lunghe camminate

tutto il nostro tempo e starci dentro

 

lunedì così si avvicina alla quinta notte

come si intrecciano le occasioni come si sciolgono

tutto il peggio di me di noi come massa

elementi assortiti stanno sotto una campana

divorano spesso schiena e gengive nel cuore

è scansione pura assoluta scansione

è femminile questa energia alternata

e le ombre non si cancellano facili

seguono amorevoli forse amiche seguono

mute per dolci dimenticanze  e segreti

il punto che si incrinano i pensieri pacifici

quando arrivano racconti duri e tristi episodi

arrivano per caso e tutti insieme

come un gomitolo impazzito di fili

ci vogliono giorni per mettere a posto

oggetti e unità di tempo e simbiosi

poi fai cartella e un pisolino

fai scorrere le frasi sul nastro

sotto sotto le distorsioni soniche di Andrea

Parkins fra fisarmonica notebook e campanelle

alle prossime veglie forzate più o meno

e la raccolta delle acque nel lavandino gocciolante

 

 

Recensioni  a  Senza Permesso

Sara Comuzzo 

su www.barbaricoyawp.com

Senza Permesso (Smith Edizioni, 2020), ultima impresa poetica di Elisabetta Beneforti, si apre con un’introduzione dell’autrice stessa che ne spiega l’origine, il concepimento. La silloge è infatti frutto dell’assenza di elettricità di una decina di giorni, accaduta un’estate di qualche anno fa; una mancata presenza che permette un “simposio di candele” (p. 9), “assolute capriole” e “una città blu senza caramelle e rose gratis” (p. 15). C’è molta quotidianità in queste righe; è quasi come assistere a una sfilata di piccole cose, le cui ombre e il cui peso impercettibile sconfinano in altre galassie. E così, tra i gomitoli ingarbugliati dell’ordinarietà, troviamo “bicchieri da riempire” (p. 16), mentre “i ragni mangiano le mosche”, “i tubi dell’acqua si intasano” e “i piatti si scheggiano” (p. 17).

Tra tutti questi frammenti di istanti e abitudini, la poetica della Beneforti riesce a creare magistralmente “uno spazio dove si è possibili/dove le parole hanno senso” (p. 16). È una scrittura con tratti postmoderni adeguatamente disposti, flussi di pensiero accuratamente arredati e associazioni di immagini pazzesche ed esplosive abilmente distillate in chiave beat tra “biciclette da ricucire, archivi di parole” (p. 18) e “quel poco che ci vuole per stare bene” (p. 22).

  

 

Nel complesso, colpisce la quasi assenza totale di punteggiatura, ridotta al minimo indispensabile. Anche le domande non hanno bisogno del loro apposito segno, non perché tutto è affermazione, ma perché tutto danza in armonia e domande e risposte si susseguono, tengono il tempo e, infondo, alla fine dei conti, sono la stessa cosa o sono facilmente riconoscibili. Come un fiore introverso, questa raccolta colleziona fragilità che timidamente sbocciano, si aprono e raccontano storie, scoppiano e lasciano cicatrici, nel mezzo di domande esistenziali non trascurabili per il genere umano: “cosa ne sarà un giorno/di tutto questo” (p. 28).

Non resta che perdersi allora tra “orge di colori” (p. 29) e “parole che colano” (p. 32), nella Big Sur di tele impressioniste navigate da “barche spaziali” (p. 30), dove trionfano “caramelle in assortimento” (p. 40) e “scintille radianti” (p. 41).

È una poesia che parla anche di confini, la linea d’ombra, il punto di incontro fra opposti: “la luna è tagliata in quarti/fra emozione e commozione/dove sta il confine” (p. 42). Il gioco di contrari, sempre e solo rivolto verso l’altro (qualcuno a cui raccontare le cose come stanno), continua in confessioni intimissime: “ti dico, la storia del continuo fare/e disfare valigie”; e sosta nella presa d’atto di dati di fatto: “le discese sono il contrario delle salite/e poco altro, ti dico”.

 

Ci sono immagini bellissime tra queste righe, gli accostamenti tra parole e le loro creazioni visive si dilagano dentro al lettore mentre sfoglia la pagina come una scheggia entra in un occhio, con la stessa delicatezza e la stessa violenza, la stessa sofferenza. E così, incontriamo “il disincanto dello spazzacamino” nei confronti di “colombe sbiancate” (p. 74), mentre noi ce ne stiamo idealmente sul pavimento a contare le bolle di sapone che fuoriescono dal tempo e siamo testimoni involontari ma assoluti della “raccolta delle acque nel lavandino sgocciolante” (p. 86).

 

Nella loro traversata dell’interspazio, queste poesie diventano carta di giornale indistruttibile, salpano per oceani inimmaginabili, improvvisamente diventano astronavi o mongolfiere e volano in aria sfuggendo alla pagina, nonostante siano ben incise su di essa. Il loro essere sfuggenti non è dato dall’assenza del desiderio di permanere, queste poesie rimarranno - ed è poco ma sicuro - ma necessitano nello stesso tempo di essere libere di fluttuare dove vogliono, senza permesso, in proprio spirito beat, fuorilegge tra qui e lì, adesso e dopo, vicino e lontano. Il duetto degli opposti ritorna, o meglio, non se n’è mai andato, e può allearsi con le parole dei Tame Impala, rock-band psichedelica australiana che nella loro Borderline cantano: “Siamo sulla linea di confine/presi tra le maree del dolore e del rapimento/Poi ho visto il tempo/l’ho guardato accelerare come un treno”.

Lo scorrere del tempo continua tra accelerazioni e frenate, vite vissute e altre solo fotografate, attraverso sliding doors che racchiudono potenzialità infinite e permettono al lettore di andare avanti e indietro nell’esperienza di queste pagine, in quello che sembra essere un imperativo invitante: “come un pendolo/entra e esci da una vita all’altra/senza permesso” (p. 69).

Inoltre, la poetessa ci prega di prendere nota di tutte queste immagini, racchiuderle dentro di noi e portarle lungo il viaggio verso orizzonti letterari e umani: “documentate all’osso per favore/documentate” (p. 84).

 

Nel trambusto e negli squarci di colori e parole, il finale è glorioso, positivo, delicato e l’ultima parola dell’intera raccolta luccica a perdita d’occhio: “pace”. Questa rivelazione conclusiva dona speranza al desiderio di poter vivere (e scrivere) senza permesso, rimanendo in bilico sulla linea di confine tra domande e risposte, fare e disfare, luce e oscurità, perché infondo si può brillare anche senza elettricità e queste poesie ne sono la prova. Ne sono la prova.

 

 Sara Comuzzo

 

 

 

 ************************

 

Stefano Loria

su www.stanza251.com

 

 

Conoscendo il percorso della poesia di Elisabetta Beneforti da molti anni (a causa di una ormai antica amicizia) posso notare la sua fedeltà ad un modello adottato fin dagli inizi della propria scrittura. Faccio riferimento ad un movimento culturale – la cosiddetta Beat Generation – che nella seconda parte del secolo scorso esplose negli Stati Uniti, rivitalizzando in modo radicale letteratura, arte, musica. Molta della qualità dei versi di Elisabetta si è forgiata dentro la fascinazione per l'energia potentissima che quel movimento aveva saputo infondere ad ogni linguaggio espressivo adottato.

Leggendo le pagine di questo nuovissimo Senza permesso ritrovo le caratteristiche di uno stile consolidato nel tempo: un continuo ritmo di fondo assai incalzante che anima i versi e trascina il lettore in una danza rutilante; il sovrapporsi molto veloce di visioni cinematografiche, con dettagli e campi lunghi intrecciati, con profondità visive ma anche con rassegne rapide tutte giocate in superficie come in un volo inebriante. Sono gli “sguardi sognanti” a condurre dentro una specie di gioia istantanea del mondo. Questa velocità rappresenta un dato controcorrente rispetto a molta poesia lenta e meditativa che mi pare andare abbastanza di moda oggi in Italia. Non la pronuncia che ferma il mondo, ghiacciando un senso definitivo, interessa ad Elisabetta, ma quella rapidità prodigiosa che restituisce il sapore delle apparenze cangianti in una miscela calda e magmatica.

Una poesia molto inclusiva (“il mio tempo è personale/il mio tempo è storico”) in cui entrano tanti elementi diversi, semplici oggetti di uso quotidiano, complessi stati d'animo, libri, panchine, microfoni, un catalogo di presenze che tende a catturare non il passato (ormai alle nostre spalle, perduto) non il futuro (ovviamente inconoscibile, sempre dolorosamente differente dalle nostre ingenue previsioni), bensì l'assoluto presente, l'attimo in cui siamo adesso, con la sua sbalorditiva sorpresa di esistere.

C'è tanta musica (già ad apertura del libro, la dedica è musicale, ad un album di jazz leggendario (Septober Energy di Centipede) in una linea che si distende da Chopin a Steve Reich. C'è un io forte a tracciare il paesaggio, un punto di vista preciso, un occhio onnisciente, ma tutto (compresa l'autrice) in queste pagine risulta sempre immerso nel flusso delle cose e degli eventi, c'è un vento che soffia senza sosta in queste poesie e bisogna assecondare questa scrittura così dinamica, lasciarsi trascinare è importante.

Una raccolta di composizioni molto coerenti e ben collegate a formare un mosaico denso, con complessità nascoste dentro una struttura che all'inizio potrebbe apparire semplice, ma non lo è. Sono versi che contengono – a dispetto della rapidità del dettato – pesi e contrappesi, sofisticate regolazioni interne. Ho letto questo libro con calma, a piccole dosi. Personalmente consiglio una poesia al giorno.

 

 

Stefano Loria

 

 

***********************

 

 

 

 Giancarlo Baroni

su  www.antonio-spagnuolo-poetry.blogspot.com

 

  

  

È una raccolta che colpisce per la sua originalità, questa di Elisabetta Beneforti intitolata Senza permesso (Smith editore, 2020). Sono versi che non gradiscono inciampi, blocchi, attriti, ostacoli, impedimenti, freni; a partire dalla punteggiatura che viene eliminata e sparisce dalle pagine, che viene messa da parte affinché il ritmo possa scorrere e fluire con agio e liberamente, senza obblighi e condizionamenti, “senza permesso”.
Le poesie sono animate, mosse e agitate da una volontà trasgressiva che agisce come motore e stimolatore interno. Leggendole vengono alla mente le poesie della contestazione e della rivolta del dopo Sessantotto, quando ci si spogliava dei vestiti della festa, delle regole stringenti, degli insegnamenti acquisiti, dei comportamenti conformi a un modello dominante, tutto “senza permesso”.
L’intonazione dei versi della Beneforti è però meno trasgressiva, all’urlo della ribellione preferisce una voce più sottotono che aspira ad essere contemporaneamente lieve e spericolata, armoniosa e spigolosa. Nelle “Note” chiarisce: “Sono davvero innamorata delle parole, delle loro sonorità quanto dei loro significati combinatori, perché qualcosa da dire si abbraccia necessariamente e musiche e immagini”.
A colpire l’orecchio può essere una musica forte che esce “da una macchina in sosta”, il rumore battente di un lavandino sgocciolante, “piogge che cantano”, “musiche minimali, accordi rari”, melodie, silenzi e stonature. Le musiche ci accompagnano e aderiscono alle nostre giornate come una seconda pelle.
L’occhio forse più dell’orecchio è l’organo di senso più stimolato, coinvolto e sollecitato, la vista più che l’udito. I colori accendono i versi creando una “scrittura luminosa”: una “luce blu diffusa”, “il giallo pieno del mattino sul soffitto”; si moltiplicano prospettive e punti di vista: dentro e fuori, sopra e sotto, guardare “la terra da una mongolfiera” o all’interno di un “gomitolo impazzito di fili”. È uno sguardo allenato e allo stesso tempo sognante, che sa cogliere dettagli e particolari, aspetti secondari e marginali; uno “sguardo fotografico” in movimento tipico di chi sta passeggiando e intanto osserva e registra senza soffermarsi e indugiare troppo. L’autrice, fotografa oltre che poetessa, mette a fuoco i contrasti dell’esistenza, carezze e graffi, “notizie buone e cattive”, desideri che attraggono e attese che respingono, stanchezza e divertimenti, “fuoco e grazia”, “memorie da sopire” e bicchieri per brindare, “la gioia, le sconfitte”, cicatrici e “piccole contentezze”, la “bellezza del poco”, parole “senza permesso”.
Un flusso di pensieri, emozioni, passioni, umori, stati d’animo, suoni,sospinge e trascina in avanti le parole dipinte e musicali dell’autrice, la sua scrittura “che parla / che guarda”.

Giancarlo Baroni

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La pagina viene presentata per gentile concessione dell'autrice a Pioggia Obliqua


 

 pioggiaobliquascritturedarte@gmail.com

 

 


 

" Pioggia Obliqua una rivista

affermata e prestigiosa."

 

" Un grazie di cuore a 

Pioggia Obliqua i cui molti meriti nei riguardi della "poesia onesta" di cui scriveva Saba non saranno mai abbastanza sottolineati."

 

Alessandro Fo

 

 

 

" Saprà o vorrà ancora la forza accumulata (...) resistere alla forza di omologazione che la tecnologia sembra inevitabilmente portare in seno?(...) Prevedo un lungo periodo di 'agonie', voglio dire di lotta (...) sarà probabilmente quella la forma e la sostanza del poetare che ci aspetta."

 

Mario Luzi

Da un suo scritto per Pioggia Obliqua a proposito del  'senso di fare  poesia', gennaio 1996

 

 

" Io credo che un pò di silenzio ci faccia bene, c’è un coro di voci “troppo alto”, sgraziato, che ci sommerge, e non mi riferisco solo alla letteratura. In questa specie di “frullato” che siamo costretti ad ascoltare quotidianamente, il valore delle cose si perde.

 

Se c’è un attimo di riflessione, di

silenzio, la parola scritta o detta assume maggiore rigore."

 

 

Antonio Tabucchi

 

Intervista rilasciata a Luigi Oldani e

Elisabetta Beneforti per Pioggia Obliqua 

 

 


" Il sito Pioggia Obliqua mi ha "donato questa nota sul mio libro (...), ma l'intero sito è da seguire."

 " (...) e un ringraziamento per tutto ciò che P.O. fa per il mondo della poesia."

 " (..) E la stima è da me ricambiata verso il vostro prezioso sito!"

 (...) sempre attenti e preziosi gli amici di "Pioggia Obliqua".

 

Bruno Galluccio

 

 

" Un bel luogo d'incontro tra scritture."

 

Matteo Pelliti

 

 


" Non so dire se la bellezza salverà il mondo, come pensava Dostoevskij, ma mi piace pensare che sarà così. In fondo, già Stendahl sosteneva che "la bellezza non è che una promessa di felicità". 

 

Vittoria Franco

per Pioggia Obliqua

 

 

" Agli amici tanto tanto amati di Pioggia Obliqua, poeti invincibili della vita, il mio abbraccio umile e il mio ringraziamento, per mantenere la poesia come unica veritá nel mondo."

 

Daniel Fermani Gonzales

 

 

 

 

" Rivista preziosa, che seguo da tempo."

 

Alfredo Rienzi

 

                 

 

 

 

                    

 

 

                  

 

                       Consigli di lettura

 

 

    

 Nella omonima rivista cartacea 'Pioggia obliqua rivista di letteratura e culture', pubblicata negli anni Novanta, una intervista a
Antonio Tabucchi,
Edoardo Sanguineti,
Mario Luzi. 
Un testo di Valerio Magrelli. 
Mario Luzi, Luigi Baldacci, Patrizia Valduga, Attilio Lolini, Gabriel Cacho Millet, Marco Marchi e Loriano Gonfiantini rispondono
sul senso di fare poesia in quegli anni.
Risposte attualissime.

 

 

 

 

 

 

 

 


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