RESISTENZA
PER SEMPRE
LA RESISTENZA CONTRO IL NAZIFASCISMO:
UN VALORE PERENNE, UN VALORE CARDINE DELLA NOSTRA SOCIETA' DEMOCRATICA...
SE SIAMO QUI ADESSO E POSSIAMO ESPRIMERCI, CRITICARE E CONTESTARE E' GRAZIE AL SACRIFICIO DI UNA MOLTITUDINE DI VITE...DONNE, UOMINI, PARTIGIANE PARTIGIANI...
NON E' QUALCOSA DI VETUSTO E DI RETORICO ORMAI DA DIMENTICARE, E' UN VALORE CHE ANCORA CONTRIBUISCE ALLA CRESCITA DI OGNUNO DI NOI, DEI PIU' GIOVANI, E'
TESTIMONIANZA E CERTEZZA CONTRO IL 'NEGAZIONISMO', E LA VERITA' STORICA DI UNA LOTTA CONTRO IL NAZIFASCISMO, E' LINFA PER LA LIBERTA'. E' LA NOSTRA COSTITUZIONE!
Così giunsi ai giorni della Resistenza
senza saperne nulla se non lo stile:
fu stile tutta luce, memorabile coscienza
di sole. Non poté mai sfiorire,
neanche per un istante, neanche quando
l' Europa tremò nella più morta vigilia.
Fuggimmo con le masserizie su un carro
da Casarsa a un villaggio perduto
tra rogge e viti: ed era pura luce.
Mio fratello partì, in un mattino muto
di marzo, su un treno, clandestino,
la pistola in un libro: ed era pura luce.
Visse a lungo sui monti, che albeggiavano
quasi paradisiaci nel tetro azzurrino
del piano friulano: ed era pura luce.
Nella soffitta del casolare mia madre
guardava sempre perdutamente quei monti,
già conscia del destino: ed era pura luce.
Coi pochi contadini intorno
vivevo una gloriosa vita di perseguitato
dagli atroci editti: ed era pura luce.
Venne il giorno della morte
e della libertà, il mondo martoriato
si riconobbe nuovo nella luce......
Quella luce era speranza di giustizia:
non sapevo quale: la Giustizia.
La luce è sempre uguale ad altra luce.
Poi variò: da luce diventò incerta alba,
un'alba che cresceva, si allargava
sopra i campi friulani, sulle rogge.
Illuminava i braccianti che lottavano.
Così l'alba nascente fu una luce
fuori dall'eternità dello stile....
Nella storia la giustizia fu coscienza
d'una umana divisione di ricchezza,
e la speranza ebbe nuova luce.
Pier Paolo Pasolini
Partigia
Dove siete, partigia di tutte le valli,
Tarzan, Riccio, Sparviero, Saetta, Ulisse?
Molti dormono in tombe decorose,
quelli che restano hanno i capelli bianchi
e raccontano ai figli dei figli
come, al tempo remoto delle certezze,
hanno rotto l’assedio dei tedeschi
là dove adesso sale la seggiovia.
Alcuni comprano e vendono terreni,
altri rosicchiano la pensione dell’Inps
o si raggrinzano negli enti locali.
In piedi, vecchi: per noi non c’è congedo.
Ritroviamoci. Ritorniamo in montagna,
lenti, ansanti, con le ginocchia legate,
con molti inverni nel filo della schiena.
Il pendio del sentiero ci sarà duro,
ci sarà duro il giaciglio, duro il pane.
Ci guarderemo senza riconoscerci,
diffidenti l’uno dell’altro, queruli, ombrosi.
Come allora, staremo di sentinella
perché nell’alba non ci sorprenda il nemico.
Quale nemico? Ognuno è nemico di ognuno,
spaccato ognuno dalla sua propria frontiera,
la mano destra nemica della sinistra.
In piedi, vecchi, nemici di voi stessi:
La nostra guerra non è mai finita.
Primo Levi
ALLE FRONDE DEI SALICI
E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo ?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.
Salvatore Quasimodo (Giorno dopo giorno”, 1947)
AI QUINDICI DI PIAZZALE LORETO
Esposito, Fiorani, Fogagnolo,
Casiraghi, chi siete ? Voi nomi, ombre ?
Soncini, Principato, spente epigrafi,
voi, Del Riccio, Temolo, Vertemati,
Gasparini ? Foglie d’un albero
di sangue, Galimberti, Ragni, voi,
Bravin, Mastrodomenico, Poletti ?
O caro sangue nostro che non sporca
la terra, sangue che inizia la terra
nell’ora dei moschetti. Sulle spalle
le vostre piaghe di piombo ci umiliano :
troppo tempo passò. Ricade morte
da bocche funebri, chiedono morte
le bandiere straniere sulle porte
ancora delle vostre case. Temono
da voi la morte, credendosi vivi.
La nostra non è guardia di tristezza,
non è veglia di lacrime alle tombe:
la morte non dà ombra quando è vita
Salvatore Quasimodo (“Il falso e vero verde” 1949-1955)
Canto degli ultimi partigiani
Sulla spalletta del ponte
Le teste degli impiccati
Nell’acqua della fonte
La bava degli impiccati.
Sul lastrico del mercato
Le unghie dei fucilati
Sull’erba secca del prato
I denti dei fucilati.
Mordere l’aria mordere i sassi
La nostra carne non è più d’uomini
Mordere l’aria mordere i sassi
Il nostro cuore non è più d’uomini.
Ma noi s’è letta negli occhi dei morti
E sulla terra faremo libertà
Ma l’hanno stretta i pugni dei morti
La giustizia che si farà.
Franco Fortini
NON PIANGERE
Non piangere, compagno,
se m’hai trovato qui steso.
Vedi, non ho più peso
in me di sangue. Mi lagno
di quest’ombra che mi sale
dal ventre pallido al cuore,
inaridito fiore
d’indifferenza mortale.
Portami fuori, amico,
al sole che scalda la piazza,
al vento celeste che spazza
il mio golfo infinito.
Concedimi la pace
dell’aria; fa che io bruci
ostia candida, brace
persa nel sonno della luce.
Lascia così che dorma: fermento
piano, una mite cosa
sono, un calmo e lento
cielo in me si riposa.
Giorgio Bassani
Tu non sai le colline
Tu non sai le colline
dove si è sparso il sangue.
Tutti quanti fuggimmo
tutti quanti gettammo
l’arma e il nome. Una donna
ci guardava fuggire.
Uno solo di noi
si fermò a pugno chiuso,
vide il cielo vuoto,
chinò il capo e morì
sotto il muro, tacendo.
Ora è un cencio di sangue
e il suo nome. Una donna
ci aspetta alle colline.
Cesare Pavese
Lo avrai camerata Kesselring
Processato nel 1947 per crimini di Guerra (Fosse Ardeatine, Marzabotto e altre orrende stragi di innocenti), Albert Kesselring, comandante in capo delle forze armate di occupazione tedesche in
Italia, dopo il suo rientro a casa Kesselring ebbe l’impudenza di dichiarare pubblicamente che gli italiani avrebbero fatto bene a erigergli… un monumento.
A tale affermazione rispose Piero Calamandrei, con una famosa epigrafe (recante la data del 4.12.1952, ottavo anniversario del sacrificio di Duccio Galimberti), dettata per una lapide “ad
ignominia”, collocata nell’atrio del Palazzo Comunale di Cuneo in segno di imperitura protesta per l’avvenuta scarcerazione del criminale nazista.
L’epigrafe afferma:
Lo avrai camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.
Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire.
Ma soltanto col silenzio del torturati
più duro d’ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo.
Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
Resistenza.
Piero Calamandrei
Alcune Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana
Carceri Giudiziarie di Roma, 1.6.1944
Cara ed amata mamma
Ti scrivo mentre davanti a me ò ancora poche ore di vita. Mamma perdonami è un grande dolore che ti do ma è il dovere che mi chiama. Vado morendo contento che un giorno ti rivedrò lassù in cielo e da lassù pregherò il Sacro Cuore perché abbia a consolarti.
Raggiungo il mio caro papà che mi attende. E' il mio ultimo scritto, ma non ti accasciare, perdona il figlio che ha una sorte brutta. I miei fratelli mi vendicheranno e lo voglio da loro, muoio con ingiustizia. E a Roma riposeranno le mie ossa. Questa città è stata quella delle mie sofferenze e la mia tomba. Da lassù ti guarderò e ti guiderò. La mano mi trema e non so più quello che dico.
Ti chiedo ancora perdono. Muoio con due rancori. Uno di aver dato un dolore ad una mamma. Ma tu mi perdoni e io muoio contento. E uno di aver deluso una ragazza che tanto mi amava.
E se un giorno la vedrai lei ti racconterà di me. E ora termino perché l'ora si avvicina.
Perdona, perdona, mammina. Ti bacia e ti abbraccia per l'ultima volta il tuo Emilio.
Baci ai miei cari fratelli Ottorino, Luigi e Carlo.
Addio per sempre, mamma cara,
tuo Emilio
Sono - malmenato - soffro - con - orgoglio - il - mio - pensiero - alla - Patria - e - alla famiglia.
Fabrizio Vassalli
24.5.1944
Carissima Amelia,
sono al braccio italiano ed ho consegnato la roba che ti daranno.
Sii buona e pensa che ti ho voluto tanto bene. La roba verrà a te: tu sostieni i miei. Te li affido e di' loro che mi perdonino il grande dolore che reco loro.
Sono sereno e mi dolgo solo di non aver visto i nostri entrare a Roma.
Spero che finanziariamente non resterai male e che con la pensione ed altro che ti verrà da me non debba essere dipendente da nessuno né lavorare per vivere. Ciò mi era stato promesso.
Risposati pure e ricordami. Si però ugualmente una figlia per i miei.
Rammentati della Bice che tanto era affezionata ai miei ed a me.
Ti bacio con tutta l'anima.
Fabrizio tuo
Carissimi papone e mammina,
perdonatemi il dolore che vi reco che è veramente una angoscia per me. Pensate che tanti sono morti per la Patria ed io sono uno di quelli. La mia coscienza è a posto: ho fatto tutto il mio dovere e ne sono fiero. Questo deve essere per voi
vero conforto.
Vi abbraccio con tutta l'anima
Fabrizio vostro
La spilletta regalatela a Bice e così un altro ricordino anche ai miei nipotini.
Saluto e abbraccio tutti, Enrico, Gina, ecc.
Non fate storie per il cadavere od altro. Dove mi buttano mi buttano. Quando potrete mettete l'inserzione sui giornali.
Viva l'Italia.
Le lettere selezionate sono tratte dai libri di Malvezzi e Pirelli ("Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana", Einaudi, Torino 1994, quindicesima edizione) e di Avagliano e Le Moli ("Muoio innocente. Lettere di caduti della Resistenza a Roma", Mursia, Milano 1999).