Queste foto sono un viaggio.
Da una all’altra seguiamo Patti Smith nei suoi movimenti spazio-temporali mentre con grazia saccheggia più immaginari da condividere con lei. Così non stiamo girovagando attraverso un banale album di ricordi, perché scartiamo da subito l’intento del souvenir per accogliere invece le presenti al pari di note ricche di memorie. Luoghi si alternano a oggetti che si alternano a persone e personaggi, una successione mai in ordine come se tutto questo fosse un affiorare più o meno cosciente di temi caramente vissuti. Il letto o la tomba di poeti e artisti, la stanza come museo di nomi famosi nella cultura europea, vari monumenti e angeli in primo piano. Lo stesso rilievo hanno i ritratti dei suoi compagni di percorso nella vita e nell’arte. Tutti quanti belli, iconici, trasandati, avvicinati e amati. Le sequenze fermano caffetterie a Parigi e a Detroit parimenti a Fred ‘Sonic’ Smith, i figli Jackson e Jessie, l’amico Johnny Deep, Sam Shepard e Jim Carroll. E ancora la sedia di Bolano, la pistola di Verlaine, il corsetto di Frida Kalho, la bandana di Burroughs come le scarpette di Benedetto XV. Sembrano non esserci categorie predefinite ne’ confini da non oltrepassare. Patti Smith e la sua vecchia Polaroid si fermano davanti a quello che semplicemente ha sentimentale importanza. Allora tanto dimesso ossequio sta lontano da tecniche patinate come da qualsiasi attenzione strutturale. Lo sfuocato e il mosso sono qui sinceramente spontanei, dal momento che - per stessa ammissione dell’artista - l’intenzione è quella di evocare piuttosto che di rappresentare. Allora si salvano le atmosfere, si trasmettono delle sensazioni. Leggiadra outsider, realizza i suoi scatti al di là e al di fuori di schemi o ipotesi, ma sempre dichiaratamente in aperta conversazione con tutti i suoi buoni ‘maestri’. Nelle note di copertina alla mostra tiene a dirci : Le immagini sono rappresentazioni visive del pellegrinaggio e della gratitudine per coloro che rappresentano le voci della nostra cultura.(…) Un pennello, una macchina da scrivere e i letti in cui hanno sognato. I luoghi della loro pace eterna. Così le sue opere fotografiche vogliono contribuire al ribollire costante e prodigioso del calderone della conoscenza, di tutta la cultura alta. Le sue muse, alcune acquisite da tanta parte della scena newyorkese altre insospettabili, sono l’interlocutore indiscusso attraverso letture e suggestioni. Non è un caso che all’interno di questa mostra troviamo una stanza dedicata all’esposizione dei libri e dei film amati dalla poetessa. Anna Magnani e i capolavori del neorealismo, i poeti romantici inglesi e le avanguardie francesi, Walter Benjamin e Michelangelo. Al di là di compiaciute bibliografie, si sente quanto scrittura e fotografia siano strettamente legate per Patti Smith. Due linguaggi in costante e ripetuto dialogo, come in Nadja di Breton ( non a caso uno dei suoi riferimenti letterari ) dove immagini e narrazione si supportano a vicenda. Viene in mente il booklet dell’album Banga e gli scatti che intercalano sornioni e diaristici i testi delle canzoni. Non è da meno I tessitori di sogni in cui la poetessa rock ha costruito compiutamente questo dialogo fra forma e stile, rimanendo nel corso della mostra niente altro che fili impalpabili da allacciare a opera di noi visitatori. Intanto il suo retroterra , come dintorni suoi personali e non solo , viene tratteggiato nell’esposizione parallela a Higher learning. Le 150 opere fotografiche di The New York scene scorrono momenti di vita e fermo immagine di esperienze artistico-culturali firmate Ginsberg, Goldin, Gorgoni, Mapplerthorpe , Warhol, Makos , Galella. Anche questo risulta essere un viaggio, magari più circostanziato e documentario. Le due sezioni, West Side e East Side, espongono i decisivi decenni ’70 e ’80 quando la città era il luogo deputato per il ‘nuovo’ in progress. La carrellata di stampe vintage uniche, Polaroid inedite, video esclusivi e film, testimonia sia i fermenti avanguardistici sia l’affermarsi di una cultura totale. Patti Smith trova le sue intime ragioni artistiche in New York, e New York si è alimentata anche delle opere di Patti Smith. Due rispettabili signore che sono ‘alchimie dei verbi’ per più di una generazione.
Elisabetta Beneforti