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    LORENZO   MONTICELLI

 

 

 

            Il debutto in versi di Lorenzo Monticelli

 

 

di Alessandro Fo

 

 

«Ora anche tu sei vecchio», Lorenzo, e, chiamando «vecchio» a rimare con «specchio», rintracci (nello specchio stesso e) nello specchio dei versi i lineamenti del tuo burrascoso e fragile padre che «a forza di braccia/ ha attraversato i deserti/ della povertà». O almeno così scrivi, e, anche se troppo vecchio non sei, capisco bene (ho solo pochi mesi più di te) la tua sensazione. Quella di essere di là dalla linea d’ombra, e anzi – soprattutto dati i tempi – quasi sulla chiamata. Con un cuore che «si ferma, poi s’impunta, poi frulla» e «bussa sulla grancassa del costato», prima di finire sotto studio, fra prospettive di corridoi illuminati e ventose indagatrici, addolcite dalle «moine da orso gentile» di un’infermiera cortese.

Da una tale stazione lungo il corso della vita prendi la parola in poesia, e ne nasce una lirica semplice e incisiva, tutta cose, senza inutili orpelli («niente sbavature»). Un pugno di testi che corre dalle mosche a Dio, ammesso che poi esista e che la Sua non sia solo cortesia di chi «finge di esistere per farsi odiare»). Un poeta a noi caro, Angelo Maria Ripellino, lamentava che i filistei suoi contemporanei non sapessero vedere il dramma dei rapporti e delle cose, riflesso anche solo in una sedia che si squinterna. Tu hai la tua di sedia, «gialla e rossa/ di ferro e di legno», ed è forse da lì che canti la dignità, la bella sensatezza, della «sconfitta». Chi non ne ha subite e chi non ne subisce? Per alcuni tutta intera la vita è una sconfitta. Ci vuole coraggio per assumerla a metro di una lettura del mondo – a metro di felicità. Se ne occupa l’ultima di queste liriche, dove, non a caso, si tratta anche del «vero poeta». Una vita dedicata alla poesia ne conosce, di sconfitte. Anche quando sembri fortunata sul piano del successo letterario.

Come la tua mosca sbattiamo sui vetri di là dai quali c’è la conoscenza – forse la stessa eternità. Ma, nel nostro al di qua, mosche restiamo, illuse che vi sia una via (ma come? È lì davanti… c’è la luce…), e incredule nel non riscontrarla percorribile.

«Tutto diventa chiaro quando è tardi», quando ti accorgi «che i tuoi morti riposano/ nel duro cemento con tutto il loro amore,/ guardiani benevoli del tuo dolore». Per fortuna continuano a trascorrerci negli occhi i colori e i paesaggi della poesia numero 9, e ci restano ancora (anche se resi problematici dai crudi giorni di pandemia che attraversiamo) incontri come quello qui descritto alla poesia numero 7, «nel giardino fiorito, sotto il tiglio». E «il testo che segue/ è soggetto a varianti./ Tutti i testi lo sono».

                                                                                                   

 

 

 

               Corpo a corpo

 

 

 

1

 

Ora anche tu sei vecchio,

ora gli anni hanno scolpito la faccia:

guarda il suo disegno nello specchio,

fallo con cura e troverai la traccia.

 

Nei miei occhi mio padre io vedo,

la triste rabbia, lo sconforto

di chi si crede non amato, a torto,

dal figlio prediletto, quel figlio

che con i tuoi occhi

oggi guarda se stesso.

 

 

 

 

2

 

Mi piacerebbe prima di morire

conoscere un dio,

contemplare le strutture;

ma volano mosche

che si credono draghi

e la mente spia dai pertugi

il breve spazio che è concesso,

quattro pareti e il baluginare della luce.

Qualcuno nelle pagine

parla di distanze infinite,

dove non esistono

la nascita e la morte,

traccia geroglifici di numeri

che legano il tutto

ma il dio non appare,

quel che resta è il ronzio, l’assenza.

 

 

 

 

3

(A Marco Salucci, l’amico mordace)

 

Parli sempre di Dio, ateo irrisolto.

Se per te non esiste lascialo in pace,

fai una passeggiata, coltiva l’orto,

mi dice un amico mordace.

 

Io allora dovrei accettare

l’assurdo che assedia da ogni parte,

tranquillo, senza bestemmiare,

ma proprio non mi va, e allora, ad arte,

me lo invento, come sempre si fa,

per avere qualcuno con cui litigare;

di certo anche lui, gentile, lo sa,

e finge di esistere per farsi odiare.

 

 

 

 

4 Una mosca (anima sorella)

 

La luce, il varco c’è,

sbatto contro la luce,

come è possibile?

La luce c’è, c’è il varco allora.

Contro la luce?

Come è possibile?

Se c’è la luce ci deve essere il varco.

Contro la luce,

sbatto, la luce,

ma come è possibile? C’è la luce, il varco,

sbatto ma c’è la luce, non posso,

non è possibile.

 

 

 

 

5

 

Mi sto allenando a non fare nulla.

Chiudo piano gli occhi e ascolto il vento;

il cuore sobbalza per lo spavento,

poi si ferma, poi s’impunta, poi frulla.

Bussa sulla grancassa del costato,

si ferma di nuovo, riprende ritmo,

in levare, sbilenco e stentato;

sarà meglio, mi dico affannato,

smettere l’allenamento per oggi,

sarà meglio, che so? fumare, tutto,

per non sentire il cuore disperato.

 

 

 

 

6

 

Tutto diventa chiaro quando è tardi.

Ora sai che la forza di gravità

ti ha ancorato a questo breve spazio,

ora sai che i tuoi sogni di ragazzo

si sono realizzati per sempre

e hanno perso la luce delle corse

pazze sull’erba nei campi arsi

delle estati accecanti,

delle sfide fiabesche lungo il fiume;

ora sai che i tuoi morti riposano

nel duro cemento con tutto il loro amore,

guardiani benevoli del tuo dolore.

 

 

 

 

7

 

 (A Sara Passi)

 

Apprestarono le bottiglie e i piatti

nel giardino fiorito, sotto il tiglio.

Il caldo soffocava la terra

nell’ora meridiana e inaspriva la fatica,

mentre l’alcol faceva sudare.

Era un giorno in cui zampillavano

le chiacchiere sui destini precari

degli avventizi, frinivano le cicale

instancabili come moribondi.

Si parlò della violenza e del sesso

come se ne fossimo esperti.

Qualcuno perdonò colpe non commesse

e il barboncino nero impazzava

tra le gambe nude delle signore.

Venne la sera e con essa la pace,

anche se il prato ancora sapeva

d’estate. Il vento della notte

muoveva piano le foglie,

accarezzava le facce lucide

che mandavano in solluchero

le vigili zanzare.

 

 

 

 

8

 

Eppure si teorizza

col bilancino

tra parole infeconde

su chi abbia ragione

se il poco che ci è dato

si poggia

o se tutto è nell’aria

una nuvola

come cantano i miti

o se i numeri si allineano

o nella baraonda

saltellano birichini.

Troppi gli strappi i tagli

e gente che campa sul dolore

con raccapriccio

e esibiscono

storie che danno ragione

pavoni ventaglio

nella fissità

del momento dove

fionde mulinellano

e esplodono pietre

a scolpire i visi delicati

dei morti

e gente che lotta con gli angeli

un corpo a corpo

nella sera che incomincia

il luogo per sempre immobile.

 

 

 

 

9

 

Gli alberi bagnati, le foglie

argentee e verdi che brillano,

all’improvviso una parete gialla

sbrecciata, subito scompare,

si apre un varco, ecco le colline

e il grigio nembo e lo squarcio

d’azzurro, i campi arati di fresco,

un volo improvviso,

il fiume stretto tra gli argini,

un boschetto di sempreverdi,

il nastro grigio d’asfalto,

tutto scorre sotto lo sguardo

umido del vecchio mascherato,

riflesso nel vetro.

Il vecchio accarezza le cose

che appaiono e scompaiono

con la grazia degli anni nello sguardo,

lo farà fino all’ultima stazione.

 

 

 

 

10

 

Quasi nulla

quel che resta di una vita che si compie

qualche gesto della madre

il dolore dei morti

mentre la notte dalla finestra di luce

ad ali spiegate fruga

negli angoli dei giardini

e si riposa sulle vette violacee

al sussurro dei pioppi

dormono i nidi e piange d’azzurro

l’assalto dei martiri per ricompensa

un dolore che sgorga e invade

dimenticato come morte per acqua

come soffocò ogni morto

nel singulto troppi fiori bianchi

recisi furono sacrificati

troppi e inutili i santi necessari

mentre la notte ad ali spiegate

riprende il suo volo

e costeggia le rive di un mondo

incomprensibile aspettando

la resurrezione dei corpi morti

che non verrà.

 

 

 

 

11

 

Lascia che ti manipolino

per il tuo bene

trafitto san Sebastiano

da aghi

avvolto nei fili

mentre si accendono

e si spengono

monitor pulsanti di numeri

e il cambio di prospettiva

rivela soffitti di plastica irrorati

da luce al neon

pannelli divelti

intrico di cavi colorati

a mazzi

corridoi che si snodano

infiniti

nel rumore ritmico delle rotelle

nelle viscere

dove si annidano

strani esseri mascherati

in continuo andirivieni

senza senso

mentre quello

con lo stetoscopio

il signore del luogo

si trastulla annoiato

la biancovestita enorme

fa il lavoro

schiava senza titolo

e ti elargisce

complici sorrisi

e moine da orso gentile

strappando le ventose

e con esse la pelle.

 

 

 

 

12

 

È in questo silenzio immenso,

offeso dal lavoro umano,

che respiro nell’assenza della stella

che chiamano con un nome

che non conosco.

Molti nomi non conosco

in questo vasto nero, fratelli,

e io guardo il mondo

senza ombre né luci,

l’oscuro segreto dei sopravvissuti,

raccolto nel comune abbraccio

di questo silenzio lontano,

lontano dal richiamo che urge

e devasta la pace che cerchi,

all’alba, quando abbaiano i cani

e brucia la feroce aurora

il paesaggio senza erbe né alberi.

 

Il volo invisibile del notturno animale

come una spaventosa carezza.

 

 

 

 

13

 

Voglio vendere l’anima,

ma non c’è nessun

Mefistofele da truffare.

Tutti, anche i diavoli,

hanno capito da tempo

che non vale nulla.

Solo nei secoli bui,

si chiamano così per questo,

c’era un florido commercio

e furbi Faust ne approfittavano

per scoparsi bionde Margherite.

Ora si vende solo il corpo

ma il mio non è di moda, purtroppo.

 

 

 

 

14

 

È piena di nei, di macchie la mia pelle

e siccome la pelle è mia

anche le macchie e i nei lo sono.

Io non ho scelto questa pelle

e nemmeno mia madre, dalla quale

l’ho avuta in dono, l’ha scelta.

Me l’avessero chiesto non l’avrei voluta

con tutte queste macchie,

anche se ora mi sono abituato

e nonostante le macchie le voglio bene.

Io non ho scelto nulla del mio corpo

anche se dicono che è mio.

Chi lo dice?

Tutti, me compreso.

Io però non ho scelto nulla, neanche quell’io

che dice del corpo

con i nei e le macchie

che è suo.

 

 

 

 

15

 

Dio ama i potenti ora lo so,

ama i ruffiani, i bugiardi,

gli ipocriti, il delitto nell’ombra;

spasima per l’imbroglio,

il coltello nel buio, il tradimento;

per essi apprestò i frutti della terra,

le fanciulle flessuose, i mansueti animali,

i succhi dei pomi, le medaglie sul petto,

l’eterna memoria, la bellezza, la gloria.

Disprezza i vinti Dio onnipotente,

disprezza quel figlio, quelle piaghe,

quei ridicoli chiodi nelle mani, nel legno.

Sono per lui, e per tutti gli offesi,

il rovistare nel cassonetto,

la tortura, lo scudiscio;

sono per lui, e per tutti quelli come lui,

la sabbia nella bocca,

il deserto, la morte,

la morte per annegamento.

 

 

 

 

16

 

Il testo che segue

è soggetto a varianti.

Tutti i testi lo sono.

Non esiste il definitivo,

l’esatto tra le misure umane.

Ogni frase sia essa

di numeri o di parole

è approssimazione,

in essa si respira

e ci si perde.

 

 

 

 

17

 

Mio padre cammina

col passo lungo del contadino

muovendo le braccia;

io lo guardo in questo sogno

alzare la destra in un saluto.

Ha riempito la mia vita

burrascoso

assetato d’amore

fragile di rabbia.

Ha inghiottito tradimenti

con la grazia

della creatura innocente

e tutti i suoi peccati

saranno perdonati:

non ci sono peccati

nell’inconcepibile vita

di chi a forza di braccia

ha attraversato i deserti

della povertà

restituendo generosità

alla fatica di vivere.

Ora è morto

presto morto sarò anch’io.

Due anime in pena

in lotta perenne,

due gemelli.

Quanta vita

in quella continua sfida,

quanta struggente vita

ora che è morto

e con lui un po’ anch’io:

due cavalieri dalla triste figura

e i mulini a vento,

niente Sancho;

due cavalieri

erranti nel crepuscolo.

 

 

 

 

18 Una sedia

 

È gialla e rossa

di ferro e di legno,

sta ferma,

aspetta calma,

guardala.

Ti dice, siedi se vuoi;

io, ti dice,

sono ciò che sono

come il tuo dio,

il mio destino

scritto nel nome,

niente sbavature,

niente nome proprio:

l’angoscia

del nome proprio.

 

 

 

 

19

 

Quello che rende sopportabile

una vita è la sconfitta

non c’è bellezza nella vittoria

i vinti riposano nella verità

e la medaglia del vincitore

diventa ridicola

se la storia

è raccontata abbastanza a lungo.

Il vero poeta smette di scrivere

a diciott’anni

si impicca

dopo avere scritto col sangue

l’ultima quartina

infila la testa nel forno

non fa pettegolezzi

vomita i tiepidi.

Il vero poeta muore ogni volta

che leggi i suoi versi

da vecchio si lascia crescere

i radi capelli

si separa dalla sua miseria

per testimoniare l’avvenuto riscatto

dal peccato di essere nel tempo.

 

 

 

 

NOTA BIOBIBLIOGRAFICA

 

 

Lorenzo Monticelli è nato a Campi Bisenzio (Fi), dove vive, il 26 ottobre 1955. Ha insegnato per circa quarant’anni, dapprima Italiano e Storia in un professionale e poi Storia e Filosofia al Liceo. Ha scritto, interpretato e diretto (insieme a Manola Nifosì) il film Io e Majakovskij, col quale ha vinto il premio Prato nel 1989. Un suo monologo, Euforico, in piena forma psicofisica, tratto dal film, è stato messo in scena da Daniele Trambusti, con la regia di Alessandro Benvenuti. Con il testo teatrale Amici (andato in scena al Teatro di Rifredi di Firenze nella stagione teatrale 1990/91) ha vinto il premio “Ruggero Rimini”.

Insieme a Francesco Burroni ed altri, è tra i fondatori dei Match d’improvvisazione in Italia. Nel 2019 ha pubblicato un romanzo, Sotto il pollaio, Il seme bianco editore. Si dedica ora anche alla scrittura in versi: le sue poesie sono finora inedite.

 

 

 

 

 

 

 pioggiaobliquascritturedarte@gmail.com

 

 


 

" Pioggia Obliqua una rivista

affermata e prestigiosa."

 " Un grazie di cuore a 

Pioggia Obliqua i cui molti meriti nei riguardi della poesia non saranno mai abbastanza sottolineati."

 

Alessandro Fo

 

 

" Saprà o vorrà ancora la forza accumulata (...) resistere alla forza di omologazione che la tecnologia sembra inevitabilmente portare in seno?(...) Prevedo un lungo periodo di 'agonie', voglio dire di lotta (...) sarà probabilmente quella la forma e la sostanza del poetare che ci aspetta."

 

Mario Luzi

Da un suo scritto per Pioggia Obliqua a proposito

del  'senso di fare  poesia', gennaio 1996

 

 

" Io credo che un pò di silenzio ci faccia bene, c’è un coro di voci “troppo alto”, sgraziato, che ci sommerge, e non mi riferisco solo alla letteratura. In questa specie di “frullato” che siamo costretti ad ascoltare quotidianamente, il valore delle cose si perde.

 

Se c’è un attimo di riflessione, di

silenzio, la parola scritta o detta assume maggiore rigore."

 

 

Antonio Tabucchi

 

Intervista rilasciata a Luigi Oldani e

Elisabetta Beneforti per Pioggia Obliqua 

 

 


" Il sito Pioggia Obliqua mi ha "donato questa nota sul mio libro (...), ma l'intero sito è da seguire."

 " (...) e un ringraziamento per tutto ciò che P.O. fa per il mondo della poesia."

 " (..) E la stima è da me ricambiata verso il vostro prezioso sito!"

 (...) sempre attenti e preziosi gli amici di "Pioggia Obliqua".

 

Bruno Galluccio

 

 

" Un bel luogo d'incontro tra scritture."

 

Matteo Pelliti

 

 


" Non so dire se la bellezza salverà il mondo, come pensava Dostoevskij, ma mi piace pensare che sarà così. In fondo, già Stendahl sosteneva che "la bellezza non è che una promessa di felicità". 

 

Vittoria Franco

per Pioggia Obliqua

 

 

" Agli amici tanto tanto amati di Pioggia Obliqua, poeti invincibili della vita, il mio abbraccio umile e il mio ringraziamento, per mantenere la poesia come unica veritá nel mondo."

 

Daniel Fermani Gonzales

 

 

 

 

" Rivista preziosa, che seguo da tempo."

 

Alfredo Rienzi

 

                 

 

 

 

                    

 

 

                  

 

                       Consigli di lettura

 

 

    

 Nella omonima rivista cartacea 'Pioggia obliqua rivista di letteratura e culture', pubblicata negli anni Novanta, una intervista a
Antonio Tabucchi,
Edoardo Sanguineti,
Mario Luzi. 
Un testo di Valerio Magrelli. 
Mario Luzi, Luigi Baldacci, Patrizia Valduga, Attilio Lolini, Gabriel Cacho Millet, Marco Marchi e Loriano Gonfiantini rispondono
sul senso di fare poesia in quegli anni.
Risposte attualissime.

 

 

 

 

 

 

 

 


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