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EVARISTO SEGHETTA ANDREOLI

 

 

POESIE INEDITE

 

 

Sedici gennaio

 

Eppure questo sarà un giorno da ricordare,

mentre piove su Firenze, su San Miniato

che severo attende la mia conversione

desiderata, rimandata, forse incipiente.

 

Sul ponte sfilano i lampioni,

si accenderanno tra poco, illumineranno

la giusta direzione. Attendo così

rintanato in questo caffè, dove

 

la barista filippina non mi sopporta più,

non può tollerare che qualcuno scriva

per ore su un taccuino, tutto al prezzo di un tè.

 

Vorrebbe chiedere cosa ci sia da raccontare,

nel grigiore di questa sera in cui

nessuno spende una lira.

 

 

  

Vinsanto

 

Non so chi mi abbia regalato

questa bottiglia di vinsanto,

era lì tra i regali di Natale

nell’anonimato delle ombre.

 

Ora senza tappo, senza filtri, essa

profonde l’aroma imprigionato

e sparge il profumo di un settembre

di qualche anno fa. Già, è vero,

 

ho dimenticato il mio settembre,

i miei mesi tutti uguali e confusi in un

magma incolore, ma qualcuno riaffiora

per sapore, qualche altro per amore.

 

 

 

 

Stasera la pioggia

 

Ho sempre sperato che piovesse così,

fitto fitto, le gocce a migliaia sotto

i lampioni, atomi umidi nel clinamen

del precipitare dell’esistenza.

 

Come ho bisogno di speranza,

come vorrei avere coraggio, quello

di Teseo o di Ulisse, quello di Enrico

il mio amico metalmeccanico

 

che non fa filosofia perché si alza

alle cinque, e cammina, cammina

per le vie alberate che già sanno

di ruggine e di nero.

 

Ma ora piove dal cielo e piove fitto

fitto, tanto che le radici di questi

ippocastani invecchiati con me,

con le mie mani dalle vene sporgenti,

 

spaccano l’asfalto e il mio cuore.

 

 

 

Gatti

 

È un nodo nel legno quello che compare

al centro dell’architrave, quello che

sorregge la volta celeste, in questa

sera piovosa e disarmante,

 

è il nodo imperforabile

della malinconia. Ora lungo la via

fuggono i gatti più veloci del vento

al mio passare, forse è il terrore

 

cupo della mia ombra, che si espande

tra i lampioni e gli ippocastani.

Ma domani prometto sarò migliore,

libererò il mio cuore da ogni dolore

 

e dalle foglie di platano, salirò

sui tetti, tra comignoli e antenne,

lì dove i gatti sprigionano luce

dagli occhi, luce propria come le stelle.

 

 

 

La stanza

 

Poi dicono che io pecchi di serietà,

eppure sto seduto come un giudice

su questa poltrona scarna, bici

senza ruote, unico superstite

dopo l'epurazione della necessità.

 

In questa stanza, tra soffitto e pavimento,

ricerco l'archetipo della notte, oltre

la finestra aperta sul buio del non io.

Eppure, a modo mio, aspetto

Il diradarsi delle nuvole silenziose.

 

Arezzo 5/10/2017

 

 

La chiglia

 

La tua presenza, la mia memoria esterna,

il mio coraggio finito in esilio.

Ci sarà sempre un foro nella stiva,

un occhio di luce, uno spiraglio di vita.

Ci sarà anche quando la chiglia Incagliata

 mi ricorderà che tutto diviene,

che il fermarsi è un'illusione.

 

 

 

 

QUESTO    SONO      IO

 

Questo cervello insano

dove risuona incessante

la musica dei ricordi,

dei rimorsi radici,

testardo e fragile,

di sensibile anomala comprensione,

che spinge il corpo per salite immani

nella speranza dell’autopunizione,

che porta a leggere e scrivere poesie.

Questa persona

che mi ritrovo sempre davanti

e mi delude e mi esalta

urla, canta e piange.

Questi occhi che guardano lontano,

guardano il mondo in un modo strano

in modo direi del tutto mio.

Questa testa che stringo forte tra le mani:

tra esse stringo di me stesso l’involucro,

ma lo spirito non si può toccare

mi limito così a immaginare

di che colore sia il mio “io”.

Questo sono io.

 

(Da  I semi del Poeta - Polistampa 2013)

 

 

 

Inquietudine da imperfezione

 

 

Oltre i tuoni notturni, sicari del cielo,

la mente fugge spazio e tempo,

supera la luce, i suoni

e, dei sensi

l’ opprimente peso

sull’Io passato, futuro,

presente.

 

Assurda aspirazione

portare il pensiero alla fonte

dell’ essenza assoluta,

disciolto ogni quesito,

nell’ infinito tutto.

 

E sogna l’incontro supremo

tra l’essere e il nulla,

della stasi col moto,

tra la materia e il vuoto,

dentro e fuori dall’ Io,

perché è sottile

questa inquietudine

da imperfezione

che avvolge i fiori

prediletti di Dio.

(Da  Inquietudine da Imperfezione-Passigli 2015)

Dicembre

 

Quest’albero,

in cui vive la mia essenza,

è come ciliegio fiorito a dicembre:

attrae il perplesso sguardo

di uomini e di uccelli

che giustificano il tutto

coi capricci del caso.

 

È illogico accettare

che un vecchio parli d’amore,

ormai che sono scorse

gran parte delle ore

da quell’aprile in cui fervida

è la danza della specie

e Venere e le Grazie

trastullano il cuore.

 

Io, solitario e tardivo, invece,

attendo che la voce,

che cova nella notte,

esploda in fioritura innaturale,

in questo corso strano

dell’esistenza, dov’è inaccettabile

lo sgarbo all’esperienza.

 

Io fiorisco a dicembre,

quando ormai le foglie sono cadute,

opponendomi

alla comune convinzione

che nel dicembre della vita

fioriscano soltanto

mute parole.

(Da  Inquietudine da Imperfezione-Passigli 2015)

Di flauto e tamburo

 

Di flauto e tamburo

una secca armonia

colpisce la via,

giostra di gatti,

teatro di venti,

sul saliscendi che porta

al confine,

di primule e crochi

miraggio.

 

Ma al ritmo marziale

di provati soldati,

nei campi fioriti

il passo sprofonda.

È colmo d’attesa

il cerchio del buio,

quando la scheggia di fuoco,

nell’odore di sparo,

s’affaccia sul bosco,

arrossa il torrente

e la pallida ghiaia.

 

Di flauto e tamburo

risuona il dolore

di padre,

al tramonto.

 

(Da  Inquietudine da Imperfezione-Passigli 2015)

 

I°

 

 Io sono le mie parole,

sono la traduzione puntuale

del dolore ancestrale,

epifania affissa

alla porta dell’esistenza

e l’inchiostro a delinearne

lo spazio, fra titolo

e prezzo.

La risposta cartesiana

al quesito originale

è solo il dolore,

frutto dell’esposizione

a prove, prove, prove…

Io sono in questa cantilena

che permette al mio udito

di passare il messaggio al cervello,

di rinchiudere nell’anello

del prima e del dopo

il ronzio dell’eternità.

 

(Da Morfologia del Dolore - Interlinea 2015)

 

X

 

Su questa spaccatura

profonda, dove fanno

da sponda le pareti

dell’anima,

dove opaca rimbalza

la luce della coscienza

che giudica e si giudica

mi affaccio.

È in questo crepaccio

che precipitano i sassi

del tempo, fino a toccare

il fondo e lasciano

onde concentriche

dal suono oscuro

che vibrano di rimpianto.

Ma fugge

il mio gatto

tra la legna e l’olivo:

teme i botti improvvisi

i botti del cuore.

 

(Da Morfologia del Dolore - Interlinea 2015)

 

XVI

 

Mettiamo in scena l’ennesimo atto

di questa farsa antica,

allestita al passaggio a livello

della vita, per riempire il vuoto

dell’attesa, nelle comparse a turno

del normale e dell’assurdo.

Scritturati dalla Sorte,

recitiamo alla meglio la parte

assegnata, letta e provata

nel teatro della nausea,

temendo l’errore fatale,

il fallimento totale della strana

commedia imbrattata d’amore.

Accettiamo così ruoli esagerati,

ferrovieri e soldati,

ammucchiati i bagagli

in questa stazione isolata.

Prima o poi il treno passerà.

 

(Da Morfologia del Dolore - Interlinea 2015)

 

 

 

Evaristo Seghetta Andreoli è nato nel 1953 a Montegabbione (TR) dove attualmente vive. Di formazione classica-umanistica (Liceo Ginnasio Gualterio Orvieto), è stato per quarant’anni funzionario di un primario istituto di credito vivendo, per esigenze di servizio, in molte città italiane. Ha pubblicato: I semi del poeta (prefazione di Patrizia Fazzi, Firenze, Polistampa Editore, 2013);   Inquietudine da imperfezione (presentazione di Franco Manescalchi e prefazione di Giuseppe Panella, Passigli Editori, Bagno a Ripoli, 2015);   Morfologia del dolore ( presentazione di Carlo Fini, Interlinea Editore, Novara, 2015);   Paradigma di  esse (presentazione di Franco Manescalchi e prefazione di Carlo Fini, Passigli Editori, Bagno a Ripoli, 2017).  Fa parte dell’Associazione Culturale Pianeta Poesia di Firenze e dell’Associazione Tagete di Arezzo. Alcune sue poesie e recensioni sulle sue opere sono apparse su riviste letterarie tra cui : La lettura del Corriere della Sera, La Gazzetta di Parma, La Nazione, Il Resto del Carlino, Erba d’Arno, Retroguardia, Feeria, ecc. Egli ha ottenuto numerosi riconoscimenti tra i quali i primi premi assoluti ai seguenti concorsi:   Premio Firenze Mario Conti  Fiorino D’Oro ( 2015);  Premio Giovanni Pascoli - Barga (2016);  Premio La Locanda Del Doge- Rovigo (2016);  Premio Tagete – Arezzo  (2016);  Premio Internazionale 2016/17 “ Mario Luzi”- Roma;  Certamen Apollinare Poeticum Pontificia Università Salesiana di Roma (2018). Hanno scritto di lui, tra gli altri, Franco Manescalchi, Carlo Fini, Carmelo Mezzasalma,Giuseppe Panella, Patrizia Fazzi, Alberta Bigagli, Camillo Bacchini, Michele Brancale, Valeria Serofilli, Franco Manzoni, Giuseppe Manitta, Eleonora Rimolo, Luigi Oldani.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ALESSIA D'ERRIGO

 

 

Se mai più parlerò

sopravvissuta al caso

con la pelle rosa in quarantena

 

 

PASTO VERGINE

 

di Alessia D'Errigo

 

 

E cosa ti racconto ora, se le creature vengono a me
se le sento strillare e raggrumarsi nel sotto sterno
in preda ad un richiamo naturale, quello per cui combatto
e difendo Dio, e cosa ti racconto ora che la luna è diventata acqua per abbeverare i morti, i passi grevi della terra ed i passi miei. Potrei mentirti, calare i veli, tirare giù le coltri, imbrogliarti
ma qualcuno strilla, uno dei tanti, l'altro parla, uno dei muti
ed io rido parlo e sto muta. Forse sono pazza.

 

 

Bisognerà pur farlo uscire questo dolore, l'urlo del parto, del cuore, l'efferatezza blasfema della ghiandola animale. Bisognerà pur sfaldarsi e ricomporsi, come i castelli di sabbia nelle mani dei bambini, del mare, castelli ad illuderci, bambini, nel mare. Bisognerà calare sì, nelle coltri, il vestito bianco, affogarlo nella sozzura, nel limbo delle ceneri purché ne venga una grande luce fuori, ad accecarci, lasciandoci informi e plasmabili, sciolti verso l'avvenire, purché venga a noi questo avvenire, come la piuma di un angelo ad accarezzarci nella bolla del ventre.

Io voglio sì, una carezza, nella bolla del ventre.

 

 

Remunerami il pianto, biglia del basso ventre che caracolla al sole, remunerami le prestazioni a cui affido l'addio e il ritorno
una dispersione afona d'intenti (comprese queste parole). Remunerami l'afflato del vento, che mi schiaffeggia giorno e notte circondandomi d'amore e morte.

Per queste strade che non vedo, per i prati che si aprono
cingiti lieve, dimenticami in un bacio, nelle fluorescenze dei corpi
purché si sfaldi la parte di me che teme l'orrore, il disperato eco di ritorno della vita, per la vita, del suo sale, fuliggine dei morti su tombe di cemento. Io piango, tu piangi, la terra trema, Dio trema.
Potremmo perdonarci domani, affiancarci spalle a spalle
per questa grande notte nera, sognare lo stesso sogno,
un luogo nuovo che s'apre, lasciar salire lo stesso canto.

 

 

Anche io sono avversa alla mia forma, alla tua forma, alla mia. Io sono avversa sì, a questa morte, al lutto dei giorni senza fiori e rammendo nel cuore un biancospino per ricordarmi del nome e rammento il tuo nome ch'è il biancospino ricamato nel petto. Il profumo dei fiori, l'inevitabile profumo dei fiori.

Perché è notte? Cos'ho oscurato senza ricordare? C'era un davanzale una stanza e poi la coltre scura di qualche oblio, in sordina,
una memoria vicina alla pelle, l'ortica dei tuoi occhi.

 

 

Viene l'acqua breve, dai flutti carnefici a spezzare il grembo. Viene l'acqua breve a scavare le rive.
Che tu sia libero o legato alla sua foce, passa ed abbevera, lasciando lo scolo alle mandrie dal pascolo brado:

Il clone mio Dio, intro la pelle, la stessa pelle,
la parte di cuore che non crede più,
la parte di cuore che s'annida alle spalle dell'inverno seno tuo Gesù. Bastino le pietre a salvarci, gli stagni bastino
purché si taccia questo pensiero eretto e doppio;
l'eredità dell'uomo verso l'uomo, la guerra e l'eucaristia.
I corpi mangiano e bevono dalla foce dei Tuoi occhi sghembi prostrati a nocciola lungo la terra, il sacrificio dei tuoi sensi
è un tutt'uno con la croce. Ti guardi e guardi, uno morrà.
Ti guardi e guardi, uno morrà.

Viene l'acqua breve, dai flutti carnefici a spezzare il grembo. Viene l'acqua breve a scavare le rive.

 

 

Il giglio aperto si schiude, addio.

Il giglio aperto ha vesti esangui, il nudo grembo

madre di ricordo, madre di pancia, addio.
Madonna madre chiedi alla figlia,
Madonna madre che nel silenzio bianco, chiedi. Non ti somiglio per forma e grazia, non ti somiglio. Pulsione di carne senza lacrime sante,

di me dentro te, un giorno fu.
Madre Madonna figlia, non ti somiglio per grazia e pallore,
ho cosce sode, sguardo al mondo, l'uovo pronto a sacrificare dalla tua testa. L'indice e il medio tra gli occhi ho spostato, per accecare il tuo martirio di donna, il fuoco del tuo cuore è una prigione di preghiere.
Madre sposa del nulla, il tuo vacuo sguardo porgi sulla terra,
l'imene del seme tuo Gesù.
Donna avvinta all'amore, alla carne senza peccato, all'amore,
alla carne senza peccato.
Figlia madre Madonna sposa, porgi l'imene del seme tuo Gesù.

 

 

Noi, animali da terra in avanscoperta
dalle coronarie inesplose come fossimo parto maturo in perenne ventre, una lotta di placenta appesa tra il calvario di questo e l'altro mondo,
il nostro pianto T'arrivi greve a spostarti gli occhi,
un'emergenza d'angeli a prenderci in caduta, nel giorno del sangue
ove la grande fessura s'aprirà, pronta, a far uscire i nostri corpi.(...)

 

E' possibile leggere tutto il libro, vedi le informazioni pubblicate in calce a questa pagina.

 

Alessia D'Errigo

Ricercatrice in campo teatrale e cinematografico. Scrittrice, interprete e regista di varie opere teatrali.

Dopo un percorso classico come attrice inizia una ricerca personale sull'atto scenico e sulla reale necessità del suo manifestarsi.
Nel 2004 apre, insieme al suo compagno, l'artista e regista Antonio Bilo Canella, il “CineTeatro di Roma” (
www.cineteatro.it) centro di ricerca formazione e produzione in campo teatrale e cinematografico.

Proprio al CineTeatro inizia un lungo percorso sull'improvvisazione totale (la Performazione: www.performazione.com) e porta avanti una ricerca personale sull'Improvvisazione Poetica.
Da questa ricerca - nel 2011 - Alessia D'Errigo apre il progetto IMPROMPTU THEATRE (
http://impromptutheatre.jimdo.com/ ) l'intento è quello di voler fondere varie arti (musica, poesia, danza, pittura e teatro) in uno scenario d'improvvisazione totale. Progetto sancito dall'omonimo spettacolo “Impromptu” con il pittore-performer Orodè Deoro, e da altre due performance “Variazioni Belliche (LamentAzione)” e “Per i tuoi occhi bianchissimi”

(vedi video: http://www.youtube.com/watch?v=h9WManvZMwA )

Nel 2012 ritorna a lavorare con Antonio Bilo Canella sulla Performazione, aprendo insieme a lui il “Collettivo Performativo” e collaborando con vari artisti, scrittori,

danzatori, musicisti e pittori.

Nel 2011 ha pubblicato la sua prima silloge poetica 'Carne d'aquiloni' con l'editrice Zona Contemporanea.
I suoi testi sono presenti in numerosi blog, riviste web e in alcune antologie.

Tra il 2011 e il 2012 Ha curato la rubrica di poesia “Rediviva Donna (classica e contemporanea)” sulla fanzine Versante Ripido.

A dicembre 2013 una ventina di suoi testi inediti, della raccolta 'Pasto Vergine', escono sulla rivista Poesia di Crocetti editore con un'introduzione di Maria Grazia Calandrone.

DIRITTI D'AUTORE

 

Per volontà dell'autrice questo libro è gratuito e non ha alcuno scopo di lucro.

Il libro è stato pubblicato sul web dal Collettivo 'Bibbia D'Asfalto' al seguente indirizzo:

http://poesiaurbana.alterriviste.org/wp-content/uploads/2015/04/Pasto-VergineAlessia-D'Errigo.pdf
I testi sono protetti da licenza Creative Commons, pertanto qualunque utilizzo deve essere sottoposto alla volontà dell'autrice ed è necessario citare la fonte.

 

 

STEFANO COLLI

 

 

 

Poesie da  Non lasciate che uccidano i poeti, Edizioni Tracce 2014

 

 

 

 

Il fiore che non c’è                           

 

 

 

Nel sepolcro ardente della sera

 

sale

 

tremante

 

l’esile canto del Muezzin.

 

A fargli eco

 

furente

 

il boato dell’ennesima

 

autobomba su Baghdad.

 

Quando è sbocciato l’ultimo fiore

 

nei giardini pensili di Babilonia?

 

Senza risposta

 

è la domanda sgomenta nella notte.

 

Attende una madre nell’Ohio

 

la bara avvolta dalla bandiera

 

che una delle sue stelle ha perduto

 

nel più inutile macello mai compiuto.

 

E intanto l’ultima petroliera

 

è salpata verso la terra della sera

 

orfana di quel fiore che non c’è.

 

 

 

 

 

Gli occhi della notte                                

 

 

 

La parola scruta gli occhi della notte

 

e fa rumore quando sfida la luna

 

che sbircia discreta i nostri sogni.

 

Ignara è la sorte

 

che solo alcune approderanno alla meta

 

a comporre lo spartito della gioia

 

o la grammatica dell’estrema perdizione.

 

Le altre

 

abortite nell’oblio dell’origine

 

sosteranno sulla soglia dell’attesa

 

per ricevere il bacio della notte

 

finché usciranno da quel limbo

 

labile confine con la morte

 

per esser convocate dai poeti

 

all’appello di una nuova epifania.

 

Perché immensa è la pietà dell’aurora

 

dinnanzi all’eterno domandare.

 

 

 

 

 

Sonata da camera                                      

 

 

 

Non dà tregua la notte quando avvolge

 

con tentacoli di buio e spirali di emozioni.

 

Crea illusioni sospese nel tempo

 

la sua infìda e magica atmosfera

 

come quella sera di fine luglio.

 

Due vite sul filo dell’attimo

 

sguardi che si incrociano e sensazioni

 

che gravitano sulle note di Bach.

 

Il tuo fascino delicato e provocante

 

con garbo accavallate le gambe

 

l’occhio consapevole ma distante.

 

Sei lì, con il tuo battito di mani a scandire

 

il ritmo di due anime in attesa

 

a carpire il mio sguardo penetrante

 

che vaga tra i tuoi fianchi

 

e l’oboe dell’artista sfiorato con mirabile grazia

 

a sfidare le pieghe

 

seducenti dei tuoi capelli ondulati

 

a placare il mio anelito nascente

 

che lambisce il tuo grembo in ascolto.

 

 

 

Poi le note si dissolvono

 

il tuo uscire furtiva

 

il mio seguirti circospetto

 

il dubbio, il timore, la probabile rinuncia;

 

ma ecco, improvviso, il lampo, l’occasione

 

che fende il tuo sbirciare discreto

 

tra le vetrine luccicanti dei negozi,

 

le parole che faticano a uscire.

 

E ricordi l’incontro, due strade che si uniscono

 

il nostro cammino cadenzato nella notte

 

il conversare fin sotto le tue scale,

 

tu seduta poco sopra di me

 

che il vestito ti aggiusti tenera e pudica

 

salito impertinente ben sopra il ginocchio

 

la tua risata leggera avida della vita

 

che come aprìco ventaglio si dona

 

a sfiorare morbida l’intero firmamento.

 

 

 

Solo contatti tecnologici e virtuali

 

è per adesso ciò che resta

 

a legare la trama dei nostri itinerari

 

il labirinto delle tue insicurezze

 

l’ansia ardente che mi pervade.

 

In attesa di nuove note nella notte

 

a dissolvere il velo delle tue paure

 

a coinvolgere i nostri palpiti nascosti

 

mentre una nuova luna gioca sul letto delle stelle.

 

 

 

 

 

Sorriso di bambina    

 

                                                     (A Yara Gambirasio)

 

 

 

In quella notte avara di stelle

 

come un angelo sei volata via

 

con l’innocenza tremante dei tuoi anni.

 

Quest’evento ci segnerà per sempre

 

come il marchio di un sole malato

 

simbolo di labirinti indecifrabili

 

che abitano volti vuoti, senza nome

 

in un tempo di uomini soli

 

piccole monadi prive di perché.

 

Solitario il tuo corpo nelle tenebre

 

chissà dove la tua anima leggera

 

magari a chiedere pietà

 

per chi forse non ne merita alcuna

 

perché chiunque uccide un bambino

 

fa rivivere due volte la Shoah.

 

Lo so che l’ignoto ci separa

 

labile come un respiro nell’inverno

 

ma di certo il tuo simpatico sorriso

 

rimarrà impresso nella volta celeste

 

a squarciare il buio di ogni notte

 

per apparire come in sogno a qualcuno

 

quando giocherà a dadi con la morte

 

per saldare un debito inaudito.

 

 

 

 

 

Noi che sfidammo la notte                       

 

 

 

Navigammo verso orizzonti inauditi

 

 noi che sfidammo la notte

 

in attesa della  sua fine imminente

 

certi che la nuova alba a picco sulla vita

 

fosse il primo cenno

 

di luce sul mondo.

 

Ci svegliammo come in un giorno qualunque

 

e vedemmo giovani entusiasti

 

scambiati quasi per messi celesti

 

scrivere daccapo la storia

 

squarciando di meraviglia la cortina del cielo.

 

E fu giorno, abbacinante giorno

 

al di là di ogni immaginare

 

e parve che dal nulla volasse

 

una carezza, un sussurro a disperdere

 

le foglie, nel segno

 

di una presenza sconosciuta

 

di coloro che per l’Impero

 

era come se non fossero mai nati.

 

Fine della storia, tramonto delle tenebre

 

parole pronunciate al crepuscolo

 

di un secolo spietato e un urlo

 

immenso, che sale da dentro

 

in un orgia di sofferta libertà.

 

 

 

Come il mare quando vomita i suoi ospiti

 

e riprende il suo viaggio eterno

 

la storia ha issato le reti

 

libera dal superfluo che la ingombra.

 

E noi qui muti alla finestra

 

con più rughe e molto disincanto

 

ad assecondare il compiersi del giorno

 

persuasi che ogni ‘89

 

sconta sempre il proprio Termidoro.

 

Dunque vivere fu questo

 

assistere all’eclissi dell’aurora

 

passare impotenti

 

da un permanente teatro dei sospetti

 

ad un labirinto tecno paranoico?

 

Fu sapere che i muri più coriacei

 

sono impressi sulle nostre ombre

 

tra noi e quell’essenza remota

 

che si chiama Europa?

 

La sentenza attende il suo verdetto

 

purché si faccia in fretta:

 

l’imputato è ormai moribondo.

 

 

 

 

 

 

Tra gli spazi bianchi                              (a Ghiannis Ritsos)

 

 

 

La poesia ci guarda tra gli spazi bianchi

 

nella limpida notte silenziosa.

 

Si affacceranno le parole

 

a interrogare le nostre vite

 

e parleranno per noi anche quando

 

verrà un tempo in cui non ci saremo.

 

Forse non verremo dimenticati

 

noi che possediamo solo le parole

 

se un giovane sguardo, una sera d’inverno

 

accarezzato da un raggio di luna

 

leggerà i nostri timidi versi

 

e scruterà, come noi stanotte

 

il firmamento immenso

 

a tratti angosciante

 

come quei nudi spazi bianchi

 

dove schivi si nascondono i poeti.

 

 

 

 

 

 

I n e d i t i

 

 

 

 

Venne la morte e aveva occhi di follia

 

                                                                 (Alle vittime dell’11 settembre)                 

 

 

 

Venne la morte e aveva occhi di follia                                    

 

quel mattino di settembre, che rese

 

il mondo un manicomio a mani tese

 

verso l’ignoto e inchiodato all’agonia

 

 

 

di attimi pesanti come secoli

 

da un nemico invisibile e vigliacco,

 

la normalità costretta allo scacco.

 

Venne la morte, coi suoi tentacoli

 

 

 

non più scientifica come in passato

 

ma ugualmente persuasa allo sterminio

 

in un’epoca priva d’innocenza

 

 

 

dove la poesia si fa urlo strozzato

 

se nuovi muri innalzano un dominio

 

che merita Divina Indifferenza.

 

 

 

 

 

Noi che viviamo dentro le parole

 

 

 

Quando la sera si veste di silenzio

 

e si sottrae al naufragio del giorno

 

dove scontiamo, storditi, la danza

 

impazzita delle ore, si allenta

 

per i profughi del tempo l’estenuante

 

purgatorio della vita e una pace

 

immensa a poco a poco  ci coglie

 

noi che viviamo dentro le parole

 

ogni giorno, sopraffatti dal presente

 

e consacrati alla vertigine stupita

 

dell’eterno valzer delle sillabe.

 

E il loro vagito

 

accennato sulla soglia del dicibile

 

si concede all’abbraccio della notte

 

l’azzurra notte nuda come il suono

 

dei versi rapiti dal vento dell’estate.

 

 

 

 

 

 

Ragazza di Kobane

 

 

 

Nella sera che ghermisce le sue prede

 

vorrei per poco tenermi al riparo

 

da un’epoca impazzita che ci assale

 

con il suo voyeurismo feroce

 

ma la TV è una sirena ammaliatrice

 

che nell’aria effonde le sue note

 

ed eccoti, come per incanto,

 

ragazza di Kobane. Non capisco

 

il tuo nome, preso dalla bruciante

 

intensità dei tuoi occhi, fissi

 

sull’obiettivo e fermi

 

nel difendere la città oltraggiata

 

dall’assedio di gente senza onore.

 

Hai l’età dei miei alunni,

 

ragazza di Kobane, loro così fragili

 

nell’ansia della routine scolastica

 

e tanto lontani dai colpi di mortaio

 

che violentano la tua giovinezza smarrita.

 

Loro non immaginano, per fortuna, la smorfia

 

che deforma il volto di un coetaneo

 

e cosa significa al riparo di un muro

 

aspirare una rara sigaretta

 

da noi segno di ‘così fan tutti’

 

per te soffio libero che sfida

 

un destino a scandire minuti

 

senza la certezza del domani.

 

Tristezza non noto nel tuo sguardo

 

ma un piglio fiero e un fuoco che sfida

 

l’ignavia del libero occidente

 

la viltà di schiavisti frustrati.

 

Il vento scompiglia i tuoi capelli

 

che agili brindano alla vita

 

e a chissà quando un’altra sigaretta

 

perché adesso è ora di combattere

 

in questo mondo consumato così in fretta.

 

Ogni mattina pregherò per rivedere

 

quel bagliore nello sguardo di ragazzi

 

ignari del tempo che impiega

 

una sigaretta a consumarsi, lenta

 

tra le rovine di una città assediata

 

e la vita che scorre, indomita

 

con il fumo confuso tra i capelli

 

e in tasca soltanto la speranza.

 

 

 

 

 

 

In fondo alla notte

 

(a Sebastiano Vassalli)

 

 

 

Forse assomiglia al nulla la solitudine

 

il ritrarsi dell’animo in disparte

 

alla ricerca del silenzio e di immensi

 

spazi in cui potersi sprofondare

 

obliando il tarlo del tempo

 

al cospetto di ciò che sfugge alle parole.

 

Se sia mare o montagna non importa

 

il paesaggio è soltanto ciò che ospita

 

nel cammino che conduce all’erranza

 

lasciandoci il mondo oltre la porta

 

a gridare e sopraffarsi nel rumore.

 

I soli stanno soli e fanno luce

 

in attesa di approssimarsi alla soglia

 

liberi da chimere di ogni tipo

 

per giungere fino in fondo alla notte

 

che annulla la fine nell’inizio.

 

E ci ingoierà la pace come il ventre della notte.

 

 

 

 

 

Lungo la spiaggia

 

 

 

Se la notte ingoiasse le parole

 

lungo la spiaggia che il tuo corpo accolse

 

alla nuda mercé del mondo

 

solo il silenzio potremmo opporre

 

allo sdegno della natura spettatrice

 

di uno strazio che ci inchioda all’istante

 

come se il tempo si fosse fermato

 

per guardare in faccia sgomento

 

un’umanità assuefatta alla morte.

 

Ma se di parole si nutrono i poeti

 

è per dirti quanto è svanita la gioia

 

per sempre da quell’arida spiaggia

 

che scrivo questi versi spalancati

 

piccolo Aylan

 

sull’abisso di un’epoca bastarda.

 

In attesa di una parola che accolga

 

l’imperfetta pietà di una carezza

 

o diradi la nebbia tremante

 

squarciata dalla luce dell’inizio.

 

Oppure che ci inghiottisca il silenzio

 

e che la notte ci giudichi al cospetto delle stelle

 

noi figli di una colpa innominabile

 

e di un’ignavia più fredda della tomba.

 

 

 

 

Tre cose solamente

 

 

 

Tre cose solamente riempiono l’animo

 

di orgoglio e rinnovata meraviglia

 

a chi vive esule nel mondo

 

senza profeti né facili certezze:

 

la dignità di guardarsi allo specchio

 

la speranza di non aver fatto del male

 

e quell’urgenza che ti sale dentro

 

dando forza a chi ha smarrito il tempo

 

ancorato nelle zavorre quotidiane

 

di un non senso in cui sguazzano i potenti

 

come predatori di lungo corso.

 

Quando la goccia cinese dei minuti

 

ti inchioda togliendoti il respiro

 

la crisi d’astinenza dei poeti

 

si affaccia per salvarti e incombe

 

senza che ti abbia dato appuntamento

 

come puntello che scardina la croce del presente.

 

E tu ringrazi col sospiro

 

di chi temeva di aver perso l’anima.

 

 

 

 

 

 

Sulla soglia del mondo

 

 

 

Il mondo scorre sul filo dell’acqua

 

mentre sbircio le vite degli altri

 

nella loro costante evoluzione

 

tra nuove unioni e figli generati

 

nelle finte pause di un’epoca barbara.

 

Con disincanto le osservo dal balcone

 

della mia dimora  identica negli anni

 

scolpita dal vigore del silenzio

 

compagno di una fiera solitudine.

 

All’improvviso l’edizione straordinaria

 

di una Parigi incendiata di follia

 

sotto lo sguardo

 

di una storia che trama e gira a vuoto.

 

E affacciato sulla soglia del mondo

 

scrivo versi che graffiano la notte

 

di un secolo abortito troppo in fretta.

 

 

 

 

 

L’assassinio dei poeti

 

(A Pierpaolo Pasolini)

 

 

 

Novembre è il mese più crudele, piomba

 

impassibile sulle spoglie dell’estate

 

e un vento amaro tormenta la battigia.

 

Mese custode di un silenzio avaro

 

ti appresti ad accogliere il corpo

 

straziato di un poeta irregolare

 

in una feroce e matrigna terra

 

chissà dove l’anima irrequieta.

 

Perfino le scavatrici sembrano più vere

 

del teatrino che si leva in coro

 

ieri come oggi

 

a elevarlo a mito consumato

 

o a negarne d’improvviso i meriti

 

perché si sa, è strano

 

il destino dei poeti solitari

 

in questo paese ipocrita e accattone.

 

Ogni giorno ostinato si consuma

 

l’assassinio silenzioso dei poeti

 

uccisi nell’indifferenza generale

 

di una stupenda e misera nazione.

 

Nessun rammarico, nessuna meraviglia

 

è tutto già visto e assimilato

 

perché i poeti non muoiono mai per davvero

 

se i loro versi intonano un canto

 

che lambisce le dimore del sacro

 

e rompe il silenzio della notte

 

per giungere all’orecchio di ragazzi

 

destinati a restar giovani dentro.

 

E si dirada la foschia nel lungomare assonnato.

 

 

 

 

 

 

L’ignoranza dei poeti

 

 

 

Scrivono molte cose belle

 

ma nulla sanno di ciò che scrivono

 

sosteneva Platone sui poeti

 

vedendo in ciò un difetto di coscienza.

 

In effetti ignorano gli artefici

 

la fonte arcana dei loro versi

 

e l’oscurità che avvolgeva le parole

 

prima ch’esse varcassero il ponte

 

tra il crepuscolo e la luce dell’aurora.

 

Magari Platone non sapeva

 

che appartenere alla città ideale

 

non è l’aspirazione dei poeti

 

a disagio nell’umbratile caverna

 

in quanto stirpe di eterni esuli

 

o cittadini di una comune patria

 

che in questo mondo non potranno mai vantare.

 

Forse accade come per i figli

 

dove il nascere non è questione di scelta

 

ma del brivido che trasmette il caso

 

o la stupenda imperfezione dell’inizio.

 

 

 

 

 

Altrimenti sarà notte

 

 

 

Diamo un senso a questa sera

 

tra cinema stipati e sguardi persi

 

nell’oceano di una  notte consacrata

 

al credo imperante del non autentico.

 

Questo mi sussurrano le anime

 

dei bambini affogati nell’inerzia

 

di un’Europa cinica e buonista

 

ridotta al suo misero fantasma.

 

Le loro voci giungono lontane

 

attraverso il mare che rantola nel gorgo

 

in cui sprofonda carne da macello.

 

È per dare un senso a questa sera

 

che scrivo versi sull’orlo dell’abisso

 

affacciato su di un nero senza fondo

 

in ascolto di gente senza voce.

 

Solo così esorcizzo il maleficio

 

sperando che ci sia davvero

 

da qualche parte  un Dio che prende appunti

 

altrimenti sarà davvero notte

 

notte su tutto ciò che avremo amato.

 

 

 

 

 

 

NOTA BIO – BIBLIOGRAFICA DELL’AUTORE

 

Stefano Colli nasce a Grosseto l’11-10-1970. Si laurea in filosofia all’Università di Siena il 24-2-1998 con 110/110 e lode con una tesi sulla fase mediana della Dottrina della Scienza di Fichte. È  docente di ruolo di filosofia e storia al liceo scientifico di Grosseto. Scrive poesie dal 2005 e al momento, oltre  ad alcune liriche inserite in varie antologie di altrettanti concorsi di poesia, ha conseguito i seguenti risultati: premio speciale della Giuria (4° posto ex aequo) al premio Penna d’autore 2006 di Torino (sez. silloge inedita); premio riservato ai poeti della provincia di Grosseto per il Dino Bavona  di Montepescali, ed. 2007 e 2014; terzo posto al premio “G. Pascoli” 2011, sez. silloge inedita; 2° posto al premio di poesia Il Litorale 2013, sez. silloge inedita; menzione di merito al premio Lorenzo Montano 2015, sez. silloge inedita. Sue poesie figurano nel sito www.aphorism.it. Stefano Colli ha pubblicato due romanzi: L’estate di Emma, uscito ai primi di Marzo 2013 con la casa editrice Europa Edizioni;  Qualcosa di insolito, I Libri di Emil, Bologna 2014, che ha ottenuto il Premio speciale della giuria al concorso San Domenichino di Massa. Alla fine di novembre 2014 è uscita la prima raccolta di poesie con le Edizioni Tracce di Pescara, dal titolo Non lasciate che uccidano i poeti, segnalata al concorso Il Litorale 2015. Sono in attesa di pubblicazione un  romanzo e una raccolta di poesie.

 

 

 blog: www.stefanocolli1970.it

 

 

 

 

 

FRANCESCO GIUSTI

 

 

POESIE

 

 

 

 

TORNA IL SOLE

 

Il campanile parte

fora il cielo, Dalla cupola della chiesa formato famiglia

sale il caffè, la luna sbadiglia finestra aperta sulla città

e contagia le case che rispondono

con un'impressionante salve di imposte che sbattono

spaccando biscotti d'intonaco. Gli alberi si svegliano,

prendono la vita dagli antichi eroi sottoterra,

ne succhiano la bellezza con le loro

corali aspettative fittonanti. Amiamo

questi risvegli nella segretezza di una gioia

paracadutata dall'infinito quando il ricordo dello zio

che attraverso mezzo secolo profuma di pane la cucina

si aggiunge all'elenco. Lasciavamo d'un fiato

l'incalzante toneggiare dei cartocci del granturco

sotto il notturno torcersi dei sogni. Sull'aia

il cane Bobby viveva la sua vita

fin dove lo frenava la catena: una dentiera

di taglia nana che non riusciva a sfogare

su di noi precoci urlanti pellerossa

delle prime ore le mattutine voglie.

°°

 

SEGRETO PER SEGRETO (al vecchio Ezra)

 

La mappa dei tetti in mano agli uccelli

lanciati sopra la prima linea delle altane, Ci sono

due livelli di vita nella città di melma e marmo sorta dalle acque

e guizzata pesce nell'ornato di smerlettati palazzi

ebbe a dire il forgiatore di canti che riposa dove fa bovolo

il fischiettare del barcaiolo avvitandosi sul buio verde scolpito

dei cipressi. Passò dalla tortura delle gabbie a Pisa

prima di avere una carezza di liquido oblio

dalla zampa del leone tra Marco e Todaro. Siluette aspra

fatta pietra squadrata dalla bora, essenziale trono

del NO USURA per chi viene e si apre all'oro

delle musive parabole o ventose note. Magici, in carne,

i gatti ammalianti e sinuosi come cicisbei,

su quello basso, livello, il primo. Il secondo,

a quelli disincarnati, tenuti su dagli angeli

accorpati giganti sui frontoni delle chiese,

quattro miagolii di tromba e moine

di violino, schizzando, gamba sollevata, su ogni camino.

Conosce Goldoni? Vivaldi? Sa... Vede..., preferisco altro

per il momento, appoggiandosi nobile al suo bastone,

sembra proferire:

due suoni in croce e mille silenzi,

in gola, sciolti in uno flebile ed eterno, la nuvola di barba

all'occaso dal tramonto sospinta, il pensiero

dall'altro lato rivolto, attraverso

la dolcezza amara di Monteverdi ai Frari

e il Bellini della sagrestia nella cui sospensione

lasciò tra le panche il linguaggio dei saperi, e giù, via,

di nuovo pietoso davanti al cuore di Canova,

per poi fuori, dove sempre c'è, virgola nera, una gondola,

incrociare, sbaragliante, del Kublai khan lo sguardo

di fianco al ponte, là sulla riva con dietro, guardiano,

dell'Archivio il vecchio cedro, la fronda più alta

data in sposa al cielo della città

che sa e non vuol vedere.

 

 

QUELLO CHE DELLE OSSA

NON SCOMPARE FA LA DIFFERENZA.

 

C'è stata, ieri,

la possibilità che un paio di scalini si frantumassero

raggiunti dal rumore che dietro la luna

fa a ogni ormeggio la risacca dell'eterno

e interrotta risultasse l'intenzione, la possibilità

del contatto. Oggi, in una penombra di tela grossa,

aiutandomi con le mani davanti al volto,

trovo sulla rastrelliera del tempo la tessitura attenta

dell'immagine precedente al fatto,

i peli che nella postura definitiva crescono per,

se un giorno spostato l'epitaffio tornassimo,

lasciare a chi più non ci aspetta il gioco

del riconoscerci, la forma minuta del seme

con cui l'uccello, defecando, mette in cantiere

l'orma fresca, l'indizio e petali, quattro,

di ragguardevole cosa.

aprile 2015

 

 

FACCIO UNA POESIA

 

Un oggi, oggi, addensato nei cieli

che di luce elettrica sovrastano i bianchi

dei libri e di cui nemmeno inizio l'elenco

oppure ve ne do un piccolo assaggio

bianco latte (classico) bianco calcina bianco innocenza

(assai rara sfumatura). Da questi permeata, in essi

la poesia convoca le celesti potenze della natura

tra un profilo che mi conosce e il nido sull'albero

dove amandosi i colombi tubano senza misura. In mezzo

la finestra fa da frontiera. Di qua

l'incipit che non trova slancio, di là l'angelo

che conta tocchi di vecchia campana

verificando le ali di scorta.

Fatto sta che la poesia non ha sorta

di possibilità così divisa: abbandono la postazione,

salto la tavola, faccio un blitz e spalanco la finestra

ed è questo che capisco, è senz'altro senza confini

che la poesia s'invola cercando lidi chiari

sotto magari anche una sola fetta di luna. Un giorno

se ne troverà orma, il suono avvoltolato

nella conchiglia.

maggio 2015

HAIKU

Suona la campana

scrivo tristi haiku

di dicembre.

°°

Un dito va a sincerarsi

di dente in dente. Non un canto

sull'albero morto.

°°

Sulla tettoia divelta

il tip tap della pioggia -

muri con il muso lungo.

°°

Lacrima il cielo -

a mille a mille fioriscono occhi

sul nero fico in coma.

°°

Le vocine morte nei tubi,

ma le calze sul termosifone

due simpatici gnomi.

°°

Vecchia prostata -

le rattrappite dite del fico

oh se vorrebbero muoversi.

°°

I vetri come occhi

un capovolto corpo di luce -

per un istante c'avevo creduto.

°°

Ben altra pioggia stanotte -

sul cornicione lontano, gli occhi,

mi ci portano.

Luna: schiena o fronte?

Alla finestra pensarti con solo

luce addosso.

°°

Sotto la pallida

signora insonne anche

un solo passo scava la pietra.

°°

L'afa incappuccia

la luna: io e la stanza

un solo vibrante orecchio.

°°

Luna in piena. Grande

il suo sbadiglio. In rotta

anche la più piccola ombra.

°°

Plenilunio. Foglio

immacolato. Che sia esso

il più bel haiku sulla luna?

°°

Sveglio a quest'ora -

e luna luna dice l'argento fuso

su ogni sedia della casa.

°°

Millepiedi ragni scorpioni:

pure loro si interessano

alla luna del mattino.

(1998)

 

 

 

Francesco Giusti.

E' nato a Venezia nel 1952. Si definisce poeta frequentatore e amico di poeti. Scrive

poesia dagli inizi delgi anni '80. E' stato protagonista di mostre, performances,

letture pubbliche. Molte le riviste con cui ha collaborato: L'assioma infranto, ZETA,

Prometeo Fuoco, MGUR, STEVE, Anterm, Esodo, DHARMA, La rosa di Belgrado, Il primo amore,

Lo Straniero (Italia), Coyote's Journal (USA), mini, Orte, e-vento-obiquo (Svizzera),

Infolio (inghilterra), Zeitschrift Fur Alles (Germania), AIOU, DOC(k)S (Francia),

Ilandron (Cipro). Ultimamente però, ha favorito la pubblicazione dei suoi lavori in

NUOVI ARGOMENTI e SMERILLIANA di cui è redattore. Il suo primo libro, INDICE NATURALE,

risale al 1988 (versi che ripercorrono in forma di diario la geografia di un amore

friulano), pubblicato da Campanotto (Udine), alla cui attività artistica e letteraria ha

partecipato per quasi un decennio. L'ultimo, ACCANTO AI DENTI DELL'ETERNO, dicembre 2012

(una selezione di testi che copre un arco di tredici anni di lavoro), è uscito per De

Felice edizioni nella collana i poeti di Smerilliana, curata da Enrico D'Angelo. Con

Rita Degli Esposti e John Gian, è stato redattore di VENEZIAUNDERTIDE, rivista di poesia

e immagini completamene fatta a mano.

 

 pioggiaobliquascritturedarte@gmail.com

 

 


 

" Pioggia Obliqua una rivista

affermata e prestigiosa."

 " Un grazie di cuore a 

Pioggia Obliqua i cui molti meriti nei riguardi della poesia non saranno mai abbastanza sottolineati."

 

Alessandro Fo

 

 

" Saprà o vorrà ancora la forza accumulata (...) resistere alla forza di omologazione che la tecnologia sembra inevitabilmente portare in seno?(...) Prevedo un lungo periodo di 'agonie', voglio dire di lotta (...) sarà probabilmente quella la forma e la sostanza del poetare che ci aspetta."

 

Mario Luzi

Da un suo scritto per Pioggia Obliqua a proposito

del  'senso di fare  poesia', gennaio 1996

 

 

" Io credo che un pò di silenzio ci faccia bene, c’è un coro di voci “troppo alto”, sgraziato, che ci sommerge, e non mi riferisco solo alla letteratura. In questa specie di “frullato” che siamo costretti ad ascoltare quotidianamente, il valore delle cose si perde.

 

Se c’è un attimo di riflessione, di

silenzio, la parola scritta o detta assume maggiore rigore."

 

 

Antonio Tabucchi

 

Intervista rilasciata a Luigi Oldani e

Elisabetta Beneforti per Pioggia Obliqua 

 

 


" Il sito Pioggia Obliqua mi ha "donato questa nota sul mio libro (...), ma l'intero sito è da seguire."

 " (...) e un ringraziamento per tutto ciò che P.O. fa per il mondo della poesia."

 " (..) E la stima è da me ricambiata verso il vostro prezioso sito!"

 (...) sempre attenti e preziosi gli amici di "Pioggia Obliqua".

 

Bruno Galluccio

 

 

" Un bel luogo d'incontro tra scritture."

 

Matteo Pelliti

 

 


" Non so dire se la bellezza salverà il mondo, come pensava Dostoevskij, ma mi piace pensare che sarà così. In fondo, già Stendahl sosteneva che "la bellezza non è che una promessa di felicità". 

 

Vittoria Franco

per Pioggia Obliqua

 

 

" Agli amici tanto tanto amati di Pioggia Obliqua, poeti invincibili della vita, il mio abbraccio umile e il mio ringraziamento, per mantenere la poesia come unica veritá nel mondo."

 

Daniel Fermani Gonzales

 

 

 

 

" Rivista preziosa, che seguo da tempo."

 

Alfredo Rienzi

 

                 

 

 

 

                    

 

 

                  

 

                       Consigli di lettura

 

 

    

 Nella omonima rivista cartacea 'Pioggia obliqua rivista di letteratura e culture', pubblicata negli anni Novanta, una intervista a
Antonio Tabucchi,
Edoardo Sanguineti,
Mario Luzi. 
Un testo di Valerio Magrelli. 
Mario Luzi, Luigi Baldacci, Patrizia Valduga, Attilio Lolini, Gabriel Cacho Millet, Marco Marchi e Loriano Gonfiantini rispondono
sul senso di fare poesia in quegli anni.
Risposte attualissime.

 

 

 

 

 

 

 

 


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  • Poesia: Daniela Gentile, Claudio Pasi
  • Stefano Loria pittura-poesia
  • PROPOSTA POESIA a cura di ALESSANDRO FO
  • Poesia proposta: Canale, Lombardi, Merola, Tognoni, Bertone.
  • Poesia proposta: Gian Luca Guillaume, Luca Ispani, Filippo Amadei
  • Poesia proposta: Di Gennaro, Repossi, Rimolo
  • Poesia proposta: Angelo Santangelo, Giulio Mazzali, Marco Bini
  • Poesia proposta: Cunial, Viti, Viotto
  • Poesia : Greta Rosso
  • Poesia: Giovanna Cristina Vivinetto
  • POESIA : Jean Soldini
  • Poesia : Daniela Zambrano - editi e inediti
  • Poesia proposta : Manuela Mori, Selene Pascasi
  • Poesia proposta: Mirra, Allo, Strinati, Ciampalini, Carnevali, Peralta, Casulli, Bresciani, Marrone
  • Poesia proposta: Vera D'Atri
  • Poesia proposta: Laghi Pasini, Milleri, Malerba, Corbetta, Merico
  • Poesia Proposta: Valerio Succi, Michela Gorini
  • Poesia Proposta: Filograna, Della Ciana, Imperato
  • Poesia Proposta: Alessandro Monticelli
  • Poesia Proposta: Luca Gilioli, Pierpaolo Lazzaro, Hero Haze
  • Poesia Proposta : Ornella Mereghetti, Danilo Luigi Fusco
  • Poesia proposta:Pietro Edoardo Mallegni, Anna Polin, Susanna Russello
  • Poesia proposta: Marco Serravalle,Matteo Piergigli
  • Poesia : Sara Comuzzo
  • Poesia proposta: Antonietta Bocci,Valerio Sanzotta
  • Poesia Proposta: Viola Bruno, Alessia Lombardi, Maria Bochicchio
  • Poesia proposta : Maria Benedetta Cerro, Gabriele Greco
  • Poesia proposta: Abruzzese, Marcantoni,Pedrazzi
  • Poesia Proposta: Alessandro Giraudi, Henry Ariemma
  • Poesia Proposta: Federica Carossi, Francesca Ragozzino, Doris Bellomusto
  • Poesia Proposta : Valentina Sessa
  • Poesia Proposta: Gabriella Musetti
  • Poesia Proposta :Guglielmo Aprile,Michele Piramide
  • Poesia proposta : Doris Bellomusto, Virginia Veludo, Patrizia Baglione
  • Proposte Poesia, Segnalazioni
  • Giancarlo Baroni :Animali in versi
  • Lorenzo Monticelli
  • Viaggiando in Italia. A cura di Giancarlo Baroni
  • Giorgia Karvunaki presenta...
  • Letture oblique 1
  • Letture oblique 2
  • Letture oblique 3
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  • VISIONI OBLIQUE
  • Saggio: Le limericks irlandesi
  • Normandia: immagini e versi
  • Saggio: Dante
  • Saggio: Mallarmè
  • Foto: Giappone: la bellezza sospesa.
  • Foto: MIke Lee Bellezza a New York
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  • VIDEO ARTE: In conversazione con Duccio Ricciardelli e Marco Bartolini
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  • Having a coke with you - rubrica a cura di Sara Comuzzo
  • Corrispondenze da "The Poetry cafè" di Londra
  • INTERVISTA :A.Gasperini, M. Ciardi, Il pianoforte di Einstein
  • INTERVISTA A CECILIA FERRARA: Perdersi in Europa senza famiglia
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