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E N Z O 

              M A Z Z A

 

 

Fotografia di Matteo Carnevali
Fotografia di Matteo Carnevali

 

 

 

RICORDO DI ENZO MAZZA

 

 

A cura di Daniela Gentile e Alessandro Fo

 

Lo scorso 2017, il 7 febbraio si è spento uno dei nostri più grandi (e meno conosciuti) poeti: Enzo Mazza. Aveva 93 anni. La drammatica vicenda della sua esistenza è ripercorsa nella breve nota biografica. Dal 1981 dedicava quasi tutte le proprie energie alla poesia, in particolare a una poesia proiettata a conservare la memoria (e inseguire la figura) del primogenito Fabio, morto quel settembre in un incidente d’auto. A me personalmente avvenne di conoscerlo per aver letto sulla rivista «Oggi e domani» una recensione alle sue 33 poesie per Fabio. Se ne riportavano alcune liriche, e mi colpirono al punto che desiderai rintracciarne l’autore. Ne nacque una lunga e profonda amicizia. Da dieci anni ormai l’estrema beffa dell’esistenza, con una lunga, invalidante malattia, lo aveva privato della memoria – del ricordo di Fabio, e di tutti gli altri suoi cari, vivi e defunti.

            La grande sensibilità della rivista Pioggia obliqua offre l’occasione di celebrarlo nell’anniversario della morte. Daniela Gentile presenta qui di seguito alcuni suoi inediti. Con Daniela e con la Direzione della Rivista – Luigi Oldani e Elisabetta Beneforti – abbiamo poi pensato che non fosse inutile riproporre anche alcune delle sue poesie pubblicate in quelle splendide raccolte che però non conobbero mai circolazione, se non fra alcuni pochi amici maggiormente legati a Enzo e alla sua famiglia.

            Ringrazio ulteriormente Pioggia obliqua per aver voluto accogliere qui in fondo anche una poesia con cui desideravo porgergli un piccolo omaggio, nel primo suo compleanno dopo la scomparsa, il 1° gennaio 2018: un tentativo di fermare in versi l’ultima occasione in cui, nonostante l’ormai dilagante malattia, tutti noi che eravamo presenti lo percepimmo dolorosamente in contatto con la sua passata e le nostre esistenze.

Chi gli ha voluto bene – e siamo in tanti – e ha amato e ama la sua intensa, composta, commossa poesia, lo pensa ora, finalmente esaudito, con Fabio (da Ultimi frammenti, n. 106):

 

se hai caro che ti venga accanto,

fammi posto (di un dito

mi basta lo spessore).

A questo fine sono dimagrito.

 

                                                                                                         Alessandro Fo

 

 

* * *

 

Le date, con il loro ciclico ricorrere anno dopo anno, sanno puntellare il tempo di momenti di sosta obbligati per il pensiero: se il sette febbraio è per noi giorno di vedetta per il ricordo di Enzo Mazza, molte, moltissime altre date lo sono state per la sua poesia.

La memoria e le voci del passato mantengono salda la catena dei versi di Enzo Mazza in una poesia che mai ripiega su se stessa, ma piuttosto fa di questa riflessione ininterrotta una lente attraverso cui riuscire a guardare e vivere il presente, la quotidianità domestica. I tanti fascicoli inediti e dattiloscritti a Dolcianello, presso Chiusi, di cui qui si presentano cursoriamente pochi estratti in ordine cronologico, e non meno le sue poesie edite, qui ulteriormente divulgate grazie alla disponibilità di Pioggia obliqua, tracciano una soglia di resistenza del poeta alla gravità che lo avrebbe voluto abitante delle ombre e che invece lo ha reso tenace sentinella di un senso ultimo della vita.

 

                                                                                            Daniela Gentile

 

 

 

   

   

Poesie  inedite

 

 

 

Da Nel groviglio, Dolcianello, gennaio 1986:

 

 

 

n. 7

 

Tu pensami

nel labirinto,

cadutomi di mano

il classico filo.

Tu fuori, sulla crosta

terrestre, alla luce,

io quaggiù, luogo

di sporgenze e rientranze

rocciose, di cunicoli

senza uscita. Non scegliere

il sacrificio, il rogo,

come Didone. Il buio

vale la luce, spenti

gli occhi. M’intendi?

Non piangere (cosa

di cui dubito), accedi

alla virtù del tradimento,

il minore dei mali, prendi

ciò che era mio, se non mi vedi e sai

che non tornerò più.

 

 

 

 

Da Altre inezie, Dolcianello, gennaio 1986:

 

 

 

n. 10

 

Mi baci, ma non hai

l’amore essenziale, l’alter

ego, la prova

che esisti, l’assioma

e la domanda a cui

si risponde. Salti

cupi anni e sai

di saltarli. Roma

ricordi appena, il buio

nella tua cameretta,

nella vostra. Vita nuova

non c’è – mi dico – e non so porre

riparo al crollo, opporre valida

difesa. Aspetta,

ti suggerisco, nel trascorrere

del tempo è la salvezza

contro i mali, l’incognito,

non nella mia tristezza.

 

 

 

n. 12

 

Di peso più leggero

d’un qualsiasi neonato

t’immaginavo dietro la vetrata

d’una clinica, sopra

una cascata di verde

verso Fiumicino. Tutto

ricordo. Ti vidi e mi sorprese

la tua leggerezza, l’infimo

peso. Saresti vissuto?

Chi era forte, morì,

e tu crescesti. Riversai

così me stesso sulla tua

vita. Dormiva l’altro figlio

e tu eri desto. Soffrivi

e gioivi, come non può

non accadere. Ecco, da allora,

la mia vita: pensarvi

insieme, dissociarvi.

Altra cosa è la morte

dalla vita. Ma eravate,

vi ho visto insieme,

da un letto all’altro potevate

toccarvi. Non può esservi

per me separazione. Lontanissimi,

vi riunirete, parlerete

sottovoce fra voi,

forse vorrete riabbracciarmi.

 

 

 

Da Tu sai molte cose, Dolcianello, marzo 1986:

 

 

 

n. 5

 

Quante piante, semi, concime

compra la mamma. Ti accorgi

che ha il pensiero alla terra?

Vuole che nasca, cresca

qualcosa, sempre, e ogni inverno

il gelo la delude: muore

ciò che ha piantato. Afferri

ciò che ti dico? Ma resta

vivo, nello sterminio,

più d’un seme, e fruttifica.

Ah, quante le vie

del dolore. Basta una rosa

che sbocci, il grappolo

acerbo d’una vite. Amore

o finzione? Continuo

a pensarci, ieri

oggi: troppo, per te,

ardui (respinti) pensieri.

 

 

 

Da Noi tre fuggiamo, Dolcianello, marzo 1986:

 

 

 

n. 9

 

Io credo che ricorrano

a suoni, a segni che non percepiamo,

anche ad aliti, a soffi. Presto

ne avrai una prova. Non amiamo

un’ombra che si manifesti

nel gemito d’un ramo,

in uno scricchiolio? Non giureremo

che è lei, per illuminazione,

fulmineo incontro di pensieri? È lei,

dirai, la riconosco. Torna

perché ci amammo, anzi ci amiamo.

Se poi a sfiorarti sarò io:

è lui, dirai, gentile

com’era a volte (ma, pensando

a un’ombra, anche per me

userai il femminile).

 

 

 

Da Una gelida Goccia, Dolcianello, marzo 1986:

 

 

 

n. 4

 

Ah, no, non saprei più muovermi

se tu non ti muovessi

come un lento ventaglio o l’indice

d’un grafico, un innocuo

terribile pennino, un girasole,

una foglia. Così vicino

mi sembra che tu sia,

che le briciole

sparse per i merli

mattutini hanno un senso

riposto: quegli stessi

merli nel giardinetto

saltellanti, avidi merli,

ospiti come le bianche

farfalle, ed altri insetti

e uccelli. Hanno bisogno

di cure gli alberi, l’erba

maligna, la cisterna.

E tu dimmi, nel sogno,

ciò che ti preme, eterna

la luce, l’alba

in cui rivivi. Metti

che mi manchi il respiro

d’un tratto ed entri

nel tuo giro…

 

 

 

Da Come tra cielo e terra, Dolcianello, marzo 1988:

 

 

 

n. 12

 

Tra lui e te, come tra cielo

e terra, non calcolo misure,

perché non mi fa velo

la morte, le paure

che suscita. Voi due

luce da buio non divide,

lozione, schiuma

da barba ed altra schiuma,

né pettine, tele-

comando, né le tue

agende che continuano

le sue, riposte. Nulla

s’insinua di crudele

tra di voi: solo un brivido:

forse, la lontananza

che amore o bacio non annulla

nel vuoto della stanza.

 

 

 

Da L’ultima sorpresa, Dolcianello, febbraio 1989:

 

 

 

n. 12

 

Come avessimo bevuto

un intruglio mortale,

dobbiamo separarci, ma svolgendo

tra noi in segreto un lungo

gomitolo, così da esorcizzare

l’opaco oceano dell’attesa.

Salterò i mesi: marzo maggio luglio

settembre; danzeranno

davanti alle pupille il verde l’oro

il rosso, fino alla più dolce

sorpresa. Veramente ignoro

cosa sarà. Non polvere d’ossario,

non cupe voci o tuoni. Fosse

un luogo trasparente, immaginario,

a due anime l’ultima sorpresa.

 

 

 

Da Su un’orma indecifrata, Dolcianello, novembre 1994:

 

 

 

n. 10

 

Almeno qualche anno tu m’hai dato

di gioia non commisurata allora

all’attimo fuggente.

                            Vagamente

ricordo alcune notti,

la fiaba d’un gattino, i pini

di Fregene, te grande oltre l’età,

noi soli sull’Aurelia in viaggio

per le vacanze. Già una volta

fingesti di sparire; poi,

penne ti dette a tradimento

il torvo cielo

perché ti dileguassi.

E noi? La nostra orbita fingi

di ignorare? Non è

– dimmi – soltanto umana la finzione?

 

 

 

Da L’amicizia, Dolcianello, settembre 1998:

 

 

 

n. 6

 

Spaventa anche, del resto,

il buio siderale

e che in questo o in quell’altro

emisfero qualcuno,

credendosi scaltro,

abbia in un nascondiglio

salvifiche scale,

inesorabilmente sordo

all’eterno consiglio.

 

 

 

Da In un solingo bosco, novembre 1998:

 

 

 

n. 26

 

L’uomo è cieco. Non vede pur vedendo,

prevede nebulosamente

qualcosa che lo turba. Non dovrebbe

conoscere lui solo in un solingo

bosco l’antro della Sibilla,

averne accesso, non potendo

più vivere ignorando

l’imprevedibile?

 

 

 

Da Avvicinandomi, Dolcianello, novembre 1998:

 

 

 

n. 12

 

                                     a G.

Sai, sono vicino, so

di esserlo senza turbamenti o crisi

d’una malinconia fasciata d’ombra.

E, avvicinandomi, combatto

la mia congenita indolenza, scrivo

lettere anche spiritose a chi

sento fraternamente amico e posso

confidargli un segreto, ammettere

di essere in debito di ossigeno,

aggiungendo che ho vinto la paura.

 

 

 

 

Da Quante volte, Dolcianello, dicembre 2000:

 

 

 

Oggi è l’otto Dicembre, grigio

il cielo, ma

si è allontanato il rischio della nebbia.

Sarà, così, meno isolata

la mia cattività. Non che non debba,

antico vizio, dubitarne, qui

dove la quotidiana agenda

riporta tutto ciò che non accade

e il nulla  – vorrei dire –

di cui, pentito, faccio ammenda.

 

 

 

 

 

 

 

 

Fotografia di Matteo Carnevali
Fotografia di Matteo Carnevali

 

 

   

   Poesie  edite

 

 

[prima dell’incidente]

 

 

 

da Otia, 1977:

 

 

1.

 

Guardo da una fessura

i figli che dormono, te

mentre l’acqua alle labbra

ti porti inquieta, sull’orlo

di qualche tua paura.

Guardo, ripenso agli anni

così rapidi a volgere

il cuore al tramonto, gli anni

e le cose ammucchiate, gli studi

in cui non so se ho bruciato

più verità che finzioni.

Guardo, mi chiedo che cosa

sanno i figli di me, se solo

attraverso le loro immagini

ho amato ciò che restava.

Chiedo a te come reggono

i tristi umori, le dure

parole, quanto lontano

mi vedono, se il peso

reggerò del loro giudizio.

 

 

 

29.

 

O rara levità

che agli albori sul mare

disperde il sonno, e già

leva il bimbo la testa

dal lettino, si gonfia

il latte sulla fiamma,

penetra il primo verde.

 

 

 

32.

 

Non so riprendere i remi,

rianimare la barca

dal limo in cui giace,

né staccarmi da tanti

voli impietriti dalla pietà

congiunta delle cose.

Dal mio bunker di carta

non vedo che tremiti

d’acque, una luce

irreale tra i letti

disfatti e le tracce

di polvere, la testa

bionda del figlio più piccolo

che tieni in braccio.

 

 

 

Da L’acqua e il vento, 1967:

 

 

16.

 

Mentre sotterro

vecchi versi, mappe

d’isole inventate,

tua madre stacca il ferro

da stiro, rammenda lo strappo

d’un abito, si finge meno stanca

parlando dell’estate

di là da venire. La vedo

nella luce bianca

sciogliersi i capelli, finire

la sua giornata.

 

 

 

Da Per i sedici anni di Gianluca, 1990:

 

 

4.

 

Il dire per immagini, il tacere

che è muto eloquio, la sommessa voce

come ramificata acqua alla foce

dove un inestimabile sapere

 

avvìa le sue postille, e il non avere

nulla da opporre al segno della croce,

il pensiero del lampo più veloce,

lacrima ch’io non possa trattenere:

 

questo, figlio, tramando a un intelletto

che prende forma in un estraneo stampo

su cui vigilo e studio, circospetto.

 

L’occaso è una carezza al cuore, al petto,

e d’inespresso amore solo avvampo

in un sogno che a te mi veda stretto.

 

 

 

7.

 

Quale grande può esservi distanza

tra due che vanno uno dell’altro a fianco

e in uno splenda giovinezza e stanco

e grigio, senza un moto d’esultanza,

 

appaia l’altro, che sul lato manco

spesso giacendo, le ore non gli avanzano

che per pensare te in un’altra stanza,

chino col lapis sul tuo foglio bianco.

 

A me non riuscirebbe alcun disegno

geometrico, né chiuso potrei stare

nella camera oscura. Altro è il mio segno

 

zodiacale, l’intento che accompagna

i miei ultimi giorni e lo sperare

per il tuo esercitarti altra lavagna.

 

 

 

Da L’acqua e il vento, 1967:

 

 

29.

 

L’amore è la radice

dentro la terra, il frutto

in cima alla pianta.

È la traccia di sangue,

tutto il sangue che scorre

e non si perde. Tendigli

le braccia, raggiungilo

nel profondo, lassù.

 

 

 

 

[dopo l’incidente]

 

 

da Poesie per Fabio, 1987:

 

 

Ultimi versi, V

 

 

Quante volte lo vedesti
piegare l’erba, allungarsi
a respingere il cuoio del pallone
a mani aperte o con la punta
del piede, a rilanciarlo
altissimo seguendone con l’occhio
la traiettoria, e quante
volte l’hai visto ripiegato,
stanco, sul letto, ma per poco,
e poi di nuovo
flettere il busto nella corsa,
piegarsi quasi a una fettuccia
irraggiungibile. Amo
piegarmi su di lui piegato
sullo scrittoio a leggere
di Cassandra, di Enea, di eroi
che non so come immaginava
rilucenti nei versi che più tardi
scandire avrebbe saputo.
Lui stesso aveva in sé
i corrucci, l’orgoglio
che spengono gli dèi con un cenno,
gelosi forse che gli eroi respirino
oltre la giovinezza.
Ne aveva il tratto inalienabile
e il sorriso, l’incauta
fiducia. E quante volte
mi ha piegato il dolermene
senza conforto di carezza,
su di lui ripiegato
come un foglietto in cui tutto
del suo destino era scritto.

 

 

da L’albero del niente, ottobre 1987

 

 

n. 75

 

Si capovolgeranno anche le stelle
nei tuoi occhi, gli aspetti della vita
umana, quell’inferno che le dita
tese in avanti attira verso quelle
voragini, quei pozzi, e l’infinita
stiva, l'immenso ventre, le fiammelle
che consumano le ossa del ribelle
superbo e come polvere le tritano.
Devi, in un lampo, aver toccato il male,
subito consolato, e risalito
rocce scoscese a un mondo vegetale
senza età, né paurosi mutamenti.
Che di là, per condanna, sia partito
il primo uomo? Tacito, acconsenti.

 

 

 

Da Nella calante oscurità, luglio 1988:

 

 

 

n. 16

 

Affonda adagio
il mio scafo nel buio
crescente. Ogni pagina
si articola nel nulla, di cui
non verrai mai a capo.

 

 

n. 69

 

Ti vedo ripiegato sulla mamma
senza toccarla, o fiore virgiliano
su cui passò il gran carro,
lacrime fisse come perle in cielo,
o fiore che non sogna,
dolendosene, lei, te ripiegato
sul ciglio d’ogni strada,
addormentato, forse,
in una luce che non regge acume.

 

 

n. 76

 

Non sono bravo a far versi,
anche se afferma l’opposto
un amico pietoso, perché
non fanno essi i pioli
della fragile scala: non avrei
l’agilità d’un indigeno
per toccarne la cima. Non oso
quasi più far versi: i soli
che intenerivano, un tempo,
le mie sere, le effigi
a cui mi piegavano. Tu
volgevi in prosa Virgilio,
a intendere cominciavi
gli dèi, le loro
finzioni, gli eroi
pugnaci, irrequieti,
sovrastati dal fato, l’alloro
che cingeva i poeti.

 

 

 

n. 80

 

Non muoverti, ma fammi
un ilare segnale
come uno schiocco di dita,
non potendo altro suono
emettere, o muovendoti pianissimo
muovimi intorno l’aria
notturna, in modo che una pagina
da sé si volti e n’abbia
io dolce meraviglia.

 

 

 

da In fondo al corridoio, luglio 1988:

 

 

n. 49

 

Molti, subdolamente, mi consigliano
di non pensare ai morti. Mi vorrebbero
come un tempo, di nuovo, a un tavolo
verde, con le mie carte da giocare.
Ed io li guardo in un trasalimento
che non reprimo, stupefatto. Non
pensare ai morti, non
a te che sento vivo, non
tra i morti cancellati, polvere
che non il giallo d’una vecchia
fotografia rivendica. Io
non pensarti, né piangere nell’angolo
dove dormivi, non accarezzare
il tuo cuscino, il plaid,
ciò che è rimasto, il cuoio
della cartella, i libri, l’angelo
sul letto? Molti non conoscono
alcun dolore. – Io muoio,
potrei dir loro ed essi,
io morto, non mi penserebbero.

 

 

 

n. 61

 

Dalle ore antelucane, svegliandomi
sempre più presto, sembra
ch’io vada verso il cuore della notte.
Così mesi, anni risalissi
fino a ritrovarti addormentato
e una spalla, una volta sola,
ti toccassi per dirti
che è l’ora di lavarsi, di vestirsi,
di raggiungere in autobus la scuola.

 

 

n. 65

 

Muoio ancora con te
quasi ogni sera, persuaso
a sentire la morte
come sorella che da lungi
sorrida, a te rapidamente
per vie occulte avvicinandomi.
E se agli altri scompaio,
gli altri, i pochi, non più,
sapendomi con te, mi piangeranno.

 

 

 

da Gemito e tremore, settembre 1990:

 

 

n. 43

 

Addio, mi viene spesso
alle labbra, ave atque vale,
e il cenere muto e quella
gentil voce di pianto.
Parole d’altri e mie,
brevi consunte nuove,
che mi velano gli occhi e non consolano
chi m’era accanto.

 

 

 

n. 65

 

La grazia è vita ancora pur nel chiuso
della memoria, e avermi indotto
a crederla perenne, avermi illuso
fin che ti ho avuto accanto, non le fa
ombra. Il rifugio dov’è segregata,
in cui discendo a rianimarla, sa
chi è stato, ma ne tace il nome,
vedendomi velato di rimpianto.

 

 

 

n. 76

 

Mi alzo da tavola anzitempo,
perché, tanto, la tavola d'un tempo
è sparecchiata, e opprime il tempo
a tavola, non come in altro tempo.

 

 

 

n. 85

 

Nel fango, nel fradicio, nel forse
premesso a una frase, e nei fondachi
a fior d'acqua, simili a quelli
veneziani, nei forni
e nelle forme di pane
che vi infiliamo, c’è la nostra
vita, come nel taglio delle forbici,
nel tovagliolo con cui ti forbisci
le labbra unte: la nostra
vita intinta nell'inchiostro,
e le fobie, la forza di ripetere
freneticamente, anche, noi stessi
ogni giorno, e le favole, i misfatti.

 

 

 

da 33 poesie per Fabio, settembre 1991:

 

 

n. 5

 

La tua testa appoggiata sulla mia
debole spalla: un quadro che vorrei
dipinto, e come sei
guardarti a lungo, con malinconia.

 

 

n. 10

 

Dieci anni, il tempo che marciscano
tonnellate di frutta e che si ammalino
due magnolie – le nostre – e intristisca
l’amore che ripiega le sue ali.

 

 

 

da L’ombra di un sorriso, ottobre 1992:

 

 

n. 28

 

Sai, d’un sorriso appena
accennato, si dice impercettibile,
o vago, ed anche l'ombra d’un sorriso,
che è misteriosa immagine
contraddittoria, dissipando l’ombra
un sorriso anche debole. Ma è vero
che è bellissimo dire, appunto, l’ombra
d'un sorriso, a sorridere
fossero i vivi divenuti ombre
di là dal fiume, inclini adesso più
che a sorridere all’ombra di un sorriso.

 

 

 

 

Fotografia di Matteo Carnevali
Fotografia di Matteo Carnevali

 

 

 

 

 

 

P e r    E n z o    M a z z a

 

di  Alessandro Fo

 

 

il 1° gennaio 2018

 

 

 

 

Leopardi affiora in un malato di Alzheimer

 

 

 

Non parlava da tempo. Stava buono

in un suo angolo, assente.

Più di vent’anni di splendida poesia

per il suo primogenito, perduto

ragazzo ancora, per un incidente.

Era venuta poi la malattia,

poco per volta aveva eroso via

la sua memoria, e, speravo, anche il dolore.

 

Per stimolarlo, a quel pranzo di festa,

Francesca si era portata dietro i Canti

del poeta amato. E premeva

perché lui ora ne leggesse i versi.

 

Lui si dispose docile a ubbidire.

Leggeva come sillaba da un libro

un bimbo a scuola. Ma poi prese slancio.

E un’estrema volta nella vita

mi sembrò che capisse.

                                   Era A Silvia.

Rimembri ancora.

Perivi tenerella. E non vedesti

il fior degli anni tuoi.

Qualcosa allora sotto il gelo si mosse.

                       Anche peria fra poco

la speranza mia dolce.

Tornava a vita, forse,

un pallido ricordo.

Questo è quel mondo, questi

i diletti, l’amor, l’opre, gli eventi?

 

Ricompariva il vero, Enzo, che tu

l’ultima volta

                      mostravi di lontano.

Posò il libro, piegò il viso, piangeva.

 

 

A.F.

 

 

 

 

Fotografia di Matteo Carnevali
Fotografia di Matteo Carnevali

 

 

 

 

 

 

Nota biografica

 

Enzo Mazza è nato a Roma il 1° gennaio del 1924 e si è spento all’Ospedale di Nottola il 7 febbraio 2017. Fine letterato, autore di una splendida traduzione di Catullo per Guanda (1962), sulla cui rilevante posizione nel quadro delle molte traduzioni italiane del poeta veronese si registra ora l’intervento di uno specialista come Alfredo Mario Morelli (Il disunito filo che ci unisce. La traduzione catulliana di Enzo Mazza, in corso di stampa sulla rivista «Paideia», n. 73, 2018). Ha tradotto anche l’Appendix Vergiliana e vari brani dell’Eneide, oggetto di cure filologiche e studio da parte di Daniela Gentile (se ne vedano Dalle carte di un poeta. L’Appendix Vergiliana tradotta da Enzo Mazza: edizione e note, tesi magistrale in lettere, Siena, A.A. 2014-2015; L’Eneide di Enzo Mazza: la traduzione di un poeta, in «Annali di Studi Umanistici», Università di Siena, 3, 2015, pp. 9-84).

Ha insegnato a Roma, dove ha fondato nel 1957 la rivista di poesia e letteratura «Marsia» con altri amici, e dove ha sposato Elena nel 1962, fino a che un incidente automobilistico non gli ha rapito, nel settembre 1981, il primogenito Fabio. Da allora si è ritirato con la moglie e il secondo figlio Gianluca in un casolare vicino a Chiusi e ha trascorso una vita intera a scrivere poesie con cui ha dolorosamente affrontato ogni possibile frammento della sofferenza che può infliggere a un nucleo familiare una simile perdita. Ha pubblicato varie raccolte, nella collana/marchio editoriale Biblioteca Cominiana, fondata e diretta insieme a Bino Rebellato: libri quasi introvabili, che non ha mai curato di promuovere adeguatamente (tutti conservati nella Biblioteca di Studi Umanistici dell’Università di Siena; per un primo orientamento cfr. Alessandro Fo, Voci della poesia italiana di fine Novecento: Nino De Vita, Paolo Ruffilli, Alceste Angelini, Enzo Mazza, in «Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia» dell’Università di Siena, 17, 1996, pp. 319-54, in particolare 336-54).

È in programma, per Betti Editrice di Siena, un'ampia edizione delle sue raccolte poetiche, a cura di Daniela Gentile, Antonio Pane e Alessandro Fo, che raccolga integralmente il ciclo per Fabio, e altri editi e inediti. Il piano prevede questa scansione: parte prima: Il nucleo familiare – L’acqua e il vento, maggio 1967; Otia, giugno 1977; L’invisibile, giugno 1982. parte seconda: Il canzoniere per Fabio – 1. Poesie per Fabio, 1987; 2. L’albero del niente, ottobre 1987; 3. Nella calante oscurità, luglio 1988; 4. In fondo al corridoio, luglio 1988; 5. Gemito e tremore, settembre 1990; 6. Ultimi frammenti, novembre 1990; 7. 33 poesie per Fabio, settembre 1991; 8. L’ombra d’un sorriso, ottobre 1992; 9. Frammenti postumi, gennaio 1994. parte terza: Altri versi – Per i sedici anni di Gianluca, 1990; 12 poesie per Bruno Carnevali, novembre 1990; Versi a Marinka, luglio 1993; 12 poesie per Alceste Angelini, luglio 1995; Postille inedite, dall’autoantologia Uno di questi giorni: poesie scelte (1954-1994), maggio 1996; L’oscuro lembo, aprile del 2000; Perplesso, agosto 2000; Senza saperlo, 1° gennaio 2001; Una vaga speranza, 2002.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 pioggiaobliquascritturedarte@gmail.com

 

 


 

" Pioggia Obliqua una rivista

affermata e prestigiosa."

 " Un grazie di cuore a 

Pioggia Obliqua i cui molti meriti nei riguardi della poesia non saranno mai abbastanza sottolineati."

 

Alessandro Fo

 

 

" Saprà o vorrà ancora la forza accumulata (...) resistere alla forza di omologazione che la tecnologia sembra inevitabilmente portare in seno?(...) Prevedo un lungo periodo di 'agonie', voglio dire di lotta (...) sarà probabilmente quella la forma e la sostanza del poetare che ci aspetta."

 

Mario Luzi

Da un suo scritto per Pioggia Obliqua a proposito

del  'senso di fare  poesia', gennaio 1996

 

 

" Io credo che un pò di silenzio ci faccia bene, c’è un coro di voci “troppo alto”, sgraziato, che ci sommerge, e non mi riferisco solo alla letteratura. In questa specie di “frullato” che siamo costretti ad ascoltare quotidianamente, il valore delle cose si perde.

 

Se c’è un attimo di riflessione, di

silenzio, la parola scritta o detta assume maggiore rigore."

 

 

Antonio Tabucchi

 

Intervista rilasciata a Luigi Oldani e

Elisabetta Beneforti per Pioggia Obliqua 

 

 


" Il sito Pioggia Obliqua mi ha "donato questa nota sul mio libro (...), ma l'intero sito è da seguire."

 " (...) e un ringraziamento per tutto ciò che P.O. fa per il mondo della poesia."

 " (..) E la stima è da me ricambiata verso il vostro prezioso sito!"

 (...) sempre attenti e preziosi gli amici di "Pioggia Obliqua".

 

Bruno Galluccio

 

 

" Un bel luogo d'incontro tra scritture."

 

Matteo Pelliti

 

 


" Non so dire se la bellezza salverà il mondo, come pensava Dostoevskij, ma mi piace pensare che sarà così. In fondo, già Stendahl sosteneva che "la bellezza non è che una promessa di felicità". 

 

Vittoria Franco

per Pioggia Obliqua

 

 

" Agli amici tanto tanto amati di Pioggia Obliqua, poeti invincibili della vita, il mio abbraccio umile e il mio ringraziamento, per mantenere la poesia come unica veritá nel mondo."

 

Daniel Fermani Gonzales

 

 

 

 

" Rivista preziosa, che seguo da tempo."

 

Alfredo Rienzi

 

                 

 

 

 

                    

 

 

                  

 

                       Consigli di lettura

 

 

    

 Nella omonima rivista cartacea 'Pioggia obliqua rivista di letteratura e culture', pubblicata negli anni Novanta, una intervista a
Antonio Tabucchi,
Edoardo Sanguineti,
Mario Luzi. 
Un testo di Valerio Magrelli. 
Mario Luzi, Luigi Baldacci, Patrizia Valduga, Attilio Lolini, Gabriel Cacho Millet, Marco Marchi e Loriano Gonfiantini rispondono
sul senso di fare poesia in quegli anni.
Risposte attualissime.

 

 

 

 

 

 

 

 


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  • Poesia proposta: Gian Luca Guillaume, Luca Ispani, Filippo Amadei
  • Poesia proposta: Di Gennaro, Repossi, Rimolo
  • Poesia proposta: Angelo Santangelo, Giulio Mazzali, Marco Bini
  • Poesia proposta: Cunial, Viti, Viotto
  • Poesia : Greta Rosso
  • Poesia: Giovanna Cristina Vivinetto
  • POESIA : Jean Soldini
  • Poesia : Daniela Zambrano - editi e inediti
  • Poesia proposta : Manuela Mori, Selene Pascasi
  • Poesia proposta: Mirra, Allo, Strinati, Ciampalini, Carnevali, Peralta, Casulli, Bresciani, Marrone
  • Poesia proposta: Vera D'Atri
  • Poesia proposta: Laghi Pasini, Milleri, Malerba, Corbetta, Merico
  • Poesia Proposta: Valerio Succi, Michela Gorini
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