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Poesia proposta

 

 

              ALFONSO CANALE

 

 

 

Poesie

 

 

 

 

odisseo

 

io?

nessuno

giusto un giocatore d’occhio di mano

forse la seconda

un autarchico visionarietto

qualche confine m’ha impolverato

 

tu?

non son nessuno

solo un fremito

teso ch’attraversa il branco

di sguincio

rauco

un ghignetto fuori posto

sul grugno ossessionato del tempo

 

ma proprio a lei chiedi?

sono un po’ il deserto un po’ l’oasi

qualche foro di pallottole sul muro

il fumicello caldo che striscia via dalla canna

presuntuosi segni ch’azzardano

l’indicibile la svista un’aliena memoria

 

loro? ancora?

ti parlo dico che non son nulla

ma il nulla che si burla ridente

della propria coscienza

dei suoi amanti nemici predicati mercanti

 

voi?

in fondo alla superficie

bastardi ingranaggi di un caso sudato

non protetto sgocciolato in qualche cosmica vagina

un gioco di dadi scivolati

dal sole che sbuffa luce tenebra vivida

casalinga che il freno sinistro rese nervosa

d’avventure smaniosa

 

dite lui?

non è divino solo un pochino

piuttosto un luciferante abbaglio di sovversione

che sembra (a quanto non pare) riuscita

 

ma proprio a me rivolgete tali questioni?

 

essere?

un arguto giullare di bestiame

un campanaccio pendolante

di vino imbevuto dal trucco all’osso

smerciatore di luna e follia

uno straccio di viandante

senza orecchie a determinarlo

purezza e sacralità che lo sfottano

rivoluzioni che (finalmente) lo decapitino

per le sue bellissime inutili cicatrici

 

voi? ancora noi?

siete me stesso

sciocco farlocco allocco ingabbiato

io sono voi lo sento

sento i miei vostri mugolii

i miei vostri ruggiti

gli sguardi bassi

quelli che sfidano il cielo

a chi cade per primo

 

tu? io? noi?

siam liberazione

il martire l’alterazione

la mela la prugna il cocomero

il cappio al collo del vivere pluriobliterato

niente

assolutamente niente

morte per vivere

insieme tutto petulante differenza

scarto che muove

polvere di deserto

nostalgia remota di vita futura

scarabocchi

tanti scarabocchi

tanti buchi nella sabbia

 

null'altro resta

se non prendere un fazzoletto

di geniali inganni

velocemente affibbiarlo all'universo

per contenere i suoi starnuti

chissà

si potrebbe stanare

il segreto il vuoto lo scheletro

che i silenzi infiniti cornuti

nascondono di fatto

nell’innocente volteggiare

del loro siparietto

 

quel forse che scrive il mondo

di là

dove le luci

non hanno inizio.

in bilico disegnava una nube

 

in bilico disegnava una nube

l’ignavia del tutto

la potenza l'impotenza di un solco

fuori di senso sesso e posto

lei scruta oceano la salita

attende affaccendata

a stendere sua vita

l’essere colma e stanca

si siede al freddo, alla campana

che vento dall’onde rintocca

attende una visita mani al grembo

l’ombra che dal mare mai ritorna

 

in bilico insegue quell’onde

i piedi sbattendo

come bambina

alza la magia

polvere e pretese

nel vizio ch’è

suo ignora

quell'altra la vicina

che sussurra grida

tuona gigante

il suo inganno

dice verità

l’ombra che dal mare mai ritorna

perché aspetti

ancora donna?

 

in bilico finemente mai fatti e giovani

penzolano il cuore l’essere

violacei del crepuscolo che l’ha tentata

quel se io non fossi tra suolo e cielo

ove l’onde rintoccano il tempo

che mai fu loro

eccolo un occhio al corvo sazio

in bilico contempla l’ultima frontiera

il corpo suo non merita

neanche la terra

ma tutto bacia innamora e ama

scioglie l’attesa

l’ombra che dal mare mai ritorna

 

 

 

 

in fondo alla superficie

(edita in L’urlo barbarico, Le Mezzelane Casa editrice, 2017)

 

una o la pulsione

che oscurò il divino buon senso

di una innocente giovine greca

(chissà perché forzatamente donna poi..)

scassinatrice alle prime armi

di uno scrigno di diamanti mortali

lo sfrigolio del mitologico tramandare,

tra amnesie volute non volute

le sue lacrime d'acido annebbianti pur quel balenante

timido verdognolo vagito

che guizzò via per risanare il misfatto.

dono avvelenato di un’iscrizione al liminare

per altri differenti un succulento frutto

un marchio bruciante

sulla

pelle di aysha

la sua eterna necessaria scacchiera

il terrore categorizzante

l’opposizione subordinante mistica

 

la brama di fastidiosa in-esistenza

strozzata tesa allucinatoria

allorché la voce del vento picchetta

un selvaggio magnifico ballo

pogano suoni battiti rumori in tutto divertimento

i suoi sabbiosi oceanici ammiccamenti

quando

significanti senza significato

si schiudono tumultuano di fronte al firmamento

senza fine vasto possente

di miserabile magnificenza

il sorriso la beffa ghignante

letti rassicuranti

di quei cremisi iridescenti

spettrali

che ululano di scintille noncurante occhiata

nell’attrito mancante, senza supplente

come i magici cerchi dei focolari protettivi

incastonati invasori

nel lunatico diadema

di incertezza

sogno

e

tenebra

 

un mare di nebbia sbranatrice

di monti valli torreggianti fumi

fondamenta e scompigli

estranei numi

sulla tela

che parla esorcizza le gambe contratte

i pensieri fuori dalle orbite

di ogni timoroso temerario

viandante agonizzante

il silenzio riverenziale del suo accento germanico,

eppur umano volgare

e il sesto senso d'un figlio

col fuori dentro fuso non fuso

con

il viso materno avverso puro

un complesso edipico

un con-testo fantascientifico

 

l'eco infinito di una grotta mai scheggiata

una caverna sussurrante eterni sonni mai fuggita

le scalpiccianti

melodie notturne

e il ruggito rabbioso

di scandalose onde ribelli

convulsioni di purezza differenziata

senza pre-testi forgiata, miei cari, su di essi.

 

il morbido bagliore di celebri orecchini di perla

le sue faticate tracce orfane

tra delittuosi depistaggi

il candido eros che guidò le mani

in quell’azione d’ordinaria stupefacente

amministrazione

 

l'odore raccolto

ristagnante

ribollente

dopo il martello burrascoso sull'incudine terrena

nel momento

in cui

l'orchestra solidifica i labili lunghi confini

le penose carezze degli oceani possibili

sul corpo degli animosi naufraghi

capricciosi fortunati

tra flutti e mulinelli famelici

che sentenziano rovina

sussulti innalzanti con malizia al sole che ombreggia

 

i mormorii d’infantili segreti

parole non piene per sciamanica volontà di vita

affidate alle raffiche

che, si spera, facciano vibrare timpani e templi

le parole incandescenti sospirate dal fuoco

alitate da fondi di bicchiere

un fornello un incendio

semplice caloroso precipitare all’alba

sudore d’amore libero

indefinibile atto erotico degli elementi

delle formule chimiche fisiche linguistiche

l’ingenuità di queste comode economie

 

uno specchio frantumato

i suoi innumerevoli pezzetti

la loro polvere

in attesa d’impasto

le diverse prospettive secondo tempo luogo luce

senza il tempo il luogo la luce

sorprese rivolgimenti fiati uccisi

cadaveriche attese

le forme deformanti quelle deformate

cocci di bottiglia rosseggianti veritieri

lor condensa registra tensioni

inclinazioni suicide per sacrificare inibizioni

gli infiniti

il desiderio pomposo

quello necessario

quello corto

quello ridimensionato schiacciato

dalla sotto-vivenza.

 

la sintesi che non c'è ed è meglio così

il giusto mezzo all'estremo, forse deve essere così

il margine al centro il viceversa

nulla tutto

al centro fuori luogo dentro l’essenziale

l'una/o

e/o/con/senza/però

l'altra/o

 

fastidiosamente non ente

assente, ma respirata inspiri,

espiri

spiri

in dolce affanno

in fondo alla superficie

mia altrui questione.

un accento attraente

una chioma ribelle

una confusa ininterrotta danza

in questo sibilante golpe d’usurpatori versi.

 

 

  

 

borderland

 

si confina in transumanza

un tossico di senso

aritmico si specchia intorno

in quella sala dimenticata da dio

nella comunità di recupero

perché non esci? quando

ti spogli, ti vesti dei nostri occhi?

 

aritmico non ci sta a farsi

cerchio o roghi di vite

cadenze rituali lo compromettono

così tanti! così tanti gli rubano il respiro

una mazzetta al bodyguard

finalmente

siediti qui in riva

in questo lotto c'era una siepe

sai? l'hai bruciata incenerita

il fumo ancora s'appiccica

una scorreggia nell'ascensore

 

seduto in riva aritmico

la transumanza balbetta

è inutile gioca a fare dio

quelle goffe ombre

si convince di riconoscere

dice verità e scivola nel mare

dove gli astronauti galleggiano?

la platea la caciara la fregna?

graffia tutti i piedi la terra

aritmico sputa rumori e sensi

lì oltre questa storia

non ci sono

 

dimmi che ne pensi

di silenzi e follie e

sordi assurdi muggiti?

seduto in riva fradicio

aritmico assaggia

la sfilata delle onde

al porto sepolto

sale rigurgito pressione

preme atmosferica

non c'è tempo

 

ciao sono adam

ciao adam

ieri è un cosmo e poco più

che non faccio uso di senso

il sepolcro recitava sotto il molo

overdose adam ne saprà qualcosa ora

 

seduto in riva

aritmico

vedi di star muto

un bel sorriso

a morire di senso

 

che meraviglioso spettacolo

sommesso

tutto

mi

uccide

ossesso e accontentato

l'essere

terra

e gelo.

 

 

 

 

la guerra del tizio che sparò a piero

 

che forse è meglio il silenzio

 vero? dirimpetto al mondo

 un letto di fiume avvolto

 dal clamore del suo silenzio

 proprio lì in procinto di cadere

 a valle ove il premio si fa

 l'esser grande fratello di me stesso

 una volta tentai ficcai il mio naso adunco

 nella fiumana che sovrastava

 l'arcipelago di silenzi

 nelle notti di confine

 e caddi a valle infine verso il mare

 la terra che si specchia in se stessa

 caddi sopravvivente

 nella guerra di nessuno

 caddi dove c'erano altri arcipelaghi

 schizofrenia schiava di una grande bugia

 

che forse è meglio il silenzio

 vero? sotto il mondo le stelle le marce

 avulso da morali

 mirando le rocce d'altre rapide rovinar

 nel flusso di una maledizione antica

 lui cadde io ancor oggi qui

 nella teatralità del morire in colore

 steso qui sul letto del fiume

 ove la briglia dell'uniforme

 m'avvinghiò al silenzio

 e così senza narrare

 col dito lavico intento a scrivere

 nell'acqua che cade

 il mio amore per lui

 la mia memoria

 il mio ossimoro

 il mio incandescente sogno

 di un'altra cosa

 

sono il mare ora

 a me basta questo

 così vi scrivo

 così non vi narro

la guerra del tizio che sparò a piero

 

 

 

 

to dream

                  

amarti amarti realmente

amarmi in te nel tuo senso

unico nessuno in contrasto

coscienza che si scioglie

nudo

che vibra rocambolesca

madido

perfezione che cambia

sull’istinto

scialbo scorticare delle nostre pelli

 

amarti condensamente

amarti in me

acqua salina i sessi

sfumato

la chimica l’infanzia la scienza

ai confini dei nostri orizzonti

tutte le infinite pieghe delle lenzuola del tuo volto

 

che ti amassi

come mai per sempre prima di noi

che ti scagionassi

nella tua violenta bellezza

ruvido

rubata da troppi occhi

meraviglia di morte piacere paura

 

arrancante che ti lasciassi indietro

che ci desiderassi in sacrificio

l’anarchica differenza

il giudizio vuoto

al di là del bene del male

 

che ti liberassi nuova

dalla luce dai segni

adombrato

cavernosa che ti ritrovassi

grezza

per scrutarmi viverti contraddirci trasformarli

perché sei bella come la morte il piacere e la paura

 

maciullami vita

 

 

 

 

to be

 

la vostra ipocrisia mi fa rabbia veleno e vomito

come la mia

eppure noi sono

la bellezza è morte paura e piacere

fottetevi tutti quanti

fottetemi che io me ne fotto

quantomeno sono

 

 

scappo fuggo rifuggo

per la mia umidità

transito nell’unica ombra

che mi fa saldo

quanto sei bella senza me noi loro

bella come la morte la paura e il piacere

 

 

ovunque non qui in noi fuori

come deve essere

dalle nostre orbite

mi guardi e mi sussurri nel tuo ansimare

se dio esiste è l’altro indebito

oltre dentro intorno immagine e somiglianza

se dio esiste è nel fremere dei tuoi muscoli

se dio esiste si masturba a ogni perché

ma non è così

non è parola

 

 

chapeau

gemi vengo sospiro e mi sdraio

accanto al tuo sudore

in quel letto a baldacchino

appiccicoso come noi

morti una volta

non contenti

ci uccidiamo con una sigaretta

neanche questo conta

se dio esiste non è verità

 

 

essere

di più

di più dell’essere

 

 

 

 

 

 

 

 

Alfonso Canale Biografia

 

Laureato in Lingua e Letteratura Araba presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, nel 2014 pubblica a Parigi le sillogi poetiche Alfonso Canale écrit e Miroirs. Nel 2015 pubblica in Italia la raccolta poetica bilingue (in italiano e in francese) Miroirs/Specchi. Pubblica alcuni componimenti su Poetarum Silva, La macchina sognante. Contenitore di scritture dal mondo e nei “Quaderni Barbarici” di Patria Letteratura. Redattore per YAWP: Giornale di Letterature e Filosofie (http://www.letterefilosofia.com/), ne gestisce la sezione culturale “Simposio” e quella traduttiva “Ri-scritture”.  Con altri autori del giornale partecipa all’antologia L’urlo barbarico (2017, Le Mezzelane), con la sezione “Vedo”. Finalista nell’edizione 2017 della Biennale MArteLive, è membro del collettivo poetico A.S.M.A di Poesia (https://www.facebook.com/bugiardinifingitori/) e del format di reading Salotto per pochi intimi (https://www.facebook.com/salottoperpochiintimi/), con i quali ha proposto diversi eventi di reading poetico-musicale per l’Italia centro-meridionale. Al momento sta lavorando ad un nuovo progetto poetico, non belle parole, e ad un récit sperimentale, Senses    

 

 

IURI LOMBARDI

 

POESIE

 

 

 

 

Temporale d'estate

 

Tutto il giorno sono stato in attesa che

il temporale diradasse; mi tenevo alle funi

provando le mie ossa (solo un fuoco tenue

daranno in un futuro prossimo):

di fatto ho allestito una nuova vita

nella feroce nota, nella luce crepuscolare:

niente era niente. Sulle pareti un riverbero

giallino mi negava il tempo del lunario.

Assetato come ero nulla ho bevuto; perduto

da ogni ideale. Così, cosa ti racconto?

Se non di essere un'esile creatura e come

i giovani di strada gemo ad un pugno di felicità:

lampo di un presente eterno.

Più di loro conosco memore la notte lasciandomi

andare tra le maglie – o spirale di tempo- della ragnatela.

 

 

 

 

Istantanee di settembre

 

Certe sere di settembre il cotile si incanta,

schiamazzi leggeri occhieggiano e sono

gerani al balconi che il livido fa scuri

e l'idea del domani resta cugina dello ieri.

Tu cerchi di abbracciarne dell'amico il busto,

stringere a te la calda luce del tronco vestito.

Qualcosa s'affaccia sui tralicci che scompare

quasi sgonfiato in un lampo di volo.

 

 

 

 

Il sole di notte

  

Del loro esodo conosci ben poco

se non la monotonia mai interrotta

di come poter arrivare alla cena,

(sono portate dal vento già dischiuse

alle altane tra rogge di corbezzolo

pronte a migrare). Da ragazzo credevo

fossero elicotteri felici con le ali spiegate:

e tali erano le imitazioni di bottega;

ma l'uomo può mai essere Dio?

Nella bottega riproduceva falene di latta,

solo le ali erano di cartapesta.

Certi ambulanti aspettavano l'equinozio

per provare la propria esistenza; gioco

assai facile nel tempo in cui non c'è

disparità tra il giorno e la notte.

Mai come adesso ti ostini a confondere

l'autunno con un sabato qualunque di marzo.

Nel gioco dell'esserci, contemplando,

questi strani elicotteri, ti addormenti senza dolore.

 

 

 

 

Alianti della sera

 

Dove finiscono li alianti della sera?

Mi chiedo – oltre la paura? Gli aeroplani

senza pilota di cieli brevi;

dunque dove vanno? Come

si finiscono silenziosi tra le maglie

di un tempo che non è più?

 

Hanno forse attentato al paese

nel mattino che sa di latte e appesa,

muta anch'essa tremula appaga,

al passante l'ultima stella.

Anche le officine stanno chiudendo

telefoni che è già un altro tempo,

millanta disperato il Corriere

di una storia che non c'è più.

Persi nel niente due ragazzi, forse tre,

passeggiano nell'alone di un ingorgo:

il paese . Si raccontano – non muore.

Dove vanno a finire gli alianti della sera?

 

 

 

 

Soldati di cartone

 

Gli studenti sparano con i Tablet

accesi sulla folla del pomeriggio,

sparano a salve con violenza esangue,

i polsini slacciati in segno di offesa;

i jeans che sanno già di sesso,

di sbornia non digerita sulle scale.

Il mondo ai loro occhi scompare subito

e niente sanno di sé se non l'offesa

che l'inchioda nella bellezza gioiosa.

 

 

*Poesie edite del volume Il condominio impossibile, PoetiKantenedizioni, Firenze 2016

 

 

 

 

 

Non ho fatto in tempo a baciarti la fronte

 

Non ho fatto in tempo a baciarti la fronte,

te ne sei andato, figura persa

nel pomeriggio già bruno sul presto,

vagabondo nella spirale amena

nello zampillo, nello sgombro dell’ombra,

di palazzi nuovi di cemento.

Non ti lasciare ti prego nel niente;

la città qui si ricompone negli sozzi

riverberi di luce o tra pozze

in un autentico mattino cui scorgi

negli occhi del compagno bianco di buio.

Perdoni la mia cecità? L’irruenza

Svanita a ciuffi tra i capelli? L’amore

Che fu è ancora amore: un fitto epistolario.

 

 

 

 

Il cielo in un bicchiere sparso di stelle

 

Il cielo in un bicchiere sparso di stelle,

sul suolo gelato è tempo di resa;

basta poco e la notte rompe il velo,

un guaito lontano dal gracidare

rischiara all’istante il tonfo di uno sparo.

 

E’ il veder tempesta in un bicchier d’acqua

ché il buio dipinge statue di sonno,

nel giardino dell’insonnia stimola

l’occhio nel vederti nudo di fame;

nulla si arrende a nulla, tutto è come è:

 

il chiaro di un lampo. 

 

 

 

 

·  Poesie edite, Il Sarto di San Valentino, esemble edizioni,2018

 

 

 

 

Iuri Lombardi,  poeta, scrittore, saggista, drammaturgo. Ha pubblicato per la  narrativa i romanzi: Briganti e Saltimbanchi, Contando i nostri passi, La sensualità dell’erba, Il cristo disubbidiente, Mezzogiorno di luna. Per la Poesia: La Somma dei giorni, Black out, Il condominio impossibile; lo zoo di Gioele, La religione del corpo come racconti: Il grande bluff, la camicia di Sardanapalo, I racconti.  Per la saggistica: l’apostolo dell’eresia. Per il teatro: La spogliazione, Soqquadro. Vive a Firenze. Dopo essere stato editore, approda con altri compagni nella fondazione di Yawp – l’urlo barbarico.

 

  

 

 

 

Antonio Merola

 

                        Poesie

 

 

                                                                                                            INEDITI

 

 

E così vengo imbestiato dentro il vagone spoglio di rifugio:
è ora di ritornare a casa attraverso l’oscuramento
negli occhi di uno sconosciuto oggi che tutto rimane uguale
a una pietraia come l’orientarsi della mia abitudine
allo scoliasta che rintraccia in uno spicilegio la favola a margine
della gigantessa slanciata senza patema sopra le stelle
cadute oltre lo strapiombo: amareggiare la città
non serve a niente davanti allo squadrare del treno.
Voglio essere come un forestiero nel mondo
degli uomini: fuori rintrona ancora l’ultima migrazione.


 

l’unicità si dipanava lungo la steppa
come soli freddi o rovine
nella pioggia: la notte durava una volta
sola come di fronte a un nemico
che voleva mutilare l’origine comune
prima della disparità delle losanghe:
e allora chi giocava ancora per non essere scoperto
cercava la musica del mare
come una speciale isola di bianchezza o schianto.

 

 

 

Ti porterò fino alla fine della vita
per mano: e allora guarderemo il buio sorridendo.
Ci ho provato a lottare come una tigre
bianca contro l’uomo: e sono così stanco
di vincere sempre. Questa volta non voglio
competere ancora: ognuno di noi è senza difesa
fuori lo spirito e per la nostra immaginazione
è ora di andare: partiremo alla prossima alba.

 

 

 

Non faccio che parlare di te ai codardi
eppure questo solo so: nessuno
ti ha compresa forse per letargia
oppure ordalia, il sole tramonta a Oriente:
ma nessuno, nessuno ti ha mai creduta.


allora ho acceso la luce: una donna
compare oltre le mura come una felicità
che non aveva gli occhi
verde speranza; sembra ubriaca e cade:
quante volte abbiamo creduto insieme alla vita
o l’irrompere dei mostri, la fuga oltre il rito
azzurro come la saliva di un sogno
a parteggiare la vertigine e dimenticare
la voce prima. Tutto rimostrava una giungla
o l’argilla… e nella caverna crollava ancora:
chiedeva una carità impossibile di vuoto.

 

 

 

Nemmeno una scogliera di bianco
rugava la pesca
come la nostra immobilità che seguiva la pioggia
nelle montagne: si abboccava all’ardiglione
perché bisognava mangiare come una resipiscenza
ti sentivo lontano una strada
che forse vuoi percorrere da solo
mentre sulla collina una voce suonava il motivo
dell’abbandono: la binarietà era il nostro destino.
Avevamo commesso l’errore dei dinosauri:
essere troppo grandi per camminare.


 

c’erano solo i mostri che attraversavano la brina
come una piorrea dell’infinito oppure accecati
dalla stella polare: era l’estinzione della strada
contro il muro recintato di caligine
che riserenava la città… bisognava passare oltre
la vita: ho imparato che tutto si destina.

 

 

 

nessuno ha mai aiutato il bambino
a scappare nella notte
per esaminare la puntigliosa assenza
dell’avvenire non è già troppo
per lui fingere di non ascoltare
la delizia esatta del denaro
o sopra la nidiata del pigargo rosso
come la disattenzione sopra la punta di un piede
a colmare un elefante in un negozio di cristallo.

 

 

 

la solitudine si è ritirata altrove
forse per sempre verso una libertà arcana
che grida: sappiate riconciliarvi
ovunque
nessuno è nemico a nessuno
così l’uomo a l’uomo tace la parola
e ognuno solo cammina al confine.

 

 

 

Ho provato a portarti lontano,
ma il mostro ci ha seguito ovunque
come a spaziare l’alberata in una grillaia:
sentiva l’odore del sole, tu piangevi
dietro a ogni angolo. Una lubricità
non bastava a nascondere la sfogliatura,
a scivolare altrove: avevamo paura
delle grandezze
come l’acqua dentro una fontana.

 

 

 

Era ormai evidente la paura della nebbia
se da qualche parte un uomo cammina
una donna cammina verso il silenzio
dei mondi sospesi: s’accompagnano
lontani come i condor delle Ande
oltre le solitudini immense.

 

 

 

 

 

Dalla silloge Orizzonte della dimenticanza, in L’urlo barbarico (Le Mezzelane, 2017)

 

Non colsi la vita sopra i tetti,
l’epitome che oltrevarca la cinestrina stria
proclina come una sinopia di stremizio 
sopra un’abbondanza autunnale

Oggi gli uomini sono scomparsi dal nido 
oltre la levità delle nuvole.

 

 

Noi siamo come creature

di nebbia

in fuga dallo stupro

della vita, mostri

che irrorano petrolio

dal cuore emersi

da una fissità vermiglia

come polsi aperti

 

 

Gli amici lo sanno
ogni consiglio di uno scrittore costa 
una birra, come minimo. 
Ecco perché vengono da me 
chiocciando 
nella loro sicumera animale 
geremiadi come una confessione 
biologica, ma io sono uno 
che raccoglie le foglie, 
le tinge, le riattacca agli alberi
in un periplo di morte,

un affare concluso

di coraggio comparato

che raggruma in un peana,

e come due generi d’umanità 
che dibattono sul vuoto

andiamo insieme verso l’eden

a uccidere dio.

 

 

Da Il Segreto delle Fragole (Lieto Colle, 2017)

 

 

c’eravamo lasciati alle spalle una giogaia 
di ampiezze bianche: era il problema di una cura 
così che il nostro abbraccio si faceva radice 

e come una coppia di rinoceronti estinti 
somigliavamo agli eroi delle foreste o alle rupi. 

 

 

Antonio Merola, è laureato in Lettere Moderne con una tesi sulla recezione della critica italiana rispetto all’opera di F. Scott Fitzgerald. Sue poesie inedite sono apparse su Atelier online, Poetarum Silva, Pageambiente, Euterpe, La Macchina Sognante e nel Poetico Diario (LietoColle, 2017). Altre poesie inedite sono di prossima pubblicazione sulla rivista Atelier. Collabora o ha collaborato con  Altri Animali, (Racconti Edizioni), Flanerì, Lavoro Culturale, Carmilla e Culturificio. È cofondatore di YAWP: giornale di letterature e filosofie, per il quale ha curato inoltre la raccolta poetica L’urlo barbarico (A. V., Le Mezzelane, 2017). Si occupa dei Quaderni Barbarici su Patria Letteratura. Ha pubblicato sotto pseudonimo assieme a Iuri Lombardi la raccolta di racconti Il Vice Presidente venne dopo sette secondi, (2016). Suoi racconti inediti sono apparsi su Carmilla, Cultora e Reader For Blind.



 

 

 

 

 

LUCA TOGNONI

 

 

      POESIE

 

 

 

Quando torna il silenzio

 

 

Una sera di vento

 

e quel poco chiarore

 

di vita che lascia la fiamma

 

quando torna il silenzio.

 

 

 

 

 

Confini

 

 

Il campo segue il muro delle sere

 

che abbiamo attraversato,

 

umide sere di una Pasqua fredda.

 

La casa sempre nel buio è silenziosa.

 

Gli uomini si fermano alla porta

 

di legno per parlare

 

del tempo che non muta,

 

che passa troppo in fretta.

 

 

 

 

 

Il profondo male

 

 

 E se l'autunno è soglia porti il nome

 

di quel profondo male che consuma

 

il midollo della vita.

 

Un silenzio, uno sguardo,

 

un levarsi del vento

 

che torna più freddo la sera,

 

una morte annunciata che prolunga

 

la notte con la luce

 

dell'ultimo lampione

 

che nel buio si spegne,

 

si riaccende.

 

 

 

 

 

Estate 

 

                                             A M. G.

 

E se senti più freddo,

 

se il pesante cappotto

 

che copre le spalle non basta,

 

cerca un uomo da amare.

 

 

 

 

 

Voglia di vivere

 

 

Vivevi ed era

 

il sole dell'aprile.

 

La luce che sfiorava il tuo profilo

 

ne disegnava l'ombra

 

e tu dicevi al giorno sono pronta

 

per continuare ancora.

 

 

 

 

 

Tarda estate

 

 

Cosa ci resta

 

del giorno che declina,

 

quando s'attende il vento che ritorna

 

e sfiora i tuoi capelli

 

e la tua mano già cerca la mia.

 

Muti sostiamo presso il capitello

 

che per metà è coperto dal cipresso.

 

Cade la sera.

 

Il buio ci sorprende sempre prima.

 

 

 

 

 

 Il pino                                         

 

                     a mio padre

 

 

Questo pino mi è caro.

 

Presso un bivio esso sorge

 

e la neve, la pioggia

 

ed il vento l'hanno reso più forte.

 

Sempre svetta maestoso

 

e lo amo con cuore

 

di figlio. Vi trovo riposo.

 

 

 

 

 

 In memoria

 

 

Forse di luglio, forse nel mattino,

 

con una veste azzurra e una cintura

 

che ti cingeva i fianchi,

 

salivi quei gradini

 

che portavano

 

dalla città dei vivi

 

all'altra, silenziosa.

 

Tu li salivi e t'arrestasti

 

ancora a quella soglia

 

in pietra che segnava

 

nell'ombra già il confine.

 

Guardasti indietro

 

la strada già percorsa.

 

 

 

 

 

L'ombra                                                             

 

 

Se interrogo l'ombra,

 

se domando alla parte

 

più oscura di me di parlare,

 

nel silenzio essa tace.

 

 

 

 

 

 Il segreto

 

 

Spesso il grande cipresso

 

dentro un folto di fronde

 

nasconde dei nidi d'uccello.

 

E' il suo dolce segreto.

 

 

 

 

 

Luogo del cuore         

 

                                         a mio nonno

 

 

Nella sera d'ottobre,

 

quando il vino accompagna

 

i pensieri

 

e lo sguardo si perde,

 

ti ricordo com'eri.

 

 

 

 

 

Maldicenze

 

 

Si fa noto l'ignoto

 

ed è un cerchio di voci

 

al passaggio.

 

 

 

 

 

Transfert                    

 

     a N. R.

 

 

Tu che hai belle le mani

 

e dimori un silenzio

 

più vasto delle stesse

 

parole.

 

Tu che insieme all’aurora

 

risali la curva del monte.

 

Nella  luce rimani.

 

 

 

 

Paola

 

 

Certo è più vecchia

 

della sua solitudine,

 

più vecchia delle rughe

 

che attraversano il viso suo

 

bianchissimo,

 

più vecchia dell’amore e del dolore.

 

Un uomo l’ha aspettata

 

al silenzioso bivio della sera.

 

Ora la attende

 

più oltre, in qualche dove.

 

 

 

 

 

Alda Merini

 

 

Visitata da ombre,

 

dimorasti la parte

 

segreta delle nostre

 

parole.

 

 

 

 

 

 

 

 

Luca Tognoni

È laureato in filosofia. Vive e lavora a Verona come impiegato. Con l’editore Campanotto di Udine nel 2015 ha pubblicato la raccolta di poesie “Distanze”, suo primo libro.

 

 

 

 

 

 

 

Susanna Bertone

 

 

 

Mamma     

 

                          

 

 

La crisi economica ha prodotto retorica vittimistica,

ha diffuso un sentimento di paura.

La casa non è sicura

i poveri sono più poveri

gli stranieri più cattivi

manca l’identità e poi,

neppure la guerra è così santa.

Sullo schermo

funghi nucleari

sogni di Baleari

ansie che ignoravi;

ora ti ci svegli la notte,

sudata, la luna illumina

blu la pelle del tuo vicino;

è steso sulla spiaggia

e non respira. Respira il mare,

la rabbia? La paura?

Schiuma a riva, negli occhi

mangia lo stomaco,

fremono le dita

battono su tamburi neri

che altro da fare non c’è,

se non odiare.

Mamma, perché

nessuno me l’ha detto mai:

il Novecento non è finito

è sempre spaventato

un secolo lungo

un vicolo cieco.

Ci consola qualche

amore, una domenica all’Ikea

il sabato la pizza.

Sì, il mondo finisce ogni sabato

dopo la pizza.

Poi, infiniti lunedì di sangue.

 

 

 

 

Tra filari di ghiaia

sbuffi di fiori si burlano

dell’uomo che si affanna.

Io sui righi contavo le note:

sorridere, mi fa sorridere...

questa muta di corde

nere, porta appesi

treni di pensieri.

Quando uno ne passa

vibra tutta la cassa del cielo.

 

 

 

 

Viale bordato di pizzo e di sole:

foglie solerti fanno ricami

sull’asfalto, menano mutevoli

le ombre a rincorrersi.

 

Tessono metri e metri

sulla via spoglia di uomini

come corpo di donna bellissima

che tutti coprono e scoprono.

 

Coprono, poi un fremito

e di nuovo scoprono.

 

 

 

 

È spiovuto.

Appena qualche istante

la ruota che porta innanzi la mia giovinezza

lascia dritto il solco in questo buio acheronte d’asfalto.

Qua e là

galleggia uno specchio

nero di pioggia: porta impresso l’occhio

azzurro-variabile dell’aprico dio che dall’alto ci osserva.

Dimmi mamma, ci somiglia?

 

 

 

 

I rami formano lettere

le foglie salutano con la mano

appese come a un chiodo ballerino,

appese al telo terso del cielo.

Banalità, in fila alla cassa

si sentono frasi consunte

che mi sento male

e penso:

Cristo, scadono anche le anime.

Meglio essere animali

- mi sussurri -

in un bosco, usare solo l’olfatto

sentire tutto, avere poca memoria.

Giù l’acceleratore, seconda,

terza, quarta. ABS,

fischi di freno

caldo veloce il respiro. 

È nostalgia,

il desiderio che muove mutevoli

i lombi di tutti.

Conoscere, possedere e poi

vedersi languire.

Al risveglio

ancora fiumane di gente

noi nel mezzo

naso all’insù.

Guardiamo sorridenti

lo stesso telo terso

e dietro agli occhi

aperti, chilometri e

chilometri di baratro.

 

 

 

 

Il tavolo 

la sedia

la bottiglia

il caffè

i fiori finti

non sono io.

La Martinica

è il posto dove trovarmi;

tra i rododendri

i boccioli rosa

il legaccio di corda

la terra 

la coperta

nel bianco 

di una noce di cocco.

 

 

 

 

Sotto una coltre di rami

attraversata da piccoli uccelli,

scruto i sentieri del cielo.

 

Fumo azzurro sciama tra i denti,

luce piatta mi scioglie i capelli

quelli neri, che mi fece la mamma.

 

Il mostro di cupidigia che abita

il torace buio, canta senza sosta

la vecchia canzone che sai.

 

Sapremo trovare un senso?

Una foglia - crudele! -  fa cenno di no.

 

 

 

 

I tuoi baci pendono

tutto intorno al collo incastonate

le tue labbra adornano

cento perle di fiume.

Scorre la pelle, cento e più

lampi dividono il buio.

Dov’è andata la rotonda prominenza

dei baci che mi baci

io non so.

Sto in grovigli di cotone

immobile assorta nera.

Il sonno che governa i fantasmi

m’intorpidisce le mani.

Tu non ci sei.

 

 

 

Borracha sulla linea del pavé

la seguo come aurea norma

morale. Alla fine fine fine

cado sul parquet di casa.

Le ombre, chissà perché

sembrano fatte di fumo. Ma

le luci sul parquet, tutte oro,

le indossi come un vello

mi dici “non è quello:

il male è confidare

e non aver approdo

e andare”.

 

 

 

 

Molto piangono i figli dell’odio

i cancri che dalla terra sorgono

gettano loro calce sugli occhi.

Li divora un tempo senza lancette

una qualche verità li accarezza sicura,

chiuso, il nervo carpale si fa pugno.

loro marciano. Alle loro spalle,

qualcuno ha attraversato il mare 

ha consumato la pelle 

sicché oggi fossero in marcia.

Il corredo genetico sventola,

il vessillo, l’antica forma

è evidente a tutti, tranne a loro:

venuti da ventre straniero, al vento

straniero storcono il naso.

Ma’, la schiera dei figli dell’odio

avanza e colpirà da basso,

chiuso contro i denti il pugno.

Ma non stare a preoccuparti:

in fondo,

sangue innocente non ce n’è. 

 

 

 

 

(testi inediti)

 

 

 POESIE     

 

 

 

Lumeggia

 

 

Al civico uno della via

sotto un cadere costante

di pioggia, il paralume lumeggia

come un sguardo già visto:

appena sopra la sabbia

appena fuori dall’acqua

due occhi grigi lampeggiano

sotto un cadere costante

di mare dai lunghi capelli.

Mi oscurava il sole

e crollava freschi punti

a capo sulla mia pelle d’oca,

lasciando un’ombra a sancire

confini di possesso, la distanza

tra il mio corpo e il suo stesso.

 

 

 

 

Notturno. Fine estate

 

E di tutte le paure nascoste

la trama buia rivela che sono io;

dietro ai fili rotti, ai cocci, ancora

io, la più grande. Senza morale,

mi piace la possibilità d’esserlo,

viola di nausea e silenzio

non ho pensieri che valgano

ho scheggiate sillabe

ghiaia sporca tra i denti

verde di umido, di pianto.

Troppo penso troppo stanco

com’è poi che frinisco?

Un grillo nella notte col suo canto.

 

 

 

 

Che ne diresti?

 

Che ne diresti di toglierti l’abito?

Ci sono venti gelidi

torbidi stagni, lo so, ma

che ne diresti d’indossare versi?

Ho pensato per te

un par di sillabe azzurre.

Che ne sarebbe, dici, del contegno?

Gettalo al vento come

i garriti gli elefanti

i corni antichi le fiamme…

che te ne pare? Nuda onestà.

E mi manca sì, tartaglio,

m’incarto. Ma basta perifrasi,

che ne diresti? Io allieva e tu maestro.

Ci vorrà tutta una vita per non sapere

per impararsi in versi.

 

 

 

 

Incendio

 

Concessionarie al neon

Lampi gentili sulla destra,

All’orizzonte

Neanche una stella.

Là

bruciano cavi elettrici.

Fiume che scorre fiume

rotola nell’alveo, liscia i sassi

mi accarezza le spalle:

ombelico e cielo fanno a gara

a chi è più fondo.

Vedi che bel vento nella chioma

l’albero trema, fa l’amore

mentre il bosco brucia e muore;

intorno, fumo e nero in polvere.

La cenere spegne luci rubricate

già livide, buffe insegne.

Là

ruggisce l’orizzonte

rotola il fiume

trema la chioma.

 

 

 (testi inediti)

 

 

 

 

 

 

 

 

Susanna Bertone.

È dottoranda di ricerca con un progetto di ricerca sul paratesto dei codici della tradizione catulliana. 

 

 

 

 

 

 pioggiaobliquascritturedarte@gmail.com

 

 


 

" Pioggia Obliqua una rivista

affermata e prestigiosa."

 " Un grazie di cuore a 

Pioggia Obliqua i cui molti meriti nei riguardi della poesia non saranno mai abbastanza sottolineati."

 

Alessandro Fo

 

 

" Saprà o vorrà ancora la forza accumulata (...) resistere alla forza di omologazione che la tecnologia sembra inevitabilmente portare in seno?(...) Prevedo un lungo periodo di 'agonie', voglio dire di lotta (...) sarà probabilmente quella la forma e la sostanza del poetare che ci aspetta."

 

Mario Luzi

Da un suo scritto per Pioggia Obliqua a proposito

del  'senso di fare  poesia', gennaio 1996

 

 

" Io credo che un pò di silenzio ci faccia bene, c’è un coro di voci “troppo alto”, sgraziato, che ci sommerge, e non mi riferisco solo alla letteratura. In questa specie di “frullato” che siamo costretti ad ascoltare quotidianamente, il valore delle cose si perde.

 

Se c’è un attimo di riflessione, di

silenzio, la parola scritta o detta assume maggiore rigore."

 

 

Antonio Tabucchi

 

Intervista rilasciata a Luigi Oldani e

Elisabetta Beneforti per Pioggia Obliqua 

 

 


" Il sito Pioggia Obliqua mi ha "donato questa nota sul mio libro (...), ma l'intero sito è da seguire."

 " (...) e un ringraziamento per tutto ciò che P.O. fa per il mondo della poesia."

 " (..) E la stima è da me ricambiata verso il vostro prezioso sito!"

 (...) sempre attenti e preziosi gli amici di "Pioggia Obliqua".

 

Bruno Galluccio

 

 

" Un bel luogo d'incontro tra scritture."

 

Matteo Pelliti

 

 


" Non so dire se la bellezza salverà il mondo, come pensava Dostoevskij, ma mi piace pensare che sarà così. In fondo, già Stendahl sosteneva che "la bellezza non è che una promessa di felicità". 

 

Vittoria Franco

per Pioggia Obliqua

 

 

" Agli amici tanto tanto amati di Pioggia Obliqua, poeti invincibili della vita, il mio abbraccio umile e il mio ringraziamento, per mantenere la poesia come unica veritá nel mondo."

 

Daniel Fermani Gonzales

 

 

 

 

" Rivista preziosa, che seguo da tempo."

 

Alfredo Rienzi

 

                 

 

 

 

                    

 

 

                  

 

                       Consigli di lettura

 

 

    

 Nella omonima rivista cartacea 'Pioggia obliqua rivista di letteratura e culture', pubblicata negli anni Novanta, una intervista a
Antonio Tabucchi,
Edoardo Sanguineti,
Mario Luzi. 
Un testo di Valerio Magrelli. 
Mario Luzi, Luigi Baldacci, Patrizia Valduga, Attilio Lolini, Gabriel Cacho Millet, Marco Marchi e Loriano Gonfiantini rispondono
sul senso di fare poesia in quegli anni.
Risposte attualissime.

 

 

 

 

 

 

 

 


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