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" Se mi cercate,

sono nascosta

fra le lettere del mio nome "

 

 

Doris Bellomusto, A corpo libero. Esercizi di poesia 

Le pecore nere, 2024

Dipinto in copertina di Barbara Bonfilio

dalla Prefazione "L'attesa indomita dell'incompiuto" di Marina Maggi :

Un corpo libero è quello che spunta nella luce come una

carne musicale, in attesa della sua ombra tradita. È il

sogno di un bosco di nuvole sciatte, pascolate nel primo

vento dell’autunno, nell’iride viola del crepuscolo. Lo

spirito, canta Doris Bellomusto, è un animale leggero e

randagio. I suoi atomi danzano in segreta e labile armonia,

seguendo gli accadimenti ignoti di un miracolo. I passi

di questa coreografia selvaggia sono erranti e autentici:

non riescono a trovare la forma fissa del simbolo ma

disegnano un labirinto gioioso, nel cui cuore risuona la

verità di un amore.

 

 

 

 

 

A latere

 

Vivo al margine del foglio

a latere.

Al mio nome risponde nello specchio

un corpo di lettere e parole.

Do il buongiorno alle ortensie

e non so come annunciare

al giardino la mia partenza.

Vado a capo.

Scendo a sud.

A pie’ di pagina

sarò una breve nota

per un po’.

Al confine del mio tempo

dimenticherò le rose e il gelsomino

la passiflora e le ortensie

la salvia e il rosmarino

il glicine, i gerani

le ore e i minuti

le chiavi appese all’ingresso

la casa e tutto il futuro che contiene.

Vado a vivere nel tempo sommerso dell’amore.

 

 

 

Il groviglio

 

Cerco una scusa per pregare,

trovo una rosa schiusa e una casa

chiusa: scale, specchi,

ferri vecchi in soffitta,

i miei denti da latte.

Trovo il primo bacio

fangoso e senza linfa,

il primo orgasmo

di terra fredda e nebbia.

Il chiasmo perfetto

lo cerco e mai lo trovo.

Cerco l’amore, trovo la memoria.

Cerco una nenia lieve

trovo un’aria nota della Bohème

l’irriverenza recitata a soggetto

il coltello fra i denti

il groviglio

un foglio bianco

un amore intatto, a dispetto del tempo

tempo nuovo, a dispetto di tutto.

 

 

 

Nostalgia del presente

 

Mi commuove la mia casa

da quando non è più mia.

Mi trema il cuore

quando cammino scalza

sul pavimento fragile del tempo.

Ha durata breve

il giro della giostra.

Oggi ho trovato un sorriso

chiuso in un cassetto,

un dono, un nodo.

Mi commuove la mia vita

da quando so che non è più mia.

Sono un miscuglio di cellule e mistero

la somma di mille vite non mie,

la sottrazione di tutto il tempo futuro

che la mia età non sa contenere.

 

 

 

 

Un caffè

 

Prendo dalla vetrina

una tazzina buona

e penso alle cose che amo e che non ho

alle mancanze,

ai vuoti che la vita non rende.

Riempio il foglio bianco

del vivido colore di vivi desideri

accantonati, accatastati

uno sull’altro, come mattoni.

Costruisco

con parole cattedrali

accessibili a chi non sa pregare

a chi parla col mare

(se non visto)

a chi aspetta alla controra

un bacio o un caffè

e sa che il tempo non invecchia

se quando è notte

a bassa voce

parla con gli angeli.

 

 

 

Astolfo sulla luna

 

Non mi basta mai

il cuore che divoro.

 

Inciampo nella fame.

Mastico sangue e pane.

 

Astolfo sulla luna

mi lecca le ferite.

 

Guardo la terra da qui

e so di non esistere.

 

 

 

L’ora delle cose impossibili

 

Se mi cercate,

sono nascosta

fra le lettere del mio nome.

Sono nel vento che asciuga capelli e lenzuola;

nella mia fantasia infeltrita,

sulla punta della lingua,

pronta a sciogliermi

in baci e parola

per chiedere alle nuvole che ora è.

 

È l’ora delle cose impossibili.

 

 

 

Il resto

 

Vivere per addizione

è un vizio di forma,

si vive di ciò che resta

dopo tutto l’oblio.

Si sottraggono gli istanti

alla somma dei giorni.

Resta il cielo

respirato a cuore aperto.

Resta lo sguardo puro

di quando il mondo era

sognato e non ancora

sciupato da mani avide

e pance ingorde.

Il resto si dà per sottrazione.

 

 

 

Propositi

 

Sviscerare il cuore.

Seguire il vento.

Accarezzare il profilo

delle cose.

Annusare nell’aria

le stagioni.

Aprire il cuore come si apre

all’alba una finestra.

Respirare il cielo.

 

 

 

Doris Bellomusto si è laureata in lettere classiche presso

l’Università della Calabria, insegna materie letterarie al

“Liceo G. Pascoli” di Barga (LU), dove vive dal 2011.

Non ha mai dimenticato né i suoi studi classici né le

sue radici meridionali. Dalle sue inestinguibili nostalgie

sono nate le raccolte di poesie Come le rondini al cielo

(edizioni Tracce, Marzo 2020); Fra l’Olimpo e il Sud (Poetica

edizioni, Luglio 2021); Nuda (Ladolfi editore, Giugno

2022).

Ha scritto per la casa editrice Le Pecore Nere l’albo Ti

abbraccio, Teheran illustrato da Tiziana Tosi.

Da gennaio 2024 è direttrice della neonata collana di

poesia “Foglie” della casa editrice Le Pecore Nere, di cui

firma il primo volume.

 

 

" sospesi e danzanti fra la povertà e la ricchezza del vuoto"

VIRGINIA VELUDO, qualunque forma esca sarà migliore della prima ,Edizioni Effetto, 2024

 

Iniziamo a leggere questa interessante raccolta poetica e appare subito chiara la ricognizione di un universo quotidiano da comporre e scomporre. Ci sono relazioni affettive, oggetti, stanze come luoghi deputati imprescindibili ai fatti, ricordi e presenze, soggetti rassicuranti e altri portatori di negatività. Il linguaggio è quello della descrizione, nonché della presenza-assenza, possiamo dire della “non appariscenza” all’interno di una versificazione semplice. Semplice qui sta per essenziale ricerca della parola che segue il pensiero, una parola che si mette a nudo, mai semplicista. Infatti Virginia Veludo non ha bisogno di immagini da bella mostra, obbedendo a un gioco-sfoggio manieristico fin troppo diffuso. Lo stesso io della poetessa si fa piccolo, rimane confinato dietro all’io narrante, apprezzabile risultato di una poesia lirica che si allarga a tutti. Bellissima la sezione contenente poesie per la figlia, Pensami al centro del papavero, e la profonda leggerezza espressa. Ancora le riflessioni sul vivere e sullo scrivere, filo rosso della silloge, parallelamente a quelle sull’identità. Tutte le fragilità, tutte le debolezze proprie di chi scrive e di altre persone più o meno conosciute. In quarta di copertina Veludo ci dice : “Questo libro esiste perché le certezze non esistono. Ogni vita, ad un certo momento, sembra aver raggiunto la sua forma definitiva. Ma se poi arriva un colpo violento e improvviso, e tutti i pezzi vengono buttati per aria? A volte si soccombe, a volte invece si ha una rivelazione: non esiste una forma definitiva della propria vita. E dopo che il puzzle è stato buttato per aria, soprattutto se hai accanto qualcuno che ti aiuta a rimetterlo insieme, magari uscirà un’altra forma. Ma sarà migliore della prima”.

 

 

 

 ( nota di lettura di Elisabetta Beneforti)

 

 

Puzzle

 

Era pronto,

c’era voluto del tempo,

tanti pezzi piccoli e simili.

 

Era finito.

 

Un colpo violento

l’ha gettato a terra

senza curarsi della ragione.

 

Parti disperse e sparse.

 

Una mano piccina,

fiduciosa e paziente,

ha iniziato a ricomporlo:

 

qualunque forma esca

sarà migliore della prima.

 

 

 

Le lenzuola da cambiare,

 

il tappeto da aspirare,

la maglietta, ai piedi del letto,

 

da lavare.

 

Il calzino lì disperso,

vicino al termosifone

 

da accoppiare.

 

La giacca sospesa senza spalle di pelle da appendere,

confezioni di pacchi diversi e vuoti da riciclare.

 

In bagno il dentifricio svetta senza tappo:

 

si compiace

di non esser giudicato.

 

L’asciugamano viola del bidet se ne resta un po' triste

stropicciato.

 

Che serenità e che pace questo stare senza posto

di oggetti mescolati,

che libertà che avete qui di straripare,

di restare senza sguardo.

 

Tutto qui stabilisce dove stare.

 

 

 

Vorrei saper scrivere una poesia

 

Vorrei saper scrivere una poesia

che riesca a trasmettere infinità,

che ispiri nel cuore di chiunque la legga

quanto infinito mi stai regalando.

Forse la morte degli altri ha il suo senso,

nel vuoto che lascia che è spazio aperto

non è una mancanza ma un pieno che esonda

esonda di vita che è anche l’incontro

di noi occhi bagnati e sorrisi ammaccati

che abbiamo uno scopo e i nostri discorsi

avrebbero senso stampati e gridati.

 

Vorrei saper scrivere una poesia

che renda l’idea dell’in più che mi dai,

ogni volta mi spiazza, mi scopre e mi sposta

mi siede su un punto sempre diverso.

Che sforzo tentare di darti risposta

e che delusione ogni volta che perdo

quell’orientamento che, dici, ho dentro.

E poi non è vero che non mi fido di te,

tu non sai che gioia mi dà darti gioia,

sapere che è gioia per te darmi gioia…

che cosa reciproca e strana che è questa.

 

Vorrei saper scrivere una poesia

che renda anche il gusto e il sapore dei cibi

che insieme scegliamo e mangiamo ubriachi.

Vorrei anche trovare parole più belle

per definire questo miscuglio,

una massa confusa di tanti momenti.

Sarebbe anche utile catalogarli,

farne cartelle ordinate su schermo

ma è meglio che invece rimangano così

così indefiniti che sono infiniti,

così indefiniti che restano vivi.

 

Non so proprio scriverla questa poesia

dovrebbe finire eppure mi sembra

di avere qualcosa ancora da dire,

che vedi me stessa ogni volta che arrivo,

che son sempre altro ogni volta che vado

lo sento nel cuore anche se non lo vedo.

Adesso ho imparato anche quella manovra

tra tutti i tuoi oggetti lasciati in cantina.

Vorrei saper scrivere una poesia

che renda davvero l’idea di infinito

che grande regalo che sei, che alleato!

 

Ti chiedo di avere pazienza con me,

son come un bambino che impara a parlare

ho le coordinate, la bussola, il radar…

ti chiedo di avere pazienza con me,

ho scritto dei versi che son troppo lunghi,

non hanno una forma, nemmeno una rima,

ti chiedo di avere pazienza perché io fatico

a dire ogni volta come mi sento,

procedo a tentoni, per tentativi

e lancio segnali di fumo confusi.

 

 

 

 

Rossa perpendicolare

 

Pensami nel centro del papavero

perpendicolare sul cemento

nel suo prepotente colpo d’occhio

sui bordi storti delle autostrade

 

pensami nel suo rosso acceso

vivo e coltivato dallo smog

e che nonostante tutto avanza

testardo tra cespugli intricati

 

e sale

tra le erbe e su ogni viale

tra lo sporco abbandonato

per le strade e su ogni prato

rosso perpendicolare

 

pensami nel suo centro nero

nella geometria del suo pistillo

pensami selvatica e vibrante

gonna di donna, gonna di seta

 

e pensami viva in ogni petalo

nella sua delicata vertigine

che anela, che tende, cresce e avanza

tra i piedi distratti di chi passa

 

e sale

tra le erbe e su ogni viale

tra lo sporco abbandonato

per le strade e su ogni prato

rosso perpendicolare

 

pensami dentro al mese di Maggio

quando sul ciglio dei marciapiedi

il caldo coccola e non opprime

quando i prati diventano quadri

 

e infine

spargimi

tuffami

sdraiami

 

mentre respiri l’aria rubina

sul tappeto che acceca e si addensa

che tanto più tu cammini assorta

quanto più tenacemente appare

 

cresci anche tu

rossa perpendicolare

 

 

 

 

 

 

Davanti allo specchio

 

Pittori cubisti frantumano i visi:

così io mi vedo talvolta allo specchio.

 

Un occhio va a destra, quell’altro va in fronte,

narici divise camminan sul volto,

le mie sopracciglia diventano denti,

le orecchie si mettono al posto del mento.

 

Qualche attimo dopo, mettendo più a fuoco

mi vedo la forma che inizia a mutare.

 

Lo specchio ora è quadro di un surrealista:

la faccia diventa un lembo di burro,

diventa di cera, mi cola sul collo.

Se prima ero dura ora sono più lieve.

 

Non sento più gli angoli, sento le gocce,

son gocce di corpo che crollano a terra.

 

Le sento sul dito, ne sento il frastuono,

le sento cadere, entrare più a fondo,

bucare il suo centro, bruciarsi nel mezzo.

Son quasi vicina, davvero, lo sento

 

e sento qualcosa, quel po' di calore,

un utero caldo in cui ritornare,

 

è quasi il processo dell’evaporare…

poi quella figura d’un tratto svanisce:

c’è solo una linea tracciata per caso,

la vedo partire dall’angolo in basso,

 

non ha direzione, mi sembra indecisa,

forse l’ha presa per mano un bambino.

 

Davanti allo specchio talvolta mi guardo,

mi guardo ma vedo soltanto un abbozzo:

abbozzo di faccia, di menti, altre menti,

abbozzo di faccia, di altri altrimenti,

 

abbozzo di faccia allo specchio stampato,

abbozzo di faccia, d’artista impacciato.

 

 

 

 

 

Tregua

 

Le cose da qui sono meno severe.

 

Oggi il quartiere mi ha fatto un regalo:

tra un mio passo ed un gregge

e uno scorcio di uccelli col loro frusciare

 

il cielo

si riempie di prato

il prato

si riempie di cielo.

 

Di colpo mi placo.

 

Mi siedo

ed aspetto

che spunti un altro pettirosso

che un’altra pecora si fermi

per caso

a guardarmi

 

senza domandarmi

chi sono.

 

 

 

 

Copie

 

Siamo copie di copioni copiati da copie di copie prima

                                                                                     [di noi.

 

Strappa tutto.

Ricomincia.

Foglio bianco.

Riscrivi.

 

 

 

Virginia Veludo è nata nel 1989, laureata in filosofia, insegnante, mamma . E nient'altro. Perché Virginia non ama parlare di sé. In un'epoca di continua visibilità non ama neppure apparire. Eppure il suo mondo interiore appare, e molto chiaramente, attraverso le poesie che scrive : il suo sguardo è in continua evoluzione, mostrando la relatività dei punti di vista.

 

 

" Chiamerò il nome tuo

a rimbalzare lungo la parete"

 

 

Patrizia Baglione, Madre che resta, 2024

Foto di copertina: Valentina Picco

Progetto grafico: Salvatore Scandura

 

Postfazione : Francesca Del Moro

 

 

Con quale lingua è possibile parlare di un figlio mai nato, con quali accenti dare voce alla collana di immagini e pensieri di dolorosa mancanza, di rinascita, di speranze sottaciute? Non è mai immediato offrire una narrazione riguardo all’aborto (sia accidentale o volontario non cambia la riflessione) e l’attenzione rivolta da Madre che resta è una bella e necessaria testimonianza in forma di silloge. O forse si dovrebbe considerare come un poemetto dalle plurime espressioni, sfaccettature di un prisma che contiene più luci e altrettante zone d’ombra. Patrizia Baglione ci consegna la sua esperienza, che da personale si fa straordinariamente comune ad altre donne in un cammino di continue cadute e coraggiose riprese. La parola poetica si muove intorno a nomi, desideri, amore e rifiuto, volti e nostalgie, costantemente allacciati con richiami a elementi naturali. C’è il corpo della madre e c’è il corpo del bambino mai nato, congiunti e distanti in un dialogato stretto. Non manca il tema della separazione con i suoi abbracci impossibili, né mancano gli impercettibili fili che stentano a sciogliersi. Vita e morte alla fine scorrono fluidamente insieme, soccorrono l’elaborazione del lutto e la convivenza con questo, lasciano il campo alla sincera compassione piuttosto che ad una consolazione banale. Le consonanze e le distonie nella storia di questa madre che resta riassumono un intero mondo di affetti, l’amorevole malinconia come autentico lavoro poetico.

 

 

 (nota di lettura di Elisabetta Beneforti)

 

 

 

Provo a scrivere parole

che non hanno avuto ossa,

né padri. Verbi senza cuscino

su cui posare il capo; viso

che cede al minimo gesto.

Non ha avuto terra la mia costola,

né occasione di cospargersi

nel bianco dell’ultimo occhio.

Sono senza storia le mie ferite:

uno sguardo nel vuoto, l’altro

nel petto.

 

 

 

 

Vieni e ascolta

ho da dire veli di cicale,

canti eterei di dura bellezza

— foglie e nuvole

che osservo per te.

 

 

 

 

In principio era la caverna la tua dimora.

Accogliente aspettava

di vederti crescere le gambe.

Come una sorta di parabola, le mie,

sorreggevano il mondo intero,

ma non bastava.

Serviva qualcosa di più forte.

Una matrice di ruggine o metallo che,

seppure dura, ci apparteneva.

 

 

 

 

Possiedo giorni che non sono giorni,

piuttosto un ventaglio con cui fare

i conti; tane per nascondersi,

buchi da riempire. Giorni

come finestre chiuse.

 

Lume lieve in direzione della sera,

un’alba timida solo al pensiero.

A restare, ricordo bagnato,

l’ecografia che attesta la tua presenza.

 

Tutto in frantumi sopra il tavolo.

 

 

 

 

Mio figlio è venuto a portare pietre.

Leggo in alto il suo nome:

è scritto in rosso.

Ha la pelle cadente,

una bocca

dal sapore di minerale.

 

Tutto in lui è cancellazione.

 

 

 

 

Prova a ricordare le giravolte

in quegli abiti troppo adulti.

Tra le pieghe delle lenzuola,

danzare ci sembrava l’unica

cosa possibile. Era come

scansare via i brutti pensieri:

con una mano a tenerti stretto,

l’altra, a varcare ogni perimetro.

 

 

 

 

Siamo madri di figli

non venuti al mondo

la terra è arrivata prima

inondando il cerchio.

                    La terra

ha divorato il senso

per mostrarlo, nudo

di una sola pelle,

di una sola fortuna.

 

 

 

 

Ho chiesto al porto

di ancorare a sé

ogni disgrazia,

portarsi a fondo pagine strappate:

siamo pesci di mare contratto.

Dalle ceneri

risalgono a galla

gli istanti

di ciò che eravamo.

 

Lische e alghe

sono cose che restano.

 

 

 

 

Cercando una stella nell’ora blu

ho visto te, bambino di sale.

Col corpo di marmo,

di stagno, di un solo strato;

muovevi le braccia in segno

di pace.

Col corpo di luce, di aria,

di pane sputato.

 

“Mamma mi vedi? Son fatto di buchi”.

 

 

 

 

Fammi stare nella tua notte,

dentro la mia abitano guance

che non si toccano. Lasciami

seduta sul fieno grigio,

a pregare nel silenzio di un

solo istante. Conto carcasse

come anelli di albero:

 

ad ogni numero superiore,

un osso rotto del mio corpo.

 

 

 

 

Chiedo di proteggere questo mio corpo:

casa delle tue acerbe preghiere.

Sopra il tetto un canto di cicala

viene a sorvegliare la mia notte.

 

Tu e la notte, la sola ossessione.

 

 

 

 

Madre per sempre

che non scolorisce

resta minuscola

delle sue cose. Madre

di ibisco, di giallo

impazzito, mani di culla

per ogni frastuono.

Madre che è bocca,

ombra perfetta:

occhi a guardare

ancora due eterni.

 

 

 

 

 

 pioggiaobliquascritturedarte@gmail.com

 

 


 

" Pioggia Obliqua una rivista

affermata e prestigiosa."

 " Un grazie di cuore a 

Pioggia Obliqua i cui molti meriti nei riguardi della poesia non saranno mai abbastanza sottolineati."

 

Alessandro Fo

 

 

" Saprà o vorrà ancora la forza accumulata (...) resistere alla forza di omologazione che la tecnologia sembra inevitabilmente portare in seno?(...) Prevedo un lungo periodo di 'agonie', voglio dire di lotta (...) sarà probabilmente quella la forma e la sostanza del poetare che ci aspetta."

 

Mario Luzi

Da un suo scritto per Pioggia Obliqua a proposito

del  'senso di fare  poesia', gennaio 1996

 

 

" Io credo che un pò di silenzio ci faccia bene, c’è un coro di voci “troppo alto”, sgraziato, che ci sommerge, e non mi riferisco solo alla letteratura. In questa specie di “frullato” che siamo costretti ad ascoltare quotidianamente, il valore delle cose si perde.

 

Se c’è un attimo di riflessione, di

silenzio, la parola scritta o detta assume maggiore rigore."

 

 

Antonio Tabucchi

 

Intervista rilasciata a Luigi Oldani e

Elisabetta Beneforti per Pioggia Obliqua 

 

 


" Il sito Pioggia Obliqua mi ha "donato questa nota sul mio libro (...), ma l'intero sito è da seguire."

 " (...) e un ringraziamento per tutto ciò che P.O. fa per il mondo della poesia."

 " (..) E la stima è da me ricambiata verso il vostro prezioso sito!"

 (...) sempre attenti e preziosi gli amici di "Pioggia Obliqua".

 

Bruno Galluccio

 

 

" Un bel luogo d'incontro tra scritture."

 

Matteo Pelliti

 

 


" Non so dire se la bellezza salverà il mondo, come pensava Dostoevskij, ma mi piace pensare che sarà così. In fondo, già Stendahl sosteneva che "la bellezza non è che una promessa di felicità". 

 

Vittoria Franco

per Pioggia Obliqua

 

 

" Agli amici tanto tanto amati di Pioggia Obliqua, poeti invincibili della vita, il mio abbraccio umile e il mio ringraziamento, per mantenere la poesia come unica veritá nel mondo."

 

Daniel Fermani Gonzales

 

 

 

 

" Rivista preziosa, che seguo da tempo."

 

Alfredo Rienzi

 

                 

 

 

 

                    

 

 

                  

 

                       Consigli di lettura

 

 

    

 Nella omonima rivista cartacea 'Pioggia obliqua rivista di letteratura e culture', pubblicata negli anni Novanta, una intervista a
Antonio Tabucchi,
Edoardo Sanguineti,
Mario Luzi. 
Un testo di Valerio Magrelli. 
Mario Luzi, Luigi Baldacci, Patrizia Valduga, Attilio Lolini, Gabriel Cacho Millet, Marco Marchi e Loriano Gonfiantini rispondono
sul senso di fare poesia in quegli anni.
Risposte attualissime.

 

 

 

 

 

 

 

 


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  • Poesia: Jeffery Harrison Poesie e un'intervista
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  • Poesia proposta: Canale, Lombardi, Merola, Tognoni, Bertone.
  • Poesia proposta: Gian Luca Guillaume, Luca Ispani, Filippo Amadei
  • Poesia proposta: Di Gennaro, Repossi, Rimolo
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  • POESIA : Jean Soldini
  • Poesia : Daniela Zambrano - editi e inediti
  • Poesia proposta : Manuela Mori, Selene Pascasi
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  • Poesia proposta: Vera D'Atri
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  • Poesia Proposta: Valerio Succi, Michela Gorini
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  • Poesia Proposta: Alessandro Monticelli
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