Henri Cartier-Bresson, In America
Lucca Center of Contemporary Art
fino al 11 novembre
Man Ray, Wonderful visions
Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea
San Gimignano
fino al 7 ottobre
Siamo nel pieno del xx secolo, vale per Ma Ray e per Cartier-Bresson anche se sfalsati di un paio di decenni, lontani nel tempo ma in realtà così tangenti al cuore della fotografia attuale da apparire ancora come rivoluzioni in corso. Sarà perché maestri riconosciuti in questa Arte o per i loro percorsi all’insegna dell’espressività assoluta nonché della sperimentazione senza reti di salvataggio. Sarà per questo e altri fattori che i due fotografi rimangono a tutt’oggi ineludibili esperienze con cui raffrontarsi, e non tanto per ribadire stilemi o composizioni quanto piuttosto per la buona lezione di scandagliare i territori – quali essi siano, dove essi portino. In quelle latitudini temporali un fotografo aveva a disposizione il poco che li precedeva – davvero poco a confronto con quanto li avrebbe seguiti – e tecniche davvero ‘basiche’ se pensiamo alle attuali del terzo millennio. Anche senza farne una questione né di Storia né di storiografia, resta che sia Man Ray sia Cartier-Bresson hanno vissuto la fotografia come invenzione e come suggestione. ‘Vissuto’ prima ancora che ‘realizzato’, in occasioni cercate a 360 gradi. Queste due mostre ancora in corso ci offrono non solo l’occasione di un autentico piacere estetico ma anche l’opportunità di rivisitare importanti immagini e le poetiche sottese.
È attraverso l’economia dei mezzi che si arriva alla semplicità dell’espressione, parole di Henry Cartier- Bresson che valgono da sole il suo pensiero significativo. E ancora: Fondamentalmente, non è la mera fotografia che mi interessa. Quello che voglio è catturare una frazione di secondo della realtà. Fotografare secondo Cartier-Bresson nel suo viaggio oltreoceano è un affare della Storia e del suo portato umano, sociale. A più riprese in un arco di tempo che va dagli anni ’30 ai ’70 e attraversando in lungo e in largo gli States, è l’umanità nel suo complesso che gli interessa, quei soggetti che nei propri luoghi di appartenenza nel mostrarsi offrono commento del loro status. Nessuna classe viene esclusa e sempre nel massimo rispetto, si potrebbe anche chiamare affetto sincero: upper, mid, workers, immigrati, black people… Cartier-Bresson In America, corpus di 101 fotografie in bianco e nero certo molto meno ‘patinato’ dei suoi lavori europei. Qui non costruisce fotografie ammiccanti allo sguardo, ma semplicemente raccoglie testimonianze che porge nella più pura autenticità. Come dire, molto cuore e pochi trattati dietro queste sue foto americane. Ci sono immediati contrasti nella composizione e nelle scale dei grigi, ci sono elementi armonici e giustapposizioni di soggetti in ordine solo apparente. Il fotografo deve cogliere la vita di sorpresa, appena si alza dal letto. Notte o giorno, interni o esterni, non fa differenza perché non esistono temi prescelti in modo particolare. Tutto risulta esatto nella sua complessità. Una parte della mostra viene dedicata a una bellissima galleria di ritratti, intensi perché colti in un improvviso che spesso esclude la posa. Marilyn Monroe, Faulkner, Calder, Martin Luther King, Balanchine, Capote, Stravinsky…Cartier-Bresson ha questa straordinaria capacità di cogliere e fermare gli sguardi, senza mai cadere nella facile iconografia del personaggio famoso. Sono ritratti colmi di impressioni e significati, come se con lo scatto arrivasse a portarne fuori anima e attitudini. Espone insomma quanto ‘vive’ dentro e intorno alle persone. Indimenticabile “Trombettista jazz e sua moglie” a New York nel 1938, al pari degli altri con celebri personaggi.
Notabili coincidenze nelle vite, scambiarsi i continenti come giocare ai quattro cantoni. Se Cartier-Bresson è stato il fotografo francese impegnato in più reportage sul suolo statunitense, Man Ray è stato l’artista americano vissuto a Parigi fra le due guerre. Nella grandezza artistica di entrambi tuttavia si avvertono subito i loro differenti approcci e percorsi. Cartier-Bresson era il fotogiornalista della Magnum e le sue sono immagini ‘trovate’, vale a dire raccolte alla ricerca del cuore dell’evento e delle scintille che ne sono sorte. Man Ray aveva nel suo studio il luogo deputato per le esplorazioni a venire e lì viveva di pittura e fotografia in una osmosi continua. Io cerco e ho sempre cercato la fusione fra pittura e fotografia. Si completano a vicenda, il conflitto tra loro per me non esiste. La mostra a lui dedicata offre testimonianza proprio delle direzioni in cui si è mosso, quelle cioè relative alle immagini ‘costruite’, fossero esse i ritratti ufficiali di letterati e artisti della libreria di Sylvia Beach o le composizioni da pura inventività dada. Invece di “riprendere un’immagine”, desiderai “fare un’immagine”. Divenne dunque necessario prendersi certe libertà con la tecnica, oltre che con il soggetto……da una modifica del procedimento meccanico si può giungere a un’interpretazione più originale, anziché limitarsi a registrare ciò che il fotografo si trova dinanzi. Attraverso le foto di donne bellissime (quei corpi sconosciuti e corpi desideranti di Kiki, Dora Maar, Meret Oppenheim) Man Ray esprime e sublima il suo erotismo. Nei suoi scatti arriva ad accarezzare volti e gesti, compone gli elementi con sovrapposizioni o giustapposizioni. Anche in camera oscura si affaccia sempre oltre, in quella ricerca che lo porta a riprendere la tecnica della solarizzazione e in seguito del processo rayografico. Nel primo caso, si tratta di esporre per pochi secondi alla luce bianca un ritratto per ottenere un ‘ritratto contornato’- si vedano quelli di Breton, di Braque, di Juliet Man Ray, di Lee Miller. Il Rayogramma consiste in immagini ottenute mediante l’impressione di oggetti su carta sensibile e fattivamente risulta ridottissimo il confine fra fotografia e pittura. Tanta eleganza e tanta irriverenza nei lavori di Man Ray. Lui inventava e inventava, poi andava subito oltre, anche producendo immagini da scandalo in un divertissement puro e ribelle. È il caso dei suoi autoritratti come Rrose Sélavy ed altri rigorosamente en travesti. Testimone a tutto tondo dei movimenti culturali del suo tempo, come questa mostra Wonderful visions tiene a confermare con un bel corpus di fotografie ormai icone dell’immaginario collettivo. Non solo. Al pari di Cartier-Bresson, continua a raccomandarci di guardare sempre all’interno e oltre il mero soggetto/oggetto fotografico e di non considerarlo mai il passo risolutivo di un percorso, fuori da manierismi e sterili followers.
Che cos’è una bella foto?
Che cos’è una bella donna?
Non so dirlo.
Che cos’è una pittura astratta?
Che cos’è una pittura figurativa?
Non so dirlo.
Io faccio solo non-astrazioni.
Se oggi prendo posizione,
domani dovrò contraddirmi.
Perseguire la libertà e il piacere
cancella tutte le idee. Se c’è
contraddizione poco importa.
Una linea, un triangolo, un volto,
un uovo, sono tutti un propizio punto
di partenza per un’avventura.
Ho sempre invidiato coloro
per i quali un’opera è un mistero.
[ Man Ray, senza data – forse dopo il 1951]
Elisabetta Beneforti