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Una conversazione

con

Sonia Bergamasco

a cura di Carla Chiti

 

 SONIA BERGAMASCO

 

Attrice colta, versatile, efficace sia nei ruoli drammatici  che in quelli brillanti, Sonia Bergamasco ha lavorato con i più grandi registi  sia in ambito cinematografico che teatrale,  ma la musica  ( è diplomata in pianoforte al conservatorio di Milano) riveste da sempre un ruolo fondamentale nel suo percorso artistico. E’ stato il suo incontro con Carmelo Bene a spingerla a far confluire le sue esperienze musicali verso la ricerca sulla vocalità e in più occasioni ha tenuto a ribadire come il suo campo d’indagine rimane  il dialogo possibile tra musica e teatro. La sua attività come cantante e voce recitante l’ha portata a lavorare  sia in ambito concertistico che ad incidere lavori di grande importanza come il ‘Pierrot Lunaire’ di Arnold Schoenberg.

L’intervista  che segue va in questa direzione  e cerca di  capire le ragioni e i progetti

legati al suo profondo interesse per la musica , la ricerca e la sperimentazione vocale.

 

 

 

 Carla Chiti: Mi colpisce molto l’uso che fai della tua voce  che gioca spesso a diversi livelli:

cantato,  parlato ad es. e che comunque riflette un interesse preciso per tutto quel che riguarda il lavoro sulla vocalità. Da dove proviene questo interesse?

 

Sonia Bergamasco: Da lontano ed in una maniera molto naturale…nell’artificio!! Ti spiego. Ho studiato pianoforte e musica prima di avvicinarmi al teatro; il pianoforte e lo studio musicale è stato per me il primo studio e per lungo tempo l’unico studio.

Mi sono poi avvicinata al teatro quando stavo per diplomarmi  perché sentivo la necessità di prendere una strada diversa da quella della pianista, della solista, comunque della musicista pura. Però il linguaggio musicale, il linguaggio relativo al suono era dentro di me, quindi anche il mio approccio sia alla letteratura o ai testi  e in genere a tutto ciò che avvicinavo in ambiti che non fossero quelli  propriamente musicali , era contaminato dalla musica, felicemente contaminato. Io però non lo sapevo, non ne ero completamente consapevole perché comunque vivevo “nelle acque della musica” . Me ne sono accorta ,ed è stato  quasi uno shock , nel momento in cui  ho fatto gli esami per la scuola del Piccolo di Milano, quando Giulia Lazzarini mi si è avvicinata nel corso delle prove  e mi ha detto “Tu Sonia, solfeggi il testo” ; ma per me, non era una cosa strana , anzi, per me era l’unico modo

ed è stato a lungo un handicap nel senso che  quando mi chiedevano il perché

di una certa articolazione delle frasi,  io non capivo affatto; dal mio punto di vista

non era neppure una costruzione , ma un naturale sviluppo di quello che io sentivo

o ritenevo necessario.

Per cercare di fare il vuoto rispetto a questo,  per riprendere, facendo però  tesoro di

tutto quello che avevo come retaggio musicale,  c’è voluto molto tempo.

 

 Hai  mai studiato tecnica vocale ?

 

Non propriamente.  In conservatorio avevo il mio strumento principale (pianoforte) e canto corale, come tutti. Non avevo fatto studi di canto specifici fino a quel momento.

Quando ho cominciato la scuola del Piccolo ho sentito che lo studio vocale,

lo studio del canto,  da attrice, poteva riavvicinarmi al  linguaggio musicale da

un altro punto di vista, più  fecondo anche. Ho preso anche lezioni, oltre allo studio che si usa fare nelle scuole di teatro e che spesso però è alquanto generico ( Brecht viene saccheggiato  maldestramente e impunemente  come puoi immaginare..) quindi ho studiato canto con un’insegnante milanese -canto lirico- e questo devo dire in parte mi è servito per  ..diciamo  ..per i principi basilari di tecnica; ho studiato con lei per quasi due anni ma ho poi deciso di lasciare  perché desideravo sì, avere dei principi tecnici più solidi , ma avevo  chiaro che non desideravo  andare in quella direzione:  non era quello il percorso che volevo intraprendere e forse…non potevo neppure. L’incontro con Carmelo Bene è stato sicuramente  la svolta: il lavoro sulla parola, sulla sua musicalità che ha significato un nuovo modo di essere attrice, un nuovo modo di rapportarmi alla musica.

 

 

 Prima accennavi anche a Gabriella Bartolomei..

 

 Infatti, con lei ho avuto la fortuna  di studiare per un certo periodo.

L’ho cercata e sono venuta in Toscana nella sua casa di campagna proprio per studiare con  lei.

Quello è stato per me uno studio e una ricerca importantissima: ha significato avvicinarmi ad un territorio misterioso , enigmatico;  era il territorio della voce che veramente mi interessava esplorare e Gabriella Bartolomei è uno dei pochi artisti italiani ma non solo italiani che si è avvicinata al  mistero della voce, in maniera

magistrale. Non la ringrazierò mai abbastanza per tutto ciò che mi ha dato, per gli

orizzonti che con lei mi si sono aperti proprio sul terreno delle possibilità  che uno strumento incredibile come  la voce umana, può  avere. Con lei ho imparato a cogliere  quello che ogni parola o suono poteva suscitare in me  e quindi evocare e

creare un senso ulteriore . Lavoro bellissimo e fondamentale  per tutto ciò che avrei

fatto dopo.

 

 Nel tuo lavoro, quanto gioca la tecnica, quanto l’emozione, la voglia di comunicare; in molti casi  la tecnica può prevaricare e divenire un parametro

puramente ‘intellettualistico’

 

  Il virtuosismo non mi è mai interessato, non sono mai andata alla ricerca di quello

La tecnica mi interessa moltissimo perché è base, scheletro di tutte le emozioni possibili. Voglio comunicare qualcosa  attraverso la tecnica: la tecnica per la tecnica, ti ripeto, non mi interessa per niente; la tecnica va coltivata nel tempo, senza fretta…arriva  se ti concentri e vai in una direzione precisa..non è mai stata il primo impulso… dover fare qualcosa tecnicamente perfetto. No !!  Il primo impulso  è sempre quello di  chiarirmi quel fondo di emozione….di pensiero.. che deve essere raggiunto  o comunque..quanto meno..guardato.

 

 

 Quanto è  importante per te o comunque che ruolo riveste il rapporto coi musicisti? Lo prediligi rispetto ai lavori in solo  o sono, in ogni caso, due territori  che ti piace esplorare?

 

 Quanto più vado avanti, quanto più  mi piace lavorare insieme agli altri proprio

perché attingo da un territorio ‘altro’, materia per il mio e penso  che  possa essere la stessa cosa  anche per loro;  può essere un duo con pianoforte e voce come nel caso della collaborazione con Emanuele Arciuli meraviglioso pianista e musicista col quale ci siamo ..scambiati i ruoli.  Ho lavorato anche con Vsevolod  Dvorkin  magnifico pianista moscovita che vive in Italia e col quale ho anche inciso un’antologia di melologhi; ho collaborato  in varie occasioni col Maestro Azio Corghi e negli ultimi tempi   col Centro Tempo Reale di Firenze  e tutti i meravigliosi musicisti che lo animano che mi ha permesso di  intravedere ancora nuove possibili direzioni nel campo della ricerca vocale.

 

 Sempre a proposito di ricerca vocale  mi ha colpito un po’ di tempo fa la risposta che Meredith Monk dette ad una giornalista che le chiedeva se avesse paura di perdere la voce. Di fatto la Monk aveva risposto che come dai limiti fisici aveva imparato a trarre nuovi stimoli per il movimento così anche i limiti vocali non dovevano costituire un ostacolo ma anzi un stimolo per raggiungere ‘altre vette’. Sei d’accordo sul concetto del ‘limite’ come ‘punto di partenza’ ?

 

 Sì.  E’ un concetto che mi ricorda Carmelo Bene che dell’handicap faceva

il suo trampolino di lancio per andare oltre, della difficoltà, della mancanza faceva

i suoi punti di forza e proprio dal suo ‘balbettare’si è inventato un canto, un canto possibile per il teatro e quindi mi ritrovo perfettamente su questo concetto del limite

che è comunque sempre la voglia di andare oltre, di ricercare  nuove possibilità..

In fondo , l’unica possibilità che ha  un artista di… andare avanti

 

 Credo che spesso chi lavora sulla voce ,e  lavora ad espandere il vocabolario sonoro dello strumento voce , si ponga il problema di costruire un proprio vocabolario espressivo. Senti di essere arrivata a creare un tuo vocabolario?

 

No, io spero di no perché questo significherebbe  che io  mi appoggio su qualcosa

di certo o so che posso attingere a cose conosciute.

Io invece aspiro  e cerco ogni volta di fare il più possibile tabula rasa  per poter ..rilanciare ; capisco ed è inevitabile che l’artista possa avere una propria cifra  e che tu  quindi lo puoi  riconoscere, lo riconoscerai..

Ma, per quanto mi riguarda, mi piace immaginare, pensare di lasciarmi 

per ogni cosa, per ogni elemento che viene indagato, elaborato, la possibilità

di riprovare da capo, senza appigli…una sorta di ‘nuovo inizio’…sempre..

 Cosa pensi dell’elettronica applicata all’uso della voce. Qual è il tuo rapporto con la tecnologia?

 

 Per fare un esempio specifico: nel lavoro realizzato insieme a Tempo Reale di Firenze ‘Esse di Salomé ‘ ho sperimentato delle vie nuove per me. Io non ho mai praticato l’elettronica in solo e con loro ho sperimentato  delle possibilità  attive di dialogo con l’elettronica; non l’elettronica come tampone per delle possibilità vocali che altrimenti non verrebbero fuori ma come una compagna di dialogo  che rafforza

tutto  il discorso artistico..una possibilità  in più che espande e amplifica il percorso

della voce che acquista così  nuovo senso  e una nuova ‘drammaturgia’.

 

 Con un bagaglio musical-teatrale alle spalle  qual è il tuo rapporto con la macchina da presa?

 

 Mi piace pensare che al centro resti sempre l’ascolto , e comunque anche nella

situazione specifica dell’attore per il cinema,  cerco di ricondurre  anche in un ambito che sembra di per sé  non aver nulla a che fare  con il musicale,  un’esperienza profonda di musicalità : ascolto nei confronti  del regista, degli altri attori,  del perché di quel momento , dei mille rimandi  che possono avvenire; quello che voglio dire è che, sia si tratti di cinema  o teatro o televisione,  alla fine, i meccanismi su cui mi muovo, sono gli stessi.

 

 

 Quando scegli un lavoro, qual è l’elemento che ti fa decidere: il valore di un testo, le qualità del regista,  un personaggio di cui ti ‘innamori’?

 

 In teatro, da anni ormai il percorso è di scelta del tutto autonoma e quindi cerco quello che veramente voglio fare , scelgo io, cerco  i miei compagni di lavoro

e me ne assumo l’intera responsabilità. Per il cinema o la televisione la situazione è

completamente diversa nel senso che vengo cercata  ma anche in questo caso scelgo ancora io se  accettare o meno. Mi chiedevi cosa mi fa decidere; sicuramente importante è un regista che stimo, o un cast che mi può ispirare e con cui penso si possa lavorare bene insieme. Può essere anche una storia.  anche se non puoi mai prescindere da chi poi racconterà quella storia, quindi dal regista o dal direttore della fotografia ,assolutamente  fondamentale. Posso anche innamorarmi di un personaggio - è successo spesso-  ma se poi lo racconti insieme a persone  che hanno una diversa visione dalla tua , non vai da nessuna parte.

Devo dire comunque che ho capito, col tempo,  che l’intuito può  aiutare moltissimo

nella scelta, molto più  di un ragionamento a tavolino. Ho imparato a fidarmi: l’intuito può  essere davvero una grande guida.

 

Che spazio ha un lavoro come il tuo in tempi ‘difficili’ quali quelli che stiamo vivendo e comunque  credi ci sia spazio per la ‘sperimentazione’ nell’ambito delle musiche di oggi e in generale nel fare artistico ?

 

 Posso dirti che quello che faccio, quello che cerco di fare credo sia  ..naturale

o, se vuoi, esiste per me, come pura necessità. Non ragiono mai nei termini del ‘fare tradizione’  o ‘fare ricerca’.Ti ripeto: il mio lavoro insieme a quello di molti altri,  esprime una necessità.. forte..che poi può  avere spazi sacrificati o di difficile visibilità  e affermazione   ma che non toglie valore al fatto che ciò che faccio è quello  che a me interessa  e mi sta a cuore  o che anzi , se vuoi, mi da’ piacere. E riguardo alle difficoltà dell’oggi , posso dirti che io, queste difficoltà  le ho sentite sempre, fin dall’inizio: ho sempre saputo che non sarebbe stato facile ma l’ho accettato da subito, l’ho messo in conto, nella consapevolezza comunque che tu puoi fare solo quello che hai deciso di fare, che hai voglia di fare. Ciò che vedi nei miei spettacoli  è quello che davvero  ho deciso di  fare  e cerco di farlo al meglio, senza dare mai per certo  e scontato   quello che sto facendo  ma andando avanti anche contromano, spesso invertendo rotta, ma cercando sempre nuove direzioni possibili .

 

 

 

 

 

 

 

 

Carla Chiti

 

Conduttrice radiofonica , si occupa da sempre  di musiche

di ricerca e sperimentali . Collabora inoltre con compagnie di danza e teatro

di cui cura la parte musicale .

Si è occupata di organizzazione di eventi e rassegne musicali  privilegiando

e  muovendosi nell’ambito  delle musiche non convenzionali.

Ha collaborato alla realizzazione di alcuni progetti discografici -di

cui  ha  curato l’editing- per alcune etichette indipendenti.

 

 

 

 pioggiaobliquascritturedarte@gmail.com

 

 


 

" Pioggia Obliqua una rivista

affermata e prestigiosa."

 " Un grazie di cuore a 

Pioggia Obliqua i cui molti meriti nei riguardi della poesia non saranno mai abbastanza sottolineati."

 

Alessandro Fo

 

 

" Saprà o vorrà ancora la forza accumulata (...) resistere alla forza di omologazione che la tecnologia sembra inevitabilmente portare in seno?(...) Prevedo un lungo periodo di 'agonie', voglio dire di lotta (...) sarà probabilmente quella la forma e la sostanza del poetare che ci aspetta."

 

Mario Luzi

Da un suo scritto per Pioggia Obliqua a proposito

del  'senso di fare  poesia', gennaio 1996

 

 

" Io credo che un pò di silenzio ci faccia bene, c’è un coro di voci “troppo alto”, sgraziato, che ci sommerge, e non mi riferisco solo alla letteratura. In questa specie di “frullato” che siamo costretti ad ascoltare quotidianamente, il valore delle cose si perde.

 

Se c’è un attimo di riflessione, di

silenzio, la parola scritta o detta assume maggiore rigore."

 

 

Antonio Tabucchi

 

Intervista rilasciata a Luigi Oldani e

Elisabetta Beneforti per Pioggia Obliqua 

 

 


" Il sito Pioggia Obliqua mi ha "donato questa nota sul mio libro (...), ma l'intero sito è da seguire."

 " (...) e un ringraziamento per tutto ciò che P.O. fa per il mondo della poesia."

 " (..) E la stima è da me ricambiata verso il vostro prezioso sito!"

 (...) sempre attenti e preziosi gli amici di "Pioggia Obliqua".

 

Bruno Galluccio

 

 

" Un bel luogo d'incontro tra scritture."

 

Matteo Pelliti

 

 


" Non so dire se la bellezza salverà il mondo, come pensava Dostoevskij, ma mi piace pensare che sarà così. In fondo, già Stendahl sosteneva che "la bellezza non è che una promessa di felicità". 

 

Vittoria Franco

per Pioggia Obliqua

 

 

" Agli amici tanto tanto amati di Pioggia Obliqua, poeti invincibili della vita, il mio abbraccio umile e il mio ringraziamento, per mantenere la poesia come unica veritá nel mondo."

 

Daniel Fermani Gonzales

 

 

 

 

" Rivista preziosa, che seguo da tempo."

 

Alfredo Rienzi

 

                 

 

 

 

                    

 

 

                  

 

                       Consigli di lettura

 

 

    

 Nella omonima rivista cartacea 'Pioggia obliqua rivista di letteratura e culture', pubblicata negli anni Novanta, una intervista a
Antonio Tabucchi,
Edoardo Sanguineti,
Mario Luzi. 
Un testo di Valerio Magrelli. 
Mario Luzi, Luigi Baldacci, Patrizia Valduga, Attilio Lolini, Gabriel Cacho Millet, Marco Marchi e Loriano Gonfiantini rispondono
sul senso di fare poesia in quegli anni.
Risposte attualissime.

 

 

 

 

 

 

 

 


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