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Giorni di Tokyo

di luigi oldani

 

Tokyo, impermeabile capolavoro

 

pregna di gentilezza d’oriente

ferisce di bellezza e vacuità,

ogni cultura sa pienare lei

Tokyo, ogni sogno di chi abita

col luccicare del mercato, sa

celarsi e apparire l’incredibile

che avanza, intanto il passato

è lì ammicca e lavora

assetato del presente  lontano.

 

 

 Ci sono volti bellissimi e puri

 

da catturare e aprire, toccare

e spremere, sono il  disegno 

preciso sull’orlo di un corpo

che ispira innocuo

precoce, è un inno al sottile

gioco nascosto di gemere

al buio, di premere nell’umido

sito, persi in una bellezza

crudele perché boccio caduco

perché invito al veloce sciupio

-che occorre sempre per dire la vita-

 

 

 

 Harajuku è un tempio che vive

 

è la vita e la grazia di vivere: 

domandiamo auspici e fortune

salute e pace questo è il tempio

Meiji Jingu dove l’acqua purifica

dove il battito delle mani

richiama attenzioni celesti

e terrene, nel verde di un parco

antico è l’anima vicina al moderno

al seducente  Omote Sando, 

essi vivono un’originale avventura

ed io con loro e mi scelgo

se in  quel tempo calarmi…

 

Ci sono bellezze, pulite

linee ti sfrecciano al cuore:

Omote Sando, il viale stanca

il mio sguardo- estenuante io-

 i volti sfidano la mia paziente

civiltà, mi ritiro in un castigo

e creo un riserbo casto

che dura  il volo di un corvo

gigante e giapponese, ostento

quel che ho, un confronto irto

di pericoli. Loro possono molto

e come gli aggrada mutano 

stranezze in auge che il loro è

un pulito bianco foglio su cui

tutto si segna, questo loro 

viso piano…

 

 

 Capelli folti rossastri-bruno

 

 

e le labbra carnose ti mordi,

quando la smetti e guardi il fumo

minuto dopo minuto con abilità

conto il tuo corpo e mi accorgo

che mi tocchi e mi posi il tuo

celato sguardo, è il tuo leggero

yukata che mi veste e mi compone 

e il vento alza le vesti e ci guardiamo

dai nostri posti lontani, vicino

è il colore blu, il cielo e il resto

è mondo.

 

Questo  è un giorno d’alba

su Tokyo la luce s’alza leggera

è la città indifferente e pregna

della vita che ruota ibrida

in un girone,  non si cheta il suo fumo

che abbonda in questo paradiso al neon

è un perverso fumo ordinato

che vela e quasi tinge a macchia,

ci si loda di sentire Tokyo addosso

salire e prendere la pelle: licheno

che cambia anche pietra

e macchia ancora, moderna, profonda.

 

 

Che siano i neri, blu, arancioni

 

 

bianchi, viola, rossi e celesti neon

la parola nuova del Giappone?

L’alfabeto, un grande fax riverso

ai cieli notturni il cui riverbero

certo arriva ogni dove e anche a noi?

Certo è che calmano, che amano

e fraseggiano ricchi e coloriti,

vivono con le persone, parlano

talvolta sono nelle loro menti

e in tutto ciò non si sa più chi

e dove sia la città che intorno

si muove come non mai

 

 

Tokyo con la sua prima incomprensione

 

 

aveva però Sara, una ragazza torinese

che con delicato passo mi ha parlato

io cieco, ha detto per me,

io nuovo muto, nella vacuità algida

dei primi giorni, lei è intensa, risoluta

precisa, di primo viso severa e indaga

ma a una avventura del viaggio

e dell’ironia non rinuncerà mai,

nella sua casa di Hanakoganei:

tatami e futon e ceramiche d’arte

incartate e messe via dal presente

celate, serbate quasi dalla passione

con cui le raccontava, alla dolcezza

per pochi, qui nel mio panorama

di una Tokyo invernale il suo volto

m’appare pulito e chiaro, che possa

dialogare con la mia ansia

di riserbo e il desiderio d’amicizia

nel groviglio che mi disegna.

 

 

Ogni metropolitana è l’aorta

 

del mio cuore per Tokyo,

si toccano misteriosi nomi,

è un  rito il viaggio in città,

una cerimonia della bellezza

moderna, pigiata, stanca e vivace,

 temo di non conoscere mai 

tutte le destinazioni, scrivo fugace

volti e profili nella mia mente

predatrice e ancora mi appare

l’immenso spazio pieno e fitto

ma l’immensa solitudine- che più

non cova- in questo saldo oriente

 è la sostanza d’ogni nostro gesto.

 

 

 

 Chissà che Kami Sama in questi templi

l’uno accanto al moderno,

sono un’ oasi che respira ancora

un al di là, uno spirito Naturale  

non compromesso, l’unico messaggio

è il dubbio che accarezza

le curve d’altri tempi del tempio

è forse un sogno costretto alla vita

e ci sfugge dunque, ci dissesta l’ansia

 oltre il varco-tori- è un piccolo

spazio da cui per un’ansa breve

fuggire e alzarsi in inno là,  al dove

e siamo più puri.

 

 

 

 

 Un tempietto buddista  a Shinjuku, vicino al parco Gyoen

 

 

 

C’è un vento e un profumo d’incenso

a Shinjuku est, è l’oriente dell’oriente

in un secolo indefinibile

che nessuno vorrebbe e invece è tanto

e chissà se anche questo vento che soffia

è un silenzio d’oriente, ambiguo:

cala in noi una figura strana

filtra e traduce ciò che forse

mai saremmo stati

e i giorni diventano chiari

perché nessun reale sarà 

quel che si vede, appare solo un consenso

alla vita o forse a una pacifica

fuga sempre e già in atto…

 

 

 

 

 

 

 Qui nel tempo di Tokyo non ci sei,

ci sono templi per capire

 a Tokyo si sente così l’amore,

 mi accompagna sicuro e solo,

città incomprensibile

 subito ma chiara come quando

mi guardi e mi ostino sempre

a non capire… quanto ho camminato

per Waseda dori con occhi

del futuro e quante volte dopo

 ho inneggiato al passato nascosto.

 

 

 

 

 Oggi le strade di Ochiai erano calme

e Shinjuku con il suo Tocho svettava

Waseda con gli studenti che passavano

e la Tozai-sen viaggiava sicura

i neon ancora più luminescenti

i cavalcavia tremavano ferrosi e sporchi

Takatanobaba era Baba per gli amici

e quando passavano le sirene erano

urla umane e i guanti bianchi 

dei tassisti e degli  autisti e gli inchini

anche al treno, i Kimono eleganti tra le bici

che sfrecciavano sui marciapiedi,

qualche fiore rosso resisteva fuori

dai parchi degli umè e dei sakura

così leggeri, scesi senza vento…

 

 

Kamakura

 

Kitakamakura dorme i fasti 

del passato e vive ancora, piano

di giapponesi in kimono, poeti

letterati, non so quale sia vita

vera, il passato oggi, o l’oggi

come un sempre domani,

vedo solo i templi, tetri e severi

bui all’interno, il Budda chiama

ma chi ascolta o prega dov’è? 

a Kitakamakura è ancora possibile…

portiamo a casa pulviscoli d’anime,

sapremo vederle e accorgerci

di un colore d’autunno rosso e giallo

nel fondo degli occhi sul metro

in città, nel discorso con l’amico,

nel buio del dolore e nei pomeriggi

futuri e grigi senza senso?

Città dei templi, dei colori, tu operi

un lento Giappone e lo immetti

nel futuro con un chiaro  sapore

che sa di nuovo passato ancora…

 

 

 

Sulla Seibu-Shinjuku Sen

 

un mattino, Io seduto allo sfrecciare

 di case  e ansioso d’un momiji,

due monaci buddisti compaiono

tra la folla nel loro lindore, gelida

la loro fede, ghiaccia tra di noi

il paesaggio, lo trasforma ad arte

in una vana vista priva

di ogni fine, loro, i monaci

sono belli, eleganti, un profilo

dolce e rigido, l’abito perfetto

di seta, simboli e pieghe, occhi

puntati, attenti e noncuranti

di una forza e bellezza turbante

loro così giovani, io sulla linea

di un treno affollato, lascio

stare i miei giardini, i templi

i boschi e le onde, i luoghi

dei miei pensieri… Vedo così bene

qui seduto e sono così calmo:

i monaci mi guardano, con un sorriso

velato e lontano - forse solo per me-

io dagli occhi chiari e fissi 

che vorrei capire.

 

 

 Qualche volta  a Tokyo spunta

un Kimono di eleganti stoffe

rigide all’andatura pregiata:

i colori sono coppie strane

per noi dell’occidente,

regna l’equilibrio del tempo,

delle stagioni, dei fiori mutanti

della luce e accanto ecco il bianco

biondo, l’ombretto bianco

la pelle abbronzata e scura

dei   giovani di Shibuya-ku

quartiere di Tokyo:  la moda

è un clan stravagante e allegro

un estremo trucco e il futuro 

sembra fare, impietoso

del passato un incubo, un ingombro.

 

Tokyo che non sente il Natale

 

vive tre grandi giorni del nuovo anno.

Il dragone dorme ancora

ma il Quattro apre il primo occhio,

la città è preparata alla sua corsa

lui solo in gara cambierà pelle

spesso, sarà dunque un amore

acquatico e melmoso, marino

le cui masse ondose stanno

nel perenne mutare, risponde anche

il fuoco con le fiamme perse

in nuove forme e l’incenso fa

piangere della pace del tempio Zoiji

tra le luci della torre di Tokyo così

colorata: ecco la metropoli 

del ritmo con le bellezze in lotta

con l’orrido e l’aspra pace

e l’anima tranquilla a divenire

in  una Tokyo ammaliante

nel duemila e oltre.

 

Il grigio di una fredda mattina

 

Tokyo lo lascia alla neve

di ghiaccio che cade, la città

stupita del suo silenzio bianco,

è quel vuoto e quando guardiamo

quell’inno bianco e puro

sui parchi, l’asfalto, i templi

i treni fermi di una città

mai sazia, mi chiedo se il tocco

leggero di un giorno cambia 

un già spesso movimento, se 

la città si lascia coprire e trarrà

dal brivido una mistura lontana

per un nuovo colore, moderno

 

 

 

 

 

 E’ l’acqua a purificare nei templi

 

come nelle onsen dov’essa affiora,

il corpo immerso in un calore

che rilassa e riflette i muscoli,

nelle menti si sente la carne viva

comprendere, gli sguardi furtivi,

curiosi, vogliosi destano il messaggio

dell’acqua ed è una gioia d’inganno

 guardo il corpo: si è abituato

rimane confuso al riposo soave.

Il monte, la siepe, le stelle e il cielo

il bambù, lo sgocciolio dell’acqua

il calore  resiste tra le nebbie

del  corpo,  poi  ti abbassi all’acqua

e in un attimo entri nel tempo

nella bocca della terra, nel vuoto.

 

 

 

Un Kimono: un manto d’eleganza

e rigore, di esaltazione delle forme

perché non ci sono, ma si pensa

al collo…e poi il viso bianco

è un ritmo sincopato, innaturale…

e lo sfregare della seta un atto

sublime, anch’io con il mio corpo nudo

sotto il kimono ero precipitato in una notte

 culturale, sola, e in pace nel giardino dei sensi

 ho sentito il Giappone, un brivido fisico 

con i suoi versi eleganti, l’intimo discorso

del corpo, la precisa pura e semplice meditazione

il rito di secoli fa, la rigida ora del tempo

che noi coerenti confondiamo con l’io

mai saremo altrove

verso un noi fatto di tanto…

 

 

 

 

 

 Dall’ alto del Tocho, castello di Tokyo

guardo con Sergio le luci estreme

e il FujiSan al tramonto arancione,

è dolce l’altezza dei grattacieli:

sono i  fiori imperiali moderni

tagliano la vista e danno tanta

felicità col monte divino

nello spazio del cielo-casa

e anche noi lì insieme

al vento con le stelle arrivate

a confondere le luci col loro cupo

chiarore, ma dove stanno le stelle

a Tokyo, dove il cielo, la terra?

 

 

 

Questi spiriti sono giunti ora

 

anno duemila anche in città?

Si muovono accanto a noi

come su una montagna isolata

o sono tutti fuggiti da questo caos?

Alla mia indecisa religione

non resta altro che ignorare

ma poi mi  trovo a meditare, l’io

e il noi sono un concerto d’ansie

diverse e le due culture…lento

mi esplodono dentro e non controllo più

cerco di capire gli Spiriti

e ritorno convinto a crederci.

 

Questa mattina di marzo soleggiata

 

è tiepida  la stazione di Harajuku,

è splendente di un riflesso magico

e le maschere, i pallori dei volti, il rosso

sangue, le parrucche bionde e boccoli

dei loro idoli, è un  carosello  di colori,

e lo schermo gigante della via

è l’occhio divino cui tutti guardano,

e tra le onde della folla d’orgia il profumo

langue e ci si guarda ci si sfiora contro,

chissà se è illusione grassa

di una domenica nella via chic di Tokyo

a fare della vita ancora vita viva,

dopo poco rimane dell’algida

nostra ferrea logica d’occidente.

 

Tra le vele luminose luccicanti

 

 

del Tokyo International Forum   

amplesso d’acciaio e vetri

appaiono tra le curve in tensione

le immense vetrate-una nave-

all’interno i giapponesi calmi

sono ancora samurai, ingentiliti

perché sicuri del loro territorio,

giocano e saltano, si mutano

il trucco, il rito e sono sempre altro,

sono loro e chissà se lo sanno

di come noi li vediamo, è questa

immensa nave il Giappone

e io vengo in questo luogo a capire 

ma poi solo penso e poi non più

solo vedo Tokyo, i giapponesi li guardo…

 

 

 

 C’è forse troppa praticità

in giro e brutture d’edifici

e fast food e sottopassi ferrosi

e tanto marmo falso e Prada e Gucci

cappuccini schifosi e autostrade

sventranti, negozi sporchi e tante

inutili voci che invitano e ringraziano

all’assurdo, le catapecchie, i minuscoli

appartamenti stipati d’inezie

e collezioni di manga, pupazzi e hi-fi

e lavatrici con solo acqua fredda

e scarafaggi volanti e l’umido

assillante e templi falsi o soffocati

dal cemento di un garage a più piani

e anche questa Tokyo ho amato  tanto

e tanto mal sopportato…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 Il mio tempo di Tokyo è passato

ma non andrà via, è tra gli spiriti

che devono esserci, senza sfarzo 

estremo, senza un invadente messaggio,

siamo parte di un tutto con i riti

il loro dialogo, gli antenati

 i ringraziamenti, le purificazioni

l’acqua, le monetine, i Buddha

 la fede timida e discreta, la città

l’impresa severa, i treni i tanti treni 

 i sakura e le foglie lasciate al vento 

gli umè profumati, il mio shinjuku-goyen

gli ottimi ginnan, hanpen, shabu-shabu, miso,

chirashi-sushi,tempura, oconomiaki,

 l’onore e il saggio profumo del niente, il vuoto

o-cha.

 

 

 

kitakamakura  e  kamakura
kitakamakura e kamakura

 

 pioggiaobliquascritturedarte@gmail.com

 

 


 

" Pioggia Obliqua una rivista

affermata e prestigiosa."

 " Un grazie di cuore a 

Pioggia Obliqua i cui molti meriti nei riguardi della poesia non saranno mai abbastanza sottolineati."

 

Alessandro Fo

 

 

" Saprà o vorrà ancora la forza accumulata (...) resistere alla forza di omologazione che la tecnologia sembra inevitabilmente portare in seno?(...) Prevedo un lungo periodo di 'agonie', voglio dire di lotta (...) sarà probabilmente quella la forma e la sostanza del poetare che ci aspetta."

 

Mario Luzi

Da un suo scritto per Pioggia Obliqua a proposito

del  'senso di fare  poesia', gennaio 1996

 

 

" Io credo che un pò di silenzio ci faccia bene, c’è un coro di voci “troppo alto”, sgraziato, che ci sommerge, e non mi riferisco solo alla letteratura. In questa specie di “frullato” che siamo costretti ad ascoltare quotidianamente, il valore delle cose si perde.

 

Se c’è un attimo di riflessione, di

silenzio, la parola scritta o detta assume maggiore rigore."

 

 

Antonio Tabucchi

 

Intervista rilasciata a Luigi Oldani e

Elisabetta Beneforti per Pioggia Obliqua 

 

 


" Il sito Pioggia Obliqua mi ha "donato questa nota sul mio libro (...), ma l'intero sito è da seguire."

 " (...) e un ringraziamento per tutto ciò che P.O. fa per il mondo della poesia."

 " (..) E la stima è da me ricambiata verso il vostro prezioso sito!"

 (...) sempre attenti e preziosi gli amici di "Pioggia Obliqua".

 

Bruno Galluccio

 

 

" Un bel luogo d'incontro tra scritture."

 

Matteo Pelliti

 

 


" Non so dire se la bellezza salverà il mondo, come pensava Dostoevskij, ma mi piace pensare che sarà così. In fondo, già Stendahl sosteneva che "la bellezza non è che una promessa di felicità". 

 

Vittoria Franco

per Pioggia Obliqua

 

 

" Agli amici tanto tanto amati di Pioggia Obliqua, poeti invincibili della vita, il mio abbraccio umile e il mio ringraziamento, per mantenere la poesia come unica veritá nel mondo."

 

Daniel Fermani Gonzales

 

 

 

 

" Rivista preziosa, che seguo da tempo."

 

Alfredo Rienzi

 

                 

 

 

 

                    

 

 

                  

 

                       Consigli di lettura

 

 

    

 Nella omonima rivista cartacea 'Pioggia obliqua rivista di letteratura e culture', pubblicata negli anni Novanta, una intervista a
Antonio Tabucchi,
Edoardo Sanguineti,
Mario Luzi. 
Un testo di Valerio Magrelli. 
Mario Luzi, Luigi Baldacci, Patrizia Valduga, Attilio Lolini, Gabriel Cacho Millet, Marco Marchi e Loriano Gonfiantini rispondono
sul senso di fare poesia in quegli anni.
Risposte attualissime.

 

 

 

 

 

 

 

 


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