Tokyo, impermeabile capolavoro
pregna di gentilezza d’oriente
ferisce di bellezza e vacuità,
ogni cultura sa pienare lei
Tokyo, ogni sogno di chi abita
col luccicare del mercato, sa
celarsi e apparire l’incredibile
che avanza, intanto il passato
è lì ammicca e lavora
assetato del presente lontano.
Ci sono volti bellissimi e puri
da catturare e aprire, toccare
e spremere, sono il disegno
preciso sull’orlo di un corpo
che ispira innocuo
precoce, è un inno al sottile
gioco nascosto di gemere
al buio, di premere nell’umido
sito, persi in una bellezza
crudele perché boccio caduco
perché invito al veloce sciupio
-che occorre sempre per dire la vita-
Harajuku è un tempio che vive
è la vita e la grazia di vivere:
domandiamo auspici e fortune
salute e pace questo è il tempio
Meiji Jingu dove l’acqua purifica
dove il battito delle mani
richiama attenzioni celesti
e terrene, nel verde di un parco
antico è l’anima vicina al moderno
al seducente Omote Sando,
essi vivono un’originale avventura
ed io con loro e mi scelgo
se in quel tempo calarmi…
Ci sono bellezze, pulite
linee ti sfrecciano al cuore:
Omote Sando, il viale stanca
il mio sguardo- estenuante io-
i volti sfidano la mia paziente
civiltà, mi ritiro in un castigo
e creo un riserbo casto
che dura il volo di un corvo
gigante e giapponese, ostento
quel che ho, un confronto irto
di pericoli. Loro possono molto
e come gli aggrada mutano
stranezze in auge che il loro è
un pulito bianco foglio su cui
tutto si segna, questo loro
viso piano…
Capelli folti rossastri-bruno
e le labbra carnose ti mordi,
quando la smetti e guardi il fumo
minuto dopo minuto con abilità
conto il tuo corpo e mi accorgo
che mi tocchi e mi posi il tuo
celato sguardo, è il tuo leggero
yukata che mi veste e mi compone
e il vento alza le vesti e ci guardiamo
dai nostri posti lontani, vicino
è il colore blu, il cielo e il resto
è mondo.
Questo è un giorno d’alba
su Tokyo la luce s’alza leggera
è la città indifferente e pregna
della vita che ruota ibrida
in un girone, non si cheta il suo fumo
che abbonda in questo paradiso al neon
è un perverso fumo ordinato
che vela e quasi tinge a macchia,
ci si loda di sentire Tokyo addosso
salire e prendere la pelle: licheno
che cambia anche pietra
e macchia ancora, moderna, profonda.
Che siano i neri, blu, arancioni
bianchi, viola, rossi e celesti neon
la parola nuova del Giappone?
L’alfabeto, un grande fax riverso
ai cieli notturni il cui riverbero
certo arriva ogni dove e anche a noi?
Certo è che calmano, che amano
e fraseggiano ricchi e coloriti,
vivono con le persone, parlano
talvolta sono nelle loro menti
e in tutto ciò non si sa più chi
e dove sia la città che intorno
si muove come non mai
Tokyo con la sua prima incomprensione
aveva però Sara, una ragazza torinese
che con delicato passo mi ha parlato
io cieco, ha detto per me,
io nuovo muto, nella vacuità algida
dei primi giorni, lei è intensa, risoluta
precisa, di primo viso severa e indaga
ma a una avventura del viaggio
e dell’ironia non rinuncerà mai,
nella sua casa di Hanakoganei:
tatami e futon e ceramiche d’arte
incartate e messe via dal presente
celate, serbate quasi dalla passione
con cui le raccontava, alla dolcezza
per pochi, qui nel mio panorama
di una Tokyo invernale il suo volto
m’appare pulito e chiaro, che possa
dialogare con la mia ansia
di riserbo e il desiderio d’amicizia
nel groviglio che mi disegna.
Ogni metropolitana è l’aorta
del mio cuore per Tokyo,
si toccano misteriosi nomi,
è un rito il viaggio in città,
una cerimonia della bellezza
moderna, pigiata, stanca e vivace,
temo di non conoscere mai
tutte le destinazioni, scrivo fugace
volti e profili nella mia mente
predatrice e ancora mi appare
l’immenso spazio pieno e fitto
ma l’immensa solitudine- che più
non cova- in questo saldo oriente
è la sostanza d’ogni nostro gesto.
Chissà che Kami Sama in questi templi
l’uno accanto al moderno,
sono un’ oasi che respira ancora
un al di là, uno spirito Naturale
non compromesso, l’unico messaggio
è il dubbio che accarezza
le curve d’altri tempi del tempio
è forse un sogno costretto alla vita
e ci sfugge dunque, ci dissesta l’ansia
oltre il varco-tori- è un piccolo
spazio da cui per un’ansa breve
fuggire e alzarsi in inno là, al dove
e siamo più puri.
Un tempietto buddista a Shinjuku, vicino al parco Gyoen
C’è un vento e un profumo d’incenso
a Shinjuku est, è l’oriente dell’oriente
in un secolo indefinibile
che nessuno vorrebbe e invece è tanto
e chissà se anche questo vento che soffia
è un silenzio d’oriente, ambiguo:
cala in noi una figura strana
filtra e traduce ciò che forse
mai saremmo stati
e i giorni diventano chiari
perché nessun reale sarà
quel che si vede, appare solo un consenso
alla vita o forse a una pacifica
fuga sempre e già in atto…
Qui nel tempo di Tokyo non ci sei,
ci sono templi per capire
a Tokyo si sente così l’amore,
mi accompagna sicuro e solo,
città incomprensibile
subito ma chiara come quando
mi guardi e mi ostino sempre
a non capire… quanto ho camminato
per Waseda dori con occhi
del futuro e quante volte dopo
ho inneggiato al passato nascosto.
Oggi le strade di Ochiai erano calme
e Shinjuku con il suo Tocho svettava
Waseda con gli studenti che passavano
e la Tozai-sen viaggiava sicura
i neon ancora più luminescenti
i cavalcavia tremavano ferrosi e sporchi
Takatanobaba era Baba per gli amici
e quando passavano le sirene erano
urla umane e i guanti bianchi
dei tassisti e degli autisti e gli inchini
anche al treno, i Kimono eleganti tra le bici
che sfrecciavano sui marciapiedi,
qualche fiore rosso resisteva fuori
dai parchi degli umè e dei sakura
così leggeri, scesi senza vento…
Kamakura
Kitakamakura dorme i fasti
del passato e vive ancora, piano
di giapponesi in kimono, poeti
letterati, non so quale sia vita
vera, il passato oggi, o l’oggi
come un sempre domani,
vedo solo i templi, tetri e severi
bui all’interno, il Budda chiama
ma chi ascolta o prega dov’è?
a Kitakamakura è ancora possibile…
portiamo a casa pulviscoli d’anime,
sapremo vederle e accorgerci
di un colore d’autunno rosso e giallo
nel fondo degli occhi sul metro
in città, nel discorso con l’amico,
nel buio del dolore e nei pomeriggi
futuri e grigi senza senso?
Città dei templi, dei colori, tu operi
un lento Giappone e lo immetti
nel futuro con un chiaro sapore
che sa di nuovo passato ancora…
Sulla Seibu-Shinjuku Sen
un mattino, Io seduto allo sfrecciare
di case e ansioso d’un momiji,
due monaci buddisti compaiono
tra la folla nel loro lindore, gelida
la loro fede, ghiaccia tra di noi
il paesaggio, lo trasforma ad arte
in una vana vista priva
di ogni fine, loro, i monaci
sono belli, eleganti, un profilo
dolce e rigido, l’abito perfetto
di seta, simboli e pieghe, occhi
puntati, attenti e noncuranti
di una forza e bellezza turbante
loro così giovani, io sulla linea
di un treno affollato, lascio
stare i miei giardini, i templi
i boschi e le onde, i luoghi
dei miei pensieri… Vedo così bene
qui seduto e sono così calmo:
i monaci mi guardano, con un sorriso
velato e lontano - forse solo per me-
io dagli occhi chiari e fissi
che vorrei capire.
Qualche volta a Tokyo spunta
un Kimono di eleganti stoffe
rigide all’andatura pregiata:
i colori sono coppie strane
per noi dell’occidente,
regna l’equilibrio del tempo,
delle stagioni, dei fiori mutanti
della luce e accanto ecco il bianco
biondo, l’ombretto bianco
la pelle abbronzata e scura
dei giovani di Shibuya-ku
quartiere di Tokyo: la moda
è un clan stravagante e allegro
un estremo trucco e il futuro
sembra fare, impietoso
del passato un incubo, un ingombro.
Tokyo che non sente il Natale
vive tre grandi giorni del nuovo anno.
Il dragone dorme ancora
ma il Quattro apre il primo occhio,
la città è preparata alla sua corsa
lui solo in gara cambierà pelle
spesso, sarà dunque un amore
acquatico e melmoso, marino
le cui masse ondose stanno
nel perenne mutare, risponde anche
il fuoco con le fiamme perse
in nuove forme e l’incenso fa
piangere della pace del tempio Zoiji
tra le luci della torre di Tokyo così
colorata: ecco la metropoli
del ritmo con le bellezze in lotta
con l’orrido e l’aspra pace
e l’anima tranquilla a divenire
in una Tokyo ammaliante
nel duemila e oltre.
Il grigio di una fredda mattina
Tokyo lo lascia alla neve
di ghiaccio che cade, la città
stupita del suo silenzio bianco,
è quel vuoto e quando guardiamo
quell’inno bianco e puro
sui parchi, l’asfalto, i templi
i treni fermi di una città
mai sazia, mi chiedo se il tocco
leggero di un giorno cambia
un già spesso movimento, se
la città si lascia coprire e trarrà
dal brivido una mistura lontana
per un nuovo colore, moderno
E’ l’acqua a purificare nei templi
come nelle onsen dov’essa affiora,
il corpo immerso in un calore
che rilassa e riflette i muscoli,
nelle menti si sente la carne viva
comprendere, gli sguardi furtivi,
curiosi, vogliosi destano il messaggio
dell’acqua ed è una gioia d’inganno
guardo il corpo: si è abituato
rimane confuso al riposo soave.
Il monte, la siepe, le stelle e il cielo
il bambù, lo sgocciolio dell’acqua
il calore resiste tra le nebbie
del corpo, poi ti abbassi all’acqua
e in un attimo entri nel tempo
nella bocca della terra, nel vuoto.
Un Kimono: un manto d’eleganza
e rigore, di esaltazione delle forme
perché non ci sono, ma si pensa
al collo…e poi il viso bianco
è un ritmo sincopato, innaturale…
e lo sfregare della seta un atto
sublime, anch’io con il mio corpo nudo
sotto il kimono ero precipitato in una notte
culturale, sola, e in pace nel giardino dei sensi
ho sentito il Giappone, un brivido fisico
con i suoi versi eleganti, l’intimo discorso
del corpo, la precisa pura e semplice meditazione
il rito di secoli fa, la rigida ora del tempo
che noi coerenti confondiamo con l’io
mai saremo altrove
verso un noi fatto di tanto…
Dall’ alto del Tocho, castello di Tokyo
guardo con Sergio le luci estreme
e il FujiSan al tramonto arancione,
è dolce l’altezza dei grattacieli:
sono i fiori imperiali moderni
tagliano la vista e danno tanta
felicità col monte divino
nello spazio del cielo-casa
e anche noi lì insieme
al vento con le stelle arrivate
a confondere le luci col loro cupo
chiarore, ma dove stanno le stelle
a Tokyo, dove il cielo, la terra?
Questi spiriti sono giunti ora
anno duemila anche in città?
Si muovono accanto a noi
come su una montagna isolata
o sono tutti fuggiti da questo caos?
Alla mia indecisa religione
non resta altro che ignorare
ma poi mi trovo a meditare, l’io
e il noi sono un concerto d’ansie
diverse e le due culture…lento
mi esplodono dentro e non controllo più
cerco di capire gli Spiriti
e ritorno convinto a crederci.
Questa mattina di marzo soleggiata
è tiepida la stazione di Harajuku,
è splendente di un riflesso magico
e le maschere, i pallori dei volti, il rosso
sangue, le parrucche bionde e boccoli
dei loro idoli, è un carosello di colori,
e lo schermo gigante della via
è l’occhio divino cui tutti guardano,
e tra le onde della folla d’orgia il profumo
langue e ci si guarda ci si sfiora contro,
chissà se è illusione grassa
di una domenica nella via chic di Tokyo
a fare della vita ancora vita viva,
dopo poco rimane dell’algida
nostra ferrea logica d’occidente.
Tra le vele luminose luccicanti
del Tokyo International Forum
amplesso d’acciaio e vetri
appaiono tra le curve in tensione
le immense vetrate-una nave-
all’interno i giapponesi calmi
sono ancora samurai, ingentiliti
perché sicuri del loro territorio,
giocano e saltano, si mutano
il trucco, il rito e sono sempre altro,
sono loro e chissà se lo sanno
di come noi li vediamo, è questa
immensa nave il Giappone
e io vengo in questo luogo a capire
ma poi solo penso e poi non più
solo vedo Tokyo, i giapponesi li guardo…
C’è forse troppa praticità
in giro e brutture d’edifici
e fast food e sottopassi ferrosi
e tanto marmo falso e Prada e Gucci
cappuccini schifosi e autostrade
sventranti, negozi sporchi e tante
inutili voci che invitano e ringraziano
all’assurdo, le catapecchie, i minuscoli
appartamenti stipati d’inezie
e collezioni di manga, pupazzi e hi-fi
e lavatrici con solo acqua fredda
e scarafaggi volanti e l’umido
assillante e templi falsi o soffocati
dal cemento di un garage a più piani
e anche questa Tokyo ho amato tanto
e tanto mal sopportato…
Il mio tempo di Tokyo è passato
ma non andrà via, è tra gli spiriti
che devono esserci, senza sfarzo
estremo, senza un invadente messaggio,
siamo parte di un tutto con i riti
il loro dialogo, gli antenati
i ringraziamenti, le purificazioni
l’acqua, le monetine, i Buddha
la fede timida e discreta, la città
l’impresa severa, i treni i tanti treni
i sakura e le foglie lasciate al vento
gli umè profumati, il mio shinjuku-goyen
gli ottimi ginnan, hanpen, shabu-shabu, miso,
chirashi-sushi,tempura, oconomiaki,
l’onore e il saggio profumo del niente, il vuoto
o-cha.