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JEFFREY        HARRISON

P o e s i e

            Poesie

Poesie

 

 

 

In seguito

 

Il braccio dell’acero reciso

a dicembre da un temporale

sboccia ancora a maggio

dove giace a terra,

 

le sue frange rosse un messaggio

dall’altra sponda,

come una lettera che arriva

dopo che il mittente è morto.

 

 

 

 

 

Non metti fiori nelle poesie

 

Non metti fiori nelle poesie

come decorazione, o per riempire

gli spazi vuoti, piuttosto

loro sono stati la punteggiatura dei tuoi giorni

in un particolare momento nel tempo

come l’aprirsi di bocci lattiginosi nelle sterpaglie

lungo la strada dove andavo a correre

( mentre sudavo e pensavo al sesso)

Quella prima estate che eravamo separati,

il primo anno che eravamo insieme.

Ho pressato un fiore dolce e rosa tondeggiante

fra le pagine del mio Rimbaud

e l’ho allegato a una lettera.

Trentadue anni più tardi,

la sua macchia ancora segna le poesie.

 

 

 

Poesia

 

Sto per fingermi pittore e così

sistemo il mio cavalletto qui nell’erba alta

vicino al fiume, con il ponte sullo sfondo,

perché il ponte ha bisogno di essere nel quadro

con i suoi supporti in acciaio e i piloni in calce

striati di ruggine, qualcosa che offre una costruzione,

opera dell’uomo, un lavoro artistico

o almeno di ingegneria per collegare

non solo le due rive del fiume ma anche

la terra al cielo, allacciandoli

insieme come una linea di spessi punti di cucito.

Se fossi davvero un pittore non dovrei

dire tutto questo ma solo dipingere il maledetto ponte,

libero dall’imprecisione sviante e dall’ambiguità

delle parole, anche se potrei ancora far assomigliare il ponte

a punti di cucito dipingendolo di nero

a contrasto con la ferita insanguinata del tramonto- ma questo

sarebbe il suo proprio tipo di falsità, così forse

è solo un’illusione che un mezzo differente

mi metterebbe più in contatto

con il mondo, ed è possibile che la ferita sia

dentro di me comunque, e questi siano punti di cucito.

 

 

 

Nessuno è morto

 

Quante volte l’ho detto

negli ultimi dieci anni,

 fino a diventare una specie di mantra,

la misura di ogni crisi:

“nessuno è morto”.

 

L’ho detto a me stesso

per confrontare i fatti,

e l’ho detto ad altri

per ricordare loro che le cose

potrebbero essere peggiori.

 

Alle spalle avevo sempre

il fatto terribile

della morte di mio fratello,

ad ogni minore calamità

dovevo essere riconoscente.

 

La nostra casa era stata svaligiata :

orecchini di diamante, collane di perle,

tutti lasciati

da parenti morti da tempo.

“nessuno è morto”, ho detto.

 

Era come un ciondolo

l’ho indossato intorno al collo

come forma di protezione,

un occhio maligno

per resistere all’attenzione della morte.

 

L’ho detto ancora

ai nostri amici al lago

quando la loro casa galleggiante è bruciata,

ma quanto mi sono sentito egoista

mentre ordinavo per importanza la loro disgrazia.

 

E poi l’espressione ha cominciato

a farsi aspra. Mi dispiaceva

che ci fosse il rischio di cercare guai

continuare a dire “nessuno è morto”,

un modo per deridere la morte.

 

Allora lo lascio andare silenziosamente,

come remassi

lontano dalla riva

e facessi cadere l’amuleto

dentro l’occhio del lago che tutto vede.

 

 

 

 

 

Cecità passeggera

 

È passato un anno e mezzo,

come dolorosamente si fosse chiusa una palpebra interna

fra i miei occhi e il cervello

o fosse scivolata una cuffia sopra la mia testa.

 

Ho trascorso i miei giorni nello spazio nero

dentro di me, una stella morta in orbita.

Adesso voglio tornare sulla terra.

Voglio fare ritorno dai morti,

per togliere il sacco dalla mia testa

e respirare di nuovo,

e far entrare il mondo-

qui,adesso, dritto davanti a me-

essere svegliato da un lago

scintillante attraverso gli alberi.

 

 

 

 

S a l e

 

Non sono sicuro di quando sia iniziata

  la tradizione familiare

   di usare sale kosher,

 

un pizzico di chicchi ruvidi

  fra pollice e indice

    poi tenuto sopra le nostre pietanze

 

e sparso come neve

  su carne, patate, carote.

   Ancora non sapevo

 

cosa significasse kosher

  finché non sono cresciuto

    la stella a sei punte

 

sul pacchetto non era ancora

  un simbolo di qualche tipo,

    solo una stella di speciale interesse

 

perché era fatta

  in modo geniale con due

    triangoli sovrapposti.

 

Non ho mai mangiato

  o neanche sentito dei bagels

    fino a quando sono andato al College,

 

dove i miei compagni

  di dormitorio avevano nomi

    come Immerman, Perlstein,

 

Adelman, Platnik.

  avevano mezuzah

    sullo stipite della porta

 

come strani campanelli.

  Michael Chuback,

    poche porte lungo il dormitorio

 

aveva sul muro una bandierina

  decorato con le parole

    Scuola Ebraico Ortodossa di Flatbush,

 

un’espressione per me così straniera

   che poteva essere il nome

     di una divinità Hindu.

 

Mi prendevano in giro

  per essere un WASP,

    ma anche mi hanno accolto

 

mi hanno portato a casa loro

  nel Queens o nel New Jersey,

    dove i loro genitori

 

dicevano cose come, “non posso

   crederci : un gentile a casa mia”

     e mi raccontavano storie

 

di come i loro genitori

   erano fuggiti dalla Gestapo

     oppure no, di come crescere

nel Lower East Side,

  intere famiglie in una stanza,

    storie che mi lasciavano

 

senza parole, sentendo come

   non avessi storie

     da raccontare

 

e poi mi sono innamorato

  di te, discendente

    di ebrei lituani,

 

attratto prima dalla bellezza

   dei tuoi occhi –

     esotici in parte

 

familiari da subito,

  che suggerivano un mondo

    a me sconosciuto

 

ma al quale desideravo

   fare ritorno. E là

    sono rimasto, nonostante tutti

 

i cambiamenti nelle nostre vite,

   la storia che abbiamo

     creato insieme.

 

Adesso, in una nuova casa ancora,

  spargo sale kosher

    agli angoli delle stanze

 

come un nostro amico ebreo

   mi ha insegnato a fare –

    una tradizione antica

 

per proteggersi dagli spiriti maligni –

   il sale della mia infanzia

     e quello dei tuoi antenati

 

a mescolarsi in questo atto

   in parte ridicolo

     in parte sacro.

 

 

 

 

 

Poesia politica

 

Sono trascorsi i giorni,

sono secoli, anche,

quando funzionari del governo

sono andati in pensione per diventare

poeti in giardini

da loro stessi disegnati,

come qui a Suzhou

è accaduto così a lungo:

un passaggio ruvido e intrecciato

di pietra calcarea qui,

là verdi ciocche di un salice piangente che ondeggiano

sullo stagno dei pesci,

un ponte a zig zag

verso la pagoda dove,

lontano dalla capitale,

ci si poteva finalmente

occupare di questioni

di reale importanza:

il riflesso della luna

turbato da una carpa.

 

 

 

 

L’immagine

della tua morte

non la metterò

in parole

la porterò

dentro di me

tutta la vita

non metterò per iscritto

questi dettagli

non l’ho mai voluto

li terrò

nella più buia

parte di me

dove soltanto

posso vedere

l’apparizione di uno spirito

non posso agitare

quello che mi agita

io che ho

 trascorso la vita

creando immagini

stavolta

lo rifiuto

queste parole

sono la mia promessa

a te.

 

 

 

 

 

 TRADUZIONE CURA DI ELISABETTA BENEFORTI

 

 

AFTERWORD

 

The maple limb severed

by a December storm

still blossoms in May

where it lies on the ground,

 

its red tassels a message

from the other side,

like a letter arriving

after its writer has died.

 

 

 

YOU DON’T PUT FLOWERS IN POEMS

 

You don’t put flowers in poems

for decoration, or to fill in

empty spaces, but because

they punctuated your days

at a certain juncture –

like the milkweed blooming

by the road where I went running

(sweating and thinking about sex)

That first summer we were apart,

the first year we were together.

I pressed one sweet pink globe

Between the pages of my Rimbaud

And enclosed it with a letter.

Thirty-two years later,

its stain still marks the poems.

 

 

 

POEM

 

I’m going to pretend I’m a painter and just

set up my easel here in the tall grass

by the river, with the bridge in the distance,

because the bridge needs to be in the picture

with its stell trusses and concrete pylons

strike with rust, something t ogive structure,

something man-made, a work of art

or at least of engineering to connect

not only the two banks of the river but also

the earth to the sky, fastening them

together like a row of thick stitches.

 

 

If I were really a painter I wouldn’t have to

say all that but just paint the damn bridge,

freed from the smeary imprecision and duplicity

of words, thug i could still make the bridge

look like stitiche by painting it black

against a sunset’s bloody wound-but that

would be its own kind of falsity, so maybe

it’s only an illusion that a different

medium would connnect me more directly

to the world, and the wound may be

inside me anyway, and these the stitiche.

 

 

 

NOBODY  DIED

 

How many times did I say it

over the past decade,

until it became a kind of mantra,

the measure of any crisis :

“Nobody died”.

 

I said it to myself

to put events in perspective,

and I said it to others

to remind them that things

could be worse.

 

Always in the background

was the awful fact

of my brother’s death;

for any lesser calamity

I needed to be grateful.

 

Our house was burglarized:

diamond earrings, pearl necklaces,

all handed down

by ancestors long dead.

“Nobody died,” I said.

 

It was like a charm

I wore around my neck

As a formo f protection,

an evil eye

to stare down death.

 

I said it again

to our friends at the lake

when their boathouse burned down,

but felt how selfish I was

to be ranking their misfortune.

 

And then the phrase began

to go sour. I worried

that it might be asking for trouble

to keep saying, “Nobody died,”

a way of taunting death.

 

So I quietly let it go,

as if to row out

far from shore

and drop the amulet

into the lake’s all-seeing eye.

 

 

 

TEMPORARY   BLINDNESS

 

It lasted a year and a half,

as if grief had closed an inner lid

between my eyes and brain

or lippe a caul over my head.

 

I spent my days in the black space

Inside me, orbiting a dead star.

Now I want to return to earth.

I want to come back from the dead,

 

to remove the sack from my head

and breathe again,

and let the world in-

 

here, now, right in front of me-

to be awakened by a lake

glittering through trees.

 

 

 

 

SALT

 

I’m not sure when it started,

          the family tradition

                    of using kosher salt,

 

coarse grains pinched

           between forefinger and thumb

                    then held above our plates

 

and sprinkled down like snow

          on meat,potatoes,carrots.

                    I didn’t even know

 

what kosher meant

            until I was older,

                      the six-pointed star

 

on the package was not yet

          a symbol of any kind,

                     only a star of special interest

 

because it was made

            ingeniously of two

                      triangles superimposed.

 

I had never eaten

         or even heard of bagels

                  until I got to college,

 

where my neighbors

          in the dorm had names

                     like Immerman, Perlstein,

 

Adelman, and Platnik.

            They had mezuzahs

                      on their doorframes

 

like strange doorbells.

        Michael Chuback,

                 a few doors down the hall,

 

had a pennant on his wall

         emblazoned with the words

                   YESHIVA OF FLATBUSH,

 

a phrase so alien to me

          it might have been the name

                  of a Hindu deity.

 

They teased me

            for being a WASP,

                   but also took me in,

 

took me to their homes

          in Queens or New Jersey,

                     where their parents

said things like, “I can’t

         believe it: a goy in my house”,

                   and told me stories

 

of how their parents

          escape the Gestapo

                or didn’t, of growing up

 

on the Lower East Side,

           whole families  in one room,

                     stories that left me

 

speechless, feeling as if

           I had no history

                     to speak of.

 

And then I fell in love

        with you, the heir

                   of Lithuanian Jews,

 

drawn first by beauty

         of your eyes-

                     midly exotic

 

yet instantly familiar,

        suggesting a world

              unknown to me

 

but which I longed

        to return to. And there

                   I have remained, through all

 

the changes in our lives,

           the history we’ve

                  created together.

 

Now, in a new house again,

         I sprinkle kosher salt

                In the corners of the rooms

 

as a Jewish friend of ours

          instructed me to do –

                     an old tradition

 

to ward off evil spirits –

         the salt of my childhood

                    and that of your ancestry

 

mingling in this

           partly ridiculus

                     partly sacred act.

 

 

 

 

POLITICAL  POEM

 

 

Gone are the days,

are the centuries, even,

when government officials

retred to become

poets in gardens

of their own design,

as here in Suzhou

happened for so long:

a ugnarle shaft

of limestone here,

there a willow’s

green locks swaying

above the fishpond,

a zigzag bridge

to a pagoda where,

far from the capital,

one could finally

attend to matters

of real importance:

the moon’s reflection

troubled by a carp.

 

 

 

The Image

 

of your death

I will not put

into words

I will carry it

inside me

all my life

I will not

put it down

these  details

I never wanted

I will keep

in the darkest

part of me

where only

I can see

a haunting

I can’t shake

that shakes me

I who have

spent my life

making images

this time

I refuse

these words

are my promise

to you

 

 

AFTERWORD, YOU DON’T PUT FLOWERS IN POEMS, POEM, NOBODY DIED, and TEMPORARY BLINDNESSS: 

 

From Into Daylight (Tupelo Press, 2014)

 

SALT:

From Feeding the Fire (Saraband Books, 2001)

 

POLITICAL POEM:

From The Names of Things (Waywiser Press, 2006)

 

The Image:

 

From Incomplete Knowledge (Four Way Books, 2006)





 

 

 

UNA INTERVISTA

A JEFFREY HARRISON

in cui l'autore ci parla della sua poetica, del suo lavoro e delle influenze della poesia italiana.


a cura di Elisabetta Beneforti

PIOGGIA OBLIQUA - All’interno della tua poesia convivono un’anima lirica ed una narrativa…..vanno parallele o si nutrono a vicenda?

 

 

JEFFREY  HARRISON -  Hai ragione che sono impulsi differenti – il forte desiderio di esprimere un’emozione in un bel linguaggio contrapposto al bisogno di dire cosa è successo – ma non si escludono a vicenda. Veramente li vedo come parti di uno spettro continuo, con un estremo lirico a un capo e forse uno narrativo tradizionalmente cronologico all’altro capo. Puoi scrivere una poesia partendo da un capo o dall’altro su quello spettro. La mia tende a essere da qualche parte nel mezzo, ma alcune poesie saranno più vicine alla parte lirica mentre altre si muoveranno in prossimità di quella narrativa. Il mio vecchio insegnante Stanley Plumly scrive proprio su questo nel suo saggio “Narrative Values,Lyric Imperatives ”( contenuto in “Argument and Song”) – tanto come la narrativa (benché probabilmente non la narrativa tradizionale) è necessaria alla lirica (per mantenere il movimento della poesia), così la maggior parte delle poesie hanno una sorgente narrativa ma possono essere scritte da un qualche luogo vicino a quella sorgente o da molto più lontano ( per esempio più liricamente).Anche la poetessa Ellen Bryant Voigt ha qualcosa di interessante da dire su narrativa e lirica nel suo libro “The Flexible Lyric”. Lei tende a enfatizzare le differenze fra lirica e narrativa – in particolare l’idea che le due abbiano strutture completamente differenti – ma anche avverte che, nella lirica, la narrativa diviene una ‘retro-storia’, indirettamente veicolata attraverso la voce dell’io narrante della poesia ( che in un certo senso rappresenta il personaggio nella storia). Quell’idea sembra accompagnarsi bene sia con la nozione di Plumly riguardo la sorgente narrativa sia con la mia percezione dello spettro lirica-narrativa. Probabilmente è voce o tono che tiene insieme senza lacci la modulazione lirica e quella narrativa, perché la voce allo stesso tempo racconta la storia e comunica le emozioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

PO - C’è senza dubbio un filo rosso che collega le tue cinque raccolte poetiche e per questo più volte si è parlato di un memor-like…possiamo considerarle come parti di un unico ‘canzoniere’?

 

 

 

 

J.H. – Non sei la prima persona che fa questa osservazione sulla connessione fra i miei libri. Cosa può sorprenderti è che, a differenza di alcuni poeti ( credo che Louise Gluck ne sia un esempio), non penso ai miei singoli libri come ad un tutto mentre scrivo le poesie – o almeno non fino alle ultime fasi del processo. Bene o male, sono portato a scrivere le poesie come mi vengono, una alla volta…nonostante che una mostrerà la strada a un’altra. In seguito, quando ho un certo numero di poesie, cercherò un modo naturale di preparare il libro come un tutto, un qualche tipo di arco o di principi organizzativi. Non sto mai pensando su come un libro sia in relazione con un altro .Eppure riesco a capire come, quando un lettore fa un passo indietro e considera tutti i libri insieme,possa sembrare che uno segua l’altro, come sezioni di un ‘memoir’ poetico. Credo che questo effetto abbia a che fare con il tipo di poesie che tendo a scrivere che per lo più sono poesie che vengono fuori dalla vita reale.. Così i libri appaiono, e in un certo senso sono, testimonianze della mia vita nel periodo in cui sono state scritte. Per esempio “Incomplete Knowledge”, il mio quarto libro, contiene molte poesie sul suicidio di mio fratello, e ce ne sono alcune altre nel mio libro più recente,” Into Daylight”. Infatti in quest’ultimo c’è una poesia ( la sestina “ Essay on a recurring Theme”) che in realtà commenta le poesie di “Incomplete Knowledge”, cosa che è un’eccezione per me. In un senso più largo, “Into Daylight” non è un libro sul suicidio di mio fratello ma un libro sul decennio successivo, si può dire il suo  capitolo successivo. Ma all’interno del capitolo ci sono molte poesie di differenti tipi : poesie d’amor, poesie ispirate da altri scrittori, poesie sulla Natura,e via di seguito. Ciò che le mette tutte in connessione, ancora una volta, può essere una sensibilità, una voce.

 

 

 

 

 

 PO - Approfondiamo sulla tua ultima raccolta poetica Into daylight (Tupelo Press, 2014) che si offre al lettore con una copertina molto suggestiva…

 

 

J.H. – Dopo aver scritto tutte le poesie sul suicidio di mio fratello apparse nella seconda parte di “Incomplete Knowledge”, non avevo nessuna idea di dove procedere. Cosa potrei scrivere dopo la stesura di quelle poesie di intenso dolore? Ho risposto molto lentamente a questa domanda, poesia dopo poesia. È venuto fuori che avevo da dire un po’ più su mio fratello, ma anche su molte altre cose. La maggior parte delle poesie in “Into Daylight” ( in particolare dopo la prima sezione) non hanno niente a che fare con la morte di mio fratello, sebbene la sua assenza potesse aleggiare dietro alcune delle poesie che non sono esplicitamente su di lui. Se il libro è su qualcosa, è sul riconnettersi con il mondo, con la sensibilità e con la poesia nel decennio dopo la morte di mio fratello – sul trovare di nuovo il mio personale rapporto con il mondo, sulla riscoperta delle cose piacevoli anche dando voce al dolore e alla tristezza. Hai fatto riferimento alla copertina, così penso che potrei dire qualcosa sul modo in cui il titolo del libro e la copertina si supportino. Il titolo suggerisce il movimento da fuori l’oscurità a dentro la luce. L’immagine di copertina con la sua bellezza offuscata cattura quel movimento nelle fasi iniziali o mediane – non più a lungo nell’oscurità, ma non ancora nella luce piena,entrambi – mentre il titolo enfatizza il momento ultimo del processo, di fatto l’arrivo dentro la luce. Avevo pensato a un’immagine di copertina più vivace, forse un cielo blu pieno di grandi nuvole, come qualcosa preso da Van Ruisdael, così all’inizio non concordavo su quella scena di neve e nebbia. Ma sono giunto a sentire che la discrepanza fra il titolo e la copertina creavano una tensione interessante.

 

 

 

 PO - Fra i poeti americani chi consideri tuo maestro o compagno di percorso?

 

 

J.H. – Uno dei miei poeti favoriti, per me una vera e propria pietra di paragone – è sempre stata Elizabeth Bishop. L’ho letta da ventenne e ho subito sentito che la sua voce distintiva e naturale mi stava parlando direttamente. Certo adesso è famosa e esiste un intero apparato critico sul suo lavoro, ma in quel tempo lei era come un segreto ben conservato – era il suo amico Robert Lowell a essere famoso. Dopo di lei, ce ne sono troppi da citare e so che potrei dimenticarne alcuni, così mi fermerò qui. Ma ti dirò che “Into Daylight” contiene un numero di riferimenti e omaggi a altri scrittori (compresi Robert Frost, Whitman, Richard Wilbur e Mark Strand), ma molti di loro non sono americani ( John Clare, Hopkins, Han Shan, Catullo, Edward Thomas, Tolstoy, Virginia Woolf…)

 

 

 

 

 

 

PO - …E per quanto riguarda la scena italiana, ci sono voci poetiche che consideri irrinunciabili? So che di recente hai trascorso un periodo di scritture in Liguria……

 

 

J.H. – Mi vergogno a dire che la mia familiarità con la poesia italiana non è quella che dovrebbe essere, anche se ho cominciato presto, al College. Sono andato alla Columbia, dove l’ Inferno di Dante era una parte istituzionale del sillabo. Più tardi ho letto il resto della “Divina Commedia. Ho anche seguito le lezioni sul “Sonetto Italiano”, che includeva  “La Vita Nova”, Petrarca, Michelangelo e molti altri. Il poeta italiano moderno a cui sono maggiormente ritornato è Montale, e l’ho portato con me a Bogliasco, così potevo rileggerlo nei suoi scenari. C’erano dettagli da questa poesia tutto intorno a me, a partire dagli alberi di limone nel giardino sotto la mia stanza ( come nella sua poesia “I Limoni”) e comprendendo un muro sormontato da vetri rotti lungo la stradina che percorrevo per scendere in città ( come quello in “Meriggiare pallido e assorto”). Alla fine ho scritto una breve poesia su quella esperienza, iniziando con quei pezzi di vetro e concludendo i minuscoli vetrini smerigliati che ho trovato nascosti fra i ciottoli in spiaggia. Mi sono anche portato un’enorme antologia di poesia italiana del ventunesimo secolo, e ho letto nuovamente poeti che avevo letto in precedenza, come Ungaretti e Pavese, o come altri che non avevo mai letto, come Giorgio Caproni, Pasolini e Umberto Saba.

 

 

PO - Che ruolo pensi occupi la poesia all’interno della realtà contemporanea?

 

 

J.H. – è complicato. Le persone stanno leggendo e scrivendo poesia più di quanto accadeva prima, ma rispetto all’intera società non è mai stata ignorata di più. Non aiuta che la modalità dominante in America in questo momento tenda verso un ironico offuscamento – come se i poeti avessero abdicato a ogni tentativo di comunicare e vivessero nella paura di incontrare un’emozione autentica. Questo serve solo a marginalizzare ulteriormente la poesia. D'altro canto, la poesia non può competere con i mass media e forse non dovrebbe provarci. Sarà tenuta in vita da quelli che sono ancora impegnati nella lotta forse fuori moda ( o è eterna, senza tempo?) di dire l'indicibile e, sforzandosi di dirlo, creare la bellezza.


JEFFREY HARRISON, ha pubblicato diversi libri di poesia. Suoi testi sono apparsi su molte riviste come The new Republic, The new Yorker, The Nation, The Yale Review. Ha tenuto corsi in numerosi College e Università. E' "Writers-in Residence " presso la Philip Accademy.

Vive a Dover in Massachusetts.

 

 pioggiaobliquascritturedarte@gmail.com

 

 


 

" Pioggia Obliqua una rivista

affermata e prestigiosa."

 " Un grazie di cuore a 

Pioggia Obliqua i cui molti meriti nei riguardi della poesia non saranno mai abbastanza sottolineati."

 

Alessandro Fo

 

 

" Saprà o vorrà ancora la forza accumulata (...) resistere alla forza di omologazione che la tecnologia sembra inevitabilmente portare in seno?(...) Prevedo un lungo periodo di 'agonie', voglio dire di lotta (...) sarà probabilmente quella la forma e la sostanza del poetare che ci aspetta."

 

Mario Luzi

Da un suo scritto per Pioggia Obliqua a proposito

del  'senso di fare  poesia', gennaio 1996

 

 

" Io credo che un pò di silenzio ci faccia bene, c’è un coro di voci “troppo alto”, sgraziato, che ci sommerge, e non mi riferisco solo alla letteratura. In questa specie di “frullato” che siamo costretti ad ascoltare quotidianamente, il valore delle cose si perde.

 

Se c’è un attimo di riflessione, di

silenzio, la parola scritta o detta assume maggiore rigore."

 

 

Antonio Tabucchi

 

Intervista rilasciata a Luigi Oldani e

Elisabetta Beneforti per Pioggia Obliqua 

 

 


" Il sito Pioggia Obliqua mi ha "donato questa nota sul mio libro (...), ma l'intero sito è da seguire."

 " (...) e un ringraziamento per tutto ciò che P.O. fa per il mondo della poesia."

 " (..) E la stima è da me ricambiata verso il vostro prezioso sito!"

 (...) sempre attenti e preziosi gli amici di "Pioggia Obliqua".

 

Bruno Galluccio

 

 

" Un bel luogo d'incontro tra scritture."

 

Matteo Pelliti

 

 


" Non so dire se la bellezza salverà il mondo, come pensava Dostoevskij, ma mi piace pensare che sarà così. In fondo, già Stendahl sosteneva che "la bellezza non è che una promessa di felicità". 

 

Vittoria Franco

per Pioggia Obliqua

 

 

" Agli amici tanto tanto amati di Pioggia Obliqua, poeti invincibili della vita, il mio abbraccio umile e il mio ringraziamento, per mantenere la poesia come unica veritá nel mondo."

 

Daniel Fermani Gonzales

 

 

 

 

" Rivista preziosa, che seguo da tempo."

 

Alfredo Rienzi

 

                 

 

 

 

                    

 

 

                  

 

                       Consigli di lettura

 

 

    

 Nella omonima rivista cartacea 'Pioggia obliqua rivista di letteratura e culture', pubblicata negli anni Novanta, una intervista a
Antonio Tabucchi,
Edoardo Sanguineti,
Mario Luzi. 
Un testo di Valerio Magrelli. 
Mario Luzi, Luigi Baldacci, Patrizia Valduga, Attilio Lolini, Gabriel Cacho Millet, Marco Marchi e Loriano Gonfiantini rispondono
sul senso di fare poesia in quegli anni.
Risposte attualissime.

 

 

 

 

 

 

 

 


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  • Per SILVIA RIZZO
  • La poesia di Fernanda Romagnoli
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  • Poesia: ENZO MAZZA
  • Poesia: Alba Donati
  • Poesia: Alessandro Fo
  • Poesia: Franco Buffoni
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  • Poesia: Rosaria Lo Russo
  • Poesia: Matteo Pelliti
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  • Poesia: Elisabetta Beneforti, Senza Permesso
  • Poesia: Cinzia Marulli
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  • Poesia: Alfredo Rienzi
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  • Poesia: Claudio Pozzani
  • Poesia: Marina Pizzi
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  • Poesia: Jeffery Harrison Poesie e un'intervista
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  • Poesia: Saverio Bafaro
  • Poesia: Lucia Cupertino
  • Poesia : Giordano Occhini
  • Poesia: Michela Zanarella, Ester Monachino
  • Poesia visiva: Elena Marini
  • Poesia Visiva : Luc Fierens
  • Poesia: Francesco Bargellini
  • Poesia: Daniela Gentile, Claudio Pasi
  • Stefano Loria pittura-poesia
  • PROPOSTA POESIA a cura di ALESSANDRO FO
  • Poesia proposta: Canale, Lombardi, Merola, Tognoni, Bertone.
  • Poesia proposta: Gian Luca Guillaume, Luca Ispani, Filippo Amadei
  • Poesia proposta: Di Gennaro, Repossi, Rimolo
  • Poesia proposta: Angelo Santangelo, Giulio Mazzali, Marco Bini
  • Poesia proposta: Cunial, Viti, Viotto
  • Poesia : Greta Rosso
  • Poesia: Giovanna Cristina Vivinetto
  • POESIA : Jean Soldini
  • Poesia : Daniela Zambrano - editi e inediti
  • Poesia proposta : Manuela Mori, Selene Pascasi
  • Poesia proposta: Mirra, Allo, Strinati, Ciampalini, Carnevali, Peralta, Casulli, Bresciani, Marrone
  • Poesia proposta: Vera D'Atri
  • Poesia proposta: Laghi Pasini, Milleri, Malerba, Corbetta, Merico
  • Poesia Proposta: Valerio Succi, Michela Gorini
  • Poesia Proposta: Filograna, Della Ciana, Imperato
  • Poesia Proposta: Alessandro Monticelli
  • Poesia Proposta: Luca Gilioli, Pierpaolo Lazzaro, Hero Haze
  • Poesia Proposta : Ornella Mereghetti, Danilo Luigi Fusco
  • Poesia proposta:Pietro Edoardo Mallegni, Anna Polin, Susanna Russello
  • Poesia proposta: Marco Serravalle,Matteo Piergigli
  • Poesia : Sara Comuzzo
  • Poesia proposta: Antonietta Bocci,Valerio Sanzotta
  • Poesia Proposta: Viola Bruno, Alessia Lombardi, Maria Bochicchio
  • Poesia proposta : Maria Benedetta Cerro, Gabriele Greco
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