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POESIA  PROPOSTA

Riccardo Canaletti

Inediti

Non salire. Non lasciarti

intrappolare sulla vetta.

Tutto ha ricchezza

dal basso.

E tu raggiungi,

sempre più lontano,

l’abisso …

Raggiungi! E una volta lì

riparti, memoria esile e

cammino –

tu che sei i piedi

la stessa strada,

la traiettoria che sfina

le foglie e culla

la rugiada.

È come un indizio

di tempo,

l’inizio o la sorpresa

di chi sa

quanto dice e che,

quando dice,

sa che ha già perso,

 

che nulla ha più significato.

 

 

Chissà come ci apparirà,

vedendo da lontano

questa casa. Quest’ombra

questa forma immutata

tra le strade ad angolo

con le finestre aperte

dove sostavi ad ospitare

lo sguardo di un passante;

Chissà come ci apparirà,

quasi inesistenti come siamo,

la casa che

agli altri, un giorno,

apparirà

di nessuno.

Ma noi siamo qui.

Tu hai riordinato

il formulario che ci tiene insieme

i sentimenti,

l’accordo tacito di chi

conviene con la follia.

Anche noi vorremmo, un giorno,

ritornare a questa casa.

Riabitare l’antico campo

delle prime parole, dei primi versi,

delle prime strofe.

Come ci apparirà

lo sa chi non è mai

restato a terra

ma scivolando giù

nella corrente

ha potuto intravedere

una sosta di come si sa,

era ovvio,

perché tutto, a noi,

 

apparirà inverosimile. 

 

 

 

Come un raggio che

perpetua pioggia

divarica per metri,

la mia luce a te distante

da me dista più di te

che tremi.

E non il freddo,

né la neve, è questo dolore,

ma il vischio che

t’incolla

in questa ferma cartilagine

di essenza. (Ma dove

ricompone

l’anatomia perfetta del

destino?).

In nessun luogo amico,

in nessun posto

o altrove c’è confine,

ma solo la voragine

il vuoto che conserva noi

stessi casualmente,

noi che siamo troppo ciechi

per volerci persi.

 

 

E già profonda.

E già tremendamente profonda

l’acqua,

t’affonda il peso

delle vene,

piene immancabili

lì dove l’acqua vedevi e

fingevi la fonte

nella giustapposizione di verdi

nel faggeto fresco

umbratile,

sommità della vetta

dopo il paese fantasma.

Già sprofonda

tremendamente,

l’acqua

e tu con essa

nella maceria di frali pendii,

di crepitanti fuliggini,

degli uccelli colorati

tutt’intorno.

 

E non ti riconosci più,

non ti vedi più

com’eri, com’eri stato, come sarai.

E ti si avvinghia

la voglia di tenerti in vita

miseramente,

pur sempre in vita,

dove tace

un dio che non credevi,

nei pascoli celati alle città

in luoghi inarrivabili

intatti immobili da sempre,

nella conquista

eterna della luce,

lì dove quando arriva

notte, la luce non c’è

più.

 

 

Un sospiro sul morse

della serranda

punto linea punto

di un dettato antico …

il sole recidivo tra le tende,

impoverito

dall’abete.

Qual è sembianza di questo nome,

innominato lamento

che significa sorpresa

meraviglia,

pomeriggio di noia che

trapela in casa

a gocce infinitesimali

di cicale e auto solitarie.

Non avrai pensato,

follia, che questo nome

fosse il mio,

di un bianco che riversa

nel convesso

del pensiero

che raccoglie

questo ultimo lamento. 

Poesie edite da La perizia della goccia (Affinità Elettive, 2017)

 

Sezione: Nelle mani si perde

 

Al porto i pescatori

 

i rumori del porto sono jazz

le onde battono e ribattono e battono

sul legno improvvisando.

i pescatori non abbassano lo sguardo

e mettono lucciole alle lenze.

uno bestemmia e l’altro

più giovane lo guarda tacendo.

la radio trasmette la partita

qualcuno perde e c’è chi strappa

la scommessa. vento di piscio e salsedine

al faro. i passanti ignorano la danza

dei pesci all’amo fuori dall’acqua.

le voci anziane raccontano di amori

passati in altre notti all’alto mare.

i ragazzi ascoltano e ancora tacciono

quasi nudi come gli altri prima d’ora.

io vorrei delle comete scrivere

accese d’estate nel traffico serale

mentre osservo queste due generazioni

inciampando come nella vita.

 

 

Riccardo Canaletti nasce nelle Marche nel 1998. Ha vinto vari premi per inediti. Nel 2018 pubblica il suo primo libro di poesie, La perizia della goccia (ae edizioni, prefazione di Umberto Piersanti). Suoi testi sono apparsi su Poetarum silva, Interno Poesia, Poesia del nostro tempo, il blog della Rai di Luigia Sorrentino, Carteggi letterari. Ha registrato nell’archivio permanente VIP (Voices of italian poets) dell’università di Torino, diretto da Valentina Colonna. Ha partecipato a vari eventi, tra cui Parco poesia 2018. Suoi testi sono tradotti in spagnolo, portoghese e russo. Collabora con Nuova Ciminiera, Yawp, Midnight Magazine, Argo e ha gestito il blog di approfondimento culturale Prospectus (Noa Noa).

 

 

Lorenzo Pataro

Inediti

Scivola voluttuoso come burro

bagnato nelle orecchie

il morso ringhiante dell’attesa,

il cane prepara piano l’attacco alla notte

che non sa della sua morte nella pazienza,

un’ombra opaca lo guarda dal buco

d’un muro, non ha occhi né bocca:

è plasma di bava furiosa, racchiude il DNA

d’una felicità perduta.

 

 

 

 

I bambini di sabato si rincorrono

nei vicoli coi bastoni tra le mani

giocano ad afferrarsi per percuotersi

le ansie alle anche, non sanno

della rondine caduta a brandelli

ferita e pulsante sotto la plastica,

non sanno neanche del pianto vischioso

dell’uomo alla finestra che li guarda

feroce a ricordarsi delle corse sbucciate

nel tempo brillante dei baci vergini.

 

I bambini che di sabato ridono alla morte

non sanno non sanno non sanno.

Anno dopo anno s’accresce il ghigno

bianco della violenza, decresce il riso

nero dell’innocenza.

 

 

 

 

Caro diario,

oggi nella stanza stramazzavo

come corpo vivo cade senza motivo

gettato in semi ad attendere la fioritura

direttamente proporzionale

alle lacrime in procinto di versare

sparpagliato riversavo sulla battigia

bianca lievi pezzi di carne che poi

volavano via, rivestivano i pullover

al posto mio, creavo un altro

mondo dov’ero l’unico Dio.

 

Piano nella stanza oggi stramazzavo

senza motivo, al mio corpo

vivo ho fatto la quotidiana autopsia:

ho trovato negli organi

una strana forma di nostalgia.

 

 

 

 

No, non vivremo più il tempo giovane

della ferocia estiva, un lembo urlante

il passato ci resta tra le mani e

basta. Non vivremo più il tanto amato

passeggiare tra le luci del sabato, trepidanti

nell’attesa di una sposa a cui bianca donare

una colomba. Siamo sopra la scia di una

lumaca morta da millenni, inutile cercare

la replica del guscio, ciò che siamo

non eravamo, ciò che eravamo

non saremo. Saremo e

basta. Tanto quanto basta per lasciare

nuove scie d’imperfetto

e il perpetuo tentativo di ricongiungimento

all’oro tenuto in bocca dalla gazza

 

pietrificata sul ramo del lago di niente.

 

Lorenzo Pataro è nato e vive in Calabria in provincia di Cosenza nel 1998. Studia Lettere Moderne a Salerno. Lo scorso giugno è stata pubblicata la sua prima silloge poetica per Controluna-edizioni di poesia “Bruciare la sete” con la prefazione di Eleonora Rimolo. Diversi testi sono usciti per riviste e Lit-blog come Atelier Poesia (uno di questi è stato tradotto in spagnolo dal Centro Cultural Tina Modotti di Antonio Nazzaro), Poetarum Silva, YAWP: giornale di letterature e filosofie, Frequenze poetiche, Menti sommerse per la rubrica “I fiordalisi”, Poesia Ultracontemporanea, Neobar, Limina mundi, Poesie sull’albero, Un posto di vacanza, La rosa in più. 

Marco Di Meco

foto di Erika Secondino

Editi da RIME, 2018

1. “Il bianco...

 

 

*

“Il bianco

- del foglio vuoto

di parole - è il gesto,

la reazione,

è misura. Delle parole

che non volesti chieste,

di barche mistiche,

delle orchestre sommerse

e di isole squamate

nella mente

non interessa niente

più a nessuno. Le pagine

sono piene di gente

e la parola

giusta per dire

cos'è l'assenza

come condizione

è nuda

e cade in altre

e più afone assenze.”

 

 

 

2. “Il sole...

 

 

*

“Il sole

- ai tetti mattone

di colore - è avvento,

visione,

è futuro. Pelle di colore

diverso fissata sui muri

manifesto o drappo di giornali

o nella saliva che invade

o che vaga sotto i diluvi

nel sale

a patto che galleggi

è paura. L'imbeccata

che distrae

nella sala macchine

mentre incaglia

da molto profondo

una roccia

la chiglia

radente il fondo

più buio dell'animo.”

 

 

 

 

 

3. “La noia...

 

 

*

“La noia

- quando brucia

il sonno - è pura,

bipede,

è traslazione. Nel sonno

i vivi rincorrono le fiamme

con occhi obliqui

tramite richiami

dove darsi in luoghi diversi

una notte

frutto di extrema ratio,

emblema di precisione. È abitudine

ringraziare gli avventori

che hanno consumato

seduti su gomitoli

soffici di vetro

per aspersa cenere

sulle geometrie del cuore

la volontà a capire

o per volontà a svanire.”

 

 

 

 

4. “Il silenzio...

 

 

 

*

“Il silenzio

- è il tempo certo

a capire - dentro

è messa a fuoco,

lo necessito. Per capire

i giorni corrosivi diluiti

liquidi amplessi estrosi

e nelle regioni esterne

il cuore imbizzarrirsi

onestamente

è più lo spazio che si perde

che conquista. Spulciare

cluster di ricordi

e l'ansia di vivere

non crea disillusione

o redige bugiardini

semmai inonda

torbide depressioni del pensiero

chi disteso su un lettino

chi a fissare il limitato cielo di un soffitto.”

 

 

 

5. “Il fuoco...

 

 

*

“Il fuoco

- a confine, oltre

le sbavature - è deviatore

di binari, è attitudine. Per sbavature

l'arto chelato per recidere

stimoli emulativi accresce

per infinita educazione borghese

nei corpi

a dismisura

nel becerume a passeggio

fra nuove coclidi. Chiaramente

la natura delle circostanze

trascende le tempistiche

e la tempra |

quasi una dicotermia

degli affetti sul piano emerso |

così chi sia sia

ad attendere grafemi o intuizioni nell'etere

resta muto come un pesce.”

 

 

 

Marco Di Meco nasce a Chieti il 5 febbraio 1982. Diplomato in SocioPsicopedagogia con una tesi sulla "Musicoterapia", sin da giovanissimo intraprende lo studio del flauto traverso sotto la guida del M° Sandro Carbone presso il Conservatorio Statale "L.D'Annunzio" di Pescara. Prosegue i suoi studi musicali al Conservatorio della Svizzera Italiana di Lugano con il M° Mario Ancillotti. Ha concluso il suo percorso formativo all' Accademia Italiana del Flauto di Roma nella classe del M° Angelo Persichilli. Durante gli anni formativi ha partecipato a diverse masterclass con i flautisti Karl Heinz Schutz, Luisa Sello, Frederique Saumon, Antonio Amenduni, Stefano Parrino. Ha seguito i workshop di musica afroamericana tenuti dal Columbia College Chicago e dal Berklee College of Music. Debutta come solista nel 2001 all' auditorium "E.Flaiano" di Pescara con il concerto KV313 di Mozart assieme all'orchestra del Conservatorio 'D'Annunzio' diretta dal M° Rinaldo Muratori. Entra a far parte della Fanfara dell'Accademia Navale di Livorno. Terminato il servizio di leva riprende l'attività concertistica, fondando diversi ensamble cameristici, che lo porta ad esibirsi in tutta Europa e ad essere ospite in numerose trasmissioni radiotelevisive per la RAI, RSI e molte altre. Di rilievo è anche l'esperienza maturata presso le compagini orchestrali dove ha suonato sotto la bacchetta di importanti direttori quali Luis Bacalov, Giorgio Bernasconi, Lu Jia ed altri. Debutta nel 2014 con l'album '5 Colori'. L'album ottiene ottimi riscontri nelle vendite così nel 2015 pubblica 'Rosalinda'. Nel 2016 rilascia il doppio album 'Lucilla'. Il 28 febbraio 2018 pubblica l'album 'Against Capitalism: Première Symphonie'. Parallelamente all'attività musicale Marco Di Meco scrive poesie. Dal 2005 ad oggi ha pubblicato 'Luci di Luna' (2005), 'Il Passo delle Sensazioni' (2005), 'Teatro Evanescenza' (2006), 'Le Isterie di Jennifer' (2012), 'Artemisia, la Rana Pittrice e la Farfalla' (2016), 'Negativi ed Altri Versi' (2016), 'Intermezzo' (2017), 'DETRITI' (2018), 'RIME' (2018). Ha pubblicato anche per la didattica musicale il volume 'Armonia Applicata - Gli Accordi' (2017). Pubblica la raccolta di brani 'Notes for a Symphony' (2017). 

 

 pioggiaobliquascritturedarte@gmail.com

 

 


 

" Pioggia Obliqua una rivista

affermata e prestigiosa."

 

" Un grazie di cuore a 

Pioggia Obliqua i cui molti meriti nei riguardi della "poesia onesta" di cui scriveva Saba non saranno mai abbastanza sottolineati."

 

Alessandro Fo

 

 

 

" Saprà o vorrà ancora la forza accumulata (...) resistere alla forza di omologazione che la tecnologia sembra inevitabilmente portare in seno?(...) Prevedo un lungo periodo di 'agonie', voglio dire di lotta (...) sarà probabilmente quella la forma e la sostanza del poetare che ci aspetta."

 

Mario Luzi

Da un suo scritto per Pioggia Obliqua a proposito del  'senso di fare  poesia', gennaio 1996

 

 

" Io credo che un pò di silenzio ci faccia bene, c’è un coro di voci “troppo alto”, sgraziato, che ci sommerge, e non mi riferisco solo alla letteratura. In questa specie di “frullato” che siamo costretti ad ascoltare quotidianamente, il valore delle cose si perde.

 

Se c’è un attimo di riflessione, di

silenzio, la parola scritta o detta assume maggiore rigore."

 

 

Antonio Tabucchi

 

Intervista rilasciata a Luigi Oldani e

Elisabetta Beneforti per Pioggia Obliqua 

 

 


" Il sito Pioggia Obliqua mi ha "donato questa nota sul mio libro (...), ma l'intero sito è da seguire."

 " (...) e un ringraziamento per tutto ciò che P.O. fa per il mondo della poesia."

 " (..) E la stima è da me ricambiata verso il vostro prezioso sito!"

 (...) sempre attenti e preziosi gli amici di "Pioggia Obliqua".

 

Bruno Galluccio

 

 

" Un bel luogo d'incontro tra scritture."

 

Matteo Pelliti

 

 


" Non so dire se la bellezza salverà il mondo, come pensava Dostoevskij, ma mi piace pensare che sarà così. In fondo, già Stendahl sosteneva che "la bellezza non è che una promessa di felicità". 

 

Vittoria Franco

per Pioggia Obliqua

 

 

" Agli amici tanto tanto amati di Pioggia Obliqua, poeti invincibili della vita, il mio abbraccio umile e il mio ringraziamento, per mantenere la poesia come unica veritá nel mondo."

 

Daniel Fermani Gonzales

 

 

 

 

" Rivista preziosa, che seguo da tempo."

 

Alfredo Rienzi

 

                 

 

 

 

                    

 

 

                  

 

                       Consigli di lettura

 

 

    

 Nella omonima rivista cartacea 'Pioggia obliqua rivista di letteratura e culture', pubblicata negli anni Novanta, una intervista a
Antonio Tabucchi,
Edoardo Sanguineti,
Mario Luzi. 
Un testo di Valerio Magrelli. 
Mario Luzi, Luigi Baldacci, Patrizia Valduga, Attilio Lolini, Gabriel Cacho Millet, Marco Marchi e Loriano Gonfiantini rispondono
sul senso di fare poesia in quegli anni.
Risposte attualissime.

 

 

 

 

 

 

 

 


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