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Poesia Proposta

 

 

 

VERA D'ATRI

 

 

 

 

"Al riparo dalla realtà, al riparo dagli ingranaggi del potere, estraneo alla superficialità e al risentimento l’esercizio della scrittura costituisce uno spazio-tempo necessario alla conoscenza dell’io e del mondo.  L’immagine di un fortino, di una solida palizzata dietro la quale sperare di difendersi dall’esterno, da un’ostilità imprecisata eppure costantemente avvertita, può vagamente ricordare le camere d’alabastro dickinsoniane,  ma in realtà rivela subito la difficoltà nella quale s’imbatte lo scrittore che non ha altro modo per osservare l’esistenza se non attraverso la separazione della poesia. Dunque il titolo di questo libro appena pubblicato è già di per sé manifesto di un timore, di una condizione di lotta sospesa tra il coraggio dell’intervento e la rinuncia ad un sogno. "

 

Vera D'Atri per Pioggia Obliqua

 

 

 

        

               Poesie

 

 

 

 

                                                                                         Da: Cronache verso sera

   

 

 

 

Venendo notte disferò la tela.

 

Troppo anche il disfare

 

disferò il gesto.

 

 

 

Avrò bisogno di riconoscermi

 

in un tragico errore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’intera sua creazione risaliva le vie,

 

un ricordo stordito dal chiasso.

 

 

 

Era stata sul punto di colpire

 

e poi, appassita dal nulla, aveva accettato

 

una pace sgomenta.

 

 

 

 Bianchissime luci gigliavano finestre

 

ma faceva tristezza l’innocenza esalata,

 

la ceralacca degli uomini attenti.

 

Scia di parole nelle foglie seccava, palpitava

 

rilievo di serpe sulla ghiaia del parco. Ricordò

 

meglio e gettò via l’anello. Ché adesso è così,

 

pensava, simboli dappertutto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fare con te una siepe

 

frangivento mentre tutto il resto esce

 

dalla notte e si frammenta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ci tocca il districarci in frammenti di buio

 

nelle prigioni di sempre, la perfezione letale

 

che evolve in cantucci protetti, ci tocca svernare

 

a braccia conserte, custodire l’attesa e che l’opera,

 

tutta, si compia superflua.

 

 

 

Perché Pan si è ammalato d’asfalto ed è

 

svanito nel sonno dei tram, al mattino, nel breve e

 

angosciato colloquio che teniamo col mondo,

 

ammaestrati da impervi ripassi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nonostante il buio alcuni colori vagano

 

nel sonno. E scendono fin dove non c’è risalita.

 

 

 

Dentro, nelle orbite costanti, le madri

 

tengono consiglio, ad una ad una abbassano

 

le ciglia sui loro stalli di ore premurose. Chi

 

non le vede ogni mattina presso il varco a

 

misurare altezze?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I luoghi sapevano come bruciare

 

il nostro incenso.

 

 

 

Allora accanto alla città le isole,

 

gli scogli, perfino gli acini di seppia, tutto un gran nero

 

come ad un’imboccatura e il contar le luci

 

che non dava alcun conforto.

 

 

 

Vero solo il vino osato da un collo

 

di bottiglia. Più nella notte poi solo acutamente

 

il freddo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Apre la porta.

 

L’ordine è che le cose si separino,

 

che i lati non sopportino più l’impegno

 

alla costrizione.

 

 

 

Nella sera la mente è instabile

 

e cerca un buon appiglio.

 

 

 

L’ora chiama a raccolta i volti.

 

Ma in cielo è come avessero sparato. È vuoto

 

e periglioso in siffatta pace.

 

 

 

Ai piedi del ciliegio sono caduti

 

i frutti. Farsi di luna aspettano.

 

 

 

Sperare di rivivere è per più tardi,

 

alzato il vento della notte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La fronte si è sparsa. È una stanza

 

che guarda il mare. La soluzione dei punti

 

di fuga sul corrimano dell’ultima luce.

 

 

 

L’amore è finito a mezzogiorno in un rovescio

 

di questioni antiche e si è difeso dal bianco

 

del soffitto sedendo a tavola per un estremo

 

variegare di silenzi.

 

 

 

Ma la possibile incrinatura attraversa

 

il pomeriggio, annulla slanci e comincia

 

a praticare il confine del reale.

 

 

 

La lesione comporta una correzione,

 

un sereno fraternizzare con gli esiti falliti.

 

Comporta il dolore da organizzare e il

 

tempo per mettere assieme un libro

 

da scrivere ed una persona da

 

cancellare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Colpisce ora l’intensità dei pini,

 

l’immobile confronto con la sera.

 

 

 

Una perenne cattiva luce

 

si mischia al vero. Sono i pensieri a fabbricare

 

i mondi.

 

 

 

Lei siede vicina. Ha il respiro di antiche

 

tragedie e grandina sui vetri perché ha in sé

 

un castigo invernale.

 

 

 

Ma superiore a tutto fu il superfluo

 

non le discusse tavole della legge, fu il rovistare

 

quel tanto, quelle poche evenienze in soprassalto

 

per colpa mai dei vivi, solo retaggi. Era dunque

 

il male nostro a compiersi nell’animo,

 

dentro, nel fondo, a pesare come

 

millenni privi d’inventiva.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tacciono le quattro mura. Sulla tavola

 

un’oscura croce di gelo.

 

 

 

Per quanto io sia innocente cerco

 

una forza per controllare la materia.

 

Ma di quanto crescerà il mare non posso

 

sapere, né di come incrudirà il restar

 

avvolta nel tessuto del vuoto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nessuno ha cuore per trarmi

 

dal silenzio quando nel cortile più breve

 

si fa il giorno e nell’ora che non so prevenire

 

è la cura che sostituisce il perché, è la

 

purezza del no, la parsimonia

 

che non so più governare.

 

 

 

E più è luce il tuo nome, minuscolo

 

abbaglio d’un’era dismessa

 

 

 

e più le mani a far cose,

 

la schiva vertigine d’un risciacquo svagato,

 

il gesto scusabile che fa mesta la sera.

 

Ch’è lavoro di niente, diresti, questa

 

vita di eterno ben fatto.

 

 

 

 

 

                                                                                     Da: Le restanti attrazioni

 

 

 

 

 

Come poteva l’ampiezza del cielo

 

propagarsi ancora e al tuo pensiero sconfinare

 

in tumulto?

 

 

 

E come poteva dalla preistoria la pietra

 

disegnarti il profilo e il lago restare trasparente

 

mentre l’acqua aveva i tuoi occhi?

 

 

 

E come, come era possibile

 

aver così chiara la tua immagine ovunque?

 

 

 

Nessuno, nessuno a questa intrepida cosa

 

ha mai dato altro nome che amore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Incognita d’accesso

 

saper dire la ragione che costringe la luce

 

a  soffocare ogni nera frazione dell’essere, a simulare

 

con un trillo o un confetto una mezza giornata

 

di senso.

 

 

 

Tornasse il tempo per scivolar daccapo

 

oltre il silenzio mi guarderei sognare da altra

 

prospettiva,

 

 

 

mettendo ordine a digiuni

 

e a spasimi d’aceto e mai più camminare

 

sulle braci affievolita, mai più distruggermi

 

quando è casa e non ha porte o per

 

dovere d’essenzialità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Da quale costola, da quale cortesia,

 

da quale insieme? L’avvio tenuto fermo

 

all’improvviso prende slancio.  L’idea

 

era lassù, una nuvola o il calco lieve

 

di passaggio aereo, chissà, qualcosa

 

sarà stato d’irresistibile fermento.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dislocami in un fato acuminato

 

dove non consente scintilla Prometeo.

 

 

 

Toglimi la perfezione, il gusto di ferire,

 

metti il tuo no a far da mendicante tra questa folla

 

di cere e di piumaggi. Sappi annunciare

 

la sconfitta e la scarsità.

 

 

 

La vita che non cambia si strugge.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Se per cadenza che non rallentava

 

la tua voce increspava l’acqua io non trovavo

 

riva.

 

 

 

Dentro vane bracciate pativo l’affanno.

 

 

 

Cosa mi era utile e cosa mi uccideva

 

avevano lo stesso sfocato brillio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Incontravamo creature

 

e luoghi al sorgere del sole senza

 

nemmeno domandarci cosa riuscisse

 

a menomarli così in fretta, se soffrissero

 

d’un male ancora da patire o delle

 

miglia sparse per la mente.

 

 

 

E ovunque era lo stesso

 

volto pieno di rughe come il mare, la

 

vita in sé protetta in profondissimi

 

abissi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fuori di qui , in una via

 

quel che sei e quel che raggiungi, un posto

 

per vivere che non abbia mai danzato alla luna

 

o sottomesso il debole in virtù d’un fucile,

 

 

 

un posto dove l’epilogo è maturità che altro epilogo

 

rincorre, primavera che sognata nell’inverno

 

già sta partorendo il grano dell’estate per

 

quell’autunno che chiuderà le imposte

 

e verserà farina nei crivelli.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Potrebbe essere l’anniversario

 

del mio primo no o del fiume che scompare

 

per aridità, potrei rappresentarmi tutta la vita

 

con similitudini e non poter in alcun modo

 

vivere.

 

 

 

Ma permangono favole da capogiro

 

come una centralità indefinita, perché forse

 

è questo quel che chiede la vita,: un posto

 

di comando su di un’empia calpestabile

 

sicurezza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A risalire un figurare d’apparenze

 

ma poi non distinguibile, ma poi polvere,

 

osata cenere agli eremi della penombra, gemella

 

al nulla, bocca, petto tutta sostanza senza difetto

 

a rendere. Si pentirà chi avrà deciso tutto

 

questo?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Legge il segreto della stanza.

 

La sottile limatura degli istanti.

 

Deve indovinare perché sia così muto

 

il sentimento tanto da non esser più capace

 

di dilettarsi con la prosa.

 

 

 

Conquista l’attesa sminuzzando

 

la buccia d’una arancia consumata.

 

 

 

Quanto alle parole le lascia venire avanti

 

in leggerezza. Le parla del tempo, dei piovaschi

 

fragorosi, degli ultimi dilemmi monetari,

 

delle tempeste evase dai forzieri.

 

 

 

Dunque la folla meritevole che è tra loro

 

li tiene separati. A inquietarli sono le restanti

 

attrazioni e la svasatura delle ombre sul

 

pavimento di boccoli recisi.

 

                                                                                         

 

 

                                                                                    Da: Di punto in bianco

 

 

 

 

 

Vivace sulle prime poi la mossa che chiude

 

nell’angolo, il panorama della fame, dei miei digiuni

 

le ombre fuori asse.

 

 

 

Ma di queste bancarotte abitate considero

 

il non trascurabile cuore che apprende e che

 

a farsi bianco comincia sugli orli finché gli è possibile

 

dimenticare il colpo andato a vuoto, la ruota sbalestrata,

 

il rotto silenzio d’accaduto  di cosa non più cosa

 

che in nessun modo torna ad accadere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per lo splendore del risveglio

 

all’ali verdi dei tigli, misi ogni me stessa

 

alla finestra. Per il lampeggiare delle foglie

 

cacciai da me il ventre ed il giudizio.

 

A tempo scaduto ciascuno sa

 

cosa il cuore non salva.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Adesso tolgo alla mia magra ora la cicala.

 

Ora servo la tua estate. Un regno senza suono.

 

 

 

Una vena d’oro. E impronte d’un nero

 

che non ricordo, forse una vecchia vita che

 

andava incontro a tutta questa luce.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Viene esclusa qualunque incidenza

 

del colore. L’avvenire è una ragnatela

 

da qui alla tenebra, una crescita infinitesimale,

 

indistinguibile dal buio che la osserva.

 

 

 

E allora dire autunno per dire:

 

ecco, il mio rosso è sanato dall’ombra.

 

 

 

Allora rinunciare al corpo che è solo cromatura.

 

Comporre nuvole prima che i ciclamini arrivino

 

ad accendere la miccia dei sospiri.

 

 

 

Essere ad un passo dalla cosa più distante,

 

parlare come parlava mia madre, la stessa rauca

 

dissolvenza nella vastità delle fiabe. Lo stesso

 

mostrare fronte e costato a nessuna pietà.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ho cavato miele dalla punta delle lance.

 

Come una maga davanti ai lari della casa

 

e non so dire quanta dovizia c’è voluta

 

per sapere com’è davvero il nulla.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Alcuni tiepidi giorni – le magre strine a prepararsi –

 

e l’ombra senza sguardo che accompagna.

 

 

 

La pressione dell’aria riga la fronte.

 

 

 

È la fatica di un ramo un tempo fiorito.

 

Del rimboccare l’acqua fino al bordo del cratere.

 

 

 

È l’includersi

 

tra chi tenta giunto ai suoi inferi,

 

il brusio di combuste logiche cadenti, è il mantenere

 

scevra da sussulti l’apparenza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sarà come passare ad altra scuola,

 

ad una intransigenza di parole a dire cose che mai.

 

 

 

O come far divenire semplice tutto il dilemma

 

e semplice il disaccordo. La vita destrezza

 

 

 

sposalizio del vecchio col nuovo. Non capirai perché.

 

Eppure, col tempo, la specie adotta un modo di essere che

 

rasenta la colpa e si perfeziona immaginando il suo

 

finito quale scienza e uso di sapienza, i suoi

 

remi in barca quale navigazione in un

 

mondo senza stelle.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Allora scalzo venne il tempo a mantenere segreta la luce

 

come un campo la semenza.

 

 

 

Cadde l’alba. Con occhi dilatati il più piccolo

 

dei suoi respiri spezzò infiniti intrecci.

 

 

 

Sopra il letto l’umido e tenue odore del risveglio

 

venne a dire è lo spillo è la farfalla.

 

 

 

A quell’ora, a quell’angolo

 

la città schiariva la sua larga faccia di travertino

 

come avesse voluto suscitare ancora

 

un moto di speranza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non riuscivo a spegnere il tracciato

 

delle nervature, l’armonia del disegno.

 

La mano aperta sulla foglia – due opere d’ingegno

 

cieche e tremanti che l’autunno

 

volgeva a parlarsi.

 

 

 

Non capire e poi d’improvviso

 

trovarsi in due. Sapienza o quasi, quasi la vita

 

volesse tradirsi a cose fatte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Del mattino le rugiade illuminate

 

e le altezze tutte a risalire nel risveglio.

 

 

 

Della farsa i divani rossi a commedianti

 

sovraccarichi di Ibsen, la fila dei giorni nella

 

corretta dizione dei rimproveri e tutto

 

confermato da uno sguardo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dappertutto fragili deschi appena ammantati

 

e odore di nascondigli inutili e la morte che non

 

ce la fa a non farmi danzare perché la casa

 

 

 

è stordita, perché il bianco non fa obiezioni,

 

perché è una grande euforia ed un insano coraggio,

 

perché la neve è per noi vivi come le viole d’Aprile,

 

il segno della follia che ottiene il comando.

 

 

 

Così è correre in raffiche e protrarre i punti

 

in linee e le linee in cauti allestimenti

 

fin quando il timore non rinuncia alla sua

 

libbra di carne ben pestata e nel respiro

 

coglie la sorpresa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il tempo ha cucito il sacco e sono io

 

quel peso che trasporta di qua e di là,

 

non proprio dove chiedo, ma solo

 

dove ottengo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pietra liscia per scabra insurrezione

 

perché con mano ferma il vento disegnò

 

gli anni a cella chiusa di vene grigie; poi viene

 

il tempo, la violenta china del sentirsi vivi

 

e muta e piatta si fa materia ribellata,

 

 

 

materia alchimizzata alla natura degli inerti,

 

che un giorno spera nel fosforio degli altri

 

e un altro prova a far maceria di se stessa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

S’infittisce l’esterno. Attorno al quadrato

 

s’infittiscono i lati; nel quadrato stesso il presente cede

 

a lungimiranze inattese.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non è servito a niente rendermi distruttibile,

 

battermi il petto, macerare il mio stelo, perdere la mia

 

guerra e a notte sempre dormire in quell’alone senza

 

vero nella tua face che illumina e distrugge.

 

 

 

O forse è servito perché ora sono grinzosa come

 

il mondo nella sua giovinezza di oceani disabitati,

 

quando per sua fortuna, di punto in bianco,

 

uscì dall’uovo mastodontico del dubbio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ora il respiro cambia. Richiusa la porta

 

torniamo esatti , definiti nei tarli, ci

 

muoviamo in memoria di noi.

 

 

 

E di quel particolare ci adattiamo

 

a confermare l’esistenza. Era muschio

 

giallo, un lichene provocante ma di tutto

 

quello ch’era l’orizzonte niente, nemmeno

 

dire se fosse isola o prigione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Gli uccelli si disintegravano. E gli uomini

 

seduti al bar restavano a guardare.

 

 

 

Allora spinsi la mia ombra in un alveare

 

di miele e furore. Spinsi le mani nei cassetti. Io che

 

sapevo di questo sud? Tutto ronzava in cartolina

 

e dalle finestre alberi e cielo s’imparentavano

 

col mare. Spinsi la cattedrale a bisbigliare

 

ritorni e sepolture e nelle crepe tutti i

 

fiori fiorirono e la bellezza lenta del

 

lamento.

 

 

 

Ma chi arrivava come me, chi passava

 

con la sua musica sbagliata, andava fatto impallidire,

 

andava fatto che smagrisse, lì, tra nere marine

 

di ricci, sfamato a fave e mezze lune di 

 

corteccia, andava fatto che per sempre

 

perdesse il suo bagaglio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non sono più quel diverbio appassito,

 

né la tara dello sciocco.

 

 

 

Nella vecchiezza di Giuseppe è la meraviglia,

 

nell’assedio del tempo l’avventura tardiva.

 

 

 

 

 

 

Il fortino (scritture in stato d’assedio), Terra d’ulivi edizioni, Lecce.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Vera D’Atri 

Ha conseguito il diploma di archivista all’archivio di Stato di Napoli. Solo dopo il 1997 si interessa di scrittura redigendo numerosi racconti e alcune brevi poesie facenti parte della raccolta “Abitare Sparta”  con la quale ottiene una menzione di merito al premio Lorenzo Montano diciassettesima edizione. A questa fanno seguito una piccola silloge poetica delle Edizioni della Biblioteca a cura di Giovanni Pugliese intitolata “Il museo di vaniglia” e nel 2009 la pubblicazione della silloge “Una data segnata per partire” edita dalla Kolibris di Bologna con prefazione di Rossella Tempesta. All’attivo anche alcuni racconti pubblicati in antologie e su riviste e un romanzo “ Buona bella brava” edito dalla Robin Edizioni nel 2010 e recensito da Enzo Rega su l’Indice dei libri. Suoi testi poetici compaiono su riviste, inserti culturali e numerosi blog (Opere inedite - di Luigia Sorrentino, Il giardino dei poeti,Transiti poetici, La casa senza tempo, La stanza di Nightingale, Gli occhi di Blimunda, Poetarum silva, Atelier, Pioggia obliqua, WSF). E’ presente inoltre nelle antologie “La giusta collera” edita da CFR, “Alter ego - Poeti al MANN”, Contatti diversi, I quaderni di Movimento Aperto, Scrittura sottovoce, Voci dell’aria e La parola abitata ed è tra i vincitori del concorso “La vita in prosa 2011” con un racconto edito nell’antologia curata da Ivano Mugnaini e seconda classificata al concorso “ Scrivere a corte ” sempre del 2011. Terza classificata al premio Di Liegro 2012 sezione poesia. Sempre per la poesia è finalista al Premio Mazzacurati-Russo delle Edizioni d’If 2012-2013 con la plaquette “Tutte donne” A maggio 2013 esce la plaquette “Una tenace invadenza” a cura di Libro Aperto Edizioni. Ad ottobre 2013 è finalista al premio Michele Sovente, seconda edizione, sezione poesia inedita. Sue letture presso la biblioteca Nazionale di Napoli per la manifestazione “Veduta Leopardi”. A marzo 2016 esce la raccolta di poesie “Il Fortino” a cura di Terra d’ulivi edizioni.  

 

 

La pagina viene presentata per gentile concessione dell'autrice a Pioggia Obliqua

 

 pioggiaobliquascritturedarte@gmail.com

 

 


 

" Pioggia Obliqua una rivista

affermata e prestigiosa."

 " Un grazie di cuore a 

Pioggia Obliqua i cui molti meriti nei riguardi della poesia non saranno mai abbastanza sottolineati."

 

Alessandro Fo

 

 

" Saprà o vorrà ancora la forza accumulata (...) resistere alla forza di omologazione che la tecnologia sembra inevitabilmente portare in seno?(...) Prevedo un lungo periodo di 'agonie', voglio dire di lotta (...) sarà probabilmente quella la forma e la sostanza del poetare che ci aspetta."

 

Mario Luzi

Da un suo scritto per Pioggia Obliqua a proposito

del  'senso di fare  poesia', gennaio 1996

 

 

" Io credo che un pò di silenzio ci faccia bene, c’è un coro di voci “troppo alto”, sgraziato, che ci sommerge, e non mi riferisco solo alla letteratura. In questa specie di “frullato” che siamo costretti ad ascoltare quotidianamente, il valore delle cose si perde.

 

Se c’è un attimo di riflessione, di

silenzio, la parola scritta o detta assume maggiore rigore."

 

 

Antonio Tabucchi

 

Intervista rilasciata a Luigi Oldani e

Elisabetta Beneforti per Pioggia Obliqua 

 

 


" Il sito Pioggia Obliqua mi ha "donato questa nota sul mio libro (...), ma l'intero sito è da seguire."

 " (...) e un ringraziamento per tutto ciò che P.O. fa per il mondo della poesia."

 " (..) E la stima è da me ricambiata verso il vostro prezioso sito!"

 (...) sempre attenti e preziosi gli amici di "Pioggia Obliqua".

 

Bruno Galluccio

 

 

" Un bel luogo d'incontro tra scritture."

 

Matteo Pelliti

 

 


" Non so dire se la bellezza salverà il mondo, come pensava Dostoevskij, ma mi piace pensare che sarà così. In fondo, già Stendahl sosteneva che "la bellezza non è che una promessa di felicità". 

 

Vittoria Franco

per Pioggia Obliqua

 

 

" Agli amici tanto tanto amati di Pioggia Obliqua, poeti invincibili della vita, il mio abbraccio umile e il mio ringraziamento, per mantenere la poesia come unica veritá nel mondo."

 

Daniel Fermani Gonzales

 

 

 

 

" Rivista preziosa, che seguo da tempo."

 

Alfredo Rienzi

 

                 

 

 

 

                    

 

 

                  

 

                       Consigli di lettura

 

 

    

 Nella omonima rivista cartacea 'Pioggia obliqua rivista di letteratura e culture', pubblicata negli anni Novanta, una intervista a
Antonio Tabucchi,
Edoardo Sanguineti,
Mario Luzi. 
Un testo di Valerio Magrelli. 
Mario Luzi, Luigi Baldacci, Patrizia Valduga, Attilio Lolini, Gabriel Cacho Millet, Marco Marchi e Loriano Gonfiantini rispondono
sul senso di fare poesia in quegli anni.
Risposte attualissime.

 

 

 

 

 

 

 

 


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  • Quale presenza. Testi di: Luzi, Baldacci, Valduga, Cacho Millet, Lolini, Marchi, Gonfiantini...
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  • LA PAGINA DI MARCO MARCHI
  • "Una goccia d'inchiostro di china" a cura di Cristina Banella
  • SPAZIO ALLA BELLEZZA
  • Per ENZO SICILIANO
  • Ricordo di LUIGI BLASUCCI
  • Per SILVIA RIZZO
  • La poesia di Fernanda Romagnoli
  • H A I K U di Luigi Oldani
  • 'Aghi di Pino' scritti di Luca Cenisi
  • Poesia: ENZO MAZZA
  • Poesia: Alba Donati
  • Poesia: Alessandro Fo
  • Poesia: Franco Buffoni
  • Poesia: Roberto Deidier
  • Poesia: Isabella Leardini
  • Poesia: Paolo Ruffilli
  • Poesia : Clara Monterossi
  • Narrativa-Poesia: Tiziano Fratus
  • Poesia: Giacomo Trinci
  • Poesia: Elisa Biagini
  • Poesia : Maria Pia Quintavalla
  • Poesia: Rosaria Lo Russo
  • Poesia: Matteo Pelliti
  • Poesia e fotografia : Elisabetta Beneforti, Shandong lu
  • Poesia: Elisabetta Beneforti, Senza Permesso
  • Poesia: Cinzia Marulli
  • Poesia: Roberto Veracini
  • Poesia: Giuseppe Grattacaso
  • Poesia: Daniel Fermani
  • Poesia: Alberto Toni
  • Poesia: Stefano Bortolussi
  • Poesia: Rosalba De Filippis
  • Poesia: Fabrizio Parrini
  • Poesia: Giancarlo Baroni
  • Poesia: Alfredo Rienzi
  • Paolo Pagli Haiku
  • Poesia: Claudio Pozzani
  • Poesia: Marina Pizzi
  • Poetry: Jeffrey Harrison
  • Poesia: Jeffery Harrison Poesie e un'intervista
  • Poesia: E.Seghetta Andreoli, A.D'Errigo, S. Colli, F. Giusti
  • Poesia: Saverio Bafaro
  • Poesia: Lucia Cupertino
  • Poesia : Giordano Occhini
  • Poesia: Michela Zanarella, Ester Monachino
  • Poesia visiva: Elena Marini
  • Poesia Visiva : Luc Fierens
  • Poesia: Francesco Bargellini
  • Poesia: Daniela Gentile, Claudio Pasi
  • Stefano Loria pittura-poesia
  • PROPOSTA POESIA a cura di ALESSANDRO FO
  • Poesia proposta: Canale, Lombardi, Merola, Tognoni, Bertone.
  • Poesia proposta: Gian Luca Guillaume, Luca Ispani, Filippo Amadei
  • Poesia proposta: Di Gennaro, Repossi, Rimolo
  • Poesia proposta: Angelo Santangelo, Giulio Mazzali, Marco Bini
  • Poesia proposta: Cunial, Viti, Viotto
  • Poesia : Greta Rosso
  • Poesia: Giovanna Cristina Vivinetto
  • POESIA : Jean Soldini
  • Poesia : Daniela Zambrano - editi e inediti
  • Poesia proposta : Manuela Mori, Selene Pascasi
  • Poesia proposta: Mirra, Allo, Strinati, Ciampalini, Carnevali, Peralta, Casulli, Bresciani, Marrone
  • Poesia proposta: Vera D'Atri
  • Poesia proposta: Laghi Pasini, Milleri, Malerba, Corbetta, Merico
  • Poesia Proposta: Valerio Succi, Michela Gorini
  • Poesia Proposta: Filograna, Della Ciana, Imperato
  • Poesia Proposta: Alessandro Monticelli
  • Poesia Proposta: Luca Gilioli, Pierpaolo Lazzaro, Hero Haze
  • Poesia Proposta : Ornella Mereghetti, Danilo Luigi Fusco
  • Poesia proposta:Pietro Edoardo Mallegni, Anna Polin, Susanna Russello
  • Poesia proposta: Marco Serravalle,Matteo Piergigli
  • Poesia : Sara Comuzzo
  • Poesia proposta: Antonietta Bocci,Valerio Sanzotta
  • Poesia Proposta: Viola Bruno, Alessia Lombardi, Maria Bochicchio
  • Poesia proposta : Maria Benedetta Cerro, Gabriele Greco
  • Poesia proposta: Abruzzese, Marcantoni,Pedrazzi
  • Poesia Proposta: Alessandro Giraudi, Henry Ariemma
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