PioggiaObliqua scrittured'arte
  • La Prima
  • Noi
  • La RESISTENZA 25 APRILE
  • DIALOGO CON ANTONIO TABUCCHI
  • Quattro domande a MARIO LUZI
  • Un'intervista a Edoardo Sanguineti- Un testo di Valerio Magrelli
  • Quale presenza. Testi di: Luzi, Baldacci, Valduga, Cacho Millet, Lolini, Marchi, Gonfiantini...
  • LA PAGINA DI PAOLO LAGAZZI
  • LA PAGINA DI MARCO MARCHI
  • "Una goccia d'inchiostro di china" a cura di Cristina Banella
  • SPAZIO ALLA BELLEZZA
  • Per ENZO SICILIANO
  • Ricordo di LUIGI BLASUCCI
  • Per SILVIA RIZZO
  • La poesia di Fernanda Romagnoli
  • H A I K U di Luigi Oldani
  • 'Aghi di Pino' scritti di Luca Cenisi
  • Poesia: ENZO MAZZA
  • Poesia: Alba Donati
  • Poesia: Alessandro Fo
  • Poesia: Franco Buffoni
  • Poesia: Roberto Deidier
  • Poesia: Isabella Leardini
  • Poesia: Paolo Ruffilli
  • Poesia : Clara Monterossi
  • Narrativa-Poesia: Tiziano Fratus
  • Poesia: Giacomo Trinci
  • Poesia: Elisa Biagini
  • Poesia : Maria Pia Quintavalla
  • Poesia: Rosaria Lo Russo
  • Poesia: Matteo Pelliti
  • Poesia e fotografia : Elisabetta Beneforti, Shandong lu
  • Poesia: Elisabetta Beneforti, Senza Permesso
  • Poesia: Cinzia Marulli
  • Poesia: Roberto Veracini
  • Poesia: Giuseppe Grattacaso
  • Poesia: Daniel Fermani
  • Poesia: Alberto Toni
  • Poesia: Stefano Bortolussi
  • Poesia: Rosalba De Filippis
  • Poesia: Fabrizio Parrini
  • Poesia: Giancarlo Baroni
  • Poesia: Alfredo Rienzi
  • Paolo Pagli Haiku
  • Poesia: Claudio Pozzani
  • Poesia: Marina Pizzi
  • Poetry: Jeffrey Harrison
  • Poesia: Jeffery Harrison Poesie e un'intervista
  • Poesia: E.Seghetta Andreoli, A.D'Errigo, S. Colli, F. Giusti
  • Poesia: Saverio Bafaro
  • Poesia: Lucia Cupertino
  • Poesia : Giordano Occhini
  • Poesia: Michela Zanarella, Ester Monachino
  • Poesia visiva: Elena Marini
  • Poesia Visiva : Luc Fierens
  • Poesia: Francesco Bargellini
  • Poesia: Daniela Gentile, Claudio Pasi
  • Stefano Loria pittura-poesia
  • PROPOSTA POESIA a cura di ALESSANDRO FO
  • Poesia proposta: Canale, Lombardi, Merola, Tognoni, Bertone.
  • Poesia proposta: Gian Luca Guillaume, Luca Ispani, Filippo Amadei
  • Poesia proposta: Di Gennaro, Repossi, Rimolo
  • Poesia proposta: Angelo Santangelo, Giulio Mazzali, Marco Bini
  • Poesia proposta: Cunial, Viti, Viotto
  • Poesia : Greta Rosso
  • Poesia: Giovanna Cristina Vivinetto
  • POESIA : Jean Soldini
  • Poesia : Daniela Zambrano - editi e inediti
  • Poesia proposta : Manuela Mori, Selene Pascasi
  • Poesia proposta: Mirra, Allo, Strinati, Ciampalini, Carnevali, Peralta, Casulli, Bresciani, Marrone
  • Poesia proposta: Vera D'Atri
  • Poesia proposta: Laghi Pasini, Milleri, Malerba, Corbetta, Merico
  • Poesia Proposta: Valerio Succi, Michela Gorini
  • Poesia Proposta: Filograna, Della Ciana, Imperato
  • Poesia Proposta: Alessandro Monticelli
  • Poesia Proposta: Luca Gilioli, Pierpaolo Lazzaro, Hero Haze
  • Poesia Proposta : Ornella Mereghetti, Danilo Luigi Fusco
  • Poesia proposta:Pietro Edoardo Mallegni, Anna Polin, Susanna Russello
  • Poesia proposta: Marco Serravalle,Matteo Piergigli
  • Poesia : Sara Comuzzo
  • Poesia proposta: Antonietta Bocci,Valerio Sanzotta
  • Poesia Proposta: Viola Bruno, Alessia Lombardi, Maria Bochicchio
  • Poesia proposta : Maria Benedetta Cerro, Gabriele Greco
  • Poesia proposta: Abruzzese, Marcantoni,Pedrazzi
  • Poesia Proposta: Alessandro Giraudi, Henry Ariemma
  • Poesia Proposta: Federica Carossi, Francesca Ragozzino, Doris Bellomusto
  • Poesia Proposta : Valentina Sessa
  • Poesia Proposta: Gabriella Musetti
  • Poesia Proposta :Guglielmo Aprile,Michele Piramide
  • Poesia proposta : Doris Bellomusto, Virginia Veludo, Patrizia Baglione
  • Proposte Poesia, Segnalazioni
  • Giancarlo Baroni :Animali in versi
  • Lorenzo Monticelli
  • Viaggiando in Italia. A cura di Giancarlo Baroni
  • Giorgia Karvunaki presenta...
  • Letture oblique 1
  • Letture oblique 2
  • Letture oblique 3
  • INDIPENDENTI LETTURE
  • IN CORSO
  • VISIONI OBLIQUE
  • Saggio: Le limericks irlandesi
  • Normandia: immagini e versi
  • Saggio: Dante
  • Saggio: Mallarmè
  • Foto: Giappone: la bellezza sospesa.
  • Foto: MIke Lee Bellezza a New York
  • Foto: Duccio Ricciardelli
  • VIDEO ARTE: In conversazione con Duccio Ricciardelli e Marco Bartolini
  • Foto: Massimo Oldani
  • Foto : Lisetta Carmi - Suonare forte
  • Having a coke with you - rubrica a cura di Sara Comuzzo
  • Corrispondenze da "The Poetry cafè" di Londra
  • INTERVISTA :A.Gasperini, M. Ciardi, Il pianoforte di Einstein
  • INTERVISTA A CECILIA FERRARA: Perdersi in Europa senza famiglia

       Stefano          Bortolussi

Califia

è un libro che la nostra poesia d’oggi aspettava. Necessario, augurale. Bortolussi qui fonde lirica ed epica in un poema potente, di ampia e profonda risonanza. Califia è il primo nome dato alla California da Cortés, toccando le rive di quella terra, convinto che fosse un’isola: la battezzò così in onore di una leggendaria regina di donne guerriere in un’isola immaginaria dell’oceano indiano.

Califia è una sorta di “viaggio a Occidente” mentale e poetico, un “tutto” poematico e in parte drammaturgico, un’immersione nel profondo di una terra vista e vissuta come luogo di meraviglie e ierofanie, in cui mito e contemporaneo si fondono: il surfer, il povero migrante messicano vittima sacrificale dal coguaro,  la musica West Coast anni Sessanta il grande regista Billy Wilder che assume la voce di Coyote, nella realtà atemporale, incantante di questa Atlantide americana. Le Metamorfosi di Ovidio, lo sciamanesimo degli indiani d’America, l’ombra di Hart Crane, il poeta del ponte di Brooklin, la lezione di Ritsos, Walcott, pochissimi altri autori “poematici” del nostro tempo, animano, in un respiro internazionale, una versificazione pacata e ardente, ventosa e narrante: un’indicazione di rotta per i poeti delle nuove generazioni: “– perché come mi ha dettato questa terra, /come di questa terra hanno scritto i suoi poeti, /io sarò il viaggio, il viaggio sarà me.”

 

ROBERTO MUSSAPI

 


Da Califia

 

 

Califia (anche Calafia) è il nome della leggendaria regina a capo di un popolo di sole donne che abitavano un'immaginaria isola dell'oceano indiano.

La leggenda della regina Califia e delle donne guerriere dalla pelle scura è associata alla mitica e ricchissima Isola di California e fu trasposta nella novella Las sergas de Esplandián (Le avventure di Esplandián), scritta nel 1510 dallo spagnolo Garci Rodriguez de Montalvo.

Lo stato americano della  California deve il suo nome ai primi esploratori che nel 1536, al seguito di Hernan Cortés, nella convinzione di essere approdati su un'isola (invece che sulla lunga penisola che oggi si chiama Bassa California) gliene attribuirono il nome.


 

Sembra Storia, quella che sento galoppare

alle mie spalle sempre più incalzante,

il suo alito distillato di aspettative e intenzioni

sul collo di questo andare spedito sulla strada

che si aggiunge una cifra e che si lascia dietro,

un poco a ovest del mio stupore assorto,

le rocce rosse striate di questo nuovo incontro con la terra

– possibile, probabile perfino, anche se l’ultima volta

che mi è parso di parlare con Coyote lui ha risposto:

“Nessun rimpianto, d’altra parte

il prigioniero delle linee bianche della strada

non sono certo io, vallo a dire

alla Signora del Canyon la prima volta che la senti.”

Al momento rideva, zanne gialle esposte alla luce

del deserto, ma le sue parole da bullo di cortile

sembravano negate dal volto del guerriero

scolpito dal vento verso il cielo,

Rushmore dallo sguardo diretto a ciò che conta,

che sia aquila o pioggia, ma sempre più grave

del granito poroso di Yosemite.

I segnali sono misti quando viaggi in questa terra

di linee che si perdono, ma forse è vero, ha ragione lui,

il segreto è girare ­– che sia pagina o strada non importa.


 

And I feel like I've been here before

                                                                                    David Crosby

 

 

 

Il canyon degli allori non è più quello

che sembrava allora, quando Joni e David e Neil

erano presi come per incanto e trasportati

dai vascelli di legno liberi sull'acqua

al solo suono delle sparse note sorgenti

da uno degli angoli addomesticati di foresta;

a vivere sempre in un talento non sono ormai rimasti

che i ragni tessitori di vele da un albero all'altro

di eucalipto, e il vento gonfia solo i loro sforzi

che scintillano geometrici ai raggi del buon incantatore:

eppure se ascolti, se annusi, se ti fermi fra le curve

e non alzi lo sguardo ma lo perdi nelle macchie dei dirupi,

là dove le case si abbarbicano assurde come ponti

che si lanciano nel vuoto per poi esitare e ritrarsi

di spavento, forse senti ancora qualche nota sparsa

di quando il canto non era al passato, di quando il presente

era il languore dell'estate che si sfaceva lenta, irripetibile.

 


L’ultima preghiera di Aparicio nelle fauci del coguaro

 

 

I

 

Dietro la roccia scolpita dal tempo a testa di santo,

più sottile del normale e allungata

come se una forza del cielo la traesse

ogni giorno, appena al di là della curva

a gomito di quello che qui passa per sentiero,

nella chiazza d’ombra maculata del chaparral:

lì mi aspettavi pronto allo scatto, al balzo, alla zampata.

Ma il primo affondo non è stato tuo;

l’ha preceduto un pensiero, guizzante come mariposa,

ridicolo perfino nella sua logica fallibile:

se il destino è davvero scritto in un nome,

Aparicio non dovrebbe appartenere

a questo bipede migrante bensì a te,

onza di leggenda, quitamiztli dei padri delle alture

o forse solo ultimo nato di una nidiata come altre

fra le gole e le pietre e i cacti del tuo mondo

ma ora, qui davanti a me, tanto possente

nella tua posa naturale di quadrupede

da richiamare alla mente spoglia della preda umana

una sola frase, una preghiera: coguaro, sii veloce.

 

 

II

 

Sii veloce, coguaro, a porre fine a questa marcia

nella polvere volatile del canyon che conduce a casa,

il povero intreccio di lamiera e legno marcio 

nella cuna del terreno dipinto di mirto e larrea,

un luogo che potresti aver visitato cento volte

nelle cento notti in cui vi ho chiuso un occhio solo,

l’altro sbarrato a studiare la sera invadente

dagli spiragli fra le assi deformate dal caldo

o dal semplice sforzo di offrire riparo dal vento,

dal buio mai completo della notte,

dalle carnivore intenzioni di chi come te

è composto di fame, fiuto, fasci bruti

di muscoli contratti e allungati.

Eppure non hai mai bussato a quella parodia

di una porta: forse ti sei anche avvicinato,

quando il mio odore esausto ti era giunto

più intenso alle narici, ma ti sei guardato

dallo sferrare la zampata decisa che l’avrebbe

cancellata in un istante, aprendo uno squarcio

sul coperchio di stelle del cielo: non l’hai fatto.

 

 

III

 

Hai atteso il momento di massima ironia:

in pieno giorno sei voluto apparire ad Aparicio

come uno scherzo divino, ricordo dei tempi

in cui eri sacro all’azteco e un tuo ruggito

chiamava l’attenzione del dio piumato ai sacrifici

dell’umano. In questo pomeriggio di luce e stanchezza

ti sei voluto celare dietro il gomito di pietre e cespugli,

quando l’unico timore del migrante di ritorno

s’incarnava alla peggio nella figura eretta

e incravattata di un agente della DEA (no, puma

sacro, niente a che fare con la tua Signora:

è così che qui chiamano i combattenti della droga,

e Aparicio sarebbe anche pronto a celebrarli

se non fosse proprio il loro nemico a sfamarlo).

Hai voluto sorprendere l’ometto dal volto di argilla,

forse avvertito dall’aroma dolce della sensimilla

che insisteva a ghermirlo anche dopo il lavoro

di un giorno nato come tanti e in un baleno

dal tuo alito caldo trasformato

nel passo di troppo oltre un crinale di barranca.

 

 

IV

 

Poco lontano, sulla destra, verso il declivio

che conduce alla piantagione clandestina,

il relitto tutto ruggine e terra di un Chevy del ‘38

sembra acquattato nella macchia quasi fosse

pronto a balzare su di te, su di me,

sulle nostre membra ormai così intricate

che l’unica nota a distinguerle è il rosso

lucore della linfa vitale – perché il rapporto

fra noi è semplice: io sanguino, tu sbrani.

I fari sgranati del pickup fissano ma non vedono

la scena, scherzo primordiale di un destino

che ha forse più a cuore la fame di una fiera

che i giorni residui di un bracciante. Se solo

in luogo di questa meccanica carcassa ci fosse

l’altare al neon della graziosa Virgen de Guadalupe,

forse la tua memoria di animale sacro

ti fermerebbe le fauci, ti farebbe ritrarre

gli artigli che ora mi percorrono la schiena

già incrinata dal lavoro; ma si dice sia stata rapita

dal cartello di Cancun, costretta al miracolo turistico.

 

 

V

 

Le zanne mi affondano nel collo come un bacio

di maldestro principiante di passione,

il sole si cala nel mare come un bimbo paffuto

dal costume arancione, finalmente deciso a rischiare

il brivido delle correnti e il bruciore agli occhi

degli spruzzi: ma la bellezza sacra del momento

si stempera quando le carni si guardano a distanza,

un braccio e l’altro separati non più solo dal torso

ma anche da qualche metro di polvere e furia;

e a un tratto mi sovviene che per arrivare fino a qui,

fino a sentire lo sbuffo rancido della fiera sul volto,

ho pagato il pedaggio salato della Devil’s Highway

costellata delle ossa di chi mi ha preceduto senza farcela,

costretto a udire le risate da iena del coyote al volante

del furgone – dalle rive del Rio Yaqui alle sabbie di Sonora

all’Arizona nella prima classe della sete e della fame,

contando ogni secondo e ringraziando lo scoccare

dei minuti per l’insperata assenza della Migra –

e tutto questo per finire qui, sul crinale di un canyon

come tanti, pasto di un puma affamato come pochi.

 

 

VI

 

Forse ti è indifferente, intento come sei

a rendere le mie membra oramai sparse

al tuo sistema digerente e la mia anima agli dei

che ti governano; ma mi stai forzando a dire addio

a mia moglie, la bella Presencia d’ocra e ossidiana,

e a Carnacion, la piccola dalle forme ancor vaghe

– e quante battute al villaggio su questa singamia 

di nomi: i vecchi ci chiamavano Trinidad

e noi sorridevamo timidi d’orgoglio, credendo

che i legami potessero diventare indistruttibili 

con un solo incantesimo di sillabe

dette non sempre o solamente ad alta voce

ma scandite dalla nostra musica segreta.

Quanti di quei giorni, dalla sera in cui Presencia

mi si parò davanti, quinceanera, più radiosa

della Vergine che sorrideva fra le gale

dal declivio d’ombre del suo petto appena nato

e mi chiese  – inaudito –  di condurla nella danza

sulle note della sua canzone: te la canterei,

coguaro, se mi avessi lasciato una gola con cui farlo.

 

 

 

VII

 

Ora di loro resta solo l’assenza, qui nella terra

segnata dai punti esclamativi dei tuoi artigli

e dai cerchi innocui delle impronte simili a disegni

di bambini ancora ignari del pericolo nascosto

in qualsiasi traccia sconosciuta sul cammino:

a poca distanza dal mio dito, forse teso a indicarla,

se ne staglia una, netta e profonda,

in cui un crotalo ha trovato rifugio dalla sera

avvolgendo le spire diamantate attorno a un sogno

di tana – lo stesso che mi ha sospinto fino ad ora,

rivestendo la catapecchia d’assi e pietre della radianza

bianca di mais di una cena al tavolo scheggiato

della vecchia cucina di casa. Lo troverai sorprendente,

ma nell’uomo la mancanza degli amati cresce

in proporzione inversa a quanto rimane del corpo

dopo l’assalto della belva che l’ha scelto come preda:

può darsi sia una legge di natura, tanto pensiero

per tanta carne viva, ma non è nella natura del migrante

soffermarsi a osservare ciò che capita, occupato

com’è a fare di tutto per evitare che succeda.

 

 

VIII

 

E ciò malgrado è accaduto, o meglio è in pieno

accadimento, questo iniquo interscambio fra noi,

e mentre mi dissanguo non posso fare a meno

di pensare a quanto sia consono tutto questo

a questa terra, così vicina a casa nei profumi

e nelle fughe dello sguardo verso la distesa

del deserto dietro l’angolo ma infine sfuggente,

un pianeta in orbita attorno al sogno di una vita nuova.

Vi arrivai, assetato di liquidi e speranze, con il seme

di un’intenzione, la più vaga: avrei onorato la memoria

del grande Murieta, El Famoso, e della sua vita lontana

di crimine giusto ed equamente dispensato: eroe

di Sonora e terrore di California, vendicatore di torti

con violenze, cacciato insieme ai quattro Joaquin

come bestie marchiate dal destino di un nome:

crotalo, coyote, criminale – so che capisci, coguaro.

Ma forse ignori, divorando, che anche i migliori disegni,

i più eroici, sono segnati da confini; e che quando devi

accettare il giorno per il buon motivo che non ne sorge altro,

non puoi che abbandonarli alla frontiera del tuo ieri.

 

 

IX

 

E sembra ieri quando, in formazione sparsa

davanti all’ovale del centro commerciale, pensando

al cerchio quasi perfetto di terra battuta e tramonto

al centro quasi esatto del villaggio con nostalgia

pari alla gioia con cui ogni giorno vi si accoglieva

il violagrigio della sera, guardando le madri

di Malibu condurre i carrelli rigogliosi

nella nebbia costiera del mattino, mi scostavo

sottraendomi al contatto con le auto più lustre,

più nere, più potenti e con gli uomini al volante

– lindi, ben rasati, sereni residenti in cerca

di braccianti per vigneti, giardini, minigolf –

e mosso a torva diffidenza verso il nuovo, il liscio,

il regolato salivo sul pickup più malconcio della fila,

squarcio di ruggine e fumo scuro nell’aria salmastra,

alla guida uno Yaqui dal volto di terra essiccata,

il gomito sporgente come la polena spuntata

di un peschereccio al porto di Guaymas, e guardavo

scorrere, strette e violente, le curve del lasso d’asfalto

dove il canyon si serrava e si apriva come vulva.

 

 

X

 

E forse allora non è un caso che ciò che vedo adesso,

con chiarezza, dietro la cataratta di polvere e sangue,

sia la perfetta scura fonte di Presencia,

nera come le acque di una cava d’onice

nelle poche sere senza luna, la timorosa offerta

sul bianco della vecchia tovaglia stesa a terra

nella piccola conca stretta dall’abbraccio

di ocotillo paloverde e mesquite e sorvegliata

dalle torri severe del cardon, la prima volta

che portai le labbra fra le sue e bevvi la sua linfa.

O forse è soltanto la voluttà della tua fame

di pantera a trasportarmi in luoghi più usi

all’annodarsi che al lacerarsi delle membra;

e l’abbandono di allora si ritrova in questa resa.

La differenza, come sempre, è tutta nel dolore:

ma ciò che gli sparsi filamenti dei nervi mi trasmettono

non è nulla in confronto a quel nero, a quel bianco,

al succore ancora vivo in me mentre muoio

– ed è per questo che la mia preghiera è diventata altra:

                                   coguaro, divorami concalma.



Stefano Bortolussi, Jaka Book.






Nel recente libro di versi di Stefano Bortolussi, la California, palcoscenico che fa da sfondo all’azione di ogni poesia del volume, appare tanto più reale proprio quando meno si delinea in paesaggio concreto. Essa è insieme spazio fisico preciso e dimensione vagheggiata, presenza immediata e approdo favoloso, scoperta e desiderio. […] Insomma la California di Bortolussi è innanzitutto luogo di un’epopea mitologica, in cui si fondono elementi individuali e collettivi, e dove i richiami a Nettuno, al Minotauro, ad Apollo, a Mnemosine e alle Muse sue figlie si completano e si fondono con i riferimenti, anch’essi a loro modo favolosi e mitici, a Robert Mitchum nei panni di Marlowe, ai protagonisti della musica della West Coast degli anni Sessanta e Settanta, a cominciare da David Crosby, Neil Young e Joni Mitchell, a Jack Kerouac alla ricerca della pace interiore a Big Sur, al regista Billy Wilder, alle bande spettrali di Apache e Comanche che attraversano senza pace le immense praterie. […] E’ una poesia che sceglie con decisione un’ascendenza dalla tradizione letteraria di matrice anglosassone, risale fino a Walt Whitman e risente della lezione del caribico di lingua inglese Derek Walcott. In questo modo Bortolussi perviene, come suggerisce Roberto Mussapi nella quarta di copertina, a “un respiro internazionale, una versificazione pacata e ardente, ventosa e narrante”.

 

Giuseppe Graccacaso, SuccedeOggi

 


 

La California come luogo non solo reale, ma anche metafisico e mitico. In un viaggio senza fine verso occidente Stefano Bortolussi descrive la propria Atlantide americana nel poema Califia (Jaca Book). […] L’autore elabora i suoi versi sulle orme di Ovidio, Dante, Milton, Ritsos, Whitman e Walcott.

 

Franco Manzoni, La Lettura – Corriere della Sera

 


 

[…] Un libro scritto tanto tempo fa. È la più intensa sensazione che si prova leggendo Califia […] E anche questo è un dato non marginale, da esploratore del passato. Un passato che questa poesia densa, lenta, pensata, descritta e che sfida la distanza, suggerisce di leggere come un’eco che risale dal tempo verso di noi tra leggenda e oscuro procedere verso il futuro. […] Califia, dunque, non è soltanto una Terra Promessa: è il procedere della scoperta che diventa canto di gioia, timore, approvazione, stupore e rivelazione: un pensiero, dicevamo, arcaico che Mussapi definisce addirittura “Atlantide americana”. […] Davvero, la fabula si pone come discrimine di tempi, sentimenti, evocazioni, viaggi e ricordi, “il respiro internazionale” come scrive Mussapi […]

 

Giuseppe Marchetti, La Gazzetta di Parma

 

 

 

[…] Il viaggio presuppone lo spostamento, ed ecco infatti che le primissime liriche contengono suggestioni legate all’uso inevitabile dell’aereo, quell’”andare senza muoversi”, quell’essere intrappolati mentre ci si lascia trasportare, che corrisponde comunque ad una progressiva occupazione dello spazio. Ma in pochissimo tempo – e in pochissimi versi – la meta è raggiunta e quasi superata: è allora un’altra fase del viaggio che prende il sopravvento, che occupa la scena e che apre nuove strade interne al viaggio stesso, ramificandosi in squarci paesaggistici di fulgido e tenero splendore, in recuperi storici che scivolano senza scosse nella leggenda, in costruzioni mitiche che coprono tanto l’antichità quanto la modernità, in uno slancio panteistico ed universale che tende a trasfigurare l’energia transitoria e mortale delle cose belle in qualcosa che la memoria e il cuore siano in grado di custodire per sempre. […] Gradualmente i paesaggi si ampliano e si stratificano, danno spazio ad unità di sostegno: tra le pagine della raccolta si trovano anche tanta musica, tanta letteratura, tanto cinema, echi multipli, significati con un’andata ed un ritorno elementi evocati ed evocatori, proprio quegli stessi elementi che già hanno permesso al lettore sedentario il riconoscimento a distanza dell’ambiente e del territorio. […] Il viaggio narrato in “Califia” non termina in maniera netta e precisa, sfuma piuttosto verso l’intenzione di proseguire, di durare per sempre, di rinnovarsi – eterno e indistruttibile – finché ci sarà voglia di vivere, finché ci saranno cose da fare e da raccontare.

 

dal blog PaperLife

 

 


INEDITI


Dal diario di bordo di Capitan Zero

 

 

“All I really knew was that I had found the perfect place on a perfect wave,

and I had remained there endlessly. Forever.”

A.C. Weisbecker, In Search of Captain Zero

 

 

 

Il gesto disteso, alternato, disteso bocconi su questi

due metri di prodigio equilibristico, di immergere

prima un braccio e poi l’altro nell’oceano non rende

giustizia al mistero del momento, alla mancanza

passeggera di fiato, al rapido pugno ma deciso

a stringere la bocca dello stomaco che accarezza

la mia longboard come non fosse materia impenetrabile

ma tessuto mobile e cangiante, permeabile: troppo densa

la nebbia del primo mattino, fitta come pioggia

sospesa al microscopio, troppo opaca la distesa di dune

di questo deserto liquido in attesa della serie,

regolare di numero ma non di forme e dimensioni,

che segna e permette il passaggio di energia che è il segreto,

la consegna delle chiavi del mondo di cui pochi hanno copie.

 

E quando arrivo, e mi levo a cavallo della tavola

cercando nella media distanza il panorama giusto,

mi rendo conto anche oggi che il dove raggiunto

è una linea che non c’è ma che viene lo stesso superata,

oltre la quale si rischia di incontrare il Padrone di Casa,

l’Uomo in Grigio, il tiburon famelico e istintivo

che non distingue fra umano e pinnipede, riducendoli

entrambi a pasto con poche, trascurabili varianti digestive.

 

La forma del mio mezzo e sostegno, così longilinea

e regolare, affusolata, silenziosa come in attesa

di diventare preda, e con quelle due estranee appendici

penzolanti – le mie gambe – a muovere l’acqua in modi

invitanti appena sotto il tetto lucente dell’aria,

deve sembrargli la risposta a bisogno e desiderio,

una destinazione obbligata risolta in virata, allungo,

guizzo di caudale. In questo sento fratelli i figli

di Dedalo e Apollo: il mio magnete non è l’astro

ma la parete blu di Salsa Brava, e forse il mio gesto

ha meno conseguenze sui cieli e sulle terre d’Africa,

ma lo spirito è quello: la bracciata verso il muro liquido

montante pari al battito d’ali pennute, al colpo di verga

sui fianchi del tiro divino: la sensazione non tanto

quella della sfida, quanto di una comunione trovata

soltanto in certe, a certe condizioni.

 

È l’equilibrio perfetto nel mondo che cerchiamo, compagni

di un diffuso equipaggio senza nave, custodi di certi ricordi:

Gerry Lopez a Pipeline, inverno del ’69, Jock Sutherland a Waimea,

tinto di sole arancione a notte fonda, o ancora, e soltanto,

e fieramente, della ripetizione di questo rituale paradosso:

quello di cavalcare non mare, non acqua – energia.


Metazoa

 

Lepus europaeus

 

L’ombra tremante di nervi e sopravvivenza

di una lepre di dimensioni mai viste

macchia le curve delle dune erbose

a pochi passi dall’erica che si stende

romanzesca, memoria finora soltanto

di carta e proiezioni speciali,

classici di notte e benvenute insonnie;

sopra, una rincorsa tenace

di grigio nell’azzurro nascosto, timido,

eroso da un vento di sud-ovest che non gira

lungo il dito di sabbia dai giorni contati

teso come a scegliere destinazione

nel timore che il gorgo marino all’incontro

riprenda a sé la striscia, troppo sottile

per essere vera, lungo cui la paglia

rischia e corteggia fulmine, fuoco,

                                     bufera.

 

Sylt, novembre 2011

 

 

 

Velella velella

 

Migliaia di vele trasparenti sono sparse

sulla sabbia lappata dall’oceano

o disposte in file ordinate come dalla mano

di bambino divino e sfuggente, troppo piccolo

o forse gigantesco al punto da negare la visione

completa e razionale, l’osservazione in sé conclusa

di chi senza sapere assiste.

Nelle pareti d’acqua della mareggiata che le ha consegnate

alle nostre attenzioni impreparate

come immensa flotta di navigatori di acque più calde,

discendenti innocui di eleganti e letali caravelle,

appaiono come occhi oblunghi e spalancati su di noi,

forse a ricambiare la sorpresa ammutolita

di una specie all’incontro con un’altra, sconosciuta:

perché una distesa tanto capricciosa di corpi

non sempre irreprensibili per dimensioni, curve,

proporzioni? perché la diversità delle posture,

la varietà dei moti e delle pause, il disordine

di un’assenza apparente di scopo e missione?

Sembrano dire, sgranando le iridi violacee: noi che siamo

qui per un capriccio di maree e temperature 

sappiamo che qualunque sia il nostro viaggio,

in sé trova senso. Sembrano chiedere:

                                                         ma voi?

 

Malibu, agosto 2014

 

 

 

Asio otus

 

Ha un metro di apertura alare e ne misura

mezzo nei casi segnalati più notevoli,

ma il gufo che ci siamo visti passare

davanti agli occhi carezzati dalla brezza scura

mossa dal suo volo pareva disprezzare per natura

ogni vano afflato di misura, allungando l’ombra

del suo corpo nelle ombre della sera spezzata

dalla sua comparsa e subito scomparsa,

linea retta di volo dall’occidente

vuoto di sfere alla luna orientale,

rotta offerta in fruscio al nostro bisogno

immediato di ragioni: perché un volo così basso?

perché rasente la scarpata che divide

dal resto ciò che è nostro?

Il suo passaggio, lacerando il quadro orizzontale

che davanti si offriva e uscendone

senza concessioni alla platea,

spezzava la nostra propensione al retroscena.

 

Camarillo, agosto 2014

 

 

 

Puma concolor

 

Non ti hanno lasciato diventare adulto,

i bisonti della strada lanciati nell’alba

verso il punto illusorio in cui i due lati

sembrano congiungersi dell’arteria

asfaltata che pompa a ciclo continuo

il sangue necessario alla nostra implacabile

avanzata in questa terra non più tua,

quelle duecento miglia quadrate che hai bisogno

di percorrere marcare reclamare

per incrociare il cervo che sostenta

la polla d’acqua che riflette

la foresta di Los Padres che accoglie,

nasconde e parla le mille lingue degli uccelli.

 

Travolto dall’acciaio lanciato lungo la mediana

che non ti poteva parlare o intimare la pausa,

l’attesa del passaggio di mandria ignota

e immangiabile, hai messo fine

senza neanche saperlo

alla tua epica di scatti e coraggio

di sfide alle cariche di mostri indecifrabili

di bocche lucenti con zanne tutte uguali

zampe nere roteanti

ruggiti costanti e monocordi:

un conto alla rovescia calcolato da nessuno,

nemmeno da coloro che senza sospettarne l’ironia

ti hanno dato una sigla numerica

che sembra appartenere  più a un computo stradale

che animale: dalla 118 che valica il passo

di Santa Susana alla 101 di miti non tuoi,

dalla 26 che termina nel nome del pioniere

alla 23 che riconduce al mare

per incontrare la fine sulla 5

che avrebbe potuto incoronarti re dell’asfalto.

 

Così non è stato, e del mistero e portento

del tuo andare e venire ora non resta

che il percorso, ridicolo al confronto,

di questa penna sul foglio,

di questa nostalgia.

 

Santa Monica Mountains, agosto 2015





Stefano Bortolussi

 poeta, romanziere e traduttore.

Ha pubblicato tre romanzi, Fuor d'acqua, (peQuod 2004), uscito prima ancora negli Stati Uniti con il titolo Head Above Water (City Lights Books 2003, traduzione di Anne Milano Appel), Fuoritempo (peQuod 2007) e Verso dove si va per questa strada (Fanucci 2013) e tre raccolte di poesie (fra cui Ipotesi di caldo, Book Editore 2001), la più recente delle quali è Califia (Jaca Book, 2015).

Il suo poemetto "Il moto ondoso del cercare" è stato incluso nell'antologia Bona Vox, curata da Roberto Mussapi (Jaca Book, 2010).

È co-autore di due serie di libri per ragazzi (Le indagini di Dick Rabbit e Le avventure di Miss Marmot, Dami Editore/Giunti).

Alcune sue poesie sono state di recente pubblicate sui blog Interno Poesia e Poesia, di Luigia Sorrentino.

Due suoi poemetti figurano nell’Almanacco dei poeti e della poesia contemporanea 3, a cura di Gianfranco Lauretano, Francesco Napoli e Walter Raffaelli (Raffaelli Editore, 2015).

Il suo blog poetico e narrativo si chiama l’autore a pezzi, e non è un caso.

La pagina viene presentata per gentile concessione dell'autore a Pioggia Obliqua

 

 pioggiaobliquascritturedarte@gmail.com

 

 


 

" Pioggia Obliqua una rivista

affermata e prestigiosa."

 " Un grazie di cuore a 

Pioggia Obliqua i cui molti meriti nei riguardi della poesia non saranno mai abbastanza sottolineati."

 

Alessandro Fo

 

 

" Saprà o vorrà ancora la forza accumulata (...) resistere alla forza di omologazione che la tecnologia sembra inevitabilmente portare in seno?(...) Prevedo un lungo periodo di 'agonie', voglio dire di lotta (...) sarà probabilmente quella la forma e la sostanza del poetare che ci aspetta."

 

Mario Luzi

Da un suo scritto per Pioggia Obliqua a proposito

del  'senso di fare  poesia', gennaio 1996

 

 

" Io credo che un pò di silenzio ci faccia bene, c’è un coro di voci “troppo alto”, sgraziato, che ci sommerge, e non mi riferisco solo alla letteratura. In questa specie di “frullato” che siamo costretti ad ascoltare quotidianamente, il valore delle cose si perde.

 

Se c’è un attimo di riflessione, di

silenzio, la parola scritta o detta assume maggiore rigore."

 

 

Antonio Tabucchi

 

Intervista rilasciata a Luigi Oldani e

Elisabetta Beneforti per Pioggia Obliqua 

 

 


" Il sito Pioggia Obliqua mi ha "donato questa nota sul mio libro (...), ma l'intero sito è da seguire."

 " (...) e un ringraziamento per tutto ciò che P.O. fa per il mondo della poesia."

 " (..) E la stima è da me ricambiata verso il vostro prezioso sito!"

 (...) sempre attenti e preziosi gli amici di "Pioggia Obliqua".

 

Bruno Galluccio

 

 

" Un bel luogo d'incontro tra scritture."

 

Matteo Pelliti

 

 


" Non so dire se la bellezza salverà il mondo, come pensava Dostoevskij, ma mi piace pensare che sarà così. In fondo, già Stendahl sosteneva che "la bellezza non è che una promessa di felicità". 

 

Vittoria Franco

per Pioggia Obliqua

 

 

" Agli amici tanto tanto amati di Pioggia Obliqua, poeti invincibili della vita, il mio abbraccio umile e il mio ringraziamento, per mantenere la poesia come unica veritá nel mondo."

 

Daniel Fermani Gonzales

 

 

 

 

" Rivista preziosa, che seguo da tempo."

 

Alfredo Rienzi

 

                 

 

 

 

                    

 

 

                  

 

                       Consigli di lettura

 

 

    

 Nella omonima rivista cartacea 'Pioggia obliqua rivista di letteratura e culture', pubblicata negli anni Novanta, una intervista a
Antonio Tabucchi,
Edoardo Sanguineti,
Mario Luzi. 
Un testo di Valerio Magrelli. 
Mario Luzi, Luigi Baldacci, Patrizia Valduga, Attilio Lolini, Gabriel Cacho Millet, Marco Marchi e Loriano Gonfiantini rispondono
sul senso di fare poesia in quegli anni.
Risposte attualissime.

 

 

 

 

 

 

 

 


Privacy | Informativa sui cookie | Sitemap
I testi, le immagini che compaiono su Pioggia Obliqua hanno l'autorizzazione degli autori che hanno acconsentito alla pubblicazione.
Accesso Uscita | modifica
  • La Prima
  • Noi
  • La RESISTENZA 25 APRILE
  • DIALOGO CON ANTONIO TABUCCHI
  • Quattro domande a MARIO LUZI
  • Un'intervista a Edoardo Sanguineti- Un testo di Valerio Magrelli
  • Quale presenza. Testi di: Luzi, Baldacci, Valduga, Cacho Millet, Lolini, Marchi, Gonfiantini...
  • LA PAGINA DI PAOLO LAGAZZI
  • LA PAGINA DI MARCO MARCHI
  • "Una goccia d'inchiostro di china" a cura di Cristina Banella
  • SPAZIO ALLA BELLEZZA
  • Per ENZO SICILIANO
  • Ricordo di LUIGI BLASUCCI
  • Per SILVIA RIZZO
  • La poesia di Fernanda Romagnoli
  • H A I K U di Luigi Oldani
  • 'Aghi di Pino' scritti di Luca Cenisi
  • Poesia: ENZO MAZZA
  • Poesia: Alba Donati
  • Poesia: Alessandro Fo
  • Poesia: Franco Buffoni
  • Poesia: Roberto Deidier
  • Poesia: Isabella Leardini
  • Poesia: Paolo Ruffilli
  • Poesia : Clara Monterossi
  • Narrativa-Poesia: Tiziano Fratus
  • Poesia: Giacomo Trinci
  • Poesia: Elisa Biagini
  • Poesia : Maria Pia Quintavalla
  • Poesia: Rosaria Lo Russo
  • Poesia: Matteo Pelliti
  • Poesia e fotografia : Elisabetta Beneforti, Shandong lu
  • Poesia: Elisabetta Beneforti, Senza Permesso
  • Poesia: Cinzia Marulli
  • Poesia: Roberto Veracini
  • Poesia: Giuseppe Grattacaso
  • Poesia: Daniel Fermani
  • Poesia: Alberto Toni
  • Poesia: Stefano Bortolussi
  • Poesia: Rosalba De Filippis
  • Poesia: Fabrizio Parrini
  • Poesia: Giancarlo Baroni
  • Poesia: Alfredo Rienzi
  • Paolo Pagli Haiku
  • Poesia: Claudio Pozzani
  • Poesia: Marina Pizzi
  • Poetry: Jeffrey Harrison
  • Poesia: Jeffery Harrison Poesie e un'intervista
  • Poesia: E.Seghetta Andreoli, A.D'Errigo, S. Colli, F. Giusti
  • Poesia: Saverio Bafaro
  • Poesia: Lucia Cupertino
  • Poesia : Giordano Occhini
  • Poesia: Michela Zanarella, Ester Monachino
  • Poesia visiva: Elena Marini
  • Poesia Visiva : Luc Fierens
  • Poesia: Francesco Bargellini
  • Poesia: Daniela Gentile, Claudio Pasi
  • Stefano Loria pittura-poesia
  • PROPOSTA POESIA a cura di ALESSANDRO FO
  • Poesia proposta: Canale, Lombardi, Merola, Tognoni, Bertone.
  • Poesia proposta: Gian Luca Guillaume, Luca Ispani, Filippo Amadei
  • Poesia proposta: Di Gennaro, Repossi, Rimolo
  • Poesia proposta: Angelo Santangelo, Giulio Mazzali, Marco Bini
  • Poesia proposta: Cunial, Viti, Viotto
  • Poesia : Greta Rosso
  • Poesia: Giovanna Cristina Vivinetto
  • POESIA : Jean Soldini
  • Poesia : Daniela Zambrano - editi e inediti
  • Poesia proposta : Manuela Mori, Selene Pascasi
  • Poesia proposta: Mirra, Allo, Strinati, Ciampalini, Carnevali, Peralta, Casulli, Bresciani, Marrone
  • Poesia proposta: Vera D'Atri
  • Poesia proposta: Laghi Pasini, Milleri, Malerba, Corbetta, Merico
  • Poesia Proposta: Valerio Succi, Michela Gorini
  • Poesia Proposta: Filograna, Della Ciana, Imperato
  • Poesia Proposta: Alessandro Monticelli
  • Poesia Proposta: Luca Gilioli, Pierpaolo Lazzaro, Hero Haze
  • Poesia Proposta : Ornella Mereghetti, Danilo Luigi Fusco
  • Poesia proposta:Pietro Edoardo Mallegni, Anna Polin, Susanna Russello
  • Poesia proposta: Marco Serravalle,Matteo Piergigli
  • Poesia : Sara Comuzzo
  • Poesia proposta: Antonietta Bocci,Valerio Sanzotta
  • Poesia Proposta: Viola Bruno, Alessia Lombardi, Maria Bochicchio
  • Poesia proposta : Maria Benedetta Cerro, Gabriele Greco
  • Poesia proposta: Abruzzese, Marcantoni,Pedrazzi
  • Poesia Proposta: Alessandro Giraudi, Henry Ariemma
  • Poesia Proposta: Federica Carossi, Francesca Ragozzino, Doris Bellomusto
  • Poesia Proposta : Valentina Sessa
  • Poesia Proposta: Gabriella Musetti
  • Poesia Proposta :Guglielmo Aprile,Michele Piramide
  • Poesia proposta : Doris Bellomusto, Virginia Veludo, Patrizia Baglione
  • Proposte Poesia, Segnalazioni
  • Giancarlo Baroni :Animali in versi
  • Lorenzo Monticelli
  • Viaggiando in Italia. A cura di Giancarlo Baroni
  • Giorgia Karvunaki presenta...
  • Letture oblique 1
  • Letture oblique 2
  • Letture oblique 3
  • INDIPENDENTI LETTURE
  • IN CORSO
  • VISIONI OBLIQUE
  • Saggio: Le limericks irlandesi
  • Normandia: immagini e versi
  • Saggio: Dante
  • Saggio: Mallarmè
  • Foto: Giappone: la bellezza sospesa.
  • Foto: MIke Lee Bellezza a New York
  • Foto: Duccio Ricciardelli
  • VIDEO ARTE: In conversazione con Duccio Ricciardelli e Marco Bartolini
  • Foto: Massimo Oldani
  • Foto : Lisetta Carmi - Suonare forte
  • Having a coke with you - rubrica a cura di Sara Comuzzo
  • Corrispondenze da "The Poetry cafè" di Londra
  • INTERVISTA :A.Gasperini, M. Ciardi, Il pianoforte di Einstein
  • INTERVISTA A CECILIA FERRARA: Perdersi in Europa senza famiglia
  • Torna su
chiudi