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ALFREDO RIENZI

 

POESIE

 

 

 

 

 

 

da CONTEMPLANDO SEGNI

in Sette poeti del Premio Montale, Scheiwiller, 1993

 

(La perla)

 

La perla

- lucentissima sferula

perfettissima –

d’indistinto fremito

soffre al viluppo d’ombre,

alla disperante amnesia di sé.

 

 

 

da OLTRELINEE, dell’Orso Ed., 1994

 

Corone di cieli intermedi

 

6.

La notte che smarrimmo i luoghi

non bastarono i vecchi trucchi

d’astrolabi e cannocchiali, né il gioco

d’angoli o secanti, o negromanzie,

non servì il crepitio di stelle

né il rantolo del monte: nessuno

più comprendeva altezze

le distanze, se fossimo vicini

alla guglia di vetro o ancorati

a basse prospettive di pietraie.

 

 

15.

Rallento e cedo: vedi:

mi spoglio della corona radiosa

petalo dopo petalo, numero

dopo numero, forma esulcerata

da quale trasformazione nell’ombra?

 

 

20

Ogni cosa ha qui un solo nome,

inequivocabile: la pietra,

la pioggia, il vento

(la fantasia echeggia al limite

dei licheni e la distanza

non è più colmabile).

 

 

 

21.

Nel freddo, senza sinonimi

senza diminutivi, in questo

versante d’alta quota abbiamo

imparato a vivere nudi.

Come questo avvenne non è ora

facile dire con parole

comuni: fu quando l’ultimo

sismo sgretolò il verbo avere.

 

 

 

 

 

 

da SIMMETRIE, Joker Ed., 2000

 

Nigredo

 

I.

 

Certe nebbie scendono a nascondere

i fianchi delle valli e le radure,

lungo strade e sentieri non segnati

sulle carte. Nascondersi o smarrirsi

è un’esigenza come tutte le arti.

 

 

XIII.

 

L’albero tende a stelle che non vede

chiudendo nel suo cerchio il tutto e il niente

la legge della croce e degli opposti:

avvolto da nebbie e acque d’argento

muove foglie che un vento senza nome

e padrone prosciuga d’ogni succo:

tra inferno e luce, tra il pianoro e il monte

nascondi con cura il frutto più dolce

quando a sera ritornano i cinghiali.

 

 

 

XXIII.

 

Le nuvole e le nebbie in certi casi

(si badi bene: storie esistenziali,

archi di vite e di generazioni)

amarono uomini con bramosia

tale che mai fu noto ad essi il sole,

mai lo scorcio d’una valle o il pianoro

dove il fanciullo siede sul trifoglio,

insieme crescendo la carne e l’erba.

 

 

 

 

 

 

 

da CUSTODI ED INVASORI, Mimesis-Hebenon, 2005

 

(La vecchia casa era ben soleggiata ma l’umido dei muri)

 

La vecchia casa era ben soleggiata ma l’umido dei muri

narrava di stagioni dissepolte

sul lato a settentrione e nei seminterrati.

Non ho mai avuto il tempo di sostare a carezzare i cani

che vagabondano, come cercando una memoria senza più padrone

ma dici bene tu, che non l’ho mai cercato

il tempo e neanche i cani e forse neanche te cerco davvero,

che solo gli uccelli,  anche i più comuni, le tortore e le gazze

i passeri e le ballerine bianche, seguo ogni volta che ce n’è occasione.

È che m’affascina quel loro modo progressivo e lento di scomparire.

 

 

 

(Conservo una lucertola a due code)

 

Conservo una lucertola a due code

in una salviettina ripiegata

che odora di lavanda e naftalina

 

la catturò mio padre con un balzo

mentre cercava scampo nell’anfratto

tra le radici torte di un ulivo

 

era una mattina assolata ai tempi del suo fidanzamento

(credo nel maggio del quarantasette)

 

L’offrì a mia madre, dicendole, pare:

guarda bene le code: una è di femmina, l’altra di maschio.

 

 

 

(Sono cresciuti arbusti d’ogni tipo)

 

Sono cresciuti arbusti d’ogni tipo

ed alberi dal fusto dirompente

- platani, frassini e folte robinie

nella vecchia caserma di corso Brunelleschi

dovunque, nei cortili, nelle camerate senza più muri e tetto,

giungle maya dei nostri quartieri.

Forse questo ti potrà consolare:

non c’è limite a quanto può esser cancellato.

 

 

 

da NOTIZIE DAL 72° PARALLELO,  Joker, 2015

 

Un ignavo rivede la propria fine

 

Non ci fu volontà in mezzo al fiume

le acque erano placide ed opache

nel caldo di luglio, la sponda sabbiosa

mi parve indifferente tornare a riva

o lasciarsi portare dalla liquida mano:

e l’una e l’altra parola chiedevano

di essere pronunciate, nella scelta:

ma il vero ignavo fino in fondo resta

equidistante: né dramma né commedia

fu assecondare i flussi sonnolenti…

Non ebbi certo volontà di morte

ma credo sia stata la vita, offesa, a ritirarsi.

 

 

Anosh riconosce l’inganno e gli ingannatori

«Lontano

si lamentano i cani e confonde

l’insonnia gli errori della vita ».

(G. Lucini, Istruzioni per la notte, I.)

Conosco l’inganno e gli ingannatori

la frode e i frodatori

e mi lascio ingannare, e frodare

perché so stare al gioco e compiacere

il bagatto e la sua asta e la giocoleria del suo occhio alboreo.

 

Gli alberi erano bianchi:

di neve o di fiori non importa:

dell’una o degli altri l’impermanenza

ho appreso e il trucco dell’apparire e del mutare.

Voi dite: è naturale

ma anche il tempo come il mare è a volte qualcosa di abissale.

 

Così l’ingannatore mi sorride

ingannato dalla mia falsa resa

e il frodatore annusa il molto nulla

che gli ho concesso, lo soppesa, mostra

ai suoi sodali quel che pensa esserne

il centro, lo stringe tra pollice e indice

si accanisce sui margini di fumo

ma non giunge a farsene un’idea

a estrarne un asterisco, un duepunti, una moneta falsa o fuori corso.

 

Gli alberi erano rossi:

di frutta o di sangue non importa.

 

 

 

Anonimo, XIX secolo

 

Lo sai, col tempo s’abbassano i toni

così ora chiamo profondo affetto

il cantato supremo amore

ed un ritaglio di giorni

il campo sconfinato della vita

il nome s’è spogliato dal corteo di titoli ed onori

e al vetturino basta urlarmi: levati dalla strada, vecchio!

(s’avvolse con un gesto largo nel mantello

l’orlo a coprire mento e labbra

il fiato gelava in una parvenza d’ala)

 

 

 

 

 

 

 

Incipit del ciclo di Yibel

«Tutto questo parla

di vita e morte nella bocca […]

Dov’erano parole, scorrono scoperte,

a sorpresa liberate dalla polpa del frutto».

(R.M. Rilke, Sonetti a Orfeo)

 

La vita gli sorgeva lì davanti

come le turgide smeraldine incombenti

roride lucenti morbide colline dell’oltrefiume.

L’utopia dilatava ogni misura e il luogo della carne s’accecava:

né onda impronunciata né avverbio

s’arrendevano al foglio, alle piane dimensioni

le tesi, le anagogie vibravano come ali d’insetto

iridescente e folle

tutta la vita, e tutte le vite, come rossi corimbi da inghiottire.

 

Poi un giorno (un’ora

imprecisata del mattino, un solco ruvido tra le serie dei minuti)

un tale professor Ebner gli svelò

che tutto era già accaduto, il copione

già scritto, il pamphlet dato alle stampe,

distrattamente sfogliato e svenduto

a un banchetto di glossari usati.

 

 

Il tornitore di chiodi ed altri (un eccesso imprevisto)

 

L’indifferente al piacere e al dolore

alla vittoria e alla disfatta,

l’arciere dal terrificante braccio,

la domatrice di leoni rossi,

il fuggiasco che i cinque continenti

attraversò nutrendosi di more,

foglie di eucalipti e aghi di pino

e l’uomo che volava temerario

tra archeopterii, condor ed ippogrifi,

e il tornitore che affilò chiodi

uno ad uno per oltre quarant’anni

 

trafitti tutti

da una sola spina

di rosa senza nome,

 

abbattuti

da un petalo

cadente di magnolia

 

un eccesso imprevisto di velocità angolare.

 

 

La caduta di Jelka Hržić

 

Precipitava ormai da più di mille metri

l’impatto era soltanto un’idea astratta

da considerare con calma lontananza

evento comunque certo per l’assoluta

legge dei gravi e degli effetti. Non sapeva

se a un certo punto avrebbe urlato, o invocato

gli angeli delle cadute, oppure scelto

(o non scelto, o subìto) il silenzio

di chi non può e non deve, e non ha diritto

a dire il proprio male.

(Accadde poi che scelse un inudibile suono

come di soffio o ventosa pendenza

per non turbare dei bambini dormienti il sonno

degli amanti le stagioni dei bisbigli.)

 

 

 

 

 

 

 

da PARTENZE, PROMESSE, PRESAGI

 

(provvisorio, inediti)

 

 

Si torna dove si è già stati

 

Sono tornato ad esplorare la vita

- avvolto dal manto d’oro del leopardo –

l’anello perfetto, il ciclo d’ogni cosa:

molto è cambiato dopo l’onda del pianto

ma, ancora, ho in me la perla e il macigno,

nel passo la fibra palpitante al balzo

e la parola che, detta, si dissolve.

 

Si torna dove si è già stati.

I luoghi sono infiniti, i giorni,

ora, grappoli diradati.

Ritrovare l’orma è dono inatteso

quella di chi ci accompagnò è stria

d’ala tra neve e pietra.

Mi dici: il monte si è fatto più alto:

so invece d’essermi fatto io più piccolo.

 

 

 

Partenza e prima promessa

(già in LA PAROLA POSTUMA. ANTOLOGIA E INEDITI, puntoacapo, 2011)

 

I.

 

Era notte fonda e il gallo cantava

già. Grazie madre cara, e scura

per il lume che hai tenuto acceso

mangia un po’ prima di metterti in viaggio

pane indurito e sale, non c’è altro.

 

Porta questa con te, mettila vicino al cuore

aiuta a ritrovare i sentieri

dove si è già passati

avvolgevi accorta in uno scampolo

di tela un pizzico di cenere

Porta con te la nostra famiglia.

 

 

V.

 

Sono i figli più dolci i più silenziosi

quelli che non lasciano mai uscire un urlo

neanche se i lupi azzannano nel fianco

che guardano gli uccelli allontanarsi

come se per sempre fuggissero da questa terra

sono i figli che mai fanno domande

che lanciano dadi dalle facce senza punti.

 

Stanotte vado.

 

Neanche aspetti d’avermi chiuso gli occhi

una pietosa sepoltura e l’ombra verdeggiante

 

neanche da preparare qualcosa per il viaggio

c’è solo pane indurito e sale

Non ho fame, rosa mattutina,

non adesso, rosa maculata, fiore silenzioso,

il digiuno se stringe troppo forte

pare quasi che ti baci con i denti

e un po’ per volta arriva a farti compagnia

 

 

 

 

Seconda partenza e promessa

 

* * *

 

Di quale possesso, di quale nazione

di quali guerre e nemici

qui non avrai timore?

 

Qui, dove puoi riposare

perché è con l’acqua

che laverò i tuoi passi, con la rugiada

la bocca.

 

 

* * *

 

Che non vengano meno nell’ora della prova

i figli più dolci, i più silenziosi

i fratelli minori partiti nella notte

senza salutare le madri, senza

nient’altro che pane indurito e sale

di nascosto dai padri

 

che non tremino

alla prima ora dell’alba, nell’ora

del giorno se il giorno rinuncerà

a se stesso.

 

Àlzati ora,

fiducioso come dell’aria l’ala

Sta la tua partenza davanti a noi 

seguine i passi, nell’ora dell’alba

quando la notte rinuncia a se stessa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Alfredo Rienzi.

Ha pubblicato i volumi di poesia: Contemplando segni, in Sette poeti del Premio Montale (Scheiwiller, 1993, con Prefazione di Maria Luisa Spaziani); Oltrelinee (Dell’Orso, 1994); Simmetrie, (Joker Ed., 2000); Custodi ed invasori, (Mimesis-Hebenon, 2005), volumi in parte confluiti ne La parola postuma. Antologia e inediti (pubblicata da Puntoacapo Ed., Novi L., 2011, in quanto opera vincitrice del Premio Fiera dell’Editoria di Poesia).

L’ultimo volume di versi è Notizie dal 72° parallelo (Joker Ed., 2015)

Ha tradotto testi da OEvre poétique di L. S. Senghor, in Nuit d’Afrique ma nuit noire – Notte d’Africa mia notte nera, a cura di A. Emina (Harmattan Italia, Torino-Paris, 2004).

Ha pubblicato il volume di saggi Il qui e l’altrove nella poesia italiana moderna e contemporanea (Dell’Orso, Alessandria, 2011).

Ha all’attivo collaborazioni e/o contributi creativi e critici con varie riviste e siti di poesia e letteratura nazionali.

Attualmente collabora con i comitati di redazione delle collane di poesia di Joker Editore. È tra i collaboratori e sostenitori di Amado mio, foglio letterario torinese fondato nel 2014 da Marcello Croce e Luca Borrione.

 

La pagina viene presentata per gentile concessione dell'autore a Pioggia Obliqua

 

 pioggiaobliquascritturedarte@gmail.com

 

 


 

" Pioggia Obliqua una rivista

affermata e prestigiosa."

 " Un grazie di cuore a 

Pioggia Obliqua i cui molti meriti nei riguardi della poesia non saranno mai abbastanza sottolineati."

 

Alessandro Fo

 

 

" Saprà o vorrà ancora la forza accumulata (...) resistere alla forza di omologazione che la tecnologia sembra inevitabilmente portare in seno?(...) Prevedo un lungo periodo di 'agonie', voglio dire di lotta (...) sarà probabilmente quella la forma e la sostanza del poetare che ci aspetta."

 

Mario Luzi

Da un suo scritto per Pioggia Obliqua a proposito

del  'senso di fare  poesia', gennaio 1996

 

 

" Io credo che un pò di silenzio ci faccia bene, c’è un coro di voci “troppo alto”, sgraziato, che ci sommerge, e non mi riferisco solo alla letteratura. In questa specie di “frullato” che siamo costretti ad ascoltare quotidianamente, il valore delle cose si perde.

 

Se c’è un attimo di riflessione, di

silenzio, la parola scritta o detta assume maggiore rigore."

 

 

Antonio Tabucchi

 

Intervista rilasciata a Luigi Oldani e

Elisabetta Beneforti per Pioggia Obliqua 

 

 


" Il sito Pioggia Obliqua mi ha "donato questa nota sul mio libro (...), ma l'intero sito è da seguire."

 " (...) e un ringraziamento per tutto ciò che P.O. fa per il mondo della poesia."

 " (..) E la stima è da me ricambiata verso il vostro prezioso sito!"

 (...) sempre attenti e preziosi gli amici di "Pioggia Obliqua".

 

Bruno Galluccio

 

 

" Un bel luogo d'incontro tra scritture."

 

Matteo Pelliti

 

 


" Non so dire se la bellezza salverà il mondo, come pensava Dostoevskij, ma mi piace pensare che sarà così. In fondo, già Stendahl sosteneva che "la bellezza non è che una promessa di felicità". 

 

Vittoria Franco

per Pioggia Obliqua

 

 

" Agli amici tanto tanto amati di Pioggia Obliqua, poeti invincibili della vita, il mio abbraccio umile e il mio ringraziamento, per mantenere la poesia come unica veritá nel mondo."

 

Daniel Fermani Gonzales

 

 

 

 

" Rivista preziosa, che seguo da tempo."

 

Alfredo Rienzi

 

                 

 

 

 

                    

 

 

                  

 

                       Consigli di lettura

 

 

    

 Nella omonima rivista cartacea 'Pioggia obliqua rivista di letteratura e culture', pubblicata negli anni Novanta, una intervista a
Antonio Tabucchi,
Edoardo Sanguineti,
Mario Luzi. 
Un testo di Valerio Magrelli. 
Mario Luzi, Luigi Baldacci, Patrizia Valduga, Attilio Lolini, Gabriel Cacho Millet, Marco Marchi e Loriano Gonfiantini rispondono
sul senso di fare poesia in quegli anni.
Risposte attualissime.

 

 

 

 

 

 

 

 


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