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                P r o p o s t a    p o e s i a

 

 

a cura di Alessandro Fo

 

 

 

 

Il debutto in versi di Eleonora Conti

 

 

 

di Alessandro Fo

 

 

 

Approfittando della consueta generosità di Pioggiaobliqua desidero richiamare l’attenzione sull’esordio di una voce che trovo interessante e promettente. Eleonora Conti, di Parma, scrive testi scabri e diretti, che a uno sguardo superficiale possono sembrare attestati su un grado zero di elaborazione formale: a una lettura più approfondita, invece, rivelano congegni (debitamente) nascosti, in particolare una compressione del linguaggio quotidiano, che per esempio, va a ‘cogliere sul fatto’ alcune frasi fatte (e dunque lise), per ‘prenderle in parola’ e torcerle a un senso che infonde loro nuova vitalità. Per esempio, già nel primo dei versi qui proposti, «andremo su tutte le furie» letto come opzione per un singolare mezzo di trasporto. O ancora i giochi sul filo delle Parche e sul ‘punto croce’ fra le costellazioni, o la lode delle ginocchia «in questo giacomo giacomo/ che è la vita». Altrove è il tecnicismo del linguaggio forestale a farsi adeguato strumento per recuperare alla poesia esperienze così condivise e correnti da imporre, a chi intenda nuovamente scriverne, di trovare la giusta via d’uscita dal labirinto del banale (Il turno tecnico del cuore, con relativa nota).

 

Lungo uno scambio postale di impressioni, discutendo degli scopi della poesia, mi permettevo di osservarle che mi sembrava un po’ trascurato l’obiettivo di ciò che i latini avrebbero definito il movere. La sua replica introduce una nota di poetica: «Se posso provare a rispondere all’impervia domanda del perché scriviamo poesia (quantomeno perché la scrivo io) mi verrebbe da dire per provocare: un chiamare fuori, un incitare. A cosa? A vedere il mondo da un’altra prospettiva: da qui l’ironia a volte amara e lo sguardo a tratti un po’ infantile; i giochi di parole e modi di dire decontestualizzati».  Ritenendo da sempre che scrivere poesia debba soprattutto introdurre un diverso modo di cogliere le cose e le pieghe della vita, sottoscrivo in pieno queste intenzioni, perseguite – per lo più – con una sorta di ‘fusione fredda’ (quasi in stile primo Magrelli, ma senza mai scimmiottare), che in ogni caso preserva da quelle sbavature melense e da quei tratti d’enfasi che aduggiano molti degli odierni approcci al fare poetico. Valga come paradigmatico Stalattite, in cui una ferita potenzialmente grondante pathos, e dunque lacrime, assume una sua poderosa cristallizzazione minerale. Valgano, in parallelo, le «patelle di dolore» della Mediazione vipassana.

 

            Di Eleonora Conti va secondo me debitamente apprezzato il piglio fermo che consegue a queste premesse. Ne scaturiscono testi rilevanti e dotati, oltre che di una sobria venustà, di una sintetica energia. Testi come R.I.P. o come Reliquie, in cui la «provocazione» che ispira l’autrice prende a (gentili) sberle il privato come l’universale. Testi come Il bello del brutto, che, abbracciando la vita in tutta l’ampia escursione delle sue più essenziali polarità, ne riscatta gli aspetti sgradevoli in una spavalda proposta d’amore.

 

 

 



 

                                                         

 

                                                      Testi di Eleonora Conti

 

 

 

Lo sfogo

 

 

Andremo su tutte le furie

a cavalcare ore di fuoco

a mescolare i veleni del fegato

e se la rabbia rode ancora

dopo tanta aridità dei cuori

apriremo i nostri umori verdi

e ne faremo luce e bellezza.

 

 

 

 

Ginocchia

 

 

La stretta dei legamenti

frena il girotondo della rotula

la lesione permanente

già annunciata dal menisco

 

riduce la frizione

della biomeccanica

l’incedere maldestro

padre di ogni inciampo.

 

Lode alla volontà flessibile

delle ginocchia

che ovunque ci sostengono

in questo giacomo giacomo

che è la vita.

 

 

 

Stalattite

 

Le sorgenti cadute dagli occhi

si incontrano in un punto buio

sotto alla curva del mento

e lì fanno sedimento, pensiero

calcareo, dolore permanente.

 

Ché il pianto a poco serve:

non arriva al mare, devia prima

disseta un grande niente.

 

 

 

 

Le Parche

 

 

L’istante è un punto

croce tra costellazioni

e com’è verde l’adesso

viola la curva del giorno

la svolta senza sonno

e mai ritorno e rimango

a pensarci senza tregua

a questa folle esecuzione

la maglia aperta del tempo

la nostra vita nello schema

il respiro che è solo un filo.

 

 

 

Reliquie

 

Venerano le risparmiate dita della santità

falangi che spianano guerre agli infedeli

tocco che converte stormi di anime

carezza che bonifica corpi ammorbati

indice che mostra senza fratture la retta via.

 

Eppure sono ossa di pollo

rimasugli esemplari

di questa umanità gallina.

 

 

 

 

 

Meditazione vipassana

 

 

Per pulirsi dentro ci vuole silenzio

spegnere la battuta del tempo

scavare lento un tunnel primordiale

scrostare via il calcare - patelle di dolore -

la ruggine uscita dalla macchina della vita

sprofondare infine al centro e lì restare

a contemplare il lavoro del respiro

il suo riempire e svuotare l’universo.

 

 

 

 

R.I.P.

 

 

Tu che hai perso la coda dell’occhio

ti aggiri per il mondo con lo sguardo tronco

l’anima d’amianto, un’empatia carcassa.

Non noti più l’educazione civica delle formiche

quello sfrecciare sui corrimani ordinato

e statisticamente privo di incidenti.

Ti è invisibile la scultura del ragno

il rubino del ginocchio aperto

la pioggia che fa la ghiaia mentre cade

dal setaccio grezzo delle mani.

Ora ti smarrisci in applicazioni

nella verde aritmetica del conto corrente

in un puntuale disiscriverti a newsletter.

Non sei neanche più il perimetro del bambino

che eri. Te lo sei divorato intero tra la seconda

e la terza media, con la merenda del venerdì,

dopo l’ora di ginnastica.

 

 

 

 

Il bello del brutto

 

 

               The moment we have snapped the spell of

               conventional beauty,

               there are a million beautiful faces waiting for us

               everywhere,

               just as there are a million beautiful spirits.

 

             GILBERT KEITH CHESTERTON

 

 

Un canto neomelodico

irrompe nel rettangolo

della finestra che guarda la festa

e crepa in fila le stoviglie.

 

Un Botero espone i fianchi

pesanti e bianchi alla magrezza

della critica, appeso a un chiodo

per miracolo della gravità.

 

Una casa del nostro Signore

di fattura brutalista apre

uno spettacolo di cemento

a vista e fa grezzo il perdono.

 

Il brutto lascia il battito regolare

l’occhio asciutto

non disturba la pelle dell’oca

non toglie le parole di bocca:

lui giustifica la più goffa esistenza

insegna che anche lì senti il bello

ma intona un urlo di repellenza.

 

 

 

Il turno tecnico del cuore

 

Il tempo del riposo

non lascia spazio

ai ricacci del sentimento.

L’amputazione ci lascia radi

a vegetare su prati titubanti

in preda al mal d’inchiostro

al quieto lavorio del cancro corticale

- nell’incedere della stagione -

certi soltanto

della propria ombra.

 

 

 

Il concerto

 

Il rullante di Dio sfalda il cielo

concertano i venti sulla dorsale

una pioggia cadente risale i tronchi

secchi e mansueti, impasta tappeti

di foglie d’agosto.

Chi avrebbe pensato di vedere

un sottobosco di ceneri?

Chiome sconvolte, giallo morte

così troppo tardi bagnate

da un autunno di mezza estate?

 

 

 

 

Note

 

Meditazione vipassana: il titolo della poesia fa riferimento a un’antichissima tecnica spirituale di origine indiana ancora oggi praticata come metodo per liberarsi dalla sofferenza. Questa forma di meditazione si fonda su un percorso di auto-osservazione che conduce alla graduale purificazione della mente, alla totale consapevolezza di sé e del proprio corpo.

 

Il bello del brutto: con questa stessa espressione è stato tradotto in italiano il titolo del libro The Defendant di Gilbert Keith Chesterton da cui è tratta la citazione presente in epigrafe.

 

Il turno tecnico del cuore: nel linguaggio forestale il termine «turno» è usato per indicare il periodo di tempo che intercorre tra due utilizzazioni definitive del soprassuolo di una data particella boschiva. Un turno è pertanto un momento di riposo del bosco, una pausa che intercorre tra un taglio e quello successivo. Nei boschi coetanei si dice «tecnico» o «speciale» un turno con il quale si vogliono ottenere dal soprassuolo determinati assortimenti legnosi secondo le necessità del proprietario.

 

 

 

 

NOTA BIOGRAFICA

Eleonora Conti è nata nel 1988 a Parma, dove vive e lavora come insegnante. Si è laureata in Arti Visive a Bologna, e la sua passione per le lingue moderne l’ha portata a vivere per diversi anni all’estero, tra Irlanda e Francia. Nel 2022 è risultata finalista al concorso online Premio Poeti Oggi. Attualmente sta lavorando alla sua prima raccolta di poesie.

 

 

                                                                             *

 

 

 

 

 

 

Simona Mancini

 

 

 

SIMONA MANCINI

 

UN VETRO OSCENO OLTRE LA FORMA

 

 

 

di Vittorio Emanuele Vernole

 

 

 

Le dieci poesie inedite di seguito presentate appartengono a una delle voci più interessanti della nostra poesia, quella di Simona Mancini (Sulmona, 1976) il cui esordio poetico si è compiuto con Di madre nuda (peQuod 2022). I primi quattro componimenti proposti (Oltre la forma) nascono da una sollecita consuetudine dell’autrice – nutrita di ars e di studium – con le Metamorfosi di Ovidio. Qui un tema pare opportuno sottolineare, quello dell’insufficienza della parola sia come segno di riconoscimento di sé, sia come atto costitutivo di legami più intensi. Nel mito ovidiano di Apollo e Dafne, ad esempio, le parole pronunciate dal dio per arrestare la fuga di Dafne non hanno alcun potere fascinatorio, mentre l’invocazione che la ninfa rivolge al padre Peneo si traduce nell’annientamento del soffio vitale necessario a ogni possibile empatia: ecco come questo momento è reso nella poesia Dafne:

 

 

 

… prenditi il soffio che m’hai

 

nascosto nella divina persona

 

e scorza e rami e chioma

 

odorosa dammi al suo posto.

 

 

 

Il molle arciere potrà farne solo corona:

 

folle ricordo, non sposa.

 

 

 

La sventura si manifesta sotto forma d’inefficacia della parola anche nella vicenda di Echo, privata da Giunone della possibilità di parlare e ridotta a puro suono/che risbatte sui monti la sua pieta. Né sarebbe difficile scorgere tracce di questo tema anche nei versi ispirati alle vicende di Procne e di Tiresia.

 

Se poi ci si volge alle sei liriche che compongono Vetro osceno, ci imbattiamo in quella disarmonia tra realtà e attesa che è forse una delle cifre più convincenti della poesia di Simona Mancini. In Distrazione tale scarto è evidente sin dalla prima strofa:

 

 

 

 

 

Com’è che se ti cerco non ti stano?

 

Eppure lo so bene dove ti nascondi.

 

Nel folto della selva semioscura

 

delle attese mi risponde a tono solo l’eco

 

stanca della voce mia.

 

 

 

È tuttavia nei versi conclusivi che cogliamo l’esito imprevisto di quello scarto, la svolta presa d’istinto, con passo lieve, mosso ad una lieve cadenza.

 

 

 

Però mettiamo caso che mi sbagli

 

facciamo che tu sia sempre stata qui con me.

 

Felicità.

 

Mi sei sfuggita per pura distrazione,

 

come gli occhiali sul naso.

 

 

 

Poesia dunque di attese vane, di interrogazioni sospese, di labirinti verbali-esistenziali in cui si finisce d’un tratto, a volte senza colpe. Così in Vetro osceno:

 

 

 

Auto-mobile son’io

 

lanciata a vuoto su un circuito chiuso

 

blindato apposta, studiato a tavolino

 

per riportarmi al punto di partenza

 

vicino a te che mi ti fai latenza.

 

 

 

In questo movimento erratico – non c’è strada dritta ormai,/non c’è filosofia che tenga -  tra inciampi, deviazioni e naufragi, agiscono tuttavia per contrasto le forze mosse dalla voce poetante: il gusto per lo scarto impaziente – Vorrei la tua veglia insonne come la mia vorrei vederla venire – la cura per la rima, ora divertita, ora pensosa e – insieme – il dominio gentile esercitato sulla parola, incastrata e ritorta nello spazio e nel ritmo del verso:

 

Perciò se il Paradiso c’è, se ci sei tu al timone, resta.

 

La prudenza orienta la mia prua verso un inferno

 

in festa.

 

 

 

Dominio gentile, timido riscatto offerto, chissà se invano offerto, al muto languore.

 

 

 

                                                                  *

 

 

 

 

 

 

 

Utopia è muto languore.

 

Sogno è schiusa di labbra, squasso di luce.

 

Realtà è questa vita mischiata alla vita.

 

 

 

(Simona Mancini)

 

 

 

 

 

 

 

OLTRE LA FORMA

 

(omaggio alle Metamorfosi di Ovidio)

 

 

 

 

 

Dafne

 

 

 

Padre Peneo, stirpe oceanina,

 

prenditi indietro il soffio che m’hai

 

nascosto nella divina persona

 

e scorza e rami e chioma

 

odorosa dammi al suo posto.

 

 

 

Il molle arciere potrà farne solo corona:

 

folle ricordo, non sposa.

 

 

 

 

Echo

 

 

 

Se della voce mia fossi padrona,

 

molli preghiere e parole mellite

 

rivolgerei a te, figlio di Liriope e di Cefiso,

 

prole stuprata.

 

 

 

Garrula fui e ormai privata di lungo

 

sermone da Giunone tradita

 

meno una vita seconda.

 

Aspetto e gemino e risuono

 

l’onda dei pensieri altrui.

 

 

 

Parla, perciò, ché io risponda ai desideri

 

tuoi ardenti con uguali accenti

 

celati tra le fronde. E parlò.

 

 

 

Risponde svelta Echo ancora corpo,

 

ancora braccia da allacciare al collo

 

acerbo di Narciso e al superbo

 

rifiuto nega la faccia.

 

 

 

Amore allora si conficca in petto e scava

 

una grossa ferita. Di veglia è deperita

 

la ninfa e di tormenti. Magrezza richiama

 

a sé la pelle grinza a grinza.

 

 

 

Adesso è voce e ossa e queste pietra.

 

Infine puro suono

 

che risbatte sui monti la sua pièta.

 

 

 

 

 

Tiresia

 

 

 

Ingannano il presente le orbite mie

 

svuotate dalla divina consorte, finte porte

 

dischiuse sulla rovina del mondo.

 

 

 

Ma pur se inciampo, affondo

 

nel domani il bastone che non mente,

 

lo stesso che sdoppiò l’unione del serpente

 

femmina col serpe.

 

 

 

O mani di maschio sul corpo mio

 

mutato, che futuro vedrò, oggi, per il prezzo che

 

ho pagato?

 

 

 

 

Procne

 

 

 

Un guaio scritto, a caratteri di sangue.

 

Langue il telaio là, la veste bella ridice qua

 

le insidie funeste fatte carne.

 

 

 

Osa tanto Tereo?

 

Eppure Pandione, signore

 

di Atene e delle vene nostre, sorella, a lui

 

mi diede in sposa.

 

 

 

O nozze sgraziate o coniugio reo,

 

dov’erano Giunone pronuba e Imeneo? Dove

 

le dee sacre ad Orcomeno e al Pireo?

 

 

 

Bubolar di strigi, grigi presagi sulle sozze

 

regge e i lidi traci. Taci dunque

 

le lacrime e tu, Iti, i baci!

 

 

 

 

 

 

VETRO OSCENO

 

(ipotesi per una nuova raccolta)

 

 

 

Distrazione

 

 

 

Com’è che se ti cerco non ti stano?

 

Eppure lo so bene dove ti nascondi.

 

Nel folto della selva semioscura

 

delle attese mi risponde a tono solo l’eco

 

stanca della voce mia.

 

 

 

Tu scappi via.

 

 

 

Com’è che se ti aspetto non mi arrivi?

 

Eppure avevi detto che venivi presto.

 

Dall’uscio appena aperto delle cose

 

andate sale musica d’orchestra e azzardo

 

un passo a due che forse mi consola.

 

 

 

Tu per dispetto balli sola.

 

 

 

Com’è che se ti riconosco

 

dietro un volto cambi strada?

 

Ritiri svelta le dita dalle dita,

 

fuori dal rusco che sennò ti afferra.

 

 

 

Io sto sepolta in piena terra.

 

 

 

Però mettiamo caso che mi sbagli,

 

facciamo che tu sia sempre stata qui con me,

 

Felicità.

 

 

 

Mi sei sfuggita per pura distrazione,

 

come gli occhiali sul naso.

 

 

 

 

 

La natura delle cose

 

 

 

 

 

Che ridivento, adesso, Dio?

 

 

 

Atomi di ferro,

 

spoltigliati

 

sullo sterro

 

immoto.

 

 

 

Vuoto.

 

 

 

E sguazzo

 

dentro il fiume

 

dell’oblio,

 

nell’albo bitume di Caos.

 

 

 

 

 

 

 

 

Propositi per l’anno nuovo

 

 

 

 

 

Ricominciare a un tavolo.

 

Tracciare col compasso il giro

 

da rifare e ritagliare

 

un poco. In gioco non c’è il cerchio della perfezione,

 

c’è la rivoluzione.

 

 

 

Domani ellittico, ieri soverchio.

 

Ma oggi sfoggio il peso-forma delle

 

egodemie, delle bugie

 

che mi racconto ad ogni alba,

 

a ogni tramonto nuovo,

 

freddo come l’uovo di un mattino

 

che non covo.

 

 

 

 

 

Veglia

 

 

 

Vorrei una veglia infinita

 

e immaginarti sempre, nudo al mio cospetto

 

tanto lo so, io lo so già come sei fatto

 

ché cento volte t’ho spogliato con questi occhi.

 

 

 

Con gli occhi ho sciolto i lacci ai pantaloni,

 

cravatte per tutte le occasioni e ti ci sei vestito,

 

fischiando un sogno che non ero io.

 

Mi dimeno e sudo e solo Dio sa

 

la fatica che io faccio, sa l’impaccio

 

di un altro giorno da finire.

 

 

 

Vorrei una veglia senza tempo

 

per riascoltare la tua voce come una canzone appena

 

uscita, finché non la potrò più sopportare,

 

finché non mi sarà talmente familiare da canticchiarla

 

per errore come il sottofondo di una gioia o di un dolore

 

nuovo.

 

 

 

Vorrei la tua veglia insonne come la mia

 

vorrei vederla venire

 

prendermi per mano

 

e portarmi via

 

a dormire.

 

 

 

 

 

 

Vetro osceno

 

 

 

Non c’è più tempo per il tempo stato.

 

Stato sarà il tuo corpo adesso istante,

 

nevo sull’epidermide di Dio,

 

e l’anima idea immortale e se-movente.

 

Né premio né castigo più ti attende:

 

quello che hai detto quel che non mi hai dato

 

si riunirà con l’infinitamente.

 

 

 

Auto-mobile son’io

 

lanciata a vuoto su un circuito chiuso

 

blindato apposta, studiato a tavolino

 

per riportarmi sempre al punto di partenza

 

vicino a te che mi ti fai latenza.

 

 

 

Dammi spazio ché il tempo ci è scaduto

 

come siero inacidito in gola,

 

rappreso ai visceri, cagliato

 

dentro al seno. Forse tu mi allattavi

 

a veleno, per questo ora ti ritorna indietro,

 

in faccia, come un vetro osceno.

 

 

 

Non c’è strada diritta ormai,

 

non c’è filosofia che tenga.

 

Per l’amor del cielo

 

o d’un demone terreno

 

venga il suo regno almeno

 

qui, tra le mie braccia.

 

 

 

 

 

 

 

Presentimento

 

 

 

Dissento.

 

Io salpo prima che mi sbalzi il vento.

 

Prima che la cimasa più ribelle finisca spumacciata

 

sul fondo della rada in cui t’aspetto.

 

 

 

Hai forse deviato la mia rotta? Hai detto forse

 

il mio nome labbro labbro il tempo d’un sussurro,

 

di un urlo, d’uno schiocco di vita? 

 

La falla tra le dita è chiusa ma promette sangue

 

a fiotti.

 

 

 

Flutti di lacrime intravedo senza

 

sbocchi, trattenuti a forza come matti o grumi

 

di cumuli che daranno fiocchi.

 

 

 

E naufrago e mi sono già pentita

 

e dalla bocca sputo pesci e mare:

 

barriere di corallo sono i limiti che metto al mio spaziare.

 

 

 

Perciò se il Paradiso c’è, se ci sei tu al timone, resta.

 

La prudenza orienta la mia prua verso un inferno

 

in festa.

 

 

 

 

 

 

 

Simona Mancini

 

 

 

 

 

 

 

 

Roma, 2023

 

 

 

 

 

 

Simona Mancini è nata a Sulmona nel 1976.

 

Dottore di Ricerca in Storia e Storiografia del mondo antico, traduttrice dall’inglese e dal francese, ha collaborato con personalità della cultura canadese come Marie-José Des Rivières. La newyorkese Ann Kaiser le ha affidato la versione italiana di Horse Behaviour, testo finalista al Fischer Prize. Attualmente insegna materie letterarie in un Liceo di Roma, città dove vive. Ha esordito nel 2022 con la silloge poetica Di madre nuda (peQuod).

 

 

 

 

 pioggiaobliquascritturedarte@gmail.com

 

 


 

" Pioggia Obliqua una rivista

affermata e prestigiosa."

 " Un grazie di cuore a 

Pioggia Obliqua i cui molti meriti nei riguardi della poesia non saranno mai abbastanza sottolineati."

 

Alessandro Fo

 

 

" Saprà o vorrà ancora la forza accumulata (...) resistere alla forza di omologazione che la tecnologia sembra inevitabilmente portare in seno?(...) Prevedo un lungo periodo di 'agonie', voglio dire di lotta (...) sarà probabilmente quella la forma e la sostanza del poetare che ci aspetta."

 

Mario Luzi

Da un suo scritto per Pioggia Obliqua a proposito

del  'senso di fare  poesia', gennaio 1996

 

 

" Io credo che un pò di silenzio ci faccia bene, c’è un coro di voci “troppo alto”, sgraziato, che ci sommerge, e non mi riferisco solo alla letteratura. In questa specie di “frullato” che siamo costretti ad ascoltare quotidianamente, il valore delle cose si perde.

 

Se c’è un attimo di riflessione, di

silenzio, la parola scritta o detta assume maggiore rigore."

 

 

Antonio Tabucchi

 

Intervista rilasciata a Luigi Oldani e

Elisabetta Beneforti per Pioggia Obliqua 

 

 


" Il sito Pioggia Obliqua mi ha "donato questa nota sul mio libro (...), ma l'intero sito è da seguire."

 " (...) e un ringraziamento per tutto ciò che P.O. fa per il mondo della poesia."

 " (..) E la stima è da me ricambiata verso il vostro prezioso sito!"

 (...) sempre attenti e preziosi gli amici di "Pioggia Obliqua".

 

Bruno Galluccio

 

 

" Un bel luogo d'incontro tra scritture."

 

Matteo Pelliti

 

 


" Non so dire se la bellezza salverà il mondo, come pensava Dostoevskij, ma mi piace pensare che sarà così. In fondo, già Stendahl sosteneva che "la bellezza non è che una promessa di felicità". 

 

Vittoria Franco

per Pioggia Obliqua

 

 

" Agli amici tanto tanto amati di Pioggia Obliqua, poeti invincibili della vita, il mio abbraccio umile e il mio ringraziamento, per mantenere la poesia come unica veritá nel mondo."

 

Daniel Fermani Gonzales

 

 

 

 

" Rivista preziosa, che seguo da tempo."

 

Alfredo Rienzi

 

                 

 

 

 

                    

 

 

                  

 

                       Consigli di lettura

 

 

    

 Nella omonima rivista cartacea 'Pioggia obliqua rivista di letteratura e culture', pubblicata negli anni Novanta, una intervista a
Antonio Tabucchi,
Edoardo Sanguineti,
Mario Luzi. 
Un testo di Valerio Magrelli. 
Mario Luzi, Luigi Baldacci, Patrizia Valduga, Attilio Lolini, Gabriel Cacho Millet, Marco Marchi e Loriano Gonfiantini rispondono
sul senso di fare poesia in quegli anni.
Risposte attualissime.

 

 

 

 

 

 

 

 


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  • SPAZIO ALLA BELLEZZA
  • Per ENZO SICILIANO
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  • Per SILVIA RIZZO
  • La poesia di Fernanda Romagnoli
  • H A I K U di Luigi Oldani
  • 'Aghi di Pino' scritti di Luca Cenisi
  • Poesia: ENZO MAZZA
  • Poesia: Alba Donati
  • Poesia: Alessandro Fo
  • Poesia: Franco Buffoni
  • Poesia: Roberto Deidier
  • Poesia: Isabella Leardini
  • Poesia: Paolo Ruffilli
  • Poesia : Clara Monterossi
  • Narrativa-Poesia: Tiziano Fratus
  • Poesia: Giacomo Trinci
  • Poesia: Elisa Biagini
  • Poesia : Maria Pia Quintavalla
  • Poesia: Rosaria Lo Russo
  • Poesia: Matteo Pelliti
  • Poesia e fotografia : Elisabetta Beneforti, Shandong lu
  • Poesia: Elisabetta Beneforti, Senza Permesso
  • Poesia: Cinzia Marulli
  • Poesia: Roberto Veracini
  • Poesia: Giuseppe Grattacaso
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  • Poesia: Stefano Bortolussi
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  • Poesia: Alfredo Rienzi
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  • Poesia: Marina Pizzi
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  • Poesia: Saverio Bafaro
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  • Poesia visiva: Elena Marini
  • Poesia Visiva : Luc Fierens
  • Poesia: Francesco Bargellini
  • Poesia: Daniela Gentile, Claudio Pasi
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  • PROPOSTA POESIA a cura di ALESSANDRO FO
  • Poesia proposta: Canale, Lombardi, Merola, Tognoni, Bertone.
  • Poesia proposta: Gian Luca Guillaume, Luca Ispani, Filippo Amadei
  • Poesia proposta: Di Gennaro, Repossi, Rimolo
  • Poesia proposta: Angelo Santangelo, Giulio Mazzali, Marco Bini
  • Poesia proposta: Cunial, Viti, Viotto
  • Poesia : Greta Rosso
  • Poesia: Giovanna Cristina Vivinetto
  • POESIA : Jean Soldini
  • Poesia : Daniela Zambrano - editi e inediti
  • Poesia proposta : Manuela Mori, Selene Pascasi
  • Poesia proposta: Mirra, Allo, Strinati, Ciampalini, Carnevali, Peralta, Casulli, Bresciani, Marrone
  • Poesia proposta: Vera D'Atri
  • Poesia proposta: Laghi Pasini, Milleri, Malerba, Corbetta, Merico
  • Poesia Proposta: Valerio Succi, Michela Gorini
  • Poesia Proposta: Filograna, Della Ciana, Imperato
  • Poesia Proposta: Alessandro Monticelli
  • Poesia Proposta: Luca Gilioli, Pierpaolo Lazzaro, Hero Haze
  • Poesia Proposta : Ornella Mereghetti, Danilo Luigi Fusco
  • Poesia proposta:Pietro Edoardo Mallegni, Anna Polin, Susanna Russello
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